34) LA SFIDA
I quattro uomini fecero a ritroso la strada che li aveva condotti al Khurts Khutga, impiegando meno della metà del tempo necessario a salire sulle montagne.
La paura per quello che avevano vissuto, il timore che il terremoto potesse ripetersi ancora, la trepidazione per quello che avrebbero potuto trovare una volta tornati a Togriluudyn, tutte queste cose messe insieme crearono in ognuno di essi uno stato d'animo tale, che mise le ali ai piedi sia agli uomini che ai cavalli.
Corsero come disperati, con Khar e Zurvas attaccati alle calcagna di Monglik, alle volte in difficoltà a mantenerne il passo, tanta era la foga di Saaràn per il ritorno.
All'inizio le cose non furono semplici.
Negli attimi concitati che seguirono la partenza, ancora troppo scosso da quello che aveva visto per ricordarsi di essere prigioniero dei Togril, l'Un partì immediatamente spingendo Monglik a seguire il sentiero fatto all'andata.
Non attese nessuno, non pensò a Chonyn, a Chadvarlag, a chi fosse carceriere e chi detenuto.
In quei momenti di follia, per lui contava solamente l'impulso fortissimo che avvertiva dentro di sé di fare ritorno alla sua famiglia.
Decenni passati a fare il Naaxia per la Steppa, lo portarono a seguire l'istinto naturale che lo spingeva sempre a cercare il passaggio migliore.
Come Cercatore di Strade gli venne naturale trovare la strada migliore per tutti e così fece, partì subito, ma nel farlo tagliò la strada allo stallone di Chonyn che s'imbizzarrì, portando lo scompiglio negli altri cavalli.
Indispettito il soldato lo inseguì, lo raggiunse, lo superò, si riportò alla testa del gruppo e con sicurezza li condusse dove sapeva esserci il terreno migliore per gli zoccoli dei cavalli.
Obbligato a rallentare dalla mole immensa dello stallone che gli stava davanti, Saaràn tirò le redini di Monglik e lo trattenne.
Mormorò sottovoce parole irripetibili, poi respirò a fondo, trattenendo a stento la rabbia.
In fondo era logico, si disse, il Togril conosceva i paraggi molto meglio di lui.
Questa volta non sarebbe stato lui il Cercatore di Strade.
Sarebbe rimasto dietro.
Mise il morello al passo dell'altro, eppure questo lo ferì profondamente, respirare la polvere che l'altro cavallo sollevava ad ogni falcata, lo infastidì molto più di quello che pensasse.
Sebbene contrariato, all'inizio accettò che a condurre il ritorno fosse l'altro e con un grugnito masticò amaro.
Chonyn lo guardò una volta soltanto attraverso la fessura dell'elmo, ma non disse una parola e condusse la discesa con prudenza.
Non persero tempo a parlare, nessuno aveva voglia di commentare l'accaduto.
L'unico pensiero che in quel momento assillava entrambi era tornare indietro il più in fretta possibile.
Il primo tratto, più stretto e impervio, ricoperto di ciottoli smossi e pietre instabili, li obbligò a marciare cauti e a trattenere i cavalli, ma appena poterono lanciarono i destrieri in una corsa affannata, scendendo a perdifiato giù lungo il fianco della montagna.
Quando arrivarono alla diga, più o meno alla metà del percorso per Togriluudyn, Chonyn fece fermare la corsa e con un balzo scese di sella per andare a controllarla.
Nonostante la massiccia armatura che indossava dal mattino, si muoveva agile.
Appena smontato il soldato si sfilò l'elmo e lo lanciò a Chadvarlag che lo afferrò al volo, assieme alle redini del cavallo del superiore.
Chonyn era teso, nervoso, in ansia per quello che avrebbe potuto trovare.
Come già per l'altro soldato, quella era la prima volta che Saaràn gli vedeva il volto e nei suoi lineamenti riconobbe immediatamente la preoccupazione che fino ad allora era rimasta coperta dal metallo.
Più o meno stimò che potesse avere la metà dei suoi anni, la muscolatura del collo possente, capelli a spazzola castano scuro, carnagione e occhi chiari, tratti del volto duri e decisi, tirati dalla rabbia e dalla preoccupazione.
Con l'altro Togril condivideva il naso adunco e gli zigomi piatti, ma per il resto erano differenti come l'acqua dall'aceto.
Il volto, accuratamente sbarbato, era deturpato da un grosso ematoma sul lato destro e il labbro superiore della bocca carnosa era spaccato in due da un brutto taglio.
Saaràn immaginò che fossero ciò che restava dello scontro avuto nella Steppa pochi giorni prima contro il petto del suo cavallo.
Doveva essere molto fastidioso portare l'elmo sopra a ferite del genere, ma Chonyn, preoccupato per altro, non dava cenno di farci caso.
Il soldato si precipitò verso i meccanismi che sovrastavano la diga e ne ispezionò scrupolosamente gli ingranaggi, le catene, le ruote dentate.
Non tralasciò nulla, saracinesche, condutture, ogni particolare venne scrutato con cura; con competenza le fece muovere avanti e indietro e ne verificò una per una l'efficacia.
Poi, soltanto quando constatò che anche l'ultima di esse fosse perfettamente mobile e funzionante, parve rilassarsi un poco e passò a controllare la struttura vera e propria dello sbarramento.
Con maggiore calma osservò la palizzata in legno rivolta verso l'esterno.
Vedendola intatta, si tranquillizzò.
Infine, non ancora del tutto contento, s'incamminò lungo la sommità attraversandola tutta, da una parte all'altra.
Con i piedi a mollo nell'acqua che tracimava a valle, osservando attentamente ogni minimo dettaglio che potesse sembrare anomalo, ritornò indietro.
Arrivato al cavallo, gli montò immediatamente in groppa.
Il volto scuro non prometteva nulla di buono.
Non parlava, però i gesti, gli sguardi, i movimenti, tradivano nervosismo e preoccupazione.
Chadvarlag gli lanciò l'elmo, lui lo prese al volo.
Prima di indossarlo, Chonyn si rivolse a Uleg:
"Ho fretta, non posso aspettarvi. Se non riuscite a starmi dietro, Chadvarlag vi guiderà alla guarnigione" affermò in Togril senza perdere tempo, dopodiché s'infilò il copricapo e si lanciò lungo il sentiero a tutta velocità, spronando con possenti tallonate il gigantesco cavallo.
Sulle prime Saaràn venne colto di sorpresa dalla rapida partenza del militare, ma quando il Taiciuto gli tradusse le sue parole, le ascoltò allibito. Era la seconda volta che il Togril metteva in dubbio le sue abilità di cavallerizzo e si sentì punto sul vivo.
Nessun Un avrebbe mai accettato un affronto del genere e in quel momento, prima ancora di ragionare se poteva essere giusto o sbagliato seguire quello che l'istinto lo stava spingendo a fare, diede un possente colpo di talloni a Monglik.
Sollevando polvere e ciottoli tutto attorno, partì all'inseguimento di Chonyn.
Alle sue calcagna anche Khar e Zurvas scattarono in avanti come saette e si mantennero a poche lunghezze di distanza dal morello.
Chadvarlag e Uleg, presi alla sprovvista dalla reazione improvvisa di Saaràn, diedero di sprone, ma oramai sia il Togril che l'Un erano già a diverse Tese davanti a loro.
Erodendo poco alla volta il distacco che lo divideva da Chonyn, Saaràn spinse al limite sia il Tarpan che se stesso.
Galoppare su un terreno duro e pietroso come quello era pericoloso per i garretti di Monglik, lo sapeva.
Inoltre uno sforzo fisico come quello era al limite del sopportabile per la sua schiena, ma qualcosa dentro di lui era scattato nel momento stesso che aveva visto il Togril partire al galoppo e lo spingeva a corrergli dietro come un forsennato.
Giusto o sbagliato che fosse, voleva a tutti i costi raggiungere quel giovane presuntuoso che si era permesso di insinuare che lui non era più in grado di tenere il suo passo.
All'iniziale preoccupazione per la sorte di Helun, Saryn e Gerel, si sommò anche una sorta di amor proprio, una ferita, un desiderio impellente di dimostrare che non era ancora giunto il momento di rinunciare a una sfida. Galoppò come se quella fosse l'ultima volta in cui potesse mostrare a se stesso e agli altri che era ancora come un tempo, solido, robusto, indistruttibile, giovane.
Mentre spingeva Monglik lungo le scoscese scarpate per restare incollato a Chonyn che tagliava agilmente le svolte per arrivare prima a Togriluudyn, si diceva che lo faceva per rivedere prima i suoi cari, ma dentro di sé sapeva che non era così.
Sapeva perfettamente che per ogni colpo di tallone che dava al proprio cavallo, era l'ansia d'invecchiare che lo spingeva a farlo; per ogni ripida discesa sconnessa che l'obbligava ad affrontare, era la voglia di non cedere alla paura di morire che lo incitava.
Voleva essere ancora giovane come il Togril, voleva essere ancora forte come lui, spavaldo, sicuro, solido, resistente come lui.
Per quanto rischiasse di rompersi l'osso del collo ad ogni pietra instabile, ad ogni passo, ad ogni invisibile e nascosto anfratto, spinse Monglik a correre e il fedele Tarpan accettò il rischio senza timore.
In quei momenti Saaràn non avvertì attorno a sé null'altro che non fosse la coda svolazzante del cavallo che lo precedeva.
Quella era la sua meta, il trofeo ambito a cui voleva arrivare ad ogni prezzo.
A tutti i costi lo voleva raggiungere e mantenersi a un braccio di distanza.
Il freddo tagliente della montagna, il mantello svolazzante dell'altro, le pietre sollevate con forza dagli enormi zoccoli ferrati del cavallo di Chonyn, i colpi che lui e il fedele cavallo ne ricevevano essendone sulla traiettoria, nulla lo preoccupava, se non il timore di essere lasciato indietro.
Monglik ansimava, avvertiva la fatica, l'altitudine, il terreno duro a cui i suoi zoccoli morbidi non erano abituati, le discese ardite che sforzavano giunture e muscoli, eppure non smise mai di galoppare, quasi comprendesse che da lui e dai suoi garretti dipendeva la felicità del suo padrone.
Come folli, l'Un e il Togril percorsero in una manciata di minuti quello che all'andata richiese ore per risalirlo.
A fatica Khar e Zurvas riuscirono a mantenere il passo dei due pazzi forsennati che li precedevano, tagliando lungo la montagna come soltanto dei lupi sapevano fare, ma Chadvarlag e Uleg rimasero indietro. Distanziati ormai di molti Tesen lungo il sentiero e ammutoliti davanti a tanto ardore, li guardarono allontanarsi.
Quando poi i due avventati cavalieri finalmente arrivarono in vista della piazza d'armi e del Castello di pietra, Chonyn diede un improvviso colpo di talloni alle reni del cavallo che fece un balzo in avanti.
Il gigantesco animale ansimava, schiumando dalla bocca emetteva rochi fiati sempre più brevi, eppure il cavaliere non demordeva.
Il sentiero era quasi pianeggiante, largo, sgombro di impedimenti e ad ogni falcata le lunghe gambe dello stallone facevano la differenza tra i due animali.
Poco alla volta lasciò indietro il piccolo Tarpan che gli arrancava alle spalle con la bava alla bocca.
Saaràn disperato vide l'enorme massa scura del destriero allontanarsi un passo dopo l'altro e venne preso dall'angoscia di aver perduto.
In quel momento non capì più nulla; ragione, passione, si azzerarono in un unico sentimento di attonita paura di essere finito.
Folle di disperazione diede un grido a Monglik che rispose dandogli tutto quello che ancora aveva in corpo, anima e fede, amore e timore di non farcela; corse, corse, corse, falcata dopo falcata racimolò pochi centimetri alla volta, finché la coda del cavallo che lo precedeva, insolente, non gli sfiorò il muso.
Poi qualcosa scattò anche in lui, senza che il suo cavaliere gli chiedesse più nulla che non avesse già dato, il piccolo cavallo della Steppa provò il desiderio di superare lo stallone.
Gli zoccoli gli dolevano, le gambe imploravano requie e i polmoni ossigeno che non bastava più, eppure davanti a sé scorse il sentiero largo, lo spiazzo ampio e in fondo a esso la stalla da cui era partito al mattino.
Provò a inarcare di più la schiena, distese maggiormente la falcata, si allungò, fino a quando raggiunse l'attaccatura della coda del gigantesco destriero e poi ancora più su, fino ad arrivare all'altezza delle gambe del cavaliere di metallo che portava in groppa.
Lo spiazzo distava non più di un Tesen, erano quasi appaiati, il Togril e l'Un erano quasi alla medesima altezza, quando un dolore incredibile colpì il Tarpan alla zampa anteriore.
Folle di dolore, Monglik fece gli ultimi passi di slancio, incapace di fermarsi per la stessa velocità che inesorabile lo trascinava avanti. Raggiunta la testa del cavallo di Chonyn la mantenne fino a quando non arrivarono allo spiazzo, appaiati sotto gli occhi sbigottiti dei Togril che li videro cavalcare fianco a fianco come delle furie, ma poi, quando vide la porta della stalla aperta e avvertì il profumo di stallatico, improvvisamente cedette.
Rallentò di botto, rischiando di far cadere Saaràn, che si manteneva saldo ai suoi fianchi con le ginocchia ben strette alla sella.
A stento proseguì al passo, respirando affannosamente e faticando ad alzare la zampa destra. Zoppicava.
Nei pressi della stalla Saaràn lo fece fermare. Ancora non credeva a quello che lui e il suo cavallo avevano fatto.
Frastornato e felice per la folle corsa, l'Un ci mise qualche attimo per capire che erano arrivati e che doveva scendere, ma quando a stento sollevò la gamba per scavalcare la sella Taiciuta, una tremenda fitta alla schiena gli rammentò quale sciocchezza avesse appena compiuto.
Toccando terra fece fatica a trattenere un gemito di dolore e si appoggiò a Monglik, che penosamente riprendeva fiato soffiando come un mantice.
Si accorse subito dello stato pietoso in cui versava il Tarpan ed era tutta colpa sua.
Solo allora, ansimanti e sfatti, con le lingue penzoloni e le fauci ansanti, giunsero anche Khar e Zurvas.
I due lupi gli vennero accanto, lo annusarono, poi si lasciarono cadere in terra, stremati dalla lunga corsa.
Intanto, trascinato avanti dalla foga e dal suo peso, il cavallo Togril proseguì ancora a lungo nello spiazzo prima di riuscire a rallentare abbastanza la sua corsa da voltarsi indietro.
La bestia schiumava di sudore, ribolliva di forza e d'impeto, era tutto un fremito di potenza a stento trattenuta; negli occhi, iniettati di furore, brillava la voglia di continuare ancora a correre e il dispiacere di vedere che la lotta era già finita.
Quel piccolo cavallo l'aveva fatto infuriare, era un animale da guerra ed era stato sfidato, dov'era adesso la sua voglia di passargli davanti?
Era una forza della natura e della natura portava l'ardore nelle vene. Incontenibile lo stallone nitrì, scalciò in aria sollevando il capo come a salutare l'avversario che aveva saputo tenergli testa.
Quando riuscì a contenerne la furia, Chonyn, sollevando una nuvola di pietrisco e polvere attorno a sé, tornò indietro di qualche passo, si voltò verso Saaràn e gli fece un cenno con il capo prima di riprendere il cammino.
Ansimando per la fatica e per l'eccitazione che gli avevano lasciato in corpo quegli ultimi minuti di follia, con un timido sorriso il Naaxia gli rispose nello stesso modo.
Fingeva di accudire il Tarpan, ma sapeva che era una misera menzogna per salvare la faccia.
La verità era che gli mancavano le forze e la schiena gli doleva da morire. Aveva fatto una stupidaggine e ora se ne rendeva conto.
Aveva vinto la sua scommessa, non si era lasciato distanziare, ma a quale prezzo?
Gli sarebbe piaciuto vedere se anche il volto del Togril avesse lo stesso aspetto sfatto dalla fatica che sentiva di avere lui in quel momento, ma l'elmo che il soldato indossava in capo gli impediva quella soddisfazione.
Dovette rassegnarsi a sperare che fosse così, mentre vedeva stallone e cavaliere marciare lenti e spavaldi verso il centro dalla piazza d'armi, senza dare cenno alcuno di cedimenti, sia lui che il suo cavallo.
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