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33) TERREMOTO


Saaràn aguzzò la vista e osservò meglio.

Scura, avviluppandosi su se stessa in convulso movimento, minacciosa, scossa da fulmini e fiamme che l'attraversavano da una parte all'altra, un'immane fumarola si innalzava da terra per decine di Zai.

Arrivava salendo fin dove il cielo glielo permetteva, prima di piegarsi verso Sud, oscurando Ten-gri con la propria massa fin dove si vedeva.

Improvvisi scoppi luminosi ne illuminavano la base per pochi attimi, per poi disintegrarsi in getti di materiale incandescente che salivano alti prima di scendere ad arco, scagliati così lontano da vedersi anche a quella distanza.

Il fumo che attraversava incessantemente quell'orrenda visione era così denso da apparire quasi solido.

Saaràn non aveva mai visto nulla del genere e nemmeno avrebbe saputo dargli un nome.

Di qualunque cosa si trattasse, l'unica cosa di cui poteva essere certo, era che appariva immensa, orribile e terribile da vedersi.

Non avrebbe saputo dirne la provenienza, la dimensione, la consistenza, vedeva soltanto che quella cosa immensa scaturiva dalla terra per poi disperdersi nell'aria, portando con sé fuoco e fiamme.

Era terrificante a vedersi.

Saaràn sapeva soltanto che, pur essendo lontanissima, quella montagna di fumo gli incuteva un terrore folle.

In un attimo si rese conto della verità: proseguendo la propria marcia lungo la Steppa, l'Orda di Kutula gli sarebbe andata a sbattere contro.

"Mia Signora..." farfugliò incerto alla ricerca di una spiegazione, ma lei, scuotendo la testa, lo ammonì:

"Non ora. Mi resta poco tempo prima di dover andare, ma guarda ancora. In basso, in fondo alla Steppa, vedi quella striscia scura che attraversa la prateria da Nord a Sud?" gli indicò con la mano.

Lui fece come la Signora desiderava.

Non vedeva bene, aguzzò la vista, parandosi gli occhi con le mani fissò il punto indicato, poi, a fatica la vide.

Proprio come aveva detto lei, una striscia più scura attraversava la Steppa.

La seguì in una direzione e poi nell'altra. Attraversava tutta la pianura.

Non capiva, ma al tempo stesso temeva di domandare alla Signora che gli spiegasse quello che vedeva.

Fu lei a parlare, indicando prima la linea scura e poi la colonna di fumo:

"Quella linea scura è l'inizio di una foresta e quello che vedi laggiù, in fondo, è un vulcano in eruzione" gli disse "Potrebbe esplodere da un momento all'altro e distruggere tutto quello che vedi".

Sbigottito Saaràn si voltò a guardarla. Era proprio dietro di lui e quasi i loro corpi si toccavano.

Tanto esiguo era lo spazio a disposizione per entrambi, che di quando in quando la donna, spinta dalle violente raffiche d'aria, lo sfiorava. Nonostante il forte vento, Saaràn ne avvertiva il profumo, ne percepiva l'alito uscire dalle labbra, ne vedeva il chiarore degli occhi con una vicinanza che mai avrebbe osato sperare.

La Sua Signora era lì assieme a lui, sotto Ten-gri, unico testimone nel vederli accanto uno all'altra.

Ancora faticava a credere che tutto ciò fosse vero, quando lei riprese a parlare distogliendolo dal suo fantasticare:

"Se l'Orda Azzurra continuerà ad avanzare, raggiungerà la fine della Steppa entro una Luna" aggiunse lei "Oltre vi è solo la Foresta Scura e in mezzo a quella foresta, c'è il vulcano, il Centro del Mondo. Questo aspetta gli Un se non decideranno di fermarsi prima che sia troppo tardi".

(Centro del Mondo: vedi "La Maschera e lo Specchio", Seconda Parte, Capitolo 7, Il Vulcano).

Saaràn non credeva alle sue orecchie. L'Orda non poteva fermarsi, l'Orda sapeva andare solamente avanti, sempre e solamente avanti.

Fissò quella massa di fumo sbigottito.

"So cosa stai pensando, Saaràn, ma credimi, non è questo il momento delle spiegazioni. A breve dovrò andare via e ci rimane ancora una cosa da fare".

Lui aggrottò le ciglia, seguitava a non comprendere.

"Slaccia la giubba, resta a torso nudo, metti la cintura sulla spalla e solleva le braccia al cielo, presto!" affermò decisa e lui sgranò gli occhi "Devi presentarti a Ten-gri e attendere un segno. Presto, fai presto! Il sole sorge!" lo implorò.

La donna che non avvertiva il freddo e non temeva il gelido vento del Nord, alla vista dei primi raggi solari che parevano tracimare come cosa liquida oltre gli estremi monti a Est, tremava.

Saaràn la vide sollevarsi sulla testa il cappuccio per ripararsi dalla loro luce.

"Taniltsuulakh Yoslol!" mormorò tra sé e sé, incredulo.

Sapeva che significato avesse quella cerimonia.

La Signora voleva per davvero che compisse l'antica Presentazione dei Gran Khan, umiliandosi davanti all'autorità Suprema del Ten-gri perché gli desse la sua approvazione?

Vedendolo titubante, lei annuì.

Tutti gli Un conoscevano quell'atto di sottomissione.

Assieme al possesso del Pugnale Azzurro, le due cose unite riconoscevano il potere del nuovo Gran Khan su tutti i popoli della Steppa.

Ten-gri e il Pugnale Azzurro, l'Anima e la Forza del popolo Un, uniti di nuovo nel Gran Khan.

Il rito più sacro e solenne che gli Un avessero.

Risaliva a tempi andati, quando a Dai-Sescen il loro popolo era forte e temuto, ma oramai quel tempo era passato e da allora, nessuno vi pensava più.

L'ultimo che l'adottò fu Scetloc, l'ultimo Gran Khan, il figlio di Sangun il traditore.

Il primo Naaxia Cercatore di Strade dell'Urdu, colui che portò alla rovina gli Un tradendoli davanti ai Gin e portandolo via da Dai-Sescen, il Paese Dove sorge il Sole.

Dopo di allora, benché mai dimenticata del tutto, in disprezzo al Naaxia traditore, quella cerimonia venne accantonata e come unico simbolo del potere sull'Orda rimase solo più il Pugnale Azzurro, la Forza degli Un, il Pugnale del Khan.

L'Anima del loro popolo era ormai andata smarrita, persa nella Steppa, come la speranza di tornare un giorno a Dai-Sescen.

Da allora, l'Orda Azzurra si affidò solamente alla forza bruta come unico mezzo per sopravvivere, dimenticando che un tempo anche un'anima risiedeva in essa.

Di Khan in Khan arrivando fino a Kutula, nessuno mai più accennò a questo rito, dimenticandolo come un peso del passato.

Ma ora la Signora incitava Saaràn a riunificare le due parti da troppo tempo separate, unendole ancora una volta in una sola.

"Fallo Saaràn, è giunta l'ora che il Cercatore di Strade riprenda il suo posto! Presto, fai presto!" gli intimò, vedendolo titubante.

Per vincere le ultime resistenze gli venne accanto, posandogli una mano sulla spalla, lo guardò fisso.

Gli occhi della donna si fecero supplicanti, quasi disperati.

"Saaràn, fallo, ti prego" mormorarono le sue labbra.

La luce del sole le sfiorava i piedi e lei non poteva spostarsi ancora, andare oltre significava cadere nel baratro.

Il tempo stringeva.

La Sua Signora aveva timore e gli domandava di fare in fretta. Eppure temeva a farlo. Aveva paura.

Doveva decidersi, per amor suo doveva fare come gli chiedeva.

Ancora incredulo, Saaràn inizio a sciogliersi la fascia stretta in vita.

Le dita erano rigide dal freddo, gli facevano male, ma si obbligò a non badarci.

Strinse i denti e incurante del freddo intenso e del vento che tagliava la pelle si aprì la giubba, la tolse e la tenne stretta nel pugno.

Come Frassinella gli aveva detto si pose la fascia a traverso della spalla, si sfilò il cappello dalla testa, poi sollevò entrambe le braccia al cielo.

La sciarpa di seta gialla che portava al collo sbatteva al vento come i capelli della Yaonai.

"Ora urla il tuo nome!" gli intimò la donna nell'orecchio "Chiedi a Ten-gri la sua benedizione!".

Lui lo fece.

Urlò al vento più forte che poté il suo nome e quello rimbombò sulle cime dei monti fino a spegnersi del tutto.

"Bene, bene" fece la donna sollevata "Ora non resta che attendere un segno".

Un raggio di sole illuminò la cima su cui i due si trovavano.

Lei calzò meglio il cappuccio sulla testa e arretrò di un passo da Saaràn.

Con i talloni sporgenti sul vuoto, la Yaonai restò sul ciglio ancora un attimo.

"Guarda e attendi, mio buon Naaxia, io devo andare. Ci vedremo al tuo ritorno a Togriluudyn".

Prima che lui potesse replicare, la donna la sciò la presa e si lanciò nel vuoto, volò verso una stella alpina e parve scomparire in essa, assorbita come fumo nelle foglie.

In un attimo si ritrovò solo.

Mezzo assiderato e scosso dal vento, Saaràn si ritrovò a battere i denti così forte da temere di fracassarli, eppure volle resistere ancora qualche secondo.

Non sapeva nemmeno lui perché volesse farlo.

Forse perché glielo aveva chiesto lei. Gli pareva tutto così assurdo.

Non aveva idea di quale segno dovesse attendersi da Ten-gri, ma per rispetto alla Signora attese ancora, scrutando il cielo.

Nulla, non vedeva nulla da nessuna parte.

Era quasi prossimo a cedere e a rivestirsi, quando lo sguardo gli cadde sulla lontana colonna di fumo.

Era ancora là, nella sua immensità pareva immobile, poi successe qualcosa che non poté che osservare.

Benché non riuscisse a credere ai propri occhi, la vide cambiare.

Il sole nascente alle sue spalle ora illuminava in tutta la sua immensa dimensione l'orrenda colonna di fumi che si sollevava in aria, rivelando la mostruosa complessità di vortici, lampi e scoppi che l'attraversavano dal basso verso l'alto.

Era terribile e affascinante al tempo stesso. Pareva così solida, perenne e invincibile da non vederne la fine.

Invece, all'improvviso, la grigia colonna di fumo del vulcano sbuffò per un ultima volta e cessò di uscire dal cono da cui nasceva.

Si sollevò da terra, lasciandone la base come sospesa nell'aria, sgombra di fumi.

Dopo poco riprese di nuovo a sbuffare con forza, ma questa volta era bianca, colma di vapori bollenti.

Spinta in alto dalla sua stessa velocità, la colonna bianca salì fino al limite estremo del cielo, spingendo oltre la polvere che la precedeva.

Poi impossibilitata ad andare oltre, vi si compresse contro in una immensa, vorticosa, nuvola.

Polvere e cenere, appiattendosi incapaci di proseguire oltre, poco alla volta si allargarono in ogni direzione sotto l'impeto del fumo che ancora si aggiungeva dal basso a ingrossarne il carico.

Improvvisamente la colonna collassò, trascinata verso terra dal suo stesso peso.

Prima dal basso e poi via via staccandosi sempre più in alto nel tronco fumoso che la sosteneva, ampi brandelli di cenere caddero a pioggia sulla foresta, ma prima che potessero toccare il suolo, un'esplosione immane di vapore, fumo e fiamme, sollevò il terreno, lo scaraventò in alto assieme a tutto quello che lo sovrastava e lo disperse.

La violenza di quello scoppio fu tale, che la colonna di vapore venne scaraventata oltre il cielo, oltrepassando, squarciando la volta celeste.

La cenere rimase sospesa in aria, schiacciata contro Ten-gri e forata nel mezzo come una ciambella, prima di dissolversi verso i confini del cielo.

L'onda d'urto che seguì il boato fu tale, che l'aria venne compressa in ogni direzione.

In una frazione di secondo, l'esplosione creò un'espansione tale da distruggere la foresta che circondava il vulcano e il territorio su cui il cono poggiava, venne sconvolto.

Saaràn era troppo distante per percepire i suoni, non udì il boato dell'esplosione, osservò solamente a bocca aperta quel furioso spettacolo della natura.

Era talmente terrorizzato da quello che vedeva, che nemmeno ebbe la forza di chiedersi se fosse quello il segno che doveva attendersi da Ten-gri per la sua investitura.

Non aveva ancora avuto il tempo di riprendersi dallo spavento per quello che aveva scorto, che in lontananza vide qualcosa muoversi nell'aria.

Si muoveva rapido, schiacciandola, spingendola, deformandola al proprio passaggio.

Velocissimo si proiettava in ogni direzione, partendo dal luogo che era stato all'origine dello scoppio.

La massa d'aria che l'esplosione aveva provocato viaggiava spaventosamente veloce.

Ten-gri stesso pareva arretrare al suo passaggio, intimorito dalla sua violenza incontenibile.

L'aria compressa dal boato si dilatava formando un cerchio di vento.

Con forza mostruosa, schiantava ogni cosa con cui veniva a contatto.

A velocità incredibile, Saaràn la vide superare quello che poco prima era il confine della foresta.

La massa d'aria s'inoltrò sulla Steppa, piegandone l'erba al passaggio, sollevando alberi e terra come fossero fuscelli e trascinandoli lontano con la forza di un gigante.

All'improvviso, con terrore Saaràn si rese conto che si dirigeva verso di lui.

Se voleva aver salva la vita, doveva andarsene, mettersi al riparo quanto prima.

Si rimise la giubba e scese lungo la china più in fretta che poté.

Saltando da una roccia all'altra nonostante le mani intirizzite e il corpo mezzo assiderato, raggiunse Chonyn che lo attendeva in basso, ancora fermo nel piccolo slargo al riparo della cima dell'ultima montagna, con strette in mano le briglie dei cavalli.

Più volte Saaràn rischiò di cadere di sotto, eppure non pensò nemmeno una volta a rallentare.

Doveva fuggire, fuggire, fuggire.

Fece cenno al soldato di stendersi a terra, gli urlò in Murlag di fare stendere anche i cavalli, ma l'altro non capì.

Arrivatogli accanto gli strappò di mano le redini di Monglik e fece stendere il Tarpan su di un fianco, all'uso Un.

Il Togril non aveva visto nulla.

La guglia della montagna gli aveva impedito di scorgere l'esplosione che ora incombeva su di loro, ma l'istinto gli disse che doveva fidarsi di lui.

Pur ignaro del pericolo che li minacciava, vedendolo terrorizzato, il Togril lo imitò e ben presto anche lui fece stendere il proprio enorme cavallo da battaglia a terra.

Entrambi gli uomini dapprima avvertirono nell'aria una pressione, una spinta a essere risucchiati verso l'alto e poi un lungo, sommesso boato che li avvolse in un frastuono immane, come un muggito fuoriuscito dalle viscere della terra. La montagna tremava.

Il tremendo colpo d'aria che si abbatté sui due uomini venne assorbito dalla cima dietro alla quale erano riparati, eppure il sibilo del vento divenne così assordante, che temettero di divenire sordi.

Terrorizzati i cavalli fecero per alzarsi, ma gli uomini, gettandosi loro addosso, li costrinsero a restare bassi.

Ad un certo punto percepirono tutta la montagna vibrare, sollevarsi quasi dal terreno, spinta in alto da forze possenti che arrivavano dal basso.

Le onde sismiche scossero pericolosamente Cima KHURTS KHUTGA.

Stretta, alta e affilata come era, essa ondulò sgretolandosi in alcuni punti, ma in basso la struttura resse e dopo un attimo di panico, passati oltre il terremoto e la furia dell'aria, la natura si placò.

Al momento erano salvi, ma dovevano ancora scendere da lì.

Con il cuore che pulsava incontrollato, Saaràn fece cenno a Chonyn di alzarsi.

Ormai il cielo si schiariva e non aveva più senso restare oltre.

Il primo pensiero di Saaràn andò a Helun, Saryn, Gerel, rimasti a Togriluudyn ad aspettarlo.

In fretta indossò la casacca, soffrendo per ogni movimento delle dita quasi congelate.

Fece cenno al soldato che dovevano andare, l'altro annuì.

Senza rendersene conto, il Naaxia aveva preso il comando della situazione, facendo quello che sapeva fare meglio: trovare la strada migliore.

In breve scesero.

Tenendo Monglik per le briglie evitò di fargli fare movimenti bruschi e tentò di evitare le pietre sospette, pericolose sia per le zampe dell'animale che per le sue gambe storte.

Percettibili tremori di assestamento, di quando in quando facevano vibrare la terra sotto le suole delle scarpe, aumentando il timore nei loro animi già scossi.

Nonostante il pericolo di cadere nel vuoto ad ogni passo, la paura e la fretta di arrivare al piano li spinsero a procedere il più celermente possibile e in meno di mezz'ora si trovarono alla fine della discesa.

Quando arrivarono in vista del piccolo spiazzo, vi trovarono Uleg, Chadvarlag e i due lupi ad attenderli.

I quattro erano ansiosi, agitati.

Quando uomini e lupi li sentirono arrivare, all'unisono li fissarono scendere dallo sperone di roccia come avessero avuto un'apparizione.

Chadvarlag si era sfilato il massiccio copricapo metallico dalla testa e si guardava attorno guardingo, con la curiosità di comprendere cosa fosse successo scolpita negli occhi.

Il soldato era terrorizzato.

Non sorrideva, era teso, serio, con una mano stringeva le briglie dei cavalli imbizzarriti e nell'altra la daga, impugnandola come se attendesse di essere attaccato da un momento all'altro.

Era la prima volta che Saaràn lo vedeva senza l'elmo e vide che era giovane, forse poco più grande di Omnod, con i capelli rasati corti, castano, con la muscolatura del collo possente e occhi chiari dilatati dalla paura.

Tra i due, Uleg pareva essere quello più controllato.

Benché anche il Taiciuto avesse in volto i segni dello stupore e della paura, l'anziano servitore trovò la forza di mostrare la sua contentezza con uno sdentato sorriso verso il padrone in arrivo.

Per quanto poté scorgere Saaràn, sia uomini che animali avevano gli occhi fuori dalle orbite per il terrore, ma parevano sani e salvi.

Nonostante fosse passato tempo dalla prima scossa del terremoto, i due uomini ancora faticavano a calmare i cavalli.

Khar e Zurvas, per quanto felici di vederli tornare, agitati e all'erta rimanevano in disparte, lontani dai pericolosi zoccoli dei cavalli.

Alle sue spalle Saaràn udì la voce forte e chiara di Chonyn gridare qualcosa che non comprese al giovane militare che li attendeva in basso. Quello comprese e rinfoderò la daga, guardandola come se si accorgesse solo in quel momento di stringerla nel pugno.

Grazie alla posizione riparata in cui si erano fermati ad attenderli, Chadvarlag e Uleg avevano avvertito l'esplosione in relativa sicurezza, ma quei continui tremori nella roccia alimentavano il terrore.

Dopo un primo momento di smarrimento, entrambi li accolsero con gesti festosi, felici di rivederli ancora tutti interi.

"Padrone" fece il Taiciuto quando fu accanto a Saaràn.

"Siete vivi, dunque. Temevano il peggio, ormai" gli disse.

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