27) CORSA CONTRO IL TEMPO
"Cosa succede, Tunsh?" fece Helun, rivolgendosi allarmata a Saaràn.
"Ho commesso un errore, imperdonabile forse" rispose lui, guardandoli tutti quanti, uno per uno.
"Se vogliamo salvare Saryn, dobbiamo fare in fretta. Questa sera stessa, altrimenti potrebbe essere tardi" aggiunse grave.
"Cosa, cosa!" affermò agitata Helun.
Abbassando la testa e mormorando piano, Saaràn riprese confessando il suo pensiero:
"Domani mattina gli uomini inviati da Kutula per prendere le ruote, partiranno dall'Urdu e seguiranno il greto del torrente per raggiungere i Monti".
"Allora?" fece agitata la donna.
"Hanno con sé un carro Un. Andranno piano, si muoveranno lentamente, però, prima o poi, finiranno per incontrare il campo di Muu Gol. Impiegheranno due, tre giorni al massimo per trovarlo".
Il giovane Scengun lo fissò incerto, dicendo a sua volta:
"Allora? Lo sapevamo che sarebbero partiti due giorni dopo di noi. Quale è il problema?".
Helun annuì, approvando quello che diceva il giovane.
Era attenta e decisa a non farsi sfuggire nemmeno una sillaba, perché temeva che il problema riguardasse suo figlio, però anche lei faticava a comprendere cosa angustiasse Saaràn.
Andando con lo sguardo ora al marito, ora al giovane Un, attese che uno dei due dicesse ancora qualcos'altro, in modo che tutti comprendessero, tuttavia il silenzio del marito si protrasse ancora, pensieroso, a fissare nella fiamma del fuoco di sterco.
La donna fece una gran fatica a trattenersi.
Avrebbe voluto sapere per appagare la propria ansia in fretta, invece dovette attendere.
Uleg, vedendola in quello stato d'agitazione, abbassò gli occhi, lisciò a lungo il cappuccio del cappello appoggiato sul petto e strinse nel pugno la sfera di ferro che aveva appesa all'anello.
Lui aveva capito a cosa alludeva il Naaxia.
Anche l'anziano servitore fissò il focolare e grugnì sommessamente.
Al Nonun la fame passò del tutto.
Posò il piatto in terra e cinse le ginocchia con le braccia.
Non sarebbe stato lui a dire alla donna quello che passava per la mente al Naaxia.
"Kutula non mi disse quanti uomini avrebbe inviato e..." fece ancora pensieroso Saaràn, ma non ebbe il tempo di terminare la frase che venne interrotto da Omnod:
"Lo so io, Naaxia. Una centuria, oltre ai mandriani per i buoi. Me lo disse quando mi diede l'incarico di seguirti".
Saaràn sospirò e annuì alla notizia.
Non pensava fossero così tanti e questo non faceva che confermare i suoi timori.
Proseguì:
"Quando Muu Gol si accorgerà che siamo riusciti a sfuggirgli, se non vorrà dare troppe spiegazioni al Khan, dovrà spostare campo e uomini e far scomparire tutte le tracce del suo misfatto" disse piano, scandendo ogni parola come fosse una sentenza a morte.
Si sentiva in colpa, quasi che avesse abbandonato suo figlio al proprio destino senza fare nulla.
"Saryn!" urlò quasi Helun.
Ora aveva capito quali fossero i timori del marito e ne ebbe paura.
Saaràn annuì.
"Sentendosi in trappola, potrebbero portarlo con loro, oppure ucciderlo. Non lo so" fece ancora, scuotendo la testa.
Fissava un punto indistinto nel fumoso focolare e stringeva a sé Gerel come temesse di perdere anche lei.
"Per Muu Gol, Saryn ha un grande valore se riesce a eliminare me, altrimenti potrebbe considerarlo inutile e disfarsene in fretta. Attenderà ancora il mio arrivo qualche ora, chissà, forse fino a questa sera, ma quando non mi vedrà arrivare e saprà di non poter attendere oltre, smonterà il campo e scapperà. A quel punto i suoi piani saranno falliti e non so cosa potrebbe decidere di fare. Un nobile Un-han, fuori dell' Urdu si sente perso. Forse tenterà di rientrare il prima possibile con Saryn all'Urdu, cercando di inventarsi qualche storia. In tal caso lui e i suoi uomini ritorneranno alla spicciolata, separandosi in tanti piccoli gruppi per non dare nell'occhio. Oppure, cosa che ritengo improbabile, potrebbero anche fuggire nella Steppa con Saryn e non sapremo più dove trovarlo. Oppure potrebbero..." terminò scuotendo mesto il capo.
Non volle proseguire.
L'ultima alternativa rimasta sarebbe stata troppo dolorosa, per poterla anche solo pronunciare davanti alla moglie.
Si passò una mano davanti agli occhi come per scacciare un'immagine molesta e sospirò "... dobbiamo agire subito, prima di sera".
"Sai già come fare?" domandò Uleg, parlando per la prima volta.
La voce del Taiciuto era tetra e cupa come il suo sguardo.
Saaràn scosse la testa con una luce disperata negli occhi.
"Solo un'idea, niente di più" disse fissando Helun.
"Ossia?" fece lei, desiderosa di sapere tutto, fin nei minimi dettagli.
"Andrò nel campo di Muu Gol e gli parlerò".
Attorno al focolare cadde improvvisamente il silenzio.
Ad eccezione di sua figlia Gerel che lo guardò sorridendogli felice, tutti gli altri, Helun, Omnod, Uleg medesimo, lo fissarono come se avesse perso la ragione.
Incurante degli sguardi torvi degli altri adulti, la bambina si rivolse direttamente al padre.
"Giusto, Aab!" fece seria.
Seguendo l'esempio della madre, anche lei diede al padre l'affettuoso nomignolo domestico, generalmente riservato ai momenti più intimi e raccolti della famiglia:
"Potresti prendergli i cavalli, così imparerebbero a far del male ai bambini!".
Saaràn la guardò come se la vedesse per la prima volta in vita sua. L'imbarazzo che poteva provare davanti ad altri uomini nel sentirsi chiamare in quel modo, andava oltre al pudore ormai.
A dire il vero, nemmeno ci pensava più a quello.
Nelle ultime ore era stato talmente preoccupato per il destino del figlio, da aver trascurato Gerel e aver dimenticato che anche lei aveva subito una tremenda violenza da parte di Muu-Gol e dei suoi uomini.
Tenendola stretta a sé, scrutò il visino sporco e rigato dalle lacrime che lo guardava da sotto in su.
I capelli biondi le ricadevano spettinati sulle spalle strette che non riempivano i vestiti troppo larghi.
Era sempre lei, con le mani piccole e le gambe smilze, eppure negli occhi azzurri le brillava una determinazione fredda e spietata, che andava oltre alla sua età.
Lo guardava fisso per nulla intimorita dallo sguardo rude del padre, benché fosse deturpato dall'occhio gonfio e dai bozzi lividi che lo ricoprivano in parte.
Non l'aveva mai fatto prima.
Quello che Saaràn vedeva riflesso in quegli occhi trasparenti non era più lo sguardo innocente di una bimba di nove anni, ma quello di una donna fermamente decisa a vendicarsi per un torto subito ingiustamente.
Anche se Gerel gli sorrideva, nella sua giovane mente c'era qualcosa che forse non sapeva esprimere chiaramente a parole, ma che Saaràn intuì, intravide e seppe leggere nel fondo di quegli occhi chiari, traducendola come una richiesta nemmeno troppo velata di potersi vendicare con le proprie mani su chi le aveva fatto del male.
Poco per volta un pensiero dapprima latente maturò nella testa dell'uomo, trasformandosi e passando dallo stadio di intuizione a idea.
Vedendolo pensieroso, quasi come se riuscisse a seguirne il filo dei pensieri, Gerel aggiunse ancora:
"Io e Filli verremo con te, Aab. Li farà correre tutti dietro a lei, vedrai. In questi giorni Bor e Dakhi non fanno altro" aggiunse ingenuamente.
Helun fece un debole sorriso e distolse lo sguardo dagli uomini.
Saaràn inarcò le ciglia e guardò la moglie.
"È in calore" mormorò, così piano che gli altri quasi non udirono le sue parole.
Saaràn s'incupì per un attimo.
Si era dimenticato che un paio di giorni prima avevano dovuto separare la giumenta dai maschi per non avere lotte tra i Tarpan, però forse Gerel aveva ragione a pensare che la cosa avrebbe potuto tornare utile.
Ora, nella mente agitata del Naaxia, dal piccolo germe da cui era scaturita un'idea che sulle prime pareva avventata, veniva poco alla volta a formarsi un piano che forse avrebbe potuto funzionare.
Dove prima c'era soltanto un gesto impotente dettato dalla disperazione, ora poco alla volta cresceva la speranza.
Doveva soltanto riuscire a far coincidere nel modo giusto tutti i tasselli che si presentavano in modo disordinato nella sua mente e forse,... forse..., quello che all'inizio era soltanto una mossa disperata, poteva assumere i contorni di un piano certamente ardito e pericoloso, ma che, se ben congegnato, poteva anche funzionare.
Gerel sapeva reggere bene il galoppo di un Tarpan, amava la velocità e non aveva paura di nulla.
Era piccola, ma ardita.
Inoltre, leggera com'era, poteva galoppare nella Steppa più veloce di molti uomini e Filli, sebbene fosse ancora giovane, era sempre desiderosa di correre appena ne aveva la possibilità.
Sì, poteva funzionare.
Raccolse tutti i brandelli di idee che man mano gli venivano in mente e alla fine di un silenzio che agli altri parve interminabile, parlò, sorprendendoli tutti.
Nessuno di loro credeva che avrebbe accettato la proposta della bambina.
"Verrai con me, allora" disse invece a Gerel battendosi una mano sul ginocchio.
Helun, presa alla sprovvista dall'affermazione del marito, rizzò la testa, Con lo sguardo di chi non credeva alle proprie orecchie, passava le occhiate dalla bambina al marito senza sapere su chi dei due fermarsi prima.
Li guardava entrambi come se li giudicasse impazziti.
Sapeva che la loro situazione era disperata, ma credeva che la figlia sarebbe rimasta al suo fianco, al sicuro sul carro.
Non le piaceva l'idea di saperla in pericolo.
Scambiò uno sguardo veloce con Saaràn per protestare la sua contrarietà, ma quando ne vide la preoccupazione scolpita nei lineamenti del volto, desistette e non disse nulla.
Saaràn lo capì e la implorò con gli occhi di stargli accanto.
Anche i suoi occhi erano tristi e il suo animo era lacerato dal dubbio.
Anch'egli, dopo quello che era successo a entrambe le sue donne con gli Un di Muu Gol, avrebbe preferito saperle lontane e al sicuro, eppure, se volevano salvare Saryn, non avevano altra scelta che correre tutti quanti dei rischi.
Ormai aveva deciso. Fissando la moglie perché lo sostenesse, parlò ancora alla figlia.
"Tu e Filli cavalcherete assieme a me e Monglik" disse sorridendole.
Il volto della bambina si illuminò dalla contentezza.
Con un gesto veloce si mise in piedi e gli saltò al collo, stringendo forte le braccia proprio dove il Syedan aveva lasciato profonde escoriazioni nella pelle.
Egli, preso alla sprovvista, faticò a frenare un gemito di dolore.
Spalancò gli occhi trattenendo il fiato e lentamente le spostò le braccia per sciogliersi dal suo abbraccio.
"Non ci rimane molto tempo, però" aggiunse appena poté ancora parlare "Smontiamo il campo, poi vi dirò la mia idea".
Tutti acconsentirono e si misero all'opera.
Lavorarono alacremente per una buona mezz'ora, in silenzio.
Con l'eccezione dell'eccitata Gerel, tutti gli adulti erano scuri in volto e Saaràn era il più cupo di tutti.
Quelli che precedettero la partenza furono momenti concitati per lui, che passò tutto quel lasso di tempo con addosso la costante, opprimente sensazione di essere in ritardo e di aver preso la decisione sbagliata.
I dubbi spadroneggiarono liberamente nella testa del Naaxia e l'unico pensiero fisso che ebbe per tutto quel tempo, fu di partire il prima possibile.
In fondo, quello che provava nel suo animo tormentato aveva un nome solo: paura, di Muu-Gol.
La ferita alla schiena gli bruciava come non faceva da anni, quasi volesse rammentargli costantemente con chi aveva a che fare, ma per quanto gli fu dannatamente difficile riuscirci, non volle lasciarsi condizionare dai ricordi.
Era già troppo terrorizzato da quello che rammentava della malvagità di Muu-Gol per poterselo permettere e pensava in modo frenetico cosa avrebbe potuto dire al nobile Un, per convincerlo a lasciare andare Saryn senza fargli del male.
Valutava ogni soluzione che l'agitazione del momento gli portava alla mente, ma poi una a una le scartava tutte prima ancora di poterle sondare a fondo, giudicandole inappropriate.
Era troppo affannato per riuscirci.
Macchinalmente eseguiva quello che doveva essere fatto per la partenza immediata, effettuando gesti dettati dall'abitudine di una vita intera.
Era costantemente sovrappensiero, pensava e ripensava a qualunque cosa, anche se nessun pensiero sembrava tanto persistente da rimanergli in testa per più di una manciata di secondi di fila, prima di passare a fissarsi su qualcos'altro.
Essi venivano rapidi alla sua mente così come svanivano, luci improvvise che subito si spegnevano, lasciando dietro di sé solo vuoto e terrore.
Ripeteva azioni concitate senza fermarsi un solo momento.
Le sue mani lavoravano veloci per tenersi impegnato, eppure la mente era sempre rivolta verso il campo Un dove sapeva che poteva esserci il figlio imprigionato.
Voleva evitare di pensare al peggio, tuttavia una morsa angosciante gli serrava la bocca dello stomaco e gli toglieva il respiro.
Voleva finire i preparativi, partire, andare, mettersi in movimento, perché quella, al momento, era l'unica certezza che aveva.
Automaticamente prese una vacca che ruminava tranquilla accanto a lui, la avvicinò alla stanga per attaccarla al carro e, ancora sovrappensiero, fu allora che si ricordò del lavoro che aveva assegnato al mattino a Uleg.
Solo allora si rese conto che ancora non sapeva se il Taiciuto fosse riuscito a sistemare le cinghie per i cavalli, oppure no.
Anche quello poteva essere un particolare importante e non poteva essere trascurato, se non voleva che rimanesse solo un esperimento inutile.
O peggio ancora pericoloso, perché a non essere sicuro del risultato ottenuto, avrebbe potuto mettere in pericolo la vita di Helun che quel barroccio doveva guidarlo.
Sospirò. Si costrinse a calmarsi e a scordarsi di Muu-Gol per qualche minuto.
Studiò attentamente le modifiche effettuate dal Taiciuto in sua assenza.
Prima di esprimere un parere, volle farle sue in ogni loro parte.
Ogni dettaglio venne accuratamente controllato.
Le osservò con cura. Tenendole in mano le seguì una alla volta e ne immaginò l'effetto che avrebbero fatto sul traino del carro.
Vide che Uleg le aveva spostate da dove aveva pensate di posizionarle lui, mettendole davanti.
Da dietro ai bovini le aveva portate di fronte alle quattro vacche e non erano più tre come aveva pensato lui, ma soltanto due, una per lato della stanga.
Il servo aveva modificato anche le redini per il guidatore, allungandole fino ai cavalli di testa e facendole terminare con un gancio a scatto da agganciare ai morsi per direzionare la pariglia.
Per lui era tutto strano e nuovo.
Non avrebbe saputo dire se quello che vedeva sarebbe stato efficace o meno per quello che voleva ottenere.
Guardò interessato ogni particolare e a un certo momento si rese conto di avere addosso a sé lo sguardo incuriosito del Taiciuto.
Il servo attendeva in silenzio un suo responso, attaccando una vacca dall'altra parte della stanga, in attesa di essere interpellato.
Il Nonun non parlava, non fiatava, lo guardava appena di sottecchi per timore di essere invadente.
I lunghi anni passati al servizio degli Un gli avevano lasciato nell'animo quella traccia di sottomissione che difficilmente avrebbe potuto essere cancellata, così Saaràn, appena se ne rammentò, non perse tempo in convenevoli inutili e andò diritto al punto.
"Funzionerà?" gli domandò secco e il servo, con una scrollata di spalle e un cenno incerto della testa, gli trasmise il suo dubbio.
Nemmeno lui lo sapeva.
Saaràn apprezzò la sua sincerità, ma non poteva permettersi il lusso di avere dei dubbi oltre a quelli che già lo tormentavano:
"Funzionerà!" aggiunse con una convinzione disperata, che gli venne soltanto dal non aver alternative, poi:
"Helun, Gerel!" chiamò forte "Prendete Bor e Dakhi e portateli qua. Proviamo il vostro lavoro!".
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