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34) MONGLIK

Vagamente e in modo confuso, Saaràn si sforzò di riandare alle cose successe.

Poco alla volta racimolò sufficiente coscienza per ricordarsi perché si trovasse a marciare di notte nella Steppa.

Saryn, Gerel!

Ripeté concitato ad alta voce, facendo trasalire l'esausto Monglik.

Dove saranno? pensò, tentando di scuotere via il torpore che per un tempo tremendamente lungo e pericoloso gli aveva circondato il cervello.

Si concentrò, si costrinse a ricordare i dettagli del piano che aveva elaborato insieme agli altri due compari.

Come si chiamavano... U...Uleg e l'altro... Omnod, il giovane Scengun. Sì, sì!

Alla fine ricordò: Il carro, il campo, la fuga.

Si sentì perso.

Dovette riprendersi in fretta, abbastanza per capire dove si trovava e ritrovare il punto di ritrovo: doveva andare al guado.

Si guardò attorno, nel buio della notte dovette orientarsi, finché riconobbe l'erba piegata davanti a sé.

Aveva seguito la scia della mandria, doveva ragionare.

Doveva calmarsi e pensare.

Gerel, se era scappata prima che la mandria impazzita la calpestasse, doveva essere tornata al punto di ritrovo, assieme agli altri.

I lupi! Mormorò poi sommessamente, ricordandosi all'improvviso di quella massa urlante di belve feroci che gli era passata accanto.

Dove saranno ora, i lupi! si domandò trafelato.

Un'altra volta soltanto ne aveva visti così tanti riuniti in un sol posto!

Quarant'anni prima, nella Steppa, con Kutula.

Tutti grandi, feroci e famelici! Grigi e neri insieme, giovani e vecchi; mai aveva provato un terrore simile in vita sua, se non quella volta di tanto tempo prima nella Steppa.

Da allora era passata una vita intera e mai avrebbe creduto possibile avere più paura di quella provata in quel giorno lontano, eppure era successo. Man mano che gli eventi degli ultimi momenti gli ritornavano alla mente, benché faticasse ancora a connettere e a ragionare, comprendeva da cosa era sfuggito. Da Muu-Gol.

Al solo pensiero tremava e le mani faticavano a serrare le briglie.

Fino ad allora aveva lasciato che a condurlo pensasse Monglik, ma ora doveva riprendersi, andare all'appuntamento con tutti gli altri senza perdere altro tempo prezioso.

Uscito dalla traccia lasciata nell'erba dalla mandria, individuata la direzione giusta si diresse verso il guado.

Era stanco e provato.

La tensione e i pericoli delle ore precedenti l'avevano sfiancato e ora doveva pensare soltanto a ricongiungersi con Saryn, Gerel, Helun, Omnod, a Uleg.

Dove saranno finiti tutti quanti?

Non sapeva nemmeno se il loro piano avesse funzionato a dovere.

Tutto era andato solo come voleva Ten-gri a non come l'aveva immaginato lui.

Egli era solo scappato, quella era l'unica cosa che aveva fatto.

Quando si era reso conto di non poter più rimanere al campo Un, era fuggito.

E Saryn, il suo Tom Khuu (figlio primogenito), sarà in salvo?

Omnod sarà stato in grado di portarlo in salvo?

I Tarpan, i lupi, la Signora, Filli, persino la piccola e coraggiosa Gerel, avevano condotto il gioco molto più di quello che aveva fatto lui.

Si sentì sommergere da una profonda vergogna, quando il Tarpan tossì.

Era esausto.

Con un senso di colpa crescente sperò che Monglik non cedesse proprio in quel momento e scrutò i dintorni.

Riconobbe la zona, era vicino, non doveva distare molto dal punto di ritrovo.

La penombra della sera offuscava i contorni e confondeva le immagini nella Steppa, ma poi all'improvviso li vide.

Sono loro, Monglik, sono loro! Mormorò al cavallo che sbuffò piano, scuotendo appena la testa.

Aguzzando di più la vista, a non più di cinquanta passi da loro distinse delle forme vicine le une alle altre.

Vide dei cavalli, delle persone a terra, alcune in groppa ai Tarpan.

Lo aspettavano, erano già pronti a partire.

Con un gesto della mano li salutò tutti quanti, sperando lo vedessero.

Man mano che si avvicinava distinse il vestito azzurro di Gerel in groppa a Filli e gli si aprì il cuore.

Poi riconobbe i lineamenti grezzi e forti di Omnod.

Era al fianco del cavallo di Gerel e lo salutava piano.

Però erano soltanto in due, e gli altri?

Non vedeva Saryn e nemmeno Uleg.

Aggrottò la fronte, improvvisamente preoccupato.

Iniziò a temere che le cose fossero andate male, ma non volle lasciarsi andare alla disperazione.

Si avvicinò rapido al gruppo, per quanto poté ancora chiedere al vecchio pezzato che lo portava.

Quando poi fu abbastanza vicino da farsi sentire senza urlare, con una voce li chiamò, ricevendo saluti in risposta.

Omnod, con la mano ancora sollevata, attese il suo arrivo accanto al Tarpan di Gerel.

Saaràn cercò di scorgere meglio tra le ombre e vide un figura comparire accanto allo Scengun.

Era Saryn! Era libero, salvo!

Alzò lo sguardo a Ten-gri sempre più color cobalto scuro e dalla contentezza si abbandonò per un momento sul collo dello sfinito Monglik. Solo allora si ricordò che da tempo il pezzato non camminava bene.

Un sobbalzo del Tarpan lo fece rinsavire del tutto.

Si voltò come se un dubbio atroce avesse finalmente fatto breccia nel suo cervello affaticato e subito scese al volo dalla sella.

Non avvertì più fatica o spossatezza.

Gli girò attorno.

Quando vide uno spuntone piumato conficcato nel muscolo della gamba posteriore, urlò.

"No, Monglik!".

Un piumaggio rosso e giallo tipico dei dardi Hanbakai spiccava in cima all'asta. Del sangue rappreso incrostava il pelo della zampa fino allo zoccolo e altro, fresco, zampillava a spruzzi dalla ferita.

Ora che era fermo, il vecchio Tarpan teneva la zampa ferita sollevata da terra. Soffriva, soffiava come un mantice ed era stremato, eppure non si era fermato una volta sola.

"Vecchio mio, perdonami" gli disse Saaràn comprendendo solo allora quanto fosse stato egoista, ma la situazione urgeva.

Muu-Gol e i suoi uomini non erano così distanti.

Non potevano perdere altro tempo prezioso, nemmeno se a farlo perdere fosse stato Monglik.

Sull'orlo della disperazione osservò meglio la ferita.

La freccia si era insinuata profondamente nella carne e la punta aveva reciso un'arteria.

Saaràn si rese subito conto della gravità della situazione.

"No, no, no!" mormorò piano, tentando di fermare con le mani il rivolo di sangue che lentamente colava dalla ferita, ma per quanto facesse, il sangue seguitava a colare.

Lento, inesorabile, goccia a goccia colava lungo la zampa fino a terra, portando con sé la resistenza dell'animale.

Si guardò indietro, sul terreno appena percorso: a poca distanza l'una dall'altra, sui fili d'erba schiacciati dagli zoccoli, le gocce di sangue perdute dal cavallo risaltavano anche nell'opaca luce serale.

Erano una traccia che anche un bambino avrebbe saputo seguire.

Gli Un appiedati erano lenti e quasi inoffensivi, però bisognava correre, allontanarsi il più possibile prima che fosse troppo buio per poterlo fare.

Ora che avevano abbandonato la traccia della mandria, quelle gocce di sangue sarebbero state facilissime da seguire e li avrebbero perduti, se non fossero scappati il più lontano possibile dagli uomini di Muu-Gol.

Era come se Monglik, con il suo sangue, avesse lasciato un segno che anche un cieco avrebbe saputo seguire.

Bisognava impedire a tutti i costi che gli Un si riprendessero i cavalli.

In qualche modo dovevano arrestare l'emorragia, oppure andare via subito e fuggire lontano finché era possibile farlo.

Solo su questo si basava la loro salvezza, la distanza tra loro e gli altri. Come se la ferita del fedele cavallo l'avesse di colpo riportato completamente alla realtà, senza lasciarsi andare alla disperazione, pensò a cosa fosse meglio fare.

Tenendo la mano premuta sulla ferita di Monglik, domandò a Gerel:"I cavalli?".

Senza attendere risposta, continuò concitato: "Gerel!" aggredì la figlia "I Tarpan, dove sono i Tarpan?" le domandò ancora.

Vide che la bambina, intimorita dal suo repentino stato d'umore, indicò verso i monti.

Saaràn si pentì subito di averla trattata bruscamente, ma non aveva tempo di spiegarle la gravità della loro situazione.

Si concesse un momento per osservarla e per sorriderle.

Le andò accanto e le toccò una gamba.

Aveva rischiato la vita come tutti quanti loro ed era giusto che avesse la medesima considerazione degli altri.

Infilato nella fascia a vita, portava ancora il pugnale che egli le aveva consegnato prima di lasciarla al suo compito.

Glielo sfilò piano e la ringraziò.

La bimba, affranta e un poco sorpresa dalla brusca reazione del padre, gli sorrise appena.

Era stanca e trafelata, ma sembrava in salute: "Sono corsi via!" gli disse concitata "I lupi, padre! È stato orribile! I lupi li spingevano lungo il torrente!" aggiunse ancora.

Saaràn capì subito che se volevano recuperare i Tarpan prima dell'alba, dovevano inseguirli subito, mettere più Zai possibili tra i cavalli della mandria e gli Un.

Soltanto sui monti avrebbero potuto dirsi al sicuro e c'erano ancora almeno due giorni di marcia prima di raggiungerne le pendici.

Tuttavia Monglik era sfinito, non era più in grado di portarlo in groppa.

La ferita continuava a perdere sangue, nonostante il Naaxia tenesse premuti a forza i lembi della ferita.

Restava forse meno di un'ora al buio della notte e non potevano permettersi di perdere tutto quel tempo.

Più tardi sarebbe spuntata la luna e se fosse stato necessario avrebbero camminato tutta la notte, ma ora dovevano andare.

Appoggiò la testa sulla groppa del Tarpan.

Erano insieme da sempre, lui e quel cavallo.

Nel momento del bisogno c'era sempre stato, c'era prima di Helun, di Gerel e Saryn.

Era una parte di se stesso, come un braccio o una mano e non riusciva a pensare di farne a meno.

Cominciava a rendersi conto di quello che avrebbe dovuto fare, anche se non aveva ancora il coraggio di ammetterlo a se stesso.

Si sentì stringere il petto dalla disperazione.

Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe giunto, ma non si era mai preparato ad affrontarlo per davvero.

Pensò che almeno il suo sacrificio non era giunto invano.

Andò verso Saryn e se lo strinse forte contro.

"Sei salvo!" esclamò lasciandogli andare la testa sulla spalla "Sei salvo", ripeté, poi si riprese e scrollandosi di dosso le emozioni, ridivenne freddo e spietato.

"Un cavallo, datemi un cavallo!" fece a Omnod "Monglik è ferito e non mi può portare oltre" aggiunse, poi si ricordò che anche Uleg non era ancora arrivato.

"Uleg, dov'è?" domandò allo Scengun, rendendosi conto che non avrebbero potuto aspettare a lungo l'arrivo del Taiciuto.

Se non fosse arrivato presto, sarebbero dovuti partire anche senza di lui.

Ma in tutta risposta il giovane Un sollevò le spalle e scosse la testa.

Saaràn annuì.

Con un rapido calcolo valutò la situazione.

Avevano quattro Tarpan: Filli, Monglik e i due che Omnod aveva portato con sé.

Sentiva crescere una strana inquietudine dentro al petto e una voce che faticava a zittire gli diceva che doveva fare quello che occorreva per la sicurezza di tutti.

Gerel, Saryn, Helun, la sua famiglia intera dipendeva da lui.

Cercando di calmare il pezzato, prese con forza lo spuntone di freccia e provò a tirarlo fuori.

Per quanto avesse tirato, non vi riuscì.

Era conficcato troppo in profondità e non si mosse di un dito.

Quel suo sforzo ottenne soltanto di far scalpitare dal dolore Monglik e di far aumentare lo zampillo di sangue dalla ferita.

Si portò una mano sulla bocca.

Omnod lo fissava mentre lui cercava disperatamente di distogliere lo sguardo da quegli occhi spietati.

Come qualunque Un della Steppa, il giovane Scengun sapeva quello che doveva essere fatto e glielo avrebbe detto se l'avesse guardato, ma lui non voleva sentirselo dire.

Non ancora, almeno.

Anche lui sapeva quello che doveva fare, però non aveva il coraggio di farlo.

Ci doveva essere un altro mezzo, un trucco, qualche espediente che gli desse una possibilità di salvarlo.

Pensò freneticamente a qualunque cosa potesse aiutarlo, eppure, nonostante cercasse nella memoria, non trovò nulla che potesse venirgli utile.

A un certo punto udirono un cavallo lanciato al galoppo giungere dal torrente.

Temendo fossero gli Hanbakai, allarmati Saaràn e Omnod si voltarono simultaneamente, portando le mani alle armi.

Era Uleg. Il Taiciuto fece fermare il Tarpan a un passo dai loro. Riconoscendolo entrambi, i due Un si rilassarono.

"Sei qui, finalmente!" fece Saaràn sollevato.

"Per il Ten-gri, sei salvo!" esclamò Uleg vedendo il bambino al fianco di Omnod, poi si rivolse a Saaràn:

"Perdonami padrone, ma non sono riuscito ad arrivare ai cavalli. I lupi..."

Con un cenno della mano il Naaxia lo bloccò:

"A dopo le spiegazioni, uomo. Ora dobbiamo fuggire, mettere in salvo i cavalli e noi stessi".

Il Taiciuto annuì e si accorse della ferita di Monglik.

Vide subito che era grave e che il cavallo non avrebbe più potuto proseguire. Aggrottò la fronte, poi:

"Padrone, il tuo cavallo..." fece indicando lo spuntone di freccia che usciva dalla zampa posteriore del Tarpan.

Saaràn nemmeno lo guardò in volto.

Sapeva che il servitore aveva una grande esperienza in fatto di cavalli, forse addirittura superiore alla sua.

Un suo parere negativo, sarebbe stata una condanna.

Facendosi forza, gli domandò:"Posso curarlo?", ma il vecchio servo tardò a rispondere.

Abbassando la testa e appoggiando una mano sul collo di Monglik, Saaràn comprese.

"Troppo tempo per rispondere, Uleg. Già ho capito" disse mesto "È il destino di tutti coloro che camminano sotto il Ten-gri".

"Padrone, forse in un altro momento e altrove, forse si potrebbe..." fece Uleg, quasi per scusarsi della mancata risposta, ma Saaràn lo bloccò ancora.

"Non serve. Sappiamo entrambi che dovremo correre per salvarci. Non c'è tempo da perdere".

"Se vuoi, padrone, ci penso io" gli disse ancora Uleg, ma lui scosse la testa.

"Tocca a me" disse sottovoce. Senza dire altro slacciò il sottopancia al vecchio pezzato e gli tolse la sella di dosso.

"Saryn, tu cavalcherai con Omnod" fece al figlio.

Il ragazzo annuì grave. Era abituato a parlare poco, ma era già abbastanza grande da comprendere che Monglik era diventato un pericolo per tutti quanti loro e doveva essere eliminato.

Poi rivolto al servo: "Uleg, metti la sella al Tarpan di Saryn. Userò quello".

Gli porse la pesante sella che gli aveva costruito apposta per Monglik e quello la prese in silenzio.

Il Taiciuto andò accanto al Tarpan che Saryn aveva usato per fuggire dal campo, un morello dal pelo lungo e folto, ne tolse la sella Un e mise la sua al posto.

Se provasse soddisfazione e orgoglio per la scelta del padrone, dal volto impassibile non lasciò trapelare nessuna emozione.

Infine prese la sella Un, la sistemò legandola dietro la sua e rimontò in sella.

Saaràn lo ringraziò con un cenno della testa.

Non aveva voglia di parlare, in quel momento.

Prese per le briglie il morello, vi montò in sella, tenendo in mano le redini di Monglik.

Vedendolo salire in groppa, anche Omnod fece altrettanto, poi, allungando un braccio verso il ragazzino, fece salire al volo Saryn dietro di sé.

Gerel fissò il vecchio Tarpan con la zampa sollevata e le sfuggì una lacrima silenziosa.

Sapeva che non l'avrebbe più rivisto.

"Andate" disse soltanto Saaràn "seguite il torrente, io vi ritroverò. Non vi fermate per nessun motivo. Se non torno prima di domattina, trovate Helun e fuggite sui monti".

Poi, dopo un rapido sguardo ai due figli, senza un minimo cenno di saluto, diede di talloni al giovane Tarpan e si allontanò piano, trascinandosi dietro il vecchio e zoppicante pezzato.

Ritornò sui suoi passi, facendo ben attenzione a calpestare le orme che lui e Monglik avevano lasciato all'andata.

Gli altri si incamminarono a loro volta.

Andarono in direzione opposta, mesti e silenziosi, seguendo la riva del torrente, risalendo lenti verso i Monti d'Oro.

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