27) LA DIGA
Fattosi improvvisamente attento alle parole di Nuuts, Saaràn si avvicinò a Helun e, con l'animo in subbuglio, guardò incredulo quello che il Taiciuto gli indicava.
Era vero, il Taiciuto non aveva mentito.
Alcuni Togril si muovevano indaffarati attorno al recinto e li salutavano vedendoli avvicinare, eppure non poteva sbagliarsi, erano proprio i Tarpan che avevano rubato agli Hanbakai di Muu-Gol.
Quando furono a qualche decina di Tese dal recinto, Filli, la giovane pezzata di Gerel, nitrì.
A loro volta, gli stalloni chiuso nello steccato, avvertendo l'avvicinarsi di altri cavalli come loro, si avvicinarono alla staccionata e risposero al richiamo della giumenta.
Saaràn fu felice di rivederli.
Temeva di averli persi per sempre, invece erano lì, tutti quanti, sani, salvi e, a quanto poteva vedere, sazi e ben curati.
In fondo erano la ricchezza della sua famiglia, l'unica cosa che avrebbe potuto lasciare alla moglie e ai figli quando Ten-gri l'avesse richiamato a sé, per cavalcare nelle sue immense praterie.
Sollevò gli occhi al cielo, si toccò la fronte in segno di rispetto e recitò una breve e muta preghiera.
Avrebbe voluto scendere da cavallo e andare a salutarli, ma Nuuts gli fece cenno di non fermarsi e di procedere oltre.
Proseguendo lungo quella gola selvaggia, incontrarono altre centinaia di cavalli, liberi di pascolare e muoversi liberamente.
Erano cavalli Togril, neri, immensi, altissimi e imponenti anche senza bardature e cavalieri.
Anche se a prima vista quella valle gli era parsa disabitata, andando avanti poco alla volta comparvero stalle, ricoveri per animali e per foraggi, recinti per fattrici e puledri, uomini e donne Togril, pronti ad accudire tutto questo e far sì che funzionasse a dovere.
Nemmeno qui le cose erano lasciate al caso, tutto era organizzato nei minimi dettagli e gli Un poterono vedere quanto i Togril sapessero utilizzare sapientemente le risorse di quella valle, senza sprecarle inutilmente.
Infine i cavalieri si lasciarono dietro anche l'allevamento dei cavalli e si avviarono su di un terreno che si fece via via più asciutto e pietroso. Arrivati davanti a un bivio che separava la valle in due, Nuuts imboccò un sentiero ampio e comodo sulla destra, che ne seguiva il fianco.
Risalirono a lungo verso le cime delle montagne e quando arrivarono a mezza costa, le fiancheggiarono fino a un piccolo pianoro erboso dove si fermarono a far riposare i cavalli e a mangiare.
Benché il sole fosse alto, l'aria si era fatta fredda, ma non tanto gelida da risultare spiacevole.
Gli Un erano abituati a ben altre temperature e per loro quello era un clima ideale.
Scesero tutti quanti volentieri da sella, sia per far bere i cavalli che per cibarsi.
Nelle bisacce Nuuts aveva portato latte cagliato, focacce di riso e una fiasca di Arkhi, la bevanda che i Togril distillavano dal riso fermentato e che già Saaràn aveva conosciuto la sera precedente.
C'era cibo in abbondanza per tutti quanti e dopo aver lasciato andare al pascolo i cavalli, i Taiciuti e gli Un si sedettero nell'erba.
Anche Khar e Zurvas parvero gradire la sosta.
I due lupi ne approfittarono subito, andando a lappare sonoramente l'acqua di un piccolo e vicino corso d'acqua, stendendosi poi lontani dagli uomini, in un angolo assolato e riparato dal vento.
Nuuts trasse dalla bisaccia un paio di focacce di riso e gliele lanciò, perché se le potessero sgranocchiare in santa pace.
Gli unici che parevano non aver risentito in alcuna maniera della lunga cavalcata erano Gerel e Saryn, che, instancabilmente, si rincorrevano a prendersi sul prato di rada erba montana.
I Tarpan, lasciati liberi nel prato, bevevano e mangiavano senza mostrare alcun timore per la presenza dei due lupi, i quali, senza badare a loro, al contempo mangiavano e riposavano poco distante a dove essi brucavano l'erba.
Pur essendo nati per correre nella Steppa, quei cavalli si erano adattati rapidamente alle quote più elevate delle montagne, accettando le nuove condizioni di vita, così differenti da quelle a cui erano abituati, senza sforzo alcuno.
In quel luogo regnava la pace.
Saaràn, osservando i bambini e gli animali, invidiava la spensierata gaiezza degli uni e la tranquilla serenità degli altri e avrebbe voluto averne anche un poco per sé.
La giornata era splendida, il sole tiepido, l'aria frizzante e la vista sulle cime dei monti invitavano a godersi la vista di Ten-gri, eppure l'animo degli Un era talmente sconvolto da quello che avevano visto fin dalla prima mattina, che a malapena riuscivano a formulare poche e svogliate parole.
Specialmente Omnod pareva provato da quella esperienza.
Il ragazzo era taciturno, dal mattino tendeva ad appartarsi e anche ora si trovava seduto in disparte, su di un piccolo promontorio un poco discosto da dove si erano fermati gli altri.
Lo Scengun mangiava svogliatamente e si guardava attorno a scatti, come se i monti e il cielo dovessero cadergli addosso da un momento all'altro.
Tutto quanto gli pareva strano e si sentiva spaesato.
Saaràn lo comprendeva e in fondo gli faceva pena nel suo sentirsi confuso.
Per un giovane Un a cui avevano insegnato che il Creato non doveva essere modificato in nessuna sua parte, vedere cosa avevano fatto i Togril a quella valle doveva essere un boccone molto amaro da ingerire.
Inoltre essere così vicini a Ten-gri dopo aver incontrato la Lupa Azzurra del Khan, averla vista trasformarsi in donna davanti a loro e averne udita la voce, avrebbe messo a dura prova l'equilibrio mentale di qualunque componente dell'Orda Azzurra e non soltanto la sua.
Se in un primo momento aveva temuto che il ragazzo potesse creargli dei guai con i Togril, ora invece era certo che non avrebbe tentato di fuggire nemmeno se gli avesse chiesto di farlo.
No, non sarebbe fuggito, e non per viltà, ma perché non avrebbe saputo dove andare.
Ne provò compassione.
Tutti questi avvenimenti erano successi talmente in fretta, che neppure Saaràn riusciva a comprendere quale volontà superiore potesse aver riservato Ten-gri per lui e per la sua famiglia.
Era tutto così strano e incomprensibile, che neppure la sua lunga esperienza come Naaxia poteva aiutarlo a comprendere quello che stava succedendo.
Solo la fede che incondizionatamente riponeva nella Sua Signora lo sorreggeva ancora e gli dava la forza di credere che tutto questo facesse parte di un disegno in cui loro non erano altro che gli attori.
Erano tempi difficili per tutti, oscuri e strani, ma se quel ragazzo aveva riposto la sua fiducia in lui, era suo dovere di Capo cercare di rassicurarlo in qualche modo.
Helun, seduta al suo fianco, accortasi quanto il marito delle condizioni del giovane soldato, vedendo che lo teneva d'occhio, gli fece cenno di andare a parlargli.
Saaràn sospirò e afferrò la fiasca con il liquore. Nemmeno volendo avrebbe saputo cosa dirgli, eppure gli andò accanto lo stesso.
"Bevi l'Arkhi che i Togril distillano dal riso. Non è come il nostro Khumish, ma ti scalderà le ossa" disse porgendogliela.
Omnod, vedendolo sedersi accanto a lui, gli fece spazio sulla pietra.
Annuendo triste, il ragazzo prese la fiasca e ne bevve un sorso.
Il liquore era forte, amaro, pizzicava la lingua e la gola, scaldava bocca e stomaco man mano che scendeva, però non era male.
Dopo qualche smorfia, gli ripassò la fiasca.
"Grazie, Naaxia" gli fece riconoscente, eppure faticava a sostenerne lo sguardo.
Saaràn comprese che in quel momento parlare non sarebbe servito a nulla per sollevarne il morale del giovane, inoltre vide che i Taiciuti si stavano già alzando, andando verso i cavalli.
"Penso che sia tempo di andare, Omnod. Guarda... " aggiunse indicando con un dito verso l'alto "Ten-gri ci sorride, siamo ancora vivi e abbiamo buoni cavalli da cavalcare" gli disse dandogli una pacca sulla gamba "Quindi forza e coraggio. Adesso fai parte della Tribù del Signore della Steppa e devi essere preparato ad affrontare ogni cosa. Andiamo, su" aggiunse alzandosi.
Omnod, svogliatamente, lo seguì e si diresse a prendere il suo Tarpan.
Saaràn raggiunse Helun e l'aiutò a salire a cavallo.
Lui fu l'ultimo a montare in sella.
Gerel e Saryn, veloci come scoiattoli, erano già in groppa a Filli e Bor ed erano pronti per partire.
I due Taiciuti, anch'essi già montati a cavallo e immobili sulle loro alte selle, attendevano senza mostrare fretta.
Davanti a loro il sentiero, costeggiando il piccolo corso d'acqua, proseguiva in discesa.
"Dove ci porta, ora?" domandò Saaràn a Uleg, rivolgendo un cenno della testa a Nuuts.
Il Taiciuto scrollò le spalle e indicò più avanti, dove due pareti rocciose larghe alla sommità si congiungevano in basso, a formare una sella verso la quale si dirigeva il sentiero.
Parevano distanti non più di un'ora di cammino.
"Laggiù, alla diga" gli rispose, poi seguì Nuuts, che nel frattempo si era avviato marciando sulla pista.
"Una diga?" disse tra sé e sé.
Saaràn guardò perplesso Helun.
Come Cercatore di Strade sapeva cosa era una diga, nella Steppa ne aveva viste in primavera, quando neve e ghiaccio, fondendosi, con le loro acque riempivano di rami e sterpaglie i letti asciutti.
Dopo il disgelo primaverile sovente succedeva che morene di ghiaia e ciottoli ostruissero il corso di torrenti e fiumi, allagando la pianura e obbligandolo a lunghe svolte per trovare un passaggio sicuro per i carri dell'Orda.
Una volta poi, ricordava che da giovane, passando in una delle rare foreste della Steppa, suo padre gli aveva mostrato una diga di rami intrecciati costruita da grossi roditori che Ebuken aveva chiamato Castori, ma per quanto cercasse di capire come una cosa simile si fosse formata così in alto, proprio non riusciva a comprenderlo.
Proseguirono a lungo, scendendo poco alla volta lungo il sentiero che conduceva alla sella rocciosa.
Seguendo il corso del torrente, avanzarono lenti e senza parlare.
La stanchezza per la lunga cavalcata iniziava a farsi sentire e le parole venivano meno davanti alla bellezza dei paesaggi montani che di volta in volta gli Un incontravano.
Anche Omnod, benché seguitasse a tenersi un poco discosto dagli altri, parve esserne incantato.
Quando poi giunsero in cima a un leggero promontorio che dava proprio sulla sella che volevano raggiungere, sotto di essi i cavalieri videro comparire un lago di un paio di Tesen di ampiezza.
Tondo, calmo, racchiuso da una parte dalla sella stessa e tutto attorno da pareti che cadevano a picco nelle sue acque, il torrente di cui avevano seguito il corso, vi si immetteva alimentandolo.
Lo specchio d'acqua era profondo abbastanza da non vederne il fondale, con una superficie blu cobalto talmente intenso da far pensare che Ten-gri stesso gliene avesse fatto dono.
Non era il primo lago che Saaràn vedeva, anzi, nella Steppa era frequente trovarne anche di molto più ampi di questo, ma trovarselo davanti così all'improvviso e vederlo dall'alto, gli fece comunque un'impressione che non aveva mai provato prima.
Non se lo aspettava.
Nemmeno pensava che potesse esistere una cosa simile, posta così vicino a Ten-gri.
Poi quel colore, così intenso, così uniforme, che gli rimandava l'acqua, quasi facesse parte del cielo stesso, lo colpì talmente a fondo che si fermò un attimo ad ammirarlo. Voltandosi vide che la vista di quel lago montano non suscitò sorpresa soltanto in lui, ma anche a tutti i suoi compagni, compreso Omnod, che fermandosi al suo fianco ne fissò le acque come fossero una rivelazione.
Scendendo lungo un ripido sentiero ne raggiunsero le sponde, poi lo costeggiarono fino a raggiungere la sella formata dai due costoni di roccia e qui, proseguendo oltre senza fermarsi, videro che le acque del lago erano trattenute dal cadere in basso da una palizzata costruita in enormi tronchi di legno affiancati gli uni agli altri, rivestiti all'interno da un secondo e più spesso strato di pietre cementate a dar forma alla diga vera e propria.
Essa era un semicerchio rivolto verso l'interno del bacino, alto cinque o sei Tese e largo almeno venti, che si estendeva tra una parete rocciosa e l'altra, bloccandone completamente il passaggio.
L'acqua del lago, frusciando sommessamente, tracimava dalla sua sommità formando una cascata che, cadendo a valle per alcuni Tesen, raggiungeva in basso il letto del torrente.
Marciando uno dietro all'altro, i cavalieri passarono accanto a enormi ingranaggi che sormontavano la diga interna.
Grosse catene in ferro, collegate le une alle altre a canali e passaggi che sparivano inoltrandosi nella montagna, si muovevano lente.
Davano l'idea di essere massicce e molto pesanti.
Saaràn non aveva mai visto una cosa del genere e nemmeno riusciva a immaginare a cosa servissero sia gli uni che le altre, però non poté non ammirarne l'imponente complessità e l'ingegnosità necessaria nel realizzarli.
Man mano che scendevano lungo il sentiero, costeggiando per intero tutta l'opera necessaria per la realizzazione della diga, prima di allontanarsi abbastanza da perderla di vista, al pari suo, anche Helun, Saryn, Gerel e Omnod rimasero a bocca aperta davanti alla grandiosità di quella costruzione, che rivaleggiava in grandezza e bellezza con il Castello di Pietra stesso.
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