3) KHARANKHUI OI (La Foresta Scura-Seconda parte)
Saaràn ne era certo, Zűin aveva paura!
Non di lui, non delle esplosioni di luce che per qualche momento l'avevano rallentato, non della Yaonai che lo stava trascinando lontano, portandolo in salvo attraverso quel mondo alieno, bensì di qualunque cosa potesse mettere in pericolo la sua esistenza.
Quell'essere immondo aggrediva per timore di essere aggredito, circondava nel timore di essere circondato, inseguiva nel timore di essere inseguito.
Distruggeva, nel timore di essere distrutto.
Venendo a contatto con la malvagità di quell'essere, Saaràn avvertì una solitudine infinita, un desiderio represso di condividere il proprio strazio con ogni cosa potesse venire a contatto, ma per sua propria natura, la distruggeva prima di poterlo fare.
Quella... Cosa... Zűin... era maledetta da tempo immemorabile.
Senza scampo alcuno di redenzione, quella creature era condannata alla solitudine per l'eternità.
C'era dolore, uno strazio immenso, infinito, attorno a lei.
Uno strazio che Saaràn percepì chiaramente quando egli e la Sua Signora riuscirono ad allontanarsi abbastanza da quella Creatura così infelice e letale.
Saaràn ne rimase allibito. Così potente, eppure così fragile!
Quella Cosa Immonda soffriva per un dolore recente.
Per qualcosa che le era stato strappato con violenza e che ora non voleva vederlo portare via.
Ma cosa?
Un dubbio atroce lo fece impallidire: che fosse possibile?
Si ricordò di avere con sé gli aculei.
Le erano stati strappati con la forza ed era per riavere quelli che Gioturna li aveva aggrediti!
Quella cosa mostruosa si sentiva sola, abbandonata, un misero brandello di quello che un tempo fu.
Voleva riprendersi quello che le apparteneva, ma già il Naaxia e la Yaonai erano lontani, in salvo.
In un attimo tutto questo terminò e Zűin, Gioturna, rendendosi conto di aver perduto, si ritrasse nella propria oscurità.
Scomparve nel nulla da cui era comparsa, portando con sé il diluvio di dolore che la circondava in ogni momento, ovunque andasse.
Sparita che fu, come tornasse il sereno dopo la tempesta, Saaràn si ritrovò ancora immerso nello scintillìo delle cellule vegetali che lui e la Yaonai stavano attraversando a velocità folle.
Tuttavia ben presto avvertì un'altra sensazione prevalere sul dolore.
Una sorta di compressione avviluppò il suo corpo, dopo tanto dilatarsi.
La folle corsa del Naaxia e della Yaonai rallentò.
Una contrazione violenta colpì ogni cellula di Saaràn spingendola a compattarsi, a ridursi.
Rimpicciolendo a dimensioni conosciute, qualunque parte del suo corpo tornò a restringersi riprendendo forma umana.
Mani, braccia, gambe, testa, divennero ciò che erano sempre state.
In un batter di ciglia, leggermente frastornato per l'improvviso termine del viaggio, Saaràn avvertì nuovamente la terra sotto i piedi, l'aria sul viso, il fiato nella gola.
Riprese contatto con le membra.
Profumi forti e intensi di sottobosco lo circondarono da ogni parte e gli saturarono i polmoni.
Poi avvertì fumo, puzzo stantio e polvere, tanta polvere e la mano della Signora ancora stretta alla sua.
Riaprì gli occhi, stupendosi di essere ancora vivo.
Vide che si trovava in un luogo sconosciuto, con alberi altissimi tutto attorno a lui.
Molti di essi erano stesi in terra divelti dalle radici, altri, inclinati innaturalmente, stentavano a reggersi in piedi tanto erano scalzati in profondità.
Erbe e cespugli mai visti prima erano ovunque, irriconoscibili per la troppa cenere che li ricopriva.
La polvere fine e impalpabile eruttata dal vulcano rimaneva sospesa nell'aria.
Dissimulava ogni cosa su cui si poggiava, posandosi come un velo.
Gli alberi, sospinti da una forza immane, pendevano tutti nella medesima direzione.
I palchi erano così attorcigliati da lasciar trasparire a malapena gli ultimi raggi di sole del giorno.
Le tenere foglie primaverili erano state spazzate via dai rami e giacevano divelte in terra.
Una penombra umida circondava il Naaxia e la Yaonai.
Nell'aria vi era un vago sentore di zolfo, di legno bruciato e distruzione.
Era asfissiante.
Faceva caldo e Saaràn dovette togliersi il cappello, slacciarsi la giubba e allentare la sciarpa di seta stretta al collo.
Frassinella gli lasciò andare la mano e prese camminare in tondo come trasognata, con un sorriso di frastornata disperazione dipinta in volto.
Oltre a loro, non c'era nessuno, solo distruzione.
Voltandosi lentamente, oltre una sottile cortina di tronchi, Saaràn scorse una distesa erbosa che riconobbe immediatamente.
Era la Steppa.
Il cuore ebbe un sussulto quando si accorse che ne aveva raggiunta la fine. La vedeva scontrarsi contro la foresta e scomparire.
Ten-gri si vedeva a sprazzi tra i rami scheletrici agitati dal vento, infinito e onnipresente.
Si toccò la fronte in segno di rispetto e lo ringraziò per essere ancora vivo.
Giù in fondo, persi all'orizzonte e scintillanti negli ultimi raggi del sole, il Naaxia riconobbe i Monti d'Oro.
Individuò facilmente la lama di coltello della Cima Khurts Khutga su cui era salito all'alba in compagnia di Chonyn.
La scorgeva elevarsi prodigiosa verso il cielo, fino a tagliare in due Ten-gri.
Guardava incredulo quella lontana catena montuosa.
La fissò come stesse vivendo dentro a un sogno dal quale faticasse a svegliarsi.
Solo alla mattina di quello stesso giorno aveva risalito quella cima a dorso di cavallo.
Prima del sorgere del sole era lassù e faticava a scorgere la linea scura della foresta che interrompeva la pianura, ora vi si trovava dentro.
A decine di Tarpan di distanza da dove si trovava pochi attimi prima, ora calpestava sotto i propri piedi quello che all'alba vedeva lontano.
Si trovava dall'altra parte della Steppa!
"Non può essere!" mormorò appena.
Incapace di racimolare abbastanza consapevolezza per accettare di buon grado dove lui e la donna si trovassero in quel momento, alle sue spalle udì la voce della Yaonai:
"Benvenuto a Kharankhui Oi" gli fece mesta la donna.
Nella voce di Frassinella vi era un turbamento pari al suo.
Nella distruzione che li circondava, la Yaonai faticava a ritrovare cose ora scomparse.
"La Foresta Scura... la mia terra natia ... dove per me tutto ebbe inizio. Tutto questo non è più. Questo è ciò che ne resta" gli mormorò con un sospiro.
Saaràn ci mise un po' a comprendere quello che la donna gli stava dicendo, eppure alla fine dovette arrendersi davanti alla evidenza dei fatti.
Con un senso di opprimente angoscia comprese che era giunto per davvero alla fine della Steppa, del suo mondo, di tutto ciò che conosceva e a cui apparteneva fin dalla nascita.
Al pari della donna aveva perso tutto.
Accorgendosi del suo stato d'animo, la Yaonai gli venne al fianco e posandogli una mano sulla spalla, gli sussurrò:
"Era destino che si arrivasse a questo, Saaràn. Ogni cosa ha un inizio e una fine".
Acconsentendo piano alle parole della Sua Signora, Saaràn deglutì a fondo e faticò a contenere le lacrime che sentiva salirgli dal profondo del cuore.
Il suo mondo, quello che aveva sempre considerato come l'unico e irrinunciabile luogo dove poter vivere e morire, non esisteva più.
Dunque gli incubi di Kutula erano veritieri.
I dubbi che lo tormentavano, reali.
Era arrivato, prima degli altri, alla fine di tutto.
Lui, il Naaxia, il Cercatore di Strade, primo tra gli Un dell'Orda Azzurra, era giunto al limite estremo del mondo dei Clan e ora avrebbe dovuto farlo sapere alle Tribù prima che fosse troppo tardi.
Comprese cosa intendeva dire Frassinella, quando affermò che presto gli Un avrebbero dovuto decidere se vivere o morire.
Sapeva che sarebbe stata un'impresa ardua fargli comprendere che era finita.
Molti non l'avrebbero accettato e le conseguenze potevano essere imprevedibili.
Era cosciente fin da ora che ci sarebbero state discussioni, violente lotte, sicuramente morti.
Infinite liti sarebbero avvenute in seguito a questo, sarebbero iniziate ritorsioni, faide, famiglia contro famiglia, Clan contro Clan, Tribù contro Tribù.
L'Urdu come i Clan l'avevano conosciuto avrebbe rischiato di sfaldarsi, disperdendosi in poco tempo come polvere nel vento e lui non sapeva assolutamente come fare per evitare tutto questo.
Come seguendo il corso dei suoi pensieri, la Yaonai aggiunse:
"Per questo dovevi affrontare il Taniltsuulakh Yoslol, Saaràn. Nel corso dei secoli la tua gente ha perso l'Anima che a Dai-Sescen custodiva gelosamente e tocca a te riportargliela. È giunta l'ora che il Naaxia riprenda il posto che era suo di diritto. È giunta l'ora che Ten-gri e il Pugnale Azzurro, l'Anima e la Forza del popolo Un, uniti nel Gran Khan, tornino a essere una cosa sola come un tempo. Prima che sia troppo tardi per le donne e per gli uomini dell'Urdu, tu devi tornare da loro e avvisarli".
Sconvolto e allibito da quelle parole, lui si voltò in cerca di conforto negli occhi della donna, ma si bloccò, restando a bocca aperta, quando se la trovò davanti.
Solo ora si avvedeva dello stato in cui Frassinella si trovava.
La lotta contro Gioturna non l'aveva lasciata indenne.
La mano che la Yaonai gli teneva sulla spalla era imbrattata di un liquido verde, molle e denso.
La veste azzurra era strappata in più punti e un'ampia macchia verdastra lordava la manica che pendeva sbrindellata; al di sotto del tessuto, la pelle quasi lattea del braccio era lacerata in profondità.
Un fluido simile a linfa ne fuoriusciva, colando da una profonda ferita aperta nel muscolo.
La donna era pallida, spettinata, affaticata dall'emozione e dalla lotta sostenuta, dolorante come non l'aveva vista mai.
Non pareva nemmeno la medesima persona.
Per la prima volta Saaràn scorse la Sua Signora per quello che realmente era: un essere vivente, solo e impaurito proprio come lui, con passioni, emozioni, dolori.
All'improvviso, l'alone di arcano mistero che aveva sempre circondato quella strana donna, si squarciò come un cencio logoro e Saaràn non ne provò più timore.
L'ammirava, la stimava, aveva fiducia in lei, ma non ne provava più timore.
Se glielo avesse chiesto l'avrebbe seguita in capo al mondo, si sarebbe gettato nelle fiamme, le avrebbe fatto dono anche della vita se necessario, però ora sapeva che l'avrebbe fatto per sua scelta, da uomo libero, da Un, da Naaxia.
Giunti finalmente nel mondo della Sua Signora, non gli risultò più circondata da un'aureola di fantastica superiorità.
Quello che altrove la faceva vedere come sovrannaturale, ora, qui, dove un giorno nacque, risultò essere parte del suo mondo d'origine al pari degli alberi e i cespugli che Saaràn vedeva piegati e dolenti.
Nello stesso modo di quelli, era stata ferita e abbattuta.
Come la foresta era sofferente, aveva necessità di essere aiutata e curata.
Così la vedeva in quel momento l'uomo della Steppa: al pari di un meraviglioso albero, quasi divelto alle radici da una forza immensamente più grande di lui, tuttavia ancora saldo e pieno di voglia di lottare.
Eppure tutto questo fu solo questione di un attimo, un pensiero che dalla mente svanì presto, posto di fronte a cose più urgenti che dovevano essere affrontate.
La Yaonai aveva bisogno del suo aiuto e Saaràn avrebbe fatto di tutto per darglielo.
Tutto il resto era niente, solo pensieri.
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