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31) ATTIMI ANGOSCIOSI

Man mano che Saaràn in groppa a Monglik si avvicinava, Muu-Gol si spostò davanti alla sua tenda, chiamò a sé lo Scengun rimastovi a guardia e i due Baltai vicini ai focolari.

Quando i tre militari arrivarono, li fece mettere davanti a sé, a mo' di scudo.

I due Scengun di guardia alla tenda piccola rimasero dove erano, mentre al Baltai venuto per riferirgli le parole di Saaràn, il nobile disse di tornare al suo posto di guardia.

Saaràn deglutì amaro quando costui, nel passargli accanto incrociandolo, gli sussurrò con ferocia:

"Cane maledetto, sei fortunato! Il nobile Muu-Gol accetta di incontrarti!".

Eppure strinse i denti e fece il possibile per restare indifferente a quelle parole così piene di disprezzo che in fondo sapeva di non meritare.

Diede un debole colpo di talloni a Monglik avanzando piano.

Ora, sia cavallo che cavaliere erano veramente in trappola e lo sapevano entrambi.

Avanzò tenendo le mani ben sollevate e le braccia aperte, senza però distrarsi dal suo piano.

Muovendo appena gli occhi, osservò ogni particolare.

Al momento non vedeva archi sollevati pronti a scoccare dardi mortali verso di lui o verso il suo Tarpan.

I soldati erano nervosi, ma non si sarebbero mossi se non glielo avesse detto Muu-Gol e costui lo attendeva.

Alla sua destra il sole illuminava le creste arrotondate dei poggi facendole brillare come fossero d'oro e un vento teso che proveniva da oltre a esse, soffiava verso il campo Un e ne portava l'odore della giumenta.

Ten-gri lentamente diventava scuro e i cavalli nel recinto, percependo la presenza di Filli dall'altra parte della collinetta, scalpitavano irrequieti.

In mezzo a loro, lo Scengun inviato da Muu-Gol per calmarli, ancora tentava inutilmente di placarli senza comprendere cosa provocasse tutta quell'agitazione.

Il militare si sbracciava, li spingeva, li colpiva con il nervo di Yak, ottenendo nessun altro risultato che restare sempre più spinto da una parte all'altra dai cavalli.

Con le mani li allontanava quando gli andavano addosso, ma nell'aria gli stalloni annusavano la giumenta in calore e non sarebbe bastato lo scudiscio che brandiva in alto a fermarli.

Saaràn sorrise nel vedere gli sforzi inutili del militare e non avrebbe voluto essere al suo posto, quando Uleg li avesse infine spinti a correre verso le tende.

Tornando a sé, sollevò ancora un poco le mani al cielo, le voltò piano, avanti e indietro perché si vedessero chiaramente.

Non voleva dare nessun pretesto a Muu-Gol per colpirlo prima di avergli potuto parlare.

Quando passò davanti alla tenda piccola si sforzò di non guardarla e di tenere lo sguardo fisso davanti a sé, però vide che i due Scengun di guardia strinsero le mani sulle else delle spade.

Era certo che non avrebbero esitato un istante a usarle al minimo cenno del nobile da cui essi dipendevano.

L'entrata della tenda era accuratamente chiusa con legacci annodati stretti e non si vedeva assolutamente nulla dell'interno, eppure sentiva che Saryn doveva essere lì dentro.

Avrebbe voluto chiamarlo, dirgli che suo padre era arrivato e di stare tranquillo perché tutto sarebbe andato bene, invece strinse le labbra e si obbligò a tenere lo sguardo fisso su Muu-Gol.

Monglik invece, forse riconoscendo l'odore del ragazzo che vi era nascosto dentro, voltò la testa verso la tenda e soffiò forte verso una delle guardie.

Uno sbuffo di muco uscì dalla narice del cavallo andando a insozzare lo stivale del soldato e quello ruggì, colmo di schifo e di odio nell'estrarre a metà la spada, ma Muu-Gol gli ordinò di fermarsi.

Contemporaneamente Saaràn strinse le ginocchia attorno al cavallo per farlo placare.

Si trovava esattamente davanti all'ingresso della tenda piccola, a poche Tese dalle guardie e da suo figlio.

Impossibile che Saryn non lo sentisse parlare da quella distanza.

Si fermarono all'istante tutti e due, la sentinella e l'animale.

Saaràn attese immobile a qualche passo dal nobile, con braccia tese e mani aperte.

Era disarmato e voleva che si vedesse bene.

La tensione era altissima, le dita dei militari Un stringevano nervosamente le armi, pronti a usarle per ogni evenienza.

Tutto dipendeva da Muu-Gol.

Aveva domandato ospitalità e toccava al padrone di casa dargli il permesso di avanzare.

Sentiva lo sguardo del nobile fisso su di lui.

Ne sentiva l'odio scorrergli addosso e scottava, come miele acido su di una ferita aperta.

Lentamente il livore di quell'uomo si insinuava in ogni lacerazione della sua pelle e in ogni livido ancora visibili, bruciandogli come fuoco sulla carne.

Conosceva quegli occhi malvagi.

Gli anni li avevano circondati di rughe e cicatrici profonde, ma non li aveva cambiati, erano sempre uguali, colmi di superbia e disgusto nei suoi confronti.

Lo scrutavano a fondo, tentando inutilmente di restare impassibili per l'eccitazione che contenevano.

Dal canto suo, Muu-Gol esultava.

Lo aveva in pugno, era suo.

Saaràn, finalmente, si era consegnato a lui di sua spontanea volontà.

Nascosto dietro ai suoi soldati a fargli da scudo, Muu-Gol sogghignò.

Lo squadrò dal basso in alto con un ghigno soddisfatto disegnato sulle labbra.

Probabilmente quella era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di ottenere, dopo aver passato una lunga giornata ad attendere inutilmente notizie proprio su di lui.

Saaràn gli vide spuntare il dente d'oro da sotto il labbro sollevato e la bianca ciocca di capelli cadeva molle sulla guancia sinistra, proprio come gli aveva detto Helun.

Con il pizzo cespuglioso a contornargli il mento appuntito, il volto lungo e affusolato del nobile Un-han ricordava quello di un vecchio caprone al quale mancavano soltanto le corna.

In un altro momento forse ne avrebbe riso, ma non era questo il tempo per farlo.

Se non si fosse ricordato dell'oltraggio portato alle sue donne da quell'essere infame e del rapimento del figlio portato a termine per opera sua, forse avrebbe anche potuto scherzarci sopra.

Dovette trattenersi da reagire.

La rabbia a lungo trattenuta riaffiorò, ma nonostante provasse il desiderio di saltargli addosso, non poté far altro che serrare più forte le mascelle e chiudere le labbra in un silenzio ostinato.

Un improvviso guizzo d'odio lo portò a desiderare di serrare le braccia su quel collo lungo e fine fino a spezzarlo, ma si contenne.

Attese immobile, anche quando Muu-Gol inviò un Baltai a toccargli gambe e stivali per verificare che non vi fossero nascoste delle armi.

Vide che l'Un-han, superata la prima sorpresa, venne attratto da Monglik e dalla sella su cui egli sedeva.

"Bene, bene" esordì il nobile con una voce arida come sabbia.

Quando il soldato gli disse che il Naaxia era disarmato, fece cenno ai suoi uomini di lasciarlo passare.

Lasciandoseli alle spalle, avanzò verso il cavaliere di qualche passo.

Gli osservò compiaciuto il volto tumefatto e i vestiti strappati.

Un sorriso beffardo accompagnò la sua avanzata ondeggiante.

Era visibilmente soddisfatto, tronfio nella sua vittoria sul Naaxia.

Ce l'aveva in pugno e il nervosismo che fino a poco prima gli serrava in una morsa invisibile il petto, era improvvisamente scomparso del tutto.

Tutti i timori, le angosce, i dubbi maturati in lunghe ore di vana attesa, erano svaniti nel momento stesso in cui aveva riconosciuto Saaràn e aveva capito di aver vinto.

Ce l'aveva in pugno e per compensare quell'attesa troppo lunga che l'aveva fatto penare così a lungo, ora non voleva che il piacere finisse troppo presto.

Dondolava vistosamente a ogni passo come tutti gli Un, con i piedi più avvezzi al dorso del Tarpan che a calpestar l'erba della steppa.

Era soddisfatto.

Pensava di avere un solo Naaxia in mano, ora invece poteva decidere del destino sia del padre che del figlio e stringeva entrambe le loro vite tra le dita.

Muu-Gol non poteva desiderare di più da Ten-gri, al momento.

Anzi era più di quello che avesse mai osato sperare di ottenere.

"Cosa abbiamo qui" disse con una tale lentezza di risultare esasperante.

"Un ospite onorato e la sua nobile cavalcatura. Naturalmente siete i benvenuti".

Sollevò il mento per osservare meglio Saaràn, mentre lentamente gli girava attorno.

Si stava godendo il momento di trionfo e forse pensava già al prossimo passo, quello che l'avrebbe portato a diventare Khan.

Non voleva sprecare nemmeno uno di quegli attimi a lungo attesi, così si soffermò incredulo a studiare la sella su cui sedeva il Naaxia.

"E questa cosa sarebbe?" sillabò mellifluo fingendo di essere interessato al suo ospite, al quale come cortesia fece cenno di abbassare le braccia.

Saaràn ne fu lieto, perché ancora gli dolevano per le ferite dovute al Syedan, ma non voleva che si vedesse.

"È una sella Taiciuta" gli rispose asciutto.

Muu-Gol socchiuse gli occhi come cercasse di ricordare dove avesse già sentito quel nome, poi fece un gesto secco come per scacciare una mosca fastidiosa dal volto.

"Taiciuta? Non conosco".

Non aveva nessuna importanza dove avesse sentito nominare quel nome, una sella come quella era ridicola, adatta solo a donne e finti uomini come il Naaxia.

"Certo" aggiunse, fingendo di apprezzarla "È adatta a te e a quelli come te, ma dubito che uomini onorevoli la vorrebbero" aggiunse con una leziosità eccessiva addirittura per lui.

I suoi uomini sogghignarono soddisfatti.

Aveva dato della femminuccia al Naaxia e la cosa non poteva che fargli piacere.

Probabilmente tutti loro già pregustavano il momento in cui il padrone si sarebbe disfatto del proprio nemico, lasciandoglielo tra le mani.

Muu-Gol lasciò che si sfogassero per qualche attimo, poi con un gesto brusco li zittì e chiese impaziente:

"Cosa vuoi, Naaxia?" gracchiò, improvvisamente rude.

Fu tanto il livore nella voce dell'Un che Monglik, colto di sorpresa, sollevò le orecchie.

Saaràn gli toccò il collo perché rimanesse calmo.

Si prese più tempo del necessario prima di rispondere, perché le cose andavano male.

Si rese conto che sarebbe servito a poco invocare il Khan e il suo potere.

In quel momento l'Urdu era lontano dai pensieri di Muu-Gol tanto quanto Ten-gri lo era dalla Steppa e non l'Hanbakai non faceva nulla per nasconderlo.

Forse prima sarebbe servito, quando l'Un-han temeva di esserselo lasciato sfuggire tra le dita, ma non ora, che lo teneva stretto nel palmo della mano e poteva schiacciarlo quando voleva.

Tanto valeva fingere e rischiare il tutto e per tutto.

Per impensierirlo veramente, Saaràn doveva osare.

Gli rispose cercando di mantenere la voce calma e senza mostrare rabbia:

"Lascia libero mio figlio e permetterò a te e ai tuoi uomini di andarvene vivi da questo posto" disse in modo che tutti potessero udirlo.

Muu-Gol si lasciò andare a una grassa e liberatoria risata.

I suoi uomini lo imitarono, più per disprezzo che altro.

Saaràn, muto, lasciò che si sfogassero.

Che lo prendessero pure in giro, se questo gli concedeva del tempo prezioso per pensare.

Perché di questo aveva bisogno lui ora, di tempo.

Saaràn osservò verso il recinto dei cavalli e vide che i Tarpan si agitavano scalciando in aria come se avvertissero un pericolo.

Lo Scengun in mezzo alla mandria era pericolosamente sballottato da una parte all'altra nel vano tentativo di calmarli, nell'indifferenza più totale dei suoi compagni, troppo occupati a deridere lui per accorgersi del pericolo che correva il loro commilitone.

Bene, pensò, uno in meno a cui pensare.

"Siamo troppi per te soltanto, Naaxia!" fece Muu-Gol, con un gesto carico di disprezzo nei suoi confronti.

Indicò gli uomini attorno a Monglik.

"Altri Hanbakai arriveranno tra poco. E tu? Pensi di essere abbastanza abile per batterti con tutti loro?" aggiunse il nobile Un scoppiando in un'alta risata liberatoria.

Saaràn annuì indifferente.

Con la coda dell'occhio vide che anche i due Scengun a guardia della tenda piccola ridevano sguaiatamente.

Non si scostavano da dove si trovavano, ma ascoltavano tutto molto attentamente, asciugandosi le lacrime agli occhi con il dorso delle mani.

"Bene" mormorò tra sé e sé.

Senza dare cenno a rispondere, rivolse la sua attenzione alle alture.

Dalla cresta ondulata in ombra, la luce intensa che giungeva dall'altro versante scivolava in alto verso Ten-gri, ondeggiando in un movimento lento e ipnotico, come se qualcuno risalisse la china dall'altra parte.

Gerel!

Sua figlia aveva sentito le urla degli Un e arrivava! Magnifico!

I raggi del sole morente disegnavano nell'aria fasci luminosi che si muovevano avanti e indietro.

Ombre gravi e minacciose si formavano nella luce e avanzavano lente, finché Saaràn riconobbe i delicati lineamenti di Gerel quando intravide la testa bionda della figlia emergere lentamente da oltre la bassa collina in groppa a Filli.

Gli Un non si erano ancora accorti di lei, ma un debole sorriso, poco più di un increspatura alle labbra, gli sfuggì e per l'animo sospettoso di Muu-Gol questo fu sufficiente per diventare più attento.

Si voltò anche lui verso le basse colline e sgranò gli occhi incredulo quando vide la testa della bambina comparire lenta da oltre il crinale.

La riconobbe subito e provò un tuffo al cuore nel vederne i capelli, quei capelli chiari come l'oro che aveva tanto desiderato stringere nelle sue mani!

Cosa ci faceva lassù la figlia del Naaxia?

Pochi giorni prima aveva provato un piacere immenso nello stringere finalmente quei capelli tra le dita, ma ora che le cose non andavano come voleva lui, cosa significava tutto questo?

Il soddisfatto sorriso beffardo gli si spense lentamente sulle labbra man mano che vide la bambina emergere da dietro la collina in groppa a una Tarpan, con i raggi del sole a risplenderle tutto attorno il corpo.

I capelli, quei capelli!

Morbidi al tatto e fini come seta, splendevano come il sole e lo ammaliavano.

Una tentazione che credeva appagata si risvegliò improvvisa nel nobile Un e ancora provò un impulso tremendo ad averli stretti tra le dita, però questa volta non poteva inviare i suoi uomini a prenderli.

Davanti a lui c'era il padre.

Benché fosse solo il Naaxia, anch'egli era un Un e avrebbe potuto chiedere riparazione per quello che le aveva fatto.

Saaràn avrebbe potuto sfidarlo a duello e lui non avrebbe potuto negargli quel diritto.

Per un momento credette fosse quello il reale motivo che spingeva il Naaxia a venire nel suo campo. Chiedergli soddisfazione per quello che aveva fatto sia alla moglie che alla figlia.

Non volendo rischiare un pericoloso duello, guardò in tralice l'uomo che gli stava di fronte.

Temendo il peggio, già si preparava a dare ai suoi uomini l'ordine di fare fuori sia il padre che la figlia, quando i capelli di Gerel divennero ancora più luminosi.

Brillando e scintillando nell'azzurro cobalto del Ten-gri, divennero di un fulgido bagliore da cui Muu-Gol non poté più distogliere gli occhi.

"Ma cosa...?" mormorò incerto poi, quando l'alone di luce circondò tutta la figura della bambina facendola apparire più alta di quello che già non fosse.

Sconcertato e confuso, Muu-Gol divenne pallido e sgranò gli occhi.

Incapace di mormorare altro se non parole sconnesse, alzò una mano per proteggersi gli occhi dalla strana luce che la circondava tutta e la puntò verso Gerel.

Socchiudendo le palpebre ne fissò l'immagine tra le dita aperte.

Vedendolo, le risa dei soldati si spensero poco alla volta, sostituite da insulsi sorrisi.

Non capivano e quando un Un non capiva diventava nervoso.

Si ricordavano bene della figlia del Naaxia e dei suoi capelli color del fieno, ma mai si sarebbero aspettati di rivederla così presto.

Poi quella strana luce, quell'alone splendente che la circondava sempre di più e si espandeva.

Mormorarono agitati, vedendo quella luce divenire luminosa da sopportarla a malapena.

Si agitarono, si strinsero attorno al loro capo e si dimenticarono del Naaxia.

Fermo in groppa a Monglik, Saaràn tratteneva il fiato e non perdeva di vista gli Un, allibito a sua volta da quello che stava succedendo alla figlia.

Nemmeno lui capiva come Gerel potesse essere circondata da una luce come quella che emanava dalla Sua Signora soltanto la sera prima, eppure stava succedendo sotto i suoi occhi.

Per quanto non gli fosse facile riuscirci, tentò di restare lucido e contò i soldati.

C'erano tutti ed erano tutti distratti da quello che stava accadendo sulle collinette.

Fatta eccezione dello Scengun ancora nel recinto e le due sentinelle lungo il greto del torrente, erano tutti davanti a lui.

Anche i due Scengun di guardia alla tenda piccola, scordandosi per un istante del loro dovere, fecero qualche passo in avanti e si unirono agli altri commilitoni, incerti su cosa fare.

"Bene! Ora, ora! Uleg, ora!" mormorò a denti stretti Saaràn.

Quello era il momento che aspettava con ansia.

Sperava che anche Omnod l'avesse compreso e fosse pronto ad approfittare del momento propizio per tagliare il telo della tenda.

Rimase immobile, sperando che il tempo che lui e Gerel potevano concedere a Uleg e Omnod, fosse sufficiente per portare a termine il piano che avevano studiato.

Il giovane Un avrebbe risalito il roccione inclinato, tagliato la parte posteriore della tenda piccola e si sarebbe fatto riconoscere da suo figlio. Saryn l'aveva già visto, lo conosceva, Saaràn sperava che si fidasse di lui e lo seguisse senza timore.

Trattenne il fiato al pensiero che qualcosa potesse ancora andare storto.

In quei momenti sarebbe bastato un grido, una parola, un ansimo di troppo che fosse giunto fino alle orecchie dei carcerieri e tutto sarebbe fallito in una manciata di secondi, eppure non avevano scelta, doveva funzionare.

Si voltò ansioso verso il recinto.

Da quella parte i cavalli scalpitavano e si spingevano l'un l'altro, ma ancora nessuno di essi aveva preso la via di fuga verso Filli.

Intimoriti dalla presenza dell'uomo in mezzo alla mandria arrivavano a sfiorare la fragile striscia di cuoio, poi tornavano indietro.

Lo Scengun lottava disperatamente per tenerli lontani, ma nulla serviva per riportarli alla ragione.

Solamente l'addestramento che gli Un impartivano ai loro cavalli impediva a quegli animali di andare oltre a quel debole confine in cui erano rinchiusi e correre verso la femmina in calore.

Uleg non si vedeva da nessuna parte.

"Avanti, avanti! Dove sei, adesso, spingili avanti adesso!" digrignò Saaràn a denti stretti, ma quelli ancora non venivano.

Cercò inutilmente tra le ombre dietro il recinto la sagoma del Taiciuto, ma di lui non vi era traccia.

Ormai dovrebbe arrivare, era il tempo giusto!

Ora, ora!

I cavalli dovevano travolgere tutto, Uleg, forza!

I Tarpan avrebbero devastato il campo, Gerel sarebbe fuggita lontana portandoseli dietro e Saryn avrebbe seguito Omnod lungo il greto del torrente.

Questo era il piano di Saaràn, ma ora tutto pareva sospeso per aria.

La tensione dilatava il tempo e le tempie gli pulsavano frenetiche, eppure del Taiciuto non vi era ancora nessun segno e per ogni secondo in più che restava fermo in mezzo a quell'accampamento, il pericolo per tutti loro aumentava a dismisura.

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