25)SPERANZA
Prima di potersi fermare a riprendere fiato, Saaràn fece ancora altri tre viaggi con la barella.
Le gambe e la schiena gli dolevano da morire, ma era contento di aver potuto essere utile in qualche modo a quella gente.
Durante uno di quei tragitti aveva visto Neko terminare la terribile cernita e seguirli da vicino, tenendo la torcia bene in alto perché riuscisse a illuminargli la strada.
Erano gli ultimi.
Ormai era quasi del tutto buio e anche Ten-gri sembrava sul punto di esplodere.
Da un momento all'altro avrebbe iniziato a piovere.
I fulmini illuminavano di luce vivissima lo spiazzo accecando gli occhi e i tuoni, vicinissimi e assordanti, non cessavano uno dall'altro.
Il vento, soffiando a folate sempre più intense, scuoteva le fiamme delle torce minacciando di spegnerle ad ogni sbuffo.
Dopo un ultimo boato deflagrato proprio sopra le loro teste, iniziò a piovere.
Poco avanti che il temporale diventasse uno scroscio, l'ultimo ammalato trovò riparo all'interno di una delle case e il vecchio guaritore fece il suo ingresso nel locale dietro alla barella, al Naaxia e il giovane Togril che la trasportavano.
Erano tutti e tre senza fiato, spossati dallo sforzo e dalla corsa.
Quella era il quarto alloggiamento per gli uomini che raggiungevano.
Dai primi tre avevano dovuto allontanarsi, perché da nessuna parte vi erano posti liberi e anche in quella fecero fatica a trovare ancora un posto libero.
Per tutto il tempo Neko li esortò:
"Presto, fate presto!" seguitava a dirgli, poi, trafelato per l'agitazione e la fatica, il Curandero rimase sulla porta a osservare fuori, verso la pioggia che aumentava rapidamente d'intensità.
Le labbra del vecchio si muovevano appena a mormorare qualcosa, gli occhi, pieni d'angoscia, fissavano lo spiazzo illuminato dai fulmini.
Il vento sollevava le frasche delle tettoie e i malati, i moribondi che aveva dovuto abbandonare senza cure nel pianoro, gemevano dalla paura.
Dovendo anteporre la salvezza di coloro che avevano più probabilità di guarire a quella di chi il morbo aveva condannato a morire, Neko aveva compiuto l'atto più difficile per un guaritore.
Aveva dovuto scegliere a chi dare una possibilità.
Sapeva di non aver avuto altra scelta che questa, tuttavia non poteva non provare la netta sensazione di aver fallito.
Impotente a salvarli tutti, si appoggiò allo stipite della porta.
Saaràn gli si avvicinò da dietro e gli posò una mano sulla spalla: pensava di capire cosa provasse in quel momento il vecchio, ma aveva bisogno di sapere qualcosa di sua moglie e dei suoi figli.
Aveva bisogno di saperlo.
Quando Neko avvertì il contatto della mano sulla spalla si riscosse e si voltò.
Per un attimo scrutò l'Un che aveva accanto con sguardo trasognato, quasi non si ricordasse di lui, poi lentamente gli si incresparono le labbra.
Sul suo volto comparve un sorriso stanco, distrutto dalla fatica e dal dolore, ma sincero.
"Grazie" gli disse nella sua lingua "Almeno questi sono al coperto".
"Ce ne sono tanti?" gli domandò il Naaxia.
Neko annuì stancamente, sorrise di nuovo, ma questa volta più per se stesso che per l'Un.
"Molti, per fortuna. È da questa mattina che li stiamo spostando al sicuro.
Abbiamo riunito al Castello i malati di tutta la valle. Li abbiamo portati qui per separarli dai sani e poterli assistere meglio. Quelli..." aggiunse indicando con il capo verso lo spiazzo da cui provenivano i lamenti di coloro che erano rimasti sotto il temporale "Sono i più gravi. Per loro non posso fare più nulla, se non averne compassione. Molti di essi moriranno prima che smetta di piovere e molti altri non arriveranno a domani mattina".
Profondamente addolorato nel saperlo, ma non riuscendo a trattenersi oltre, Saaràn gli domandò: "La mia famiglia, sai dove si trova?" e lo vide agitare il capo, voltandolo da una parte e dall'altra quasi a orientarsi, per poi annuire verso la direzione giusta.
"Sono nella zona delle donne" gli disse dopo un po' "Tua moglie e i tuoi figli sono salvi, anche se per la tua donna ho temuto il peggio fino a stamani. A loro badano mia moglie e le mie figlie".
A quella notizia, il volto di Saaràn s'illuminò, ma Neko si affrettò a trattenerlo dal lasciarsi prendere troppo presto dall'entusiasmo. Staccandosi dallo stipite della porta, lo afferrò saldamente per le braccia.
"Ascolta, uomo. È ancora molto grave e non del tutto fuori pericolo. Ho buone speranze che guarisca, ma..." gli disse fissandolo molto serio in volto, quasi a volerlo ammonire dal lasciarsi prendere dalla speranza "prima che tu la veda desidero che tu sappia delle cose. Frassinella mi ha detto chi sei e cosa sei diventato per gli Un ed è giusto che tu conosca quello che attende la tua gente se verranno in contatto con quello che vi è qui. Questo morbo è infido, quanto colei che lo ha portato a queste persone. Si trasmette con una velocità incredibile da un corpo all'altro e una volta che il contagio ha iniziato a circolare, vi è ben poco che si possa fare per fermarlo".
Vedendo che il Naaxia si era fatto attento, lasciò la presa e tornò a fissare la pioggia battente e lo spiazzo ormai al buio.
I lamenti degli ammalati erano diventati deboli mormorii che si udivano appena.
Soverchiate dal suono dell'acqua che scrosciava, le loro voci a stento giungevano fino alla camerata.
Il temporale aveva spento tutte le fiaccole sotto i ricoveri e il vento spazzava le frasche che li ricoprivano, staccandole una a una e sollevandole in aria come fossero piume.
Solo i fulmini illuminavano per pochi attimi la tragedia che si stava consumando davanti ai due uomini, poi tutto tornava scuro.
Ad ogni lampo Neko sussultava, ad ogni tuono gemeva per coloro che erano rimasti fuori, abbandonati a se stessi.
La voce ridotta a un sussurro faticoso, riprese a parlare:
"Prima la febbre, altissima; la dissenteria da lì a poco, poi la tosse, il sangue nei polmoni, il delirio" la voce rotta all'improvviso si zittì.
Dopo un momento di silenzio riprese a dire: "Poco prima di giungere alla fine, il sangue inizia a colare dal naso... in seguito muoiono soffocati. Era quello che controllavo prima, se vedevo sui volti di quei disgraziati tracce di sangue colare dal naso. Alcuni Togril sono apparentemente immuni alla malattia, come i ragazzi che mi aiutavano a spostare gli ammalati. Altri, i primi a essersi contagiati, anche se non rapidamente come hai potuto fare tu, hanno già ripreso a camminare. Li hai visti, sono bravi ragazzi e prestano soccorso ai loro compagni come possono. Su tre di essi che si ammalano, uno muore e di quelli che non muoiono, non so quanto sia grazie ai rimedi che ho somministrato loro o alla sorte. Per fortuna le donne sono meno soggette al morbo, ma rispetto agli uomini la mortalità sale di molto: una su due non ce la fa. I bambini ne sono quasi immuni, tuttavia non mi chiedere il perché, perché non lo so. E questo è tutto. Non so tantissime cose di questa malattia, però una cosa l'ho imparata: mai abbassare la guardia. Un paziente che pare sul punto di guarire, di punto in bianco inizia a tossire sangue dal naso e ti muore tra le braccia, senza che tu possa fare nulla per salvarlo. Puoi soltanto stargli accanto e vederlo soffocare con i polmoni pieni di liquido. Una morte... orrenda. Sono trascorsi appena cinque giorni da quando Gioturna è ricomparsa e già si contano centinaia di vittime, ma per fortuna il peggio sembra essere passato. Dopo la prima ondata, i contagi sembrano diminuire. Al villaggio, giù a valle, appena i Togril si rendono conto di avere la febbre vengono quassù, dove abbiamo organizzato alla bell'e meglio quello che hai visto e facciamo il possibile per curarli. Anche se il vento quasi sicuramente distruggerà del tutto i ripari che abbiamo costruito per loro, se non altro questo temporale ci eviterà di lavare via da terra i loro escrementi. I morti li riportiamo a valle e li seppelliamo in fosse comuni, li cospargiamo di calce e li affidiamo al vostro Ten-gri. Come avrai notato, in questo momento Togriluudyn è indifesa e non sopporterebbe un attacco in massa, ma chi attaccasse ora questa valle, distruggendola segnerebbe anche la sua fine". Si zittì, guardando in alto.
La pioggia pareva calmarsi un po', cadendo fine e leggera.
Il vento concedeva una tregua. Di quando in quando un fulmine illuminava il cielo, seguito dal crepitare di un tuono sempre più distante.
Il temporale si stava allontanando.
Neko sospirò e si voltò a guardare Saaràn:
"Questo era tutto quello che avevo da dirti. Ora, se vuoi, ti accompagno dalla tua famiglia".
A un cenno affermativo del Naaxia, presa una torcia appesa al muro, il vecchio uscì e lo precedette.
Marciando rasente ai muri per sfuggire alla pioggia, si diresse verso le scuderie.
Saaràn, quasi si vergognasse di guardare quello che era successo nella piazza d'armi del Castello, evitò di voltarsi verso i ripari degli ammalati e si concentrò nel seguire il guaritore che procedeva spedito, senza incertezze, alla scarna luce della fiaccola.
I due uomini superarono altri alloggiamenti delle truppe, ora trasformati in ricoveri.
Dentro, illuminati da torce crepitanti, Saaràn vide che erano pieni di uomini stesi su semplici pagliericci.
Passando davanti alle porte e alle finestre lasciate aperte nonostante il forte vento, Neko sostava per pochi momenti davanti ad ognuna.
Facendosi vedere, accennava gesti rapidi a questo o a quel Togril che prestava soccorso ai suoi compagni, domandando se tutto andasse bene o se avessero bisogno di qualcosa.
Mentre il Naaxia attendeva che il guaritore riprendesse il cammino, annusava gli intensi aromi balsamici che saturavano l'aria di quegli stanzoni e il profumo di aceto, che da quel giorno avrebbe ricordato come l'odore della pulizia, della guarigione e dell'ordine.
Procedendo lesti oltrepassarono ancora altri quattro o cinque stanzoni.
Tutti uguali, tutti pieni di ammalati e di speranza.
L'Un perse il conto di quanti ne avessero visti, poi finalmente giunsero al primo di essi riservato alle donne.
Quando se ne rese conto, Saaràn divenne impaziente.
Helun doveva essere vicina.
In preda all'ansia sbirciò dentro, alla ricerca dei suoi famigliari.
Non li vide, però notò subito che in quegli stanzoni le condizioni delle pazienti erano differenti rispetto a quelli riservati agli uomini.
Le donne stese sui pagliericci erano in minor numero e alcune di esse camminavano senza essere sostenute.
Attorno a queste vi erano nugoli di marmocchi e prestavano soccorso come potevano alle madri dei bambini.
Tra queste Togril vide muoversi alcune Yaonai.
Lente e diafane, le donna della foresta procedevano meticolose tra un giaciglio e l'altro.
Comprese subito che a loro erano affidate le cure delle pazienti più gravi.
Quando vide Neko fermarsi a parlare con una di esse che vedendolo arrivare lo aveva raggiunto, la riconobbe subito: era quella che aveva curato il braccio di Frassinella al loro arrivo alla Foresta Scura.
Le altre dovevano essere alcune delle figlie che l'uomo aveva avuto da lei.
Neko, dopo un breve scambio di parole con la moglie, prendendo per mano la Yaonai la portò vicino all'Un e glielo presentò, pronunciando delle parole in una lingua dolce e armoniosa, di cui Saaràn non conosceva il significato, ma che si ricordò di aver già udito.
Se avesse potuto capirla, avrebbe inteso il guaritore pronunciare queste parole:
"Mia cara, costui è il Naaxia, l'uomo di cui ti avevo già parlato", invece all'uomo della Steppa parve di udire un suono simile al soffiar del vento tra i rami in primavera.
La donna era di una bellezza sopraffina, delicata, di uno squisito splendore che una maturità che ancora non increspava la pelle in minuscole imperfezioni, le rendeva merito nel massimo del suo fulgore.
Vedendolo, la Yaonai lo riconobbe e gli fece un garbato cenno con il capo.
Gli rivolse uno sguardo prolungato, penetrante, curioso e indagatore al tempo stesso, che lo mise a disagio, per l'intensità con cui lo fissava negli occhi.
Rivolgendosi al marito, la Yaonai gli sussurrò qualcosa, che in seguito Neko tradusse per l'Un.
"Dice che si ricorda di te ed è lieta di vedere che ti sei già rimesso in forze. Il sangue Yaonai che ti scorre nelle vene deve averti aiutato a riprenderti prima di tutti gli altri".
Saaràn rimase sorpreso.
"Lei sa che io... che Frassinella, sì... insomma..." farfugliò non riuscendo a pronunciare coerentemente le parole che voleva dire, ma Neko comprese ugualmente quello che l'Un voleva intendere e gli sorrise.
Con un gesto circolare di un dito si indicò gli occhi e poi lo stesso fece verso quelli di Saaràn.
"Sono questi" gli disse "È il sangue Yaonai che ci scorre nelle vene a darceli. Solo a noi è concesso averli. Tu, io, tuo figlio, tutti noi siamo facilmente riconoscibili, grazie a questi Occhi Limpidi".
"Anche mia figlia, allora..." aggiunse insospettito, ma Neko scosse la testa.
"Tua figlia non ha soltanto il medesimo sangue, lei è una Yaonai. Pensavo lo sapessi, ormai. Gerel è unica nel suo genere, una cosa mai vista prima nemmeno dalle Yaonai stesse. Frassinella le ha donato una parte di sé, le ha passato la Scintilla di Vita che ormai mancava alla bimba che stava morendo nel ventre di tua moglie. Senza il suo intervento, Gerel non sarebbe mai nata viva".
Turbato da quelle parole e scosso dallo sguardo persistente della Yaonai, Saaràn abbassò lo sguardo.
Dentro di sé aveva sempre saputo che Gerel era una bambina speciale, unica nel suo genere.
Fin da quando appena nata aprì gli occhi e li fissò su di lui, aveva avvertito che non era una di loro.
Non era mai stata una Un, lo sentiva, era troppo diversa dalle altre bambine, dentro e fuori.
Era troppo simile alla sua Signora per non esserlo e ora lo capiva, eppure scoprirlo lo colpì duramente ancora una volta.
Dopo le parole di Frassinella aveva accettato il fatto che Gerel fosse figlia di due madri, tuttavia aveva custodito dentro di sé l'illusione che in qualche modo ella fosse anche sua, la sua Luce degli Occhi come aveva sempre pensato.
Adesso invece aveva compreso che non era per nulla così e la rivelazione lo affranse.
"Allora non è mia figlia. Gerel ha solo due madri e non un padre, è così? È questo che mi stai dicendo?".
Neko accennò una conferma che ferì Saaràn forse più di uno spillo inserito a forza nel cuore, però si affrettò anche a dirgli:
"Lei era e sarà sempre tua figlia, perché lei ti considera suo padre.
Tu sei colui che l'ha allevata e amata da quando è nata. Tu stesso non appartenevi del tutto a tuo padre, ma Ebuken ti ha mai fatto capire che la cosa gli pesasse?".
Sebbene dovette riconoscere che c'era del vero nelle parole del vecchio, Saaràn non ne era del tutto convinto.
Annuì soltanto per non offenderlo e quando Neko si separò dalla moglie per proseguire, lo seguì volentieri, mal sopportando ancora lo sguardo fisso su di lui della Yaonai.
La pioggia, all'esterno dello stanzone, andava riprendendo forza e lui aveva sempre più desiderio di ritrovare Helun.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro