28)LA RESA DEI CONTI È VICINA ( Seconda parte)
Ben distante rispetto al contingente di Ȕnench, anche il più corposo gruppo di Un che aveva preso parte al Kavryn-an, la Grande Caccia di Primavera, lentamente attraversava la Steppa e si avvicinava alla valle dei Togril per raggiungere Kutula.
Costoro non sarebbero arrivati prima di un paio di giorni.
Ongiroo, figlio di Demii, li guidava.
Dopo la morte del cugino Gaikh-san ucciso da Zűin, questa schiera era ora sotto la sua responsabilità, ma essendo egli uomo di scarsa fantasia e poca iniziativa e non avendo chiaro il cammino da seguire, Ongiroo aveva preferito affidarsi a Bortecino per seguire il percorso migliore.
Difatti, vedendolo incerto nell'orientarsi, la Lupa Azzurra di quando in quando gli si faceva vedere lungo la via delle montagne, in modo che lui e la sua gente giungessero a Togriluudyn senza incappare negli uomini di Muu-Gol.
Non che il nobile Un-han fosse entusiasta della cosa, per inteso.
Egli non amava per nulla l'idea di avvicinarsi troppo ai Monti d'Oro.
Quei picchi rocciosi erano una porta aperta verso Ten-gri e lui non desiderava ancora sapere come fosse fatto l'aldilà.
Le montagne le aveva sempre viste solo da lontano, chiuso nel sicuro recinto dei carri dell'Urdu.
Le aveva scorte brillare al sole del mattino e della sera, ne aveva sentito parlare alle volte, ma in fondo, come a quasi tutti gli Un, gli incutevano paura e preferiva evitarle.
Quelle immense rocce sapevano di disgrazia e di morte.
Lui non amava pensare né all'una, né all'altra cosa, specialmente quando a essere messa in gioco si trattava della propria di vita.
E se ora vi si stava dirigendo contro, era soltanto per due motivi: primo perché non sapeva dove altro andare e secondo perché a guidarlo era Bortecino.
Guidata quindi dalla Yaonai e tenendosi lontana dal torrente dove si era fermata l'Orda, quella schiera di Un stava aggirando l'Urdu per non essere avvistata da eventuali pattuglie di Muu-Gol.
In questo modo avrebbe allungato di molto il tragitto per la Valle e impiegato altri due giorni prima di arrivare a destinazione, ma almeno vi sarebbe arrivata senza problemi.
D'altronde, da parte sua, Ongiroo era quantomeno contento di essere guidato da Bortecino in persona.
Anzi, era lieto di averla come apripista.
Era un grande onore, un prestigio enorme per tutta la sua famiglia e il suo Clan, ma soprattutto, per un indolente come lui, una grande liberazione.
Meno pensieri, meno fastidi, meno possibilità di sbagliare.
Ogni volta che se la vedeva comparire davanti, il rubicondo nobile levava gli occhi al cielo e si toccava la fronte in segno di rispetto.
Attraverso la Lupa Azzurra Ten-gri gli tendeva una mano ed egli, grato di tanta fortuna, seguiva l'animale sacro degli Un senza discutere.
Di più, ogni qualvolta lei appariva nell'erba della Steppa, Ongiroo tirava un gran sospiro di sollievo ad avere un guida del genere.
Dopo la morte di Gaikh-san, egli si ritrovò perso.
Trovandosi solo nella prateria con quella enorme responsabilità sulle spalle, isolato dal resto dell'Orda che sapeva essere sotto il comando di Muu-Gol che considerava un usurpatore e in preda al terrore che altri Gin potessero comparire dalle profondità della terra, egli decise di fare l'unica cosa che ritenne saggia in quel momento: proteggere se stesso da quei mostri immondi e andare a cercare il suo Khan, Kutula, ancora in vita secondo quello che gli aveva raccontato il Naaxia.
In fondo all'animo gli ripugnava l'idea di dare ascolto a Saaràn.
In quanto discendente da Scengun il Traditore, quello spregevole individuo lo disgustava, però aveva lottato da valoroso contro un Gin e l'aveva sconfitto in un modo incredibile.
Gli aveva riflesso contro i raggi del sole con un semplice specchio sbeccato da comunicazioni.
Incredibile.
Tutto quanto, da qualche giorno a quella parte, era incredibile.
Ongiroo, abituato a essere ligio alle tradizioni, non se ne capacitava.
Essendo uomo che legava le proprie esigenze soltanto alle cose che conosceva e vedeva, ora soffriva maledettamente in mezzo a tutta quell'incertezza.
Sino ad allora la sua esistenza si era svolta sotto un manto di consuetudini che lo vedevano come uno dei pochi privilegiati dell'Urdu e ora, di colpo, la sua vita era stata sconvolta del tutto.
Una mente semplice come la sua faticava a comprendere cosa stesse accadendo al suo mondo e se ne sentiva turbato nel profondo dell'animo.
Il grande boato, il terremoto, Saaràn il Naaxia che camminava assieme a Bortecino sotto Ten-gri e poi sconfiggeva un Gin davanti agli Un, tutte queste cose erano strane, avevano un sapore amaro e sapevano di cose cattive.
Tutte queste novità messe assieme, cose che avrebbero piegato la volontà di chiunque ne avesse posseduta in gran quantità, lo colpirono profondamente.
La sua filosofia di vita dovette ricredersi e adattarsi molto in fretta alle nuove esigenze.
Egli, che di volontà non ne aveva alcuna, che era fatalista per natura e superbo per convenienza, davanti all'inevitabile smarrimento iniziale, per sopravvivere all'ignoto che lo aveva avvolto da un giorno all'altro, aveva adottato una tattica che conosceva molto bene.
Aveva voltato lo sguardo da un'altra parte e si era presto convinto che se tutto questo era successo, era soltanto perché doveva succedere.
Questo era il massimo a cui la sua mente potesse arrivare e doveva bastargli, se voleva ritrovare quella pace dello spirito che aveva perduto quando era morto Gaikh-san.
Voleva bene a suo cugino.
Fin da bambini l'aveva sempre protetto e difeso e gli era dispiaciuto vederlo seppellire da Saaràn.
Non aveva nemmeno potuto far calpestare la sua tomba dagli zoccoli dei Tarpan.
Non era onorevole per un Un-han morire in quel modo ed essere poi toccato dal Naaxia, tuttavia, se questo era il volere di Ten-gri, egli non poteva farci nulla anche se il suo Comandante non si meritava di fare una fine simile.
Gaikh era giusto, nobile, severo quanto serviva, feroce nel pericolo e magnanimo all'occorrenza; lui, Gaikh, era quello bravo a dare ordini, a sapere sempre quello che era meglio fare e quello che era meglio evitare, non Ongiroo.
I pensieri, i dubbi del comando, gli affanni nel trovare soluzioni che risolvessero problemi che andassero oltre a quelli del mangiare e il bere, non facevano per lui.
Ongiroo era nobile per famiglia, non d'animo.
Non poteva farci nulla, era fatto così, le responsabilità del comando le risolveva dicendo la prima cosa che gli veniva in mente, sempre, incurante delle conseguenze e incapace di valutare la portata delle proprie parole.
Era una qualità che si portava dietro dalla nascita e forse era per questo che Kutula l'aveva messo accanto a uno come Gaikh.
Gaikh pensava a tutto e lo proteggeva da se stesso.
Trovandosi, però, improvvisamente solo con un'enorme responsabilità sulle spalle, Ongiroo si sentì perso.
In piena confusione, per timore che i Gin tornassero, per prima cosa raddoppiò le guardie attorno al campo, mandò a chiamare tutti i soldati ancora impegnati nella caccia e poi si ritirò nella sua tenda.
Non sapendo cos'altro fare, ordinò la cena, mangiò e poi andò a dormire.
Nella notte il sonno gli portò consiglio e, in tal modo, prese le uniche due decisioni che la sua testa riuscì a concepire.
Lo fece a modo suo, al risveglio, in modo disordinato, di getto, ma per ironia della sorte, i suoi ordini furono anche i più giusti per l'occorrenza.
Per prima cosa diede l'ordine di smantellare il campo e, in secondo luogo, fece in modo che tutti i componenti delle due Tribù avessero sempre con sé un pezzo di specchio, di metallo lucidato o di qualsiasi altra cosa fosse in grado di riflettere la luce del sole, per potersi difendere dai Gin.
Ora anche lui portava uno specchio appeso al collo e questo gli dava sicurezza almeno quanto le altre armi che indossava.
Bello, grande, con una splendida cornice d'oro attorno e perfettamente lustro.
Era stato il primo di tutti a indossarlo e non lo toglieva mai.
Per dare l'esempio, diceva.
Era scomodo, pesante, gli batteva sul petto ad ogni passo del cavallo, però gli ricordava quanto era stato bravo.
Ongiroo era fiero di sé per aver pensato a tutto e marciava a testa alta e con una mano sul fianco, davanti alla colonna che lo seguiva senza fiatare.
Sapendo che era Bortecino a mostrargli la strada, i suoi uomini, al vederlo, piegavano la testa al suo passaggio.
Ora lo onoravano, lo rispettavano come un condottiero, uno dei più grandi che l'Orda avesse mai conosciuto da quando essa si era formata.
Egli li avrebbe condotti sani e salvi dal Khan e Kutula l'avrebbe premiato.
In fondo non sono uno sciocco, pensava, mi stimano, mi rispettano, mi amano.
Era tronfio, soddisfatto e orgoglioso di se stesso.
Il fatto poi che la prima decisione che avesse preso fosse frutto della sfrenata paura che aveva di Gioturna, e la seconda gli fosse venuta in mente dopo che Frassinella gliela sussurrò nell'orecchio durante il riposo notturno, non venne mai a conoscenza di nessuno e il merito divenne solo suo, ma tutto questo non aveva nessuna importanza.
D'altronde, nemmeno lui seppe mai spiegarsi come poterono venirgli in mente idee così geniali, ma tant'è, quando in seguito Saaràn seppe queste cose dalla sua Signora sorrise benevolo, ripromettendosi di ricordarsi in futuro di quel buffo uomo che gli stava portando così tanti uomini, senza sforzo alcuno da parte sua.
Dal terzo gruppo, invece, quello che abbandonò l'accampamento dell'Orda quando Muu-Gol ne assunse il potere usurpando il trono a Kutula con la forza, il Naaxia non sapeva cosa aspettarsi.
Non sapeva nemmeno se sarebbero stati ancora fedeli al vecchio Khan, oppure a lui.
Era questo il più eterogeneo dei quattro gruppi, in quanto i Clan che vi si trovavano riuniti appartenevano a tutte le cinque Tribù ancora fedeli al nuovo Khan.
Essendosi costoro messi in movimento alla ricerca di Saaràn subito dopo la sua improvvisa sparizione dai carri, passati tre giorni dalla loro partenza, nel momento in cui Helun si metteva in piedi, essi si trovavano ormai all'imbocco della Valle dei Togril e si preparavano ad accamparsi per passarvi la notte.
La mattina seguente l'avrebbero risalita e in giornata, percorrendo il torrente, sarebbero giunti fino a Kutula.
Saaràn si ripromise di essere presente al loro arrivo.
Era essenziale accoglierli di persona e l'avrebbe fatto avendo accanto a sé Frassinella, la Signora dei Monti d'Oro.
Lui e la Sua Signora, insieme, il Gran Khan della Steppa e Bortecino, li avrebbero attesi e li avrebbero accolti in pace nel nome di Kutula.
Era importante farlo.
La conta finale di coloro che si erano aggiunti a questa schiera, lo stupì. Quando venne a saperlo dalla Yaonai, non volle crederci.
Erano non meno di duemila Un, donne, uomini, servi, Nonun, Fugai raccoglitori di sterco, soldati, nobili; un misto di umanità che di propria spontanea volontà avevano deciso di seguirlo dopo averlo visto scomparire con i propri occhi dal Carro Reale assieme a Kutula, il vecchio Khan ancora vivo, sebbene ferito e agonizzante.
Al loro interno non vi era un vero capo.
Vi erano alcuni Un-han, ma erano divisi, appartenevano a Clan rivali che si trovavano l'uno accanto all'altro per l'occorrenza, condividendo però un unico scopo comune che in questo momento li accomunava tutti, quello di capire se poteva esserci ancora un futuro per il loro modo di vivere.
I nobili che avevano deciso che Saaràn aveva detto il vero e si erano uniti a quella schiera, si riunivano ogni giorno per decidere come poteva essere meglio procedere nel risalire il greto del torrente che portava alla Valle dei Togril, ma la velocità con la quale quella gente si muoveva era limitata dalla presenza dei carri e dalle mandrie, che per nessun motivo i Clan avrebbero lasciato indietro.
Esse rappresentavano la loro autonomia, l'indipendenza futura e la libertà di muoversi come desideravano.
Se alla fine di quel viaggio non avessero trovato quello che speravano, se ne sarebbero andati altrove.
Disponevano anche di un piccolo esercito, non molto numeroso, ma efficiente.
Avevano tutto, gli mancava soltanto un Capo a cui dare la propria fedeltà e venivano da lui per cercarlo.
Era a tutti gli effetti un piccola Orda che voleva essere libera di andarsene in qualunque momento, se, a fin dei conti, avesse ritenuto di non avere più un Khan da seguire.
I soldati che si erano uniti a quella schiera erano relativamente pochi, forse trecentocinquanta o quattrocento in tutto, ma quello che stupì sopra ogni cosa Saaràn quando venne a saperlo, non fu apprendere dell'esistenza di questa forza armata, bensì che essa fosse composta per la maggior parte da Altai che appartenevano al corpo dei Settemila, coloro i quali avevano giurato di donare la propria vita al Khan.
Vi erano molti più Altai che Baltai tra quella gente, ufficiali piuttosto che soldati semplici.
Era strano, molto strano.
Sulle prime rimase perplesso, incredulo, poi comprese e sorrise.
Muu-Gol, per soddisfare la propria vanagloria, nel non uccidere subito Kutula pur avendone la possibilità e i mezzi, aveva commesso il più grave errore che potesse commettere un Khan per mettere in crisi la fedeltà degli Altai: aveva lasciato in vita un rivale.
Costoro, sapendo che Kutula ancora viveva sebbene non detenesse più il Pugnale Azzurro, erano rimasti fedeli al vecchio Khan.
Per rispetto forse, o per consuetudine, per dovere, nessuno lo poteva sapere.
Fatto sta, che per la prima volta da quando l'Orda si era composta dalla fuga da Dai-Sescen, una parte consistente di questi soldati legati all'onore e al prestigio, aveva deciso di spezzare con la tradizione per seguire quello che la ragione gli suggeriva.
D'altronde Saaràn li capiva, non era mai successo prima che nell'Orda vi fossero due Khan in vita contemporaneamente e questa, comprese, ne era la conseguenza diretta.
Non era mai accaduto che i Settemila si dividessero in quel modo e questo fece molto piacere al Naaxia.
Ne era felice, per quanto, comunque, anche lui si rendesse conto che se vi erano due Khan, per il bene dell'Orda, essi erano troppi.
Per evitare confusioni inutili, doveva restarne uno solo in vita e questo, lo sapeva, tra gli Un voleva dire una cosa sola. Guerra.
Violenta, sanguinosa, insensata, tra fratelli in cui scorre il medesimo sangue nelle vene, ma guerra all'ultimo sangue.
Oramai tra i Clan le scelte erano state compiute, poco per volta gli schieramenti si stavano delineando e presto si sarebbe giunti a una resa dei conti che avrebbe provocato altri morti e altra sofferenza.
Per quanto gli ripugnasse pensarlo, sapeva che alla fine uno scontro sarebbe stato inevitabile.
Tra Muu-Gol e Kutula, uno solo di essi poteva vivere ed egli, come Gran Khan, non sapeva se avrebbe potuto evitare che questo accadesse.
A tal proposito, sapeva che il vantaggio numerico era pur sempre dalla parte di Muu-Gol e questo non andava sottovalutato.
Per quanto duemila Altai e quattromila Baltai fossero partiti al seguito del defunto Gaikh-san e ora si trovassero sotto il comando di Ongiroo, figlio di Demii, sommando a costoro quelli presenti nella schiera in arrivo e i Baltai sotto il comando di Ȕnench, il gruppo rimasto assieme al nuovo Khan dell'Orda era pur sempre enormemente più consistente delle altre tre schiere messe assieme.
A conti fatti, dei Settemila Altai e dei quattordicimila Baltai che originariamente componevano l'esercito del Khan, almeno quattromila e cinquecento Altai e quasi diecimila Baltai erano ancora sotto il comando di Muu-Gol.
Erano tanti, troppi per batterli in campo aperto, ma Saaràn sapeva di avere un potente alleato dalla sua parte.
Egli aveva già iniziato il suo lavoro e nessuno avrebbe potuto arrestarne gli effetti.
Potente, silenzioso e spietato, di costui il Naaxia avrebbe preferito evitare di ottenerne i servigi, ma sapeva anche di poter fare molto poco per fermarne il contraccolpo, ormai.
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