28) IL CARRO
Attratto dalla voce di Saaràn, anche Omnod si avvicinò al carro per vedere. Benché incuriosito, non volendo intralciare il giovane rimase in disparte a osservare.
Come Un non capiva l'utilità di quello che il Naaxia stava per fare, però l'aveva già visto all'opera e non voleva dubitare di lui e della sua abilità.
Helun e Gerel misero le griglie a Bor e Dakhi.
Le due donne, entrambe visibilmente eccitate dal poter essere utili, tornarono verso il carro e i due giovani Tarpan le seguirono frementi, con le orecchie che si agitavano avanti e indietro per l'agitazione che avvertivano nell'aria.
Quando passarono i finimenti del primo a Uleg perché iniziasse a fissarlo alla stanga, costui effettuò una manovra troppo brusca e il cavallo l'avvertì immediatamente.
Quella era una situazione nuova per tutti quanti e anche il Taiciuto era agitato.
L'uomo trasmetteva il proprio nervosismo all'animale e questo, non abituato a sentirsi stretto alla stanga da cinghie che lo limitavano nei movimenti, all'inizio gli si ribellò.
Sbuffando nitrì ritroso, restio a lasciarsi legare.
Accennò a scalciare nel momento in cui il Taiciuto strinse le cinghie e ne assicurò le redini al morso, ma quando Saaràn, vedendolo troppo agitato, lo raggiunse preoccupato per la sua incolumità, il suo tocco lo tranquillizzò all'istante.
Uleg ne approfittò, afferrò le redini al volo e le assicurò al carro perché il Tarpan non potesse più muoversi.
Con il secondo fu tutto più semplice.
Una volta sistemato anche quello dal servo, al suo fianco, Saaràn grugnì soddisfatto.
"Anche gli animali hanno fiducia in te, Signore della Steppa" gli disse il Taiciuto con un sorriso sdentato e lui lo prese come un complimento.
Gli fece piacere sentirselo dire, ma ora aveva altro a cui pensare.
Il tempo stringeva, voleva giungere al campo degli Un prima che il sole tramontasse e molte cose dovevano ancora essere fatte.
Mancavano ancora quattro ore al tramonto e per allora tutto doveva essere pronto.
Era agitato, teso, incerto su quello che voleva fare, però era determinato ad andare avanti fino alla fine.
Ne andava della vita di Saryn.
Non poteva permettere ai dubbi di prendere il sopravvento, se voleva salvarlo.
Incitò gli altri a fare in fretta e tutti ritornarono a quello che stavano facendo prima.
Quando ebbero finito i preparativi e la partenza divenne imminente, Saaràn li chiamò tutti attorno a sé.
"Helun" fece alla moglie "Prendi Gerel, lavala, pettinala e falle indossare un vestito azzurro. Quello che hai, però che sia lungo. Almeno fino alle caviglie. Mettile anche una cintura alla vita".
Vedendo che la moglie stringeva la bambina a sé e lo fissava interrogativa, sentì tutta l'incertezza che da tempo lo stava lacerando gonfiargli il petto come un otre gonfio d'acqua.
Per quello che gli ematomi e i ponfi sul volto gli permisero, abbozzò un sorriso e tentò di tranquillizzarla, ma dubitò di riuscirvi in modo convincente.
"Ti prometto che non le farò correre inutili rischi" le disse tentando di assumere un tono rassicurante e posandole una mano sulla spalla "Resterà sempre distante dagli Un, però ora fate in fretta, non abbiamo più molto tempo" aggiunse.
Quel contatto la fece sorridere stancamente.
Solamente in parte tranquillizzata dalle parole di Saaràn, Helun volle fidarsi di lui e si rassegnò.
Annuendo mesta strinse per una spalla Gerel e la diresse verso la scala che saliva sul carro.
"Andiamo, Okhin*" disse gentile alla bambina.
(Okhin*: figlia con il nomignolo familiare).
Il volto pallido di Gerel si illuminò dalla contentezza.
Smaniava di partire ed Helun fu quasi ferita dal desiderio della figlia di andare lontano da lei, eppure si fece forza:
"Facciamo vedere a questi uomini quanto sei graziosa se ti pettini questi cespugli" le fece con una smorfia complice.
La bambina era entusiasta. Gli occhi le brillavano dalla felicità.
Le due donne si avviarono veloci per quanto permetteva la gamba zoppa della madre verso la Yurta, mentre gli uomini terminavano gli ultimi preparativi.
Saaràn rimase a guardarle mentre salivano sul carro e gli si contrassero le budella al solo pensiero di mettere entrambe in pericolo, tuttavia erano troppo pochi per potersi permettere di non farlo.
Non aveva scelta.
Se il suo piano voleva avere una reale possibilità di riuscita, tutti dovevano fare la loro parte.
Quando le due donne furono entrate nella Yurta, il Naaxia si rivolse a Omnod e a Uleg: "Siete con me?" chiese deciso a tutti e due.
Il suo volto ritornò di colpo serio e determinato.
A un cenno affermativo dei due uomini, proseguì:
"Helun con il carro andrà a Nord seguendo il greto del torrente. Il carro è troppo lento per sfuggire ai Tarpan ed è meglio che si allontani il più possibile da qui finché c'è luce. Noi tre, assieme a Gerel, invece torneremo indietro. Quando saremo nei pressi del campo Hanbakai vi dirò cosa dovremo fare".
Omnod assentì entusiasta.
Ormai avrebbe fatto qualunque cosa per il Naaxia, sopratutto ora, visto che gli Un che li attendevano erano Hanbakai.
Non gli erano mai piaciuti quei tronfi, presuntuosi, arroganti uomini della Steppa, che nemmeno partirono da Dai-Sescen come la sua Tribù, tuttavia all'interno dell'Urdu si comportavano come se fossero superiori a chiunque altro.
Al suo fianco Uleg invece grugnì scettico:
"Padrone, sei sempre dell'idea di entrare nel loro campo?" domandò a Saaràn, vedendo che i segni dei colpi ricevuti due giorni prima ancora non erano scomparsi del tutto.
Le ferite iniziavano a rimarginarsi e la pelle attorno all'occhio gonfio poco alla volta cambiava di colore, ma il Taiciuto dubitava che il fisico debilitato del Naaxia avrebbe retto altrettanto bene una seconda dose di percosse.
"Non ho scelta" gli rispose costui sincero, stupito di quell'interessamento che pareva sincero "Mi appellerò all'ospitalità e Muu-Gol sarà obbligato a concedermela".
Il servo sollevò scettico un sopracciglio.
Come tutti conosceva la fama di Muu-Gol e non si fidava di lui.
Era infido, altero e pericoloso.
All'accampamento Un girava voce che, per un motivo o per l'altro, nessun servo durasse molto al suo servizio e nessuna schiava volesse passare una seconda notte nel suo letto.
Dando voce al suo dubbio, disse:
"Ne sei certo? Non mi fido di quell'uomo. Non è come te, Naaxia".
Saaràn fu lusingato da quelle parole e vide che anche Omnod assentiva, però lo fecero sentire a disagio.
Imbarazzato preferì sottrarsi agli sguardi pieni di rispetto dei due uomini e si schernì.
Non vi era abituato, lui era il Naaxia, l'ultimo degli ultimi, il vile, il reietto, evitato anche dalle ombre dei vivi e dal Ten-gri.
L'uomo più disprezzato dell'Urdu del Khan, valido solo per essere deriso e scacciato da tutti, non meritava tutti quegli elogi.
Così era cresciuto, così era diventato adulto e così aveva insegnato ai suoi figli per prepararli al futuro che li avrebbe attesi, perciò mal sopportava di essere fissato in quel modo.
Lo metteva in agitazione da sempre, inoltre il tempo stringeva.
Dovevano ancora preparare i cavalli alla partenza.
Si allontanò veloce sottraendosi a quegli sguardi imbarazzanti e andò verso Monglik.
"Sai già cosa gli dirai?" l'incalzò il Taiciuto, seguendolo a un paio di passi.
Saaràn tornò a fissarlo, sorpreso di come sapesse esprimersi bene un servo Un.
Si domandò cosa ne fosse stato del suo popolo quando incontrò l'Urdu, anche se temeva già di sapere la risposta.
Accarezzando piano il collo del Tarpan, scosse la testa.
"No. Credo che improvviserò".
"Forse potrebbe servirti ricordargli che sei in missione per conto del Khan" azzardò a consigliargli Omnod, giunto da poco.
Saaràn storse la bocca al consiglio del giovane Scengun e strinse meglio il sotto pancia di Monglik.
Il ragazzo era un Un fino al midollo, non c'era nulla da fare.
Ci aveva già pensato anche lui.
All'inizio l'aveva valutata come la miglior cosa da fare per poter incutere nel nobile Un un minimo di soggezione, ma alla fine l'aveva scartata come tutte le altre possibilità, perché con Muu-Gol qualunque cosa poteva essere inutile.
Oltre a essere un Un-han, era un nobile a cui quasi tutto era stato concesso fin dalla nascita.
Non si faceva illusioni, quell'uomo avrebbe ceduto Saryn soltanto se fosse stato messo alle corde e Saaràn non sapeva assolutamente come farlo.
Non rispose, ma andò a prendere Filli, la legò a un anello accanto alla scala e iniziò a sellarla per Gerel.
Appena portò la giumenta accanto al carro, Bor e Dakhi sollevarono la testa, allargando le froghe e nitrendo disperati.
I finimenti che li tenevano stretti tintinnarono e la Yurta sobbalzò.
I due cavalli si agitarono facendo muovere avanti e indietro il carro.
Uleg andò a prenderli per le redini e li tenne fermi con polso saldo.
Fece il possibile per calmarli, ma seguendo la loro natura selvaggia, avvertendo la presenza della femmina in calore, i Tarpan scalpitarono ugualmente.
Anche Filli si agitò accorgendosi della vicinanza degli stalloni e mosse le orecchie avanti e indietro.
Lei era al massimo del suo calore e i giovani maschi ammattivano ad annusarne l'odore nell'aria.
Saaràn le diede dei colpetti leggeri sul collo per calmarla.
Sperò che anche al campo Hanbakai il vento spirasse dalla parte giusta al momento propizio, quando un sommesso scricchiolio della sgangherata porta della Yurta lo obbligò ad alzare la testa.
Dalla scarna abitazione in feltro ne uscì Helun, mesta e triste più di prima.
Saaràn si rattristò nel saperla in pena per Saryn e ora anche per Gerel, ma appena vide la figlia uscire dalla porta della misera capanna, il cuore gli diede un balzo tanto forte contro il costato, che gli parve volesse uscirgli dal petto.
Per un attimo ebbe l'impressione che a uscire dalla Yurta non fosse la figlia, bensì la Sua Signora, con i lunghi capelli biondi sciolti lungo le spalle, gli occhi chiari sorridenti a fissarlo e la veste color Ten-gri ad avvolgerle il corpo minuto.
Lavata, ben pettinata e vestita in quel modo, pareva più grande della sua età.
Rimase a bocca aperta a fissarla, agitato e sconvolto.
Accanto a lui vi era Omnod.
Anche il soldato s'immobilizzò nel vederla comparire sul carro.
Quando vide Gerel uscire dalla Yurta, il giovane lasciò cadere le redini del suo cavallo.
Sentendosi improvvisamente libero, il Tarpan diede uno scarto, agitato come gli altri per la presenza della femmina in calore.
L'Un si affrettò a recuperarne il controllo e a calmarlo, poi rimase incantato a fissare i capelli e gli occhi chiari di quella ragazzina, senza riuscire a toglierle lo sguardo di dosso, tanto erano particolari.
Non aveva mai visto una cosa bella come quella e ne rimase affascinato.
"Okhin, sei veramente bella" disse Saaràn con voce rotta dall'emozione. Ormai ogni reticenza al pudore era caduta.
Gli ricordava in modo incredibile l'immagine sfumata e opalina venutagli in aiuto la sera prima: gli stessi occhi, la stessa espressione soddisfatta e serena impressa sul volto pallido, gli stessi colori del vestito e dei capelli.
Aveva sempre saputo dell'affinità di caratteristiche presenti tra Gerel e la Signora dei Monti d'Oro, ma mai l'avrebbe immaginata così somigliante, tanto da poterle confondere l'una con l'altra.
Helun, malgrado il momento difficile, sorrise all'espressione buffa del compagno e del giovane Un.
"Chiudete le bocche o si riempiranno di mosche!" fece a tutti e due, sforzandosi di aggiungere un tono di scherno nella voce, mentre si avvicinava al bordo del carro.
Non lo fece per loro e tanto meno voleva prenderli in giro, ma non voleva che Gerel comprendesse quanto lei fosse preoccupata nel sapere che a breve si sarebbe avvicinata a quegli Un.
Si sforzò di essere disinvolta anche quando la accompagnò alla scala.
"Dalle una mano a scendere, altrimenti rischierà di inciampare" aggiunse verso al marito.
Saaràn fece come gli venne chiesto e spostò Filli accanto alla scaletta. Gerel non ebbe che da scendere uno scalino soltanto e sporgere la gamba oltre il dorso dell'animale.
Una volta seduta in groppa alla cavalla, padre e figlia si sorrisero.
Erano all'incirca alla medesima altezza.
Ora che la vedeva da vicino si domandò come aveva potuto confondersi. Era lei, la sua bambina, il suo Sorriso negli Occhi, eppure anche adesso, dritta ed eretta in groppa alla cavalla, la bambina sembrava più grande di quello che era in realtà.
Indicandole i capelli sciolti, Saaràn le disse:"Legali".
Se doveva assomigliare alla Signora, era meglio fare le cose fino in fondo.
Lei prese un laccio che portava al polso e si fece una coda che le scese fino a metà della schiena.
"Bene, bene" fece ancora il padre battendole la mano sulla gamba "Andiamo, allora. Allontanati dal carro perché Bor e Dakhi non sentano più Filli".
Poi, rivolto alla moglie:
"Helun, preparati a partire".
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