31) L'AMORE VA OLTRE
Per la prima volta da quando i due Un giunsero al cospetto della Signora, gli sguardi delle due donne s'incrociarono.
Fu una questione di pochi attimi, eppure in quel brevissimo lasso di tempo, Helun ebbe modo di scorgere cosa vi era negli occhi dell'altra.
Li scrutò a fondo e vide la paura che quella creatura avvertiva per il lupo che si era fatto ferire al posto suo.
Vi indovinò il timore che la Yaonai provava per la sua vita, ma, soprattutto, l'amore che doveva esserci tra i due. Un amore solido, completo.
Con l'istinto di una donna nel comprenderne un'altra senza bisogno di parlare, si rese conto che la Lupa Azzurra e Khar-Chikh erano amanti, legati da un profondo affetto reciproco.
Ne fu sconvolta. Mai avrebbe creduto possibile una cosa simile.
Aveva sempre pensato ai lupi come ad animali feroci, spietati, incapaci di dimostrare sentimenti o pietà per chiunque, ma in quei pochi attimi che poté scrutare negli occhi di Frassinella, dovette ricredersi.
Per quanto non avesse mai amato quelle bestie crudeli, carpendo al volo lo sguardo disperato di quell'essere mezzo animale e mezzo donna che le stava di fronte, riuscì a capirla.
Immedesimandosi in lei, riuscì a condividerne il medesimo dolore, a sentirlo così profondamente dentro di sé da poterlo fare suo, perché era la medesima sensazione che avrebbe provato lei, se una cosa simile fosse successa a Saaràn.
Fu con un soprassalto che la udì parlare ancora.
"Furono molti a essere colpiti, quella notte. La morte di quegli uomini costò molto cara al mio branco. Per molti lupi valorosi non ci fu niente da fare, tuttavia Khar-Chikh, per quanto grave, invece respirava ancora. Ero in tempo e potevo salvarlo, ma poi seppi che anche il tuo cavallo era agonizzante. Per questo raggiunsi te e il tuo servo e ti portai il lupo. Non avrei potuto curare entrambi e Monglik era più grave. Tornai qui giusto in tempo per infondergli quel tanto di vita perché superasse la crisi e la notte".
A questo punto, nel sentirle dire ciò che aveva fatto per il Tarpan del marito, Helun corrucciò la fronte.
Lo sguardo le divenne scuro e cupo, quasi affranto, come se quelle ultime parole le avessero dato una certezza che già da molto tempo aveva intuito.
"Gli hai infuso la vita, mia Signora?" commentò timidamente "vuoi dire che... gliel'hai ridata?"
La donna, guardandola diritta negli occhi, glielo confermò.
"In un certo senso, sì. Non posso far ritornare in vita ciò che è morto, ma se esiste ancora un filo di linfa vitale in un corpo, ho la facoltà di rinforzarla per un certo tempo. Posso... stimolarla, capisci?".
Facendo cenno di aver compreso e facendosi coraggio, Helun trovò la forza di porle un'altra domanda:
"Perché hai fatto uccidere tutti quegli uomini per salvare i miei figli, Signora? Anche noi siamo Un come loro".
Benché affranta, la donna le sorrise dolcemente:
"Il mio nome è Frassinella, Helun. Mi farebbe piacere se da ora in avanti, tu mi chiamassi in questo modo".
Sorpresa da una tale richiesta, la giovane arrossì.
Non comprendeva come lei, moglie del Naaxia, potesse ambire a tale onore.
Osservò interrogativa Saaràn, ma anche lui, sollevando le spalle, non seppe risponderle.
Frassinella, davanti al loro stupore, sorrise.
Era giunto il momento di dire loro la verità.
"È vero, non potete comprendere. Non ancora, perlomeno. Bene, allora rimedio subito. Io sono una Yaonai, discendo da una stirpe di donne molto più antica della vostra, che dimorano ai confini del vostro mondo. Helun, tu e io siamo diverse sotto molti punti di vista, eppure abbiamo qualcosa che ci unisce profondamente".
I due Un si guardarono stupefatti.
Sia l'uno che l'altra incapaci di proferire una sola parola, rimasero a bocca aperta per qualche attimo, poi, con il cuore che batteva talmente forte da temere di vederselo balzare in gola, Helun trovò la forza di farsi avanti.
Zoppicando fece un paio di passi e si portò davanti al marito.
"Mia Signora..." iniziò a dire con fare sommesso, subito interrotta dall'altra:
"Frassinella, Helun, ti prego" le ricordò l'altra.
Annuendo, ancora incredula e incerta, sforzandosi ad accettare un tale onore, la giovane Un proseguì:
"Fras...sinella,... non capisco. Hai detto... tu e io... condividiamo qualcosa?".
"Sì, mia cara" le disse la Yaonai comprensiva "Gerel, è tanto figlia tua quanto mia. Cerca nel tuo cuore, torna a quando ci incontrammo la prima volta e allora capirai cosa intendo".
Helun, a sentirle dire quelle parole, chinò la testa, sconfitta.
Il momento tanto temuto, infine, era giunto.
Per un attimo provò la tentazione di ribellarsi, di lottare, di resistere, cercò dentro di sé la forza di reagire per tenersi Gerel, poi però ripensò alle parole che solo il giorno prima aveva detto al marito, poco avanti di partire per la valle dei Togril.
"Era morta! Ne sono certa come ora sono davanti a te!
Era morta, ti dico, la nostra Gerel, morta!".
Ricordandosi di questo, Helun annuì ancora e con un lieve sospiro prese per mano Saaràn.
Disse piano:
"Hai ragione, Frassinella, ti credo. Gerel è tanto tua quanto mia" mormorò quasi sottovoce "Se non fosse stato per te, nostra figlia non avrebbe avuto la forza di nascere viva".
Lui la guardò allibito.
Faticava a credere a ciò che aveva udito dire da Helun, eppure anche lui sapeva che era così e non se la sentiva di controbattere.
In fondo, in cuor suo l'aveva sempre saputo.
"Questo cosa vuole dire, Khani?" domandò incerto alla moglie.
Lei scosse la testa, esitante quanto lui.
"Non so, però temo... sento, che tra Gerel e questa creatura ci sia un legame molto profondo, che prima o poi la porterà via... da noi" gli disse sconsolata e lui annuì ancora. Sapeva che poteva accadere.
In fondo, fin da quando l'aveva presa in braccio e Gerel l'aveva sorpreso guardandolo fisso con occhi che avevano il medesimo blu di Ten-gri, anch'egli l'aveva temuto.
La sua bambina era troppo differente sia da lui che da Helun, per non essere così.
La carnagione, i capelli, gli occhi, in ogni tratto della neonata non vi era nulla della stirpe degli Un.
La somiglianza tra la Signora e Gerel era già fin troppo evidente da allora, per far finta che non esistesse.
E poi quel profumo di linfa che entrambe emanavano dal proprio corpo.
Solo loro due lo possedevano.
Non poté che arrendersi a sua volta.
"È vero, mia Signora?" le domandò incerto "Per Gerel e per Monglik, a entrambi loro hai infuso la medesima forza?".
La Yaonai scosse la testa: "No, Saaràn, in Gerel ho messo una parte di me, nel tuo cavallo, invece, ho passato soltanto un poco di vigore".
"Tuttavia entrambi sarebbero morti senza il tuo intervento, vero?".
Un cenno di assenso di lei gli fece sobbalzare il cuore nel petto.
Era questa la cosa che gli premeva maggiormente sapere, eppure qualcosa ancora gli sfuggiva.
Sforzandosi di non apparire ridicolo, domandò alla Yaonai:
"Perdona il mio ardire, Signora, ma il giorno in cui nacque Gerel, com'è possibile che allo stesso tempo tu fossi in due posti differenti? Quando ti incontrai, io mi trovavo almeno a un'ora di galoppo dalla nostra Yurta, mentre Helun...".
Fece un gesto, come per lasciare intendere che la moglie stava partorendo assistita da lei stessa, nel medesimo tempo.
"Hai ragione a dubitare... " gli confermò lei annuendo "... e non pretendo che tu possa capire del tutto la mia stirpe, però sappi questo: fin dove arriva un albero, un cespuglio, anche soltanto un singolo filo d'erba, io posso spostarmi a piacimento per tutta la Steppa. Ovunque io voglia andare, in qualunque luogo o momento, per me non c'è differenza. Non c'è distanza che non possa coprire in un batter di ciglia. Se lo desidero, posso raggiungere Dai-Sescen prima che tu ti accorga della mia sparizione".
Sia Helun che Saaràn si guardarono allibiti.
All'Orda Azzurra erano serviti duecento cinquanta anni per percorrere quella medesima distanza. Otto intere generazioni di Un.
Come era possibile tutto ciò.
Tormentato da questo, facendosi forza, Saaràn proseguì:
"Quindi è vero, ci porterai via nostra figlia?".
La Signora accennò un diniego:
"Il mio tempo presso ai Togril è quasi al termine. Desidero fare ritorno nelle terre della mia stirpe, ma questo non avverrà prima di aver assicurato alla mia gente una guida sicura. Per questo ho generato tua figlia approfittando del tuo corpo. Avevo bisogno di un erede e tu me lo hai dato. Quando sarà cresciuta, sarà lei a prendere il mio posto a Togriluudyn".
Helun e Saaràn si guardarono esterrefatti. Non credevano alle loro orecchie.
"Gerel, la mia... la nostra Gerel... Signora dei Monti?" fece Helun sbigottita.
"Se lo vorrà, sì" assentì la Yaonai "Sarà libera di scegliere, eppure, mia cara, confido in te perché la bambina sappia fare la scelta giusta. Ma dimmi, è già diventata donna?".
Comprendendo cosa intendesse Frassinella, arrossendo la Un scosse la testa.
"No, è ancora troppo giovane. Credo dovrà attendere ancora qualche anno".
"Allora siete giunti nel momento giusto. Quando il suo corpo si svilupperà, i poteri che alla nascita le ho passato con la Scintilla di Vita si manifesteranno uno alla volta e potrebbero disorientarla, turbarla, addirittura sconvolgerla se non fossero controllati a dovere. Se non avesse la possibilità di conoscerli e gestirli nel modo corretto, potrebbero anche distruggerla. Lasciato senza controllo, il vigore della mia gente potrebbe diventare pericoloso nel suo sangue. In quel caso nostra figlia diventerebbe una minaccia, per se stessa e per chi le sta accanto. Gestiti sapientemente, invece, quei poteri potranno essere una grande risorsa per tutti quanti. Per i Togril e per gli Un, se vorranno".
A quel punto intervenne un allibito Saaràn:
"Quindi, se Gerel accetterà di restare con te, Mia Signora, Helun e io la perderemmo per sempre?".
Frassinella, intenerita dalla smorfia di dolore che si era dipinta sul volto dell'uomo, si sentì in dovere di rassicurarlo:
"Mio buon Saaràn, quando tua figlia avrà imparato a gestire i suoi poteri, potrà spostarsi attraverso le pianure come una Yaonai e la Steppa non avrà confini per lei. Potrà raggiungervi ovunque sarete, sempre, in qualunque momento essa lo vorrà".
Rincuorato, Saaràn, si rassegnò. Era pur sempre meglio che niente.
Non avrebbe sopportato l'idea di non rivedere più la sua Luce negli Occhi.
Tuttavia, sentendo parlare di Steppa, si rammentò dell'altra cosa che gli premeva domandare alla Signora dei Monti.
"Signora, ieri mi dicesti che forse avresti potuto fare qualcosa per il mio...".
Aveva avuto la tentazione di definirlo amico, ma poi all'ultimo si era trattenuto.
Non sapeva più se considerare il suo Anda un amico, un rivale, oppure il suo peggior nemico.
In cuor suo desiderava che non fosse cambiato nulla, sperava ardentemente che le parole di amicizia che si erano scambiati nella Yurta Reale fossero la verità, eppure l'improvvisa comparsa nella sua vita di Muu-Gol, oltre ad avere sconvolto l'esistenza di tutta la sua famiglia, l'aveva lasciato pieno di dubbi.
Non sapeva più di chi poteva davvero fidarsi.
Preferì rimanere sul vago.
"Per il Khan, intendo. Kutula... è molto malato e credo stia per morire, però dicesti che toccava a lui scegliere per la sua vita".
"È così" gli confermò lei "Forse posso ancora salvarlo, ma sta a lui permettermelo".
"Dimmi quello che devo fare e lo farò" affermò preoccupato.
La donna si schernì.
"Non tu, amico mio, sarà lui che dovrà scegliere se avere ancora una speranza di sopravvivere o se morire entro breve. Il veleno che Muu-Gol da tempo gli metteva nel Khumish era lento, ma inesorabile. Il vostro nemico voleva eliminarvi entrambi. Voleva il potere sull'Orda, ma per riuscire a diventare Khan, doveva prima eliminare sia te che Kutula. Aveva studiato un piano nei minimi particolari, ardito e astuto al tempo stesso. Se gli fosse riuscito, avrebbe ucciso te in un agguato e lui all'interno dell'Orda, avvelenandolo poco alla volta".
"Allora era come pensavo!" esclamò Saaràn "Per questo Muu-Gol ha rapito mio figlio. Eliminato me, quel bastardo teneva in pugno il prossimo Naaxia" affermò con rabbia. La Signora assentì.
Comprendendo di avere avuto ragione nel dedurre le vere intenzioni dell'Hanbakai nei suoi confronti, Saaràn si sentì improvvisamente meglio. Quindi Kutula non gli aveva mentito ed era sincero quando gli aveva manifestato le paure che da tempo lo tormentavano.
Eppure, scoprire le reali cause dei malesseri che stavano distruggendo il fisico del suo amico, lo sconvolse:
"Veleno, mia Signora?" le chiese incredulo "Quindi è quello che lo sta uccidendo, non una malattia ai polmoni!".
Il diniego della Yaonai gli diede un'altra preoccupazione.
Anche lui aveva bevuto il Khumish del Khan, quando Kutula stesso gliene porse una tazza da bere nella Yurta Reale.
Ricordò che in quei momenti qualcuno tentò di fermare Kutula dal farlo, di dissuaderlo forse nel timore di venire scoperto nel suo tentativo di avvelenare il Khan. Muu-Gol! Quel qualcuno era Muu-Gol!
Ora altre cose gli apparivano chiare.
La caduta da cavallo, l'incapacità di reggersi in sella una volta lasciato l'accampamento, lo stordimento, tutta quella seria di eventi dovevano essere provocati dal veleno presente nel Khumish di Kutula.
Tutto tornava. Poteva essere.
Ora era tutto passato, si sentiva meglio, ma aveva assunto una volta soltanto quel veleno.
Kutula invece lo assumeva tutti i giorni da chissà quanto tempo.
Quindi anche gli svenimenti del suo amico, gli spasmi, la fatica a respirare, non erano quello che lui temeva.
Eppure, comprenderlo non lo fece sentire meglio.
La nuova diagnosi non era più promettente di quella vecchia.
Se non avessero trovato in fretta il modo di salvarlo, sia l'una che l'altra, avrebbero presto condotto il suo amico verso Ten-gri.
"Il veleno che Kutula assumeva nel Khumish agisce lento" aggiunse la donna vedendolo perplesso "Poco alla volta lo distrugge da dentro, in modo che nessuno possa essere incolpato della sua morte. Muu-Gol era dietro a tutto questo. Da tempo egli era Coppiere Reale e tutto il cibo e le bevande per il Khan, passavano prima da lui".
"Coppiere Reale!" esclamò ancora Saaràn a quelle parole. Adesso capiva.
Sentì crescergli dentro una rabbia e una furia che faticava a contenere.
Si rammentò della voce che aveva udito nella Yurta Reale.
Nella confusione che rammentava di quegli attimi, sul momento non era stato in grado di riconoscerla, però ora tutto diventava chiaro.
Oltre a lui stesso e il Khan, vi erano almeno altre due persone presenti nel vederlo legato alla gogna: uno era Omnod e dell'altra, ora aveva finalmente capito con certezza chi esso fosse.
La voce supplichevole che aveva udito nella Yurta Reale, era quella di Muu-Gol.
Quindi quel verme era presente quando lo trascinarono in catene davanti al Khan, pestato a sangue e legato come un animale pericoloso.
L'aveva visto arrivare bloccato dal Syedan e ne aveva senz'altro gioito.
"Muu-Gol, ancora lui!" mormorò a mezza voce, trattenendo a stento la rabbia che avvertiva montargli dentro, ma Frassinella lo udì ugualmente.
Anzi, confermò i suoi ragionamenti.
"Dopo il tuo arrivo nella Yurta Reale, Muu-Gol si allontanò in gran fretta dall'Orda per raggiungere i suoi uomini lungo il torrente. Aveva due Tarpan con sé" gli disse la Yaonai.
Saaràn la guardò, adirato comprese come dovevano essersi svolte le cose.
Quando Muu-Gol vide Ukhsen Aris in catene davanti al Khan, comprese che non poteva più fermarsi nell'Urdu, se voleva continuare a vivere.
Ormai doveva agire.
Presto o tardi Kutula l'avrebbe scoperto, perciò si allontanò il più in fretta possibile dall'Urdu per raggiungere i suoi uomini.
Per non perdersi, li aveva fatti fermare lungo il torrente, in modo da trovarli facilmente in caso di necessità.
Che sia maledetto da Ten-gri, pensò tra sé e sé, ma dovette controllarsi.
Ormai Muu-Gol era morto.
Doveva calmarsi e pensare, calmarsi e pensare.
C'erano cose che urgevano di più.
"Dimmi cosa posso fare per aiutarlo, Mia Signora. Qualunque cosa Kutula debba fare per salvarsi, dimmela. Farò in modo di riferirgliela".
La donna annuì soddisfatta.
"Dovrai soltanto dirgli questo: se vuole avere una speranza di salvarsi, dovrà abbandonare l'Orda al più presto e venire qui, da me, solo e disarmato. Ma prima di andare da lui, dovrai comprendere una cosa che non può più essere rimandata. Domattina all'alba, mio buon Saaràn, ti aspetterò sulla cima dei Monti e lassù te la mostrerò".
Scambiando uno sguardo con un'allibita Helun "Cosa devo vedere, mia Signora?" gli domandò incuriosito.
"Il tuo futuro" gli rispose lei.
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