35) SEPARARSI DA UN AMICO
Lo spicchio di luna crescente era ancora alto nel cielo, quando, dalla cima di un crinale che guardava verso il greto del torrente, Saaràn individuò finalmente i suoi quattro compagni.
I Tarpan in fila procedevano lenti, a testa bassa, affaticati fino allo stremo; per primo a guidare la colonna vide quello di Uleg, poi quello che portava Omnod e Saryn e per ultima, un poco discosta dai maschi, veniva Filli con Gerel in groppa.
Se non fosse stato troppo addolorato per la perdita di Monglik, quella vista gli avrebbe rinfrancato il cuore, invece gli diede soltanto un sottile piacere, subito sostituito da un vago timore.
Dal basso non l'avevano ancora visto e risalivano il greto del torrente come aveva detto lui.
Valutò che da dove si trovava, i suoi figli erano a tiro per un arco Un. Colpirli da quella distanza sarebbe stato un gioco da ragazzi, inoltre non era stato nemmeno difficile ritrovarli.
Benché avesse vagato nella Steppa per buona parte della notte prima di tornare indietro, era bastato trovare il torrente e risalirlo abbastanza a lungo, fino a incontrare le loro tracce.
Pensò che anche Muu-Gol avrebbe trovato facile trovarli, se avesse seguito la medesima via.
Secondo i suoi calcoli, gli Hanbakai del Un-han erano distanti almeno sette Zai da loro, però lui e la sua famiglia non potevano ancora dirsi in salvo.
Era certo che li avrebbero inseguiti fino alla morte.
Quei soldati non avrebbero lasciato nulla di intentato per riuscire a prenderli: ne avrebbero seguito le tracce fino a quando non fossero morti tutti o avessero perduto ogni speranza di ritrovare i cavalli, ma fino ad allora, era certo che non avrebbero desistito dal loro intento per nessun motivo al mondo.
Gli Un non amavano perdere, così come non amavano vedersi rubare sotto il naso i loro cavalli.
Inoltre nel suo gruppo c'erano solamente tre uomini, mentre gli Hanbakai erano una ventina.
In questo Muu-Gol aveva avuto ragione, nemmeno per lui sarebbe stato possibile ucciderli tutti, quindi non gli restava che far sparire i cavalli rubati nella Steppa e alla svelta, anche.
Ma come farlo, se le tracce che conducevano al loro piccolo gruppo di fuggitivi erano così evidenti da poter essere seguite infallibilmente anche dal meno abile degli Un?
Muu-Gol stesso li avrebbe trovati, figurarsi una masnada di Un umiliati e desiderosi di vendetta.
No, Saaràn non si faceva illusioni: se voleva far perdere le tracce della mandria, doveva prima trovarla e poi escogitare qualcosa, altrimenti, presto o tardi, lui e i suoi si sarebbero trovati addosso una masnada di Un tremendamente arrabbiati e incredibilmente felici di averli in pugno.
La sola prospettiva di cadere ancora nelle mani di Muu-Gol gli faceva venire i brividi.
Scosse la testa. Non avevano che una scelta da fare.
Per il momento non potevano che andare avanti.
Dovevano proseguire verso i monti, perché la scia della mandria in fuga portava verso quella direzione e perché indietro, al momento, non potevano tornare.
Un sorriso amaro gli increspò le labbra ripensando a quanto fosse evidente il passaggio di quei cavalli nell'erba.
Anche un cieco avrebbe potuto seguirla.
Lui lo sapeva.
Nella notte l'aveva percorsa a ritroso per un lungo tratto prima di svoltare a Ovest con Monglik, seguendo il letto pietroso e sicuro di un piccolo rio in secca.
L'aveva scelto perché nelle vicinanze vi aveva incontrato i cadaveri di due lupi, morti da poco.
Erano stati feriti e si erano trascinati fino a lì, prima di stramazzare a terra incapaci di proseguire oltre.
Il sangue sgorgato dalle ferite di quelle belve non era ancora del tutto rappreso e alla luce della luna luccicava sull'erba calpestata.
Li avevano colpiti i medesimi dardi dal piumaggio rosso e giallo che avevano ferito il suo cavallo, perciò dedusse che facessero parte del branco che aveva attraversato il campo di Muu-Gol.
Siccome voleva portare Monglik vicino al campo Un per sviare le ricerche dalle sue reali intenzioni, quel ritrovamento inaspettato gli diede un aiuto quanto mai utile.
Sapeva di commettere una grave imprudenza ad avvicinarsi di nuovo così tanto al nobile che gli stava dando la caccia, però non poteva farne a meno.
Quello che voleva fare era avventato e rischioso.
Avrebbe potuto cadere in una imboscata ed essere nuovamente catturato dagli uomini di Muu-Gol, eppure voleva allontanare il più possibile gli inseguitori dai suoi figli.
Si augurò che le gocce di sangue che il pezzato lasciava ad ogni passo sulle pietre del piccolo torrente in secca, fossero scambiate per quelle lasciate da altri lupi feriti fuggiti proprio da quella parte.
Proseguì ancora per un buon tratto, infine, quando Monglik non ce la fece più a camminare, si fermò e smontò...
Sobbalzò al ricordo.
Ora, fermo sopra quel poggio a osservare il lento avanzare dei suoi figli mezzo addormentati, doveva raggiungerli.
Il ripensare al suo vecchio pezzato gli fece venire uno scatto di rabbia che sfogò immediatamente sul giovane morello, affondando con tanta forza i talloni nei fianchi del Tarpan, da farlo nitrire di dolore.
Quello scattò immediatamente in avanti.
Partì al galoppo con una foga alla quale il Naaxia non era più abituato da anni e che lo colse totalmente di sorpresa.
Saaràn tirò le redini, lo trattenne, ma si pentì subito di quello che aveva fatto: non era colpa del cavallo se aveva dovuto lasciare nella Steppa Monglik, il fido compagno di una vita intera.
Prendersela con quell'animale non avrebbe cambiato la realtà delle cose, inoltre, a causa del brusco movimento, aveva avvertito una dolorosa fitta alla schiena che gli aveva fatto serrare gli occhi.
Si diede dello sciocco per aver perso in quel modo la calma e questo non andava bene.
In breve si trovò a scendere lungo il fianco della bassa collina come una valanga travolgente e questo era proprio quello che non voleva: desiderava coglierli di sorpresa e balzargli addosso all'improvviso, invece per la rabbia aveva rovinato tutto.
L'imprevisto peggiorò ulteriormente il suo malumore e si diede dell'idiota.
Inevitabilmente dal basso avvertirono il baccano che fece.
Cavalieri e cavalli, temendo il peggio, sentendolo arrivare, si bloccarono all'unisono.
Allarmato dal baccano fatto dal suo padrone nel raggiungerli, un sonnecchioso Uleg si riscosse dal torpore in cui era caduto e si voltò verso il nuovo arrivato.
Quando alla debole luce lunare lo riconobbe tolse la mano dalla spada ricurva e lo salutò con un caloroso: "Ehiii!" che subito dopo ripeté anche Omnod.
Gerel lo accolse con ampi gesti della mano, mentre Saryn abbozzò un veloce cenno, quasi si vergognasse di mostrare i suoi sentimenti verso il padre.
Saaràn li apprezzò molto tutti quanti, ma non rispose ai loro saluti.
Non ne aveva voglia. Sentire addosso gli occhi di tutti lo faceva sentire male, quasi che cavalcare un cavallo che non era Monglik fosse una colpa inaccettabile per il suo onore di uomo
Il suo malumore ora si accompagnava al dolore alla schiena e sapeva che era stato causato solo per una stupidaggine per la quale poteva incolpare soltanto se stesso.
Si detestava, per aver abbandonato il suo cavallo e per aver maltrattato inutilmente quello che cavalcava ora.
Forse era per davvero il peggiore degli uomini sulla faccia della terra.
Quando arrivò davanti al Taiciuto disse soltanto:"Seguitemi", poi si voltò e si allontanò dal greto del fiume.
Prima di fare come gli era stato detto, Uleg e Omnod si scambiarono uno sguardo veloce.
Il giovane soldato Un parve essersi risentito per il comportamento del Naaxia e il Taiciuto se ne accorse subito.
Con un gesto rapido fece cenno allo Scengun di tacere.
L'Un sbarrò gli occhi.
Mai nell'Urdu uno schiavo si sarebbe permesso di zittire un Un: per quanto giovane e di basso rango costui fosse stato, l'Un avrebbe scorticato il servo di frustate, eppure qui nella Steppa ogni convenzione pareva saltata e ogni regola con la quale egli era cresciuto, era stata resa inutile dal Naaxia.
Omnod fissò con rabbia per un attimo il Taiciuto, poi distolse lo sguardo. Uleg grugnì di soddisfazione.
Lui credeva di sapere quello che stava provando Saaràn e Omnod era troppo giovane per capire a fondo cosa significava separarsi da un Tarpan con il quale eri cresciuto, avevi cavalcato ogni giorno e dormito accanto per una vita intera.
Quindi seguirono il Naaxia in silenzio, nonostante la stanchezza avesse ormai fiaccato da tempo la resistenza a tutti.
Seguirono le orme della mandria fino allo spuntare dell'alba, senza peraltro vederne che lo sterco sempre più fresco e zolle d'erba scalzata di recente.
Con gran sorpresa e sollievo di tutti, del grosso branco di lupi, invece non videro più traccia.
Saaràn non trovò altre orme del loro passaggio.
Dopo essere comparsi all'improvviso e aver spinto alla fuga i Tarpan al posto loro, ora quelle belve parevano sparite nel nulla.
Quando poi il sole spuntò e Ten-gri ricoprì ancora il mondo, Saaràn scese finalmente da cavallo.
Erano troppe ore di fila che cavalcava e lo fece volentieri.
Nonostante la sella Taiciuta gli avesse sostenuto a dovere la schiena, era tutto rigido e dolorante.
La ferita gli doleva ancora e a fatica si inginocchiò fino a terra, ma quando vi riuscì esaminò attentamente le orme che vedeva impresse nel terreno: vi erano solo zoccoli.
Nessuna orma di lupo, nessun ciuffo di peli o escremento fresco lasciato per strada.
Il branco era tornato indietro o si era disperso, non ne aveva idea.
Sapeva soltanto che al momento quei lupi non si trovavano nei paraggi e questo lo faceva sentire molto meglio.
Tastò meglio le impronte, le annusò, le impastò tra le dita per capire quanto tempo li separava dalla mandria.
Secondo lui la distanza che li separava diminuiva, i Tarpan in fuga stavano rallentando e presto si sarebbero fermati.
I cavalli avevano corso tutta la notte; per quanto terrorizzati, all'alba sarebbero stati esausti e assetati.
"Con il levar del sole cercheranno acqua e riposo" gli disse Uleg, quasi avesse seguito il suo medesimo ragionamento.
Saaràn si voltò a guardarlo, leggermente sorpreso.
Il Taiciuto non era sceso da cavallo e attendeva ordini ad alcuni passi di distanza di lui.
Nonostante l'età avanzata era ancora fermo e stabile sulla sella.
Al contrario suo non pareva nemmeno avere mal di schiena.
Indispettito nel vederlo così in salute, annuì veloce.
Con un rapido sguardo vide Gerel che ciondolava addosso al collo di Filli e Saryn che si sforzava con poco successo a tenere occhi aperti e mani ben salde attorno alla vita di Omnod.
Lo Scengun invece sembrava stanco come poteva esserlo un Un di pochi anni più vecchio di suo figlio: affaticato, sì, ma pronto a proseguire ancora fino alla fine della Steppa, se glielo avesse chiesto.
Probabilmente avrebbe potuto stare ininterrottamente in sella altri tre o quattro giorni, scendendone soltanto il tempo strettamente necessario per le funzioni corporali prima di risalirne ancora.
Saaràn lo guardò appena, sollevò un sopracciglio invidiandolo un poco per il vigore dei suoi anni e gli fece un cenno di saluto, poi tornò al Taiciuto. Anche lui la pensava nello stesso modo del Nonun.
"Cosa proponi?" gli fece e l'altro, un poco sorpreso che glielo chiedesse, si guardò attorno prima di rispondere.
Dopo un momento indicò un boschetto a breve distanza da dove si trovavano; poche betulle storte, sferzate dal vento e dal gelo della Steppa, si sforzavano di sopravvivere in un leggero avvallamento.
Le prime foglie iniziavano ad aprirsi alla nuova stagione primaverile.
"I tuoi figli hanno bisogno di dormire. Lui..." disse indicando Omnod con un cenno della testa "... potrebbe stare con loro due, mentre tu e io andiamo a cercare i cavalli".
Omnod aggrottò la fronte contrariato, però rimase zitto.
Saaràn annuì. Era più o meno quello che voleva fare lui.
"Omnod, lo farai?" fece rivolgendosi al giovane.
Quando malvolentieri questi gli fece cenno che l'avrebbe fatto, il Naaxia salì di nuovo sul Tarpan e si diresse verso il piccolo boschetto di betulle che gli aveva indicato Uleg.
Mentre vi si avvicinò pensò a Khus, il figlio nato alcuni anni prima e morto dopo pochi giorni di pianto ininterrotto.
Come sempre mormorò una preghiera a Ten-gri perché gli procurasse ogni giorno latte cagliato e miglio macinato e poi si toccò la fronte, in segno di rispetto.
Infine si trovò a pensare a Monglik, a quando scese da cavallo deciso a recidergli l'arteria che passava nel collo perché smettesse di soffrire.
Sul greto del piccolo torrente in secca il vecchio pezzato ansimava, faticava a restare in piedi e sollevava l'arto ferito da terra.
Lo spuntone di freccia era ancora piantato profondamente nel muscolo della gamba e benché il sangue raggrumato ne avesse tappato il foro e la ferita avesse smesso di zampillare, erano ore che il Tarpan ne perdeva, ormai non poteva esserne rimasto molto in quel vecchio corpo...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro