33) FUGA PRECIPITOSA
Quando anche l'ultimo Tarpan della mandria in fuga gli scorse terrorizzato al fianco senza nemmeno sfiorarlo, Saaràn si obbligò a non muoversi ancora.
Uno sgomento totale si impossessò delle sue membra e fu un miracolo se Monglik non lo rovesciò a terra quando all'improvviso s'impennò sulle gambe posteriori.
Provando una tremenda fitta alla schiena, si tenne alle redini con la forza della disperazione, strinse le ginocchia e in qualche modo riuscì a rimanere in sella.
Con occhi sbarrati dal terrore il Naaxia vide corrergli incontro la morte certa, orribile e tremenda.
Un enorme branco di lupi stava dietro alla mandria e la spingeva avanti, mordendo e latrando.
Impensabile fuggire, impossibile tentare di difendersi.
Una mano corse a cercare l'impugnatura del pugnale, ma si rammentò di averlo lasciato in pegno a Gerel.
Era disarmato, inerme, in balia di quel branco di carnivori che a breve l'avrebbero raggiunto.
Il vecchio pezzato nitrì disperato quando vide venirgli incontro un intero sciame di lupi grossi e famelici, ringhianti, rabbiosi da far venire i brividi anche al cuore più saldo.
Eppure rimase al suo posto e li lasciò scorrere a poche spanne dai suoi zoccoli senza muoversi, pronto a difendersi come poteva alla minima aggressione.
Scalciò, fremette e sbuffò, eppure non una sola di quelle belve feroci si curò di lui o del cavaliere che portava.
Un branco enorme.
Erano tantissimi, correvano come forsennati e sembravano non finire mai. In vita sua Saaràn non aveva mai vista una cosa simile.
Pareva che l'intera popolazione di lupi di quella regione si fosse riunita in quel luogo preciso e corresse a perdifiato dietro i cavalli Un.
Almeno centocinquanta, duecento lupi ululanti seguivano con la bava alla bocca la mandria di Tarpan che non potendo fare altro, terrorizzata e folle, fuggiva davanti a essi.
Gli Un a difesa delle tende sfilarono le spade e le agitarono verso le belve tentando di difendersi, ma quelli nemmeno li guardarono.
Passarono veloci tra Saaràn e le tende senza nemmeno fermarsi a guardare tanto l'uno, quanto gli altri.
Alla fine, quando anche l'ultimo lupo scomparve con pochi balzi oltre la collinetta e latrati e nitriti si persero lontano nella Steppa, ecco che dalla penombra dove prima vi era il recinto dei Tarpan, comparve una Lupa, azzurra dalla punta delle orecchie fino alla coda.
Seguiva lenta e maestosa il branco ululante ed entrò nel campo Un devastato senza timore alcuno.
Non si guardò attorno nemmeno quando si avvicinò ai soldati rimasti davanti alla tenda del nobile.
Andò decisa verso Saaràn e la sua cavalcatura.
Nemmeno degnò di uno sguardo gli Un che mormoravano il proprio stupore alla sua vista. Avanzò calma e si fermò a qualche passo da Monglik.
Quando gli Un la videro, con un misto di incredulità e terrore, presero a mormorare l'uno all'altro:
"Bortecino! Bortecino!"
Udendo quei mormorii all'esterno, a quel punto anche uno sgomento Muu-Gol alzò il telo che chiudeva l'ingresso e uscì dalla tenda in cui si era rifugiato.
Aveva gli occhi sbarrati dal terrore e il volto livido dalla paura.
Quando vide la Lupa Azzurra davanti al vecchio pezzato del Naaxia rimase a bocca aperta, sconcertato al pari dei suoi soldati.
Scorse il Tarpan abbassare la testa come se salutasse la nuova arrivata. L'animale non ne era terrorizzato al pari degli uomini.
Non ansimava e nemmeno sbuffava dal timore.
I due animali si osservarono a lungo senza muoversi, fino a quando la Lupa, con un gesto che parve un inchino, piegò le gambe anteriori sino a sfiorare il suolo con il muso color del Ten-gri.
Incredulo Saaràn guardava quello che accadeva davanti a lui.
Era lei, la Sua Signora e si inginocchiava davanti a lui nelle vesti di Bortecino.
La vide abbassarsi lenta e maestosa. Non poteva crederci.
La mente faticò a sopportare una tale vista e tutto attorno a lui diventò confuso e indistinto.
Non esisteva nient'altro se non quello che vedeva davanti a sé.
Una bolla ovattata di luce e di pace l'avvolse, poi all'improvviso un urlo disumano al suo fianco lacerò quella quiete e la pace in cui si era trovato immerso, scomparve.
L'oscurità grigia del tramonto riportò Saaràn alla realtà e voltandosi verso le tende individuò cosa avesse emesso quell'urlo disperato.
Era stato Muu-Gol a gridare, che avendo a sua volta assistito al prodigio di Bortecino che gli si inginocchiava davanti, lo comprendeva meglio del Naaxia stesso.
Qualunque Un avesse visto la Lupa Azzurra assieme a un uomo delle pianure, ne avrebbe immediatamente compreso il significato: quell'uomo era un Gran Khan, Signore Supremo della Steppa intera e delle genti che l'abitavano.
Così narravano le leggende che l'Orda aveva portato con sé da Dai-Sescen: In confronto al potere del Gran Khan, quello del Khan dell'Orda scompariva, come un soffio di vento nell'immenso e terso Cielo Azzurro.
I suoi occhi folli si posavano ora su Saaràn, ora su Bortecino.
Li fissava entrambi, ancora incredulo. Il Naaxia, Gran Khan.
Quel lurido schifoso, no, non poteva essere!
Sotto lo sguardo stupito di Saaràn, dalla bocca spalancata del nobile Un-han non uscì più nemmeno un suono.
Una maschera di follia si dipinse sul volto di quell'uomo.
In quegli occhi il Naaxia vide soltanto un vuoto tremendo e disperato.
Un terrore dissennato, accompagnato dalla consapevolezza di aver perso tutto e per sempre.
Muu-Gol e Saaràn passarono alcuni secondi a fissarsi intensamente, poi un sibilo sfiorò la spalla destra del Naaxia.
Un ronzio simile a un calabrone impazzito gli sfiorò la testa: capì immediatamente di cosa si trattava e reagì prima ancora di voltarsi per vedere da dove giungesse la freccia.
Si abbassò fulmineo, stendendosi sul collo del cavallo.
Monglik, sollevata la testa, scartò all'improvviso nitrendo dal dolore.
S'impennò, scalciando e soffiando verso gli Un e Muu-Gol.
Altri ronzii sfrecciarono pericolosamente vicini al Tarpan e al suo cavaliere. Alcuni caddero lontani, altri, talmente vicini da farli sobbalzare entrambi, produssero un rumore sordo mentre si conficcavano nel terreno.
Anche la Lupa azzurra, voltandosi allarmata verso quella pioggia di dardi, si rialzò e scappò verso le colline, seguendo le orme del branco ormai lontano.
Una freccia Un non la colpì per un soffio e si conficcò ai piedi di Monglik. Gettando un rapido sguardo alle sue spalle, il Naaxia vide gli uomini di Muu-Gol arrivare veloci richiamati dallo Scengun che prima mancava alla conta.
Adesso sapeva dov'era finito.
I più degli Hanbakai erano ancora fuori tiro, ma gli altri, quelli che già più vicini potevano scoccare i dardi, correvano verso il campo fermandosi solo di quando in quando per lanciare altre frecce.
Queste il più delle volte cadevano lontane, ma i soldati le lanciavano ugualmente, più per rabbia che per efficacia.
Erano arrivati tardi ed erano inferociti per la fuga dei cavalli.
Urlavano oscenità verso il Naaxia e lo maledivano.
Al momento erano lontani e correvano goffi e lenti, comunque era meglio fuggire.
Senza perdere altro tempo, Saaràn diede un colpo di talloni a Monglik che con forza corse verso la salvezza.
Con tutta la velocità che gli permettevano le vecchie gambe, sollevando zolle, erba e terra, il pezzato scavalcò con pochi balzi il poggio e scomparve alla vista degli inseguitori.
Passato oltre al crinale, Saaràn individuò la traccia lasciata dalla mandria di Tarpan in fuga e vide che seguirla era facile come bere un sorso di Khumish fresco.
Nella loro corsa precipitosa gli stalloni avevano lasciato un sentiero così vasto e visibile nell'erba, che anche un bambino avrebbe saputo seguirla.
Spinse Monglik al galoppo e il fedele cavallo corse veloce, a lungo, fino a quando, ansante e sudato, rallentando l'andatura, proseguì per un tratto al trotto e poi al passo.
Di quando in quando il cavaliere si voltò indietro, ma degli Un non vi era traccia.
Ancora non ci credeva, però forse erano riusciti a portare via tutti i cavalli dell'accampamento, perché se anche uno solo di essi fosse rimasto indietro, i cavalieri Un se ne sarebbero impossessati subito e si sarebbero lanciati all'inseguimento dei Tarpan in fuga, invece di quei temibili guerrieri non ve ne era traccia.
Ormai erano lontani, di certo erano infuriati e pericolosi, ma lontani.
Tirò un sospiro di sollievo. Per ora, lui e Monglik erano salvi.
Quando il pezzato fu troppo stanco per procedere ancora, Saaràn non lo spinse oltre.
Lasciò che facesse come voleva e il pezzato, benché procedesse lento, non si fermò.
Sapeva che il suo umano era in pericolo, così, invece di arrestarsi, cedendo un poco da dietro ad ogni passo che faceva, procedette ancora.
Ansimante, il Tarpan seguitò a mettere uno zoccolo dopo l'altro nell'erba, proseguendo anche se ormai erano al sicuro.
Gli Un appiedati non erano più pericolosi che bambini tenuti a distanza con le mani e quando le loro frecce erano lontane non potevano nuocere, però sia il cavaliere che il cavallo sapevano che non potevano ancora fermarsi.
Per quanto fossero lenti nel camminare, gli Un li avrebbero inseguiti per tutta la notte.
Non si sarebbero fermati e non avrebbero avuto pace fino a quando non li avessero ritrovati e trucidati tutti.
Gerel, Omnod, Uleg, egli stesso, tutti quanti erano in pericolo.
Nessun Un avrebbe perdonato un affronto simile, senza prima tentare anche l'impossibile per salvarsi onore e vita.
Saaràn lo sapeva benissimo: se fossero tornati appiedati all'Urdu, la derisione dei propri pari li avrebbe inseguiti fino alla fine dei loro giorni e sarebbero morti dalla vergogna.
Inoltre avrebbero dovuto dare delle spiegazioni a Kutula che Muu-Gol avrebbe preferito evitare.
No, Saaràn non si faceva illusioni, non li avrebbero lasciati andare facilmente, però voleva godersi qualche momento di pace.
Aveva bisogno di respirare, riordinare le idee e capire cosa doveva fare adesso.
Confuso, stordito e con la schiena dolorante per l'improvvisa fuga a rotta di collo, come Naaxia dell'Orda Azzurra sapeva di averla fatta grossa, però come uomo si sentiva soddisfatto. Incredibilmente soddisfatto.
Lui e il suo cavallo, ancora una volta insieme erano riusciti nel loro intento, erano stati più astuti di tanti altri e ne erano usciti vivi.
Saaràn diede delle pacche sul collo bagnato del pezzato:
"Bravo, vecchio mio. Bravo" gli disse sincero, ma era ancora troppo agitato per rendersi conto di quello che stava succedendo al suo amico a quattro zampe.
Monglik camminava piano, zoppicando impercettibilmente dal quarto posteriore, perché era ferito.
Saaràn si accorse che incespicava, solo che il pensiero, la felicità, l'estasi provata per aver visto la Sua Signora venirgli in aiuto, lo sommerse a tal punto, da renderlo incapace di pensare ad altro.
Per la seconda volta nella sua vita era venuta da lui sotto le sembianze di Bortecino e questo aveva dell'incredibile.
Ancora non credeva a quello che aveva visto, eppure sapeva che era successo per davvero.
Anche se la ragione gli diceva che era impossibile, qualcosa era successo veramente, davanti a lui e davanti agli Un di Muu-Gol.
Muu-Gol stesso, ora se ne rendeva conto, doveva aver compreso, se aveva urlato la sua disperazione davanti alla visione di Bortecino, l'animale Sacro ogni altra cosa per tutti gli Un.
L'anima stessa del potere del Khan, il collante dell'Urdu, l'unione tra Ten-gri e la terra, il tramite con gli uomini tra il Mondo di Sopra e quello di Sotto, si era materializzata davanti a loro e si era inchinata davanti al Naaxia.
Per gli Un questo era un portento unico, un evento raro e prezioso.
Nell'Urdu tutti sapevano che Bortecino comparve a Sangun quando il suo antenato, sconfitto dai Gin, li condusse nella Steppa e gli Un dovettero lasciare Dai-Sescen per sempre.
L'ultimo a vederla marciare al proprio fianco fu il figlio di Sangun, Scetloc, ultimo Naaxia a dimorare nell'accampamento, ma quando costui venne scacciato dall'Urdu con tutta la sua famiglia, assieme a esso anche la Lupa Azzurra scomparve alla vista degli Un.
Sette generazioni erano passate da allora, ma una leggenda diceva che alla fine dei tempi Bortecino sarebbe ricomparsa e avrebbe camminato ancora accanto a uno di loro.
Tutti lo sapevano.
Nella mentalità Un, ciò che quella sera era successo nell'accampamento di Muu-Gol, segnava la fine di qualche cosa e l'inizio di qualcos'altro. Nessuno avrebbe saputo dire cosa, però qualche cosa di importante, da lì a poco, sarebbe successo.
Saaràn conosceva bene gli Un e sapeva che, in un modo o nell'altro, tutto l'Urdu sarebbe venuto a conoscenza di quello che era accaduto lungo il torrente.
Sebbene tutti i presenti fossero Hanbakai, erano troppi coloro che avevano visto apparire Bortecino, per credere che nessuno di loro parlasse o si lasciasse sfuggire anche solo una parola.
Inoltre, lui e Kutula già una volta videro la lupa.
Era il loro segreto, mantenuto nascosto per tutta la vita a chiunque altro che non fossero loro stessi.
Soltanto essi videro con i loro occhi quello che Bortecino era realmente, diventare donna, sollevarsi in piedi, camminare e andargli incontro.
Erano passati quaranta anni da quel giorno e non aveva mai parlato ad anima viva di quegli eventi.
Nemmeno Helun conobbe mai il segreto che teneva sepolto dentro di sé.
Loro la videro e ne ricevettero degli ordini.
Nel silenzio che seppe mantenere lungo tutta una vita, Saaràn si domandò spesso quali fossero realmente le intenzioni della Signora.
Le temeva, le sospettava, eppure andavano troppo al di là delle sue possibilità, per poter pensare di comprendere a fondo cose simili.
Lui poteva soltanto adorarla, sognarla, attenderla fino a che non avesse deciso di farsi ancora viva, null'altro che questo.
Che avesse ragione Kutula, quando pochi giorni prima disse che era giunto il tempo della Signora?
Era la seconda volta che gli capitava di assistere a quel fenomeno unico e irripetibile ed era felice, felice quanto mai avrebbe immaginato di poter essere.
Avesse potuto avrebbe condiviso la sua contentezza con tutta la sua famiglia, eppure...
Di colpo spalancò gli occhi e si diede del folle incosciente.
Nell'oscurità calante della notte, improvvisamente si ricordò degli altri e si sentì raggelare.
Gerel, Saryn!
Lui e Monglik erano fuggiti, erano salvi, ma gli altri, che fine avranno fatto gli altri?
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