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2) KHARANKHUI OI (La Foresta Scura-Prima parte)

Portando la lampada a olio davanti a sé e con il cuore che balzava forte nel petto dall'emozione, Saaràn seguì Frassinella nella stanza accanto.

Al debole chiarore della fiammella intravide dove Kha-Cik aveva il giaciglio.

Appena entrata, la Yaonai si diresse subito verso l'animale ferito.

Dopo aver teneramente salutato il lupo con una carezza sul capo, l'Un vide la donna tornare verso di lui con la mano tesa a prendere la sua.

"Vieni, Saaràn, è ora di andare" gli disse indicando verso un tratto umido nella parete in pietra.

Di là, di quando in quando, si udiva cadere una goccia d'acqua a terra.

L'uomo sbarrò gli occhi nel vederlo e lo sgomentò aumentò.

Su quella parete non vi era altro che roccia solida e uno spesso strato di muschio.

E acqua, che vi colava sopra prima di sgocciolare sul pavimento.

La luce che emanava dalla traballante lampada a olio era poca, però vedeva bene che in quel punto non vi erano porte, spaccature o passaggi di sorta in cui potesse passare un uomo della sua taglia.

"Vuoi per davvero passare da quella parte?" gemette e dentro di sé rabbrividì, con un improvviso senso di sgomento a serrargli la gola.

Lei gli fece un cenno d'assenso.

Le credeva, quella stessa mattina l'aveva vista scomparire dentro una Stella Alpina, ma farlo lui...

Non poteva credere che a breve si sarebbe tramutato in una nuvola di fumo e sarebbe svanito in un attimo, aspirato dal muschio.

Lui, un Un, un Naaxia avvezzo da sempre alla vita nella Steppa, l'erba era abituato a calpestarla sotto gli zoccoli dei Tarpan, non a passarci dentro.

Pensare che a breve avrebbe viaggiato attraverso di essa come se i suoi steli fossero un sentiero, lo angosciava.

Il solo timore di essere in procinto di farlo per davvero, gli faceva tremare le gambe.

Le segrete vie delle Yaonai tra poco si sarebbero svelate davanti a lui per lasciarlo passare e non sapeva se era pronto per affrontare una prova simile.

La curiosità era molta, forte, fortissima, ma altrettanto forte era il timore di non esserne degno.

Desiderava andare, eppure il dubbio di affrontare l'ignoto lo atterriva.

Quando la donna lo prese per una mano, un brivido di gioia misto a paura corse lungo la spina dorsale dell'uomo.

Il contatto tanto a lungo desiderato, lo fece sussultare.

La stretta di Frassinella era ben più forte e decisa di quello che si sarebbe aspettato da una donna, ma la sua pelle era fredda, liscia come una foglia e flessibile come un filo d'erba.

La faretra sulla schiena e la lama che portava sul fianco gli diedero un falso senso di sicurezza, eppure, non sapendo a cos'altro appigliarsi per non cedere al panico che provava in quel momento, con la mano libera strinse forte l'impugnatura della corta spada.

Chiuse gli occhi per un momento e sospirò.

I graffi che si era procurato nella mattinata bruciavano maledettamente.

La pelle del palmo era calda, ma non volle farci caso.

Al momento c'era qualcos'altro a preoccuparlo, il timore di cedere alla paura.

La donna lo condusse verso il muschio e un attimo prima di lanciarvisi contro, si voltò.

Con voce suadente gli disse:

"Non lasciare la mia mano fin quando non sarò io a dirtelo, intesi?".

Saaràn deglutì con forza.

Ebbe appena il tempo di accennare con il capo che aveva compreso, che si sentì trascinare in avanti con una forza tale che nessun essere umano avrebbe mai potuto provare diversamente.

Avvertì una fortissima sensazione di allungamento propagarsi dalla mano al braccio, al corpo, alle gambe, ai piedi.

Tutto il suo corpo divenne eternamente lungo e infinitamente dilatato.

Non ebbe più limiti, si fuse, spezzandosi in innumerevoli frammenti, disperdendosi in distanze incalcolabili per la mente umana.

In quel momento avvertì chiaramente come non vi fosse più distanza che dovesse temere o altezza che non potesse raggiungere.

Provò una potenza immensa, senza pari, tale che se avesse voluto, con un solo passo avrebbe potuto attraversare la Steppa intera in un solo istante.

Per un momento fugace avvertì chiaramente come il tempo e lo spazio non lo limitassero più e gli appartenessero, quasi fossero diventati parte integrante del suo dominio.

Come una carezza delicata sul volto, avvertì il mondo attorno a sé scivolargli accanto a velocità incredibile.

Il cielo, la terra, l'acqua, gli elementi stessi del creato gli scorrevano accanto con una chiarezza e una forza tali, che mai avrebbe immaginato possibile.

Ogni filo d'erba, ramo, foglia, infima cellula che incontrava, gli concedeva il passaggio indicandogli la via da seguire.

Per la prima volta in vita sua si sentì potente, forte, vitale come la linfa nella quale nuotava, trascinato saldamente in avanti dalla mano della Sua Signora.

Percepì quello che lo circondava con una chiarezza mai provata prima, condividendo la conoscenza contenuta nelle più piccole particelle del Creato come se in queste vi fossero Ten-gri e tutto il mondo.

Era all'interno dell' Infinitamente Piccolo e non riusciva a vederne la fine.

Ne raggiunse le profondità più recondite, le attraversò, ne vide lo scintillante turgore di vita.

Ebbe l'impressione che all'interno di ogni cellula fosse presente il firmamento intero e, come esso, ognuna brillasse di luce propria.

Comprese come non vi fosse differenza tra l'incredibilmente grande e l'infinitamente piccolo, che l'infinito Ten-gri si trovava contenuto dentro ad ogni più piccola particella del Creato e lui, come esse, vi apparteneva e vi faceva parte.

Provò sensazioni nuove e travolgenti, con una tale intensità che non avrebbe mai potuto credere possibile.

Avvertì la serenità delle foglie appese ai rami godersi il mormorio del vento che le accarezzava.

Partecipò e condivise la gioia di ogni filo d'erba che sentiva di far parte di una grande comunità; percepì la forza che si nascondeva nelle radici, fonti di vita.

Saldamente intrecciate le une alle altre, con la propria determinazione tenevano ancorata la vita alla roccia, alla terra, alla sabbia, all'acqua.

Le attraversò una a una e tramite loro si spostò con la velocità del pensiero per le vie segrete delle Yaonai.

Comprese come tutta l'erba della Steppa altro non era che un unico elemento, un unico corpo, un unico essere che avvolgeva il mondo intero con i filamenti delle sue radici.

Fermo e immobile all'apparenza, era costantemente vigile e in contatto con ciò che accadeva al di sopra di esso.

Ogni filo d'erba era connesso a tutto quello che lo circondava, molto più di quanto non lo sarebbe mai stato lui in vita sua.

Pur non muovendosi su gambe proprie come coloro che la calpestavano, l'erba era ovunque.

In qualunque momento, vedendo, percependo, condividendo tutto quello che vi era da vedere, percepire e condividere, il Mondo dei Semplici sapeva prima e meglio di tanti altri.

Vide quanto lento e limitato fosse il corpo nel quale un essere umano era rinchiuso per tutta la vita, in confronto alla vastità delle sensazioni che ogni singolo filo d'erba viveva in ogni attimo della propria esistenza.

Pur non muovendosi da dove inizialmente spuntò da un seme, un filo d'erba conosceva il mondo che lo circondava molto più di un cavaliere Un che viaggiasse per la Steppa per una vita intera.

Provò invidia per l'intensità di percezioni che gli erano sempre state negate, per il semplice fatto di essere un uomo.

Si sentì limitato e al tempo stesso fortunato, per aver potuto finalmente comprendere ciò che per sua natura gli era stato negato.

Ma a un certo punto, prima che tutto divenisse un scintillìo di luci e sensazioni sublimi, qualcosa venne a turbare la pace in cui si era venuto a trovare.

Qualcosa di simile a una macchia scura, a un pensiero maligno, a una forza cattiva, lo individuò, lo inseguì, lo serrò da ogni dove e Saaràn lo avvertì chiaramente sulla pelle, nel cervello, nello stomaco.

Non riusciva a vederlo chiaramente, ma era qualcosa di incredibilmente forte, infido e malvagio.

Una Creatura maligna, gli scivolava attorno silenziosa e mortale, pronta a colpirlo da un momento all'altro.

Ne ebbe timore, ma Frassinella se ne accorse in tempo.

Prima che fosse troppo tardi lo tirò via da quell'abbraccio mortale ed emise un lungo, lugubre gemito, che a Saaràn ricordò un ululato.

In fuga da quella Creatura e trascinato a velocità folle dalla Yaonai, Saaràn percepì chiaramente il desiderio malvagio di quella Cosa di fargli del male.

Lo circondava da ogni parte, tentando in ogni modo di stritolarlo dentro un'oscurità eterna, colma di malvagia perfidia in cui essa dimorava.

Non riconobbe la Creatura che lo stava cacciando con tanta ostinazione, ma qualunque cosa fosse, la sentì godere della paura che distribuiva attorno a sé, quasi necessitasse del terrore per vivere la sua vita.

In un attimo Saaràn si sentì circondato, avvinghiato, stretto per ogni dove; per un momento, rallentato nella sua corsa, perse il contatto con la mano della Yaonai, ma vide la Sua Signora rallentare, tornare indietro e lottare ferocemente con qualcosa attorno a loro.

Era un fumo, un sospiro, un'oscura presenza.

Frassinella e l'oscurità lottando si confusero l'una all'altra divenendo una cosa sola.

Per un momento la Yaonai scomparve in essa, ne venne avviluppata, inghiottita, parve soccombere.

Poi, all'improvviso, veloci come lampi, sopraggiunsero delle scie luminose che si avventarono contro la Cosa colpendola con esplosioni di luce.

Bagliori l'attraversarono da parte a parte e scomparvero rapidi così come erano giunti, ma ottennero lo scopo insperato di fermarla.

La Cosa, colta di sorpresa, subì i violenti colpi di luce e arretrò un poco, allentando la morsa attorno la Yaonai.

Non molto, ma abbastanza da permettere a Frassinella di sciogliersi da quell'abbraccio mortale e raggiungerlo veloce per fuggire, scivolando via dal buio a cui quella Cosa apparteneva e alle sue unghie, simili ad aculei, con le quali voleva afferrarlo.

Negli attimi in cui si trovò abbandonato dalla donna che l'accompagnava, Saaràn vagò trascinato a caso dalle correnti della linfa, eppure in quel brevissimo lasso di tempo in cui rimase in balìa del nulla, riconobbe quell'essere maligno.

Seppe con certezza assoluta chi era: Zűin!

Quella creatura orrenda che la Yaonai aveva chiamato Gioturna li aveva inseguiti, circondati, raggiunti, voleva cibarsi della loro carne, della loro paura, della loro disperazione, era veloce, potente, feroce.

Rabbrividì di puro terrore nell'istante in cui lo sgomento gli penetrò fin dentro al midollo delle ossa, tuttavia in quell'attimo fuggevole comprese quello che Frassinella gli aveva detto: quella... Cosa... era impossibile da spiegare a parole.

Solo avvertendone strisciare sulla propria pelle la mostruosa voluttà del sublime desiderio di far male, si poteva vagamente comprenderne il potere perverso che la pervadeva.

Si sentì palpare in ogni sua parte, quasi che Gioturna volesse frugarlo con mille polpastrelli alla ricerca di qualcosa, eppure Saaràn, in quel brevissimo lasso di tempo percepì altro.

Quella... Cosa mostruosa... aveva paura.

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