17) RIPRENDERSI UN AMICO
Saaràn non sapeva quello che avrebbe fatto.
Tuttavia se restava fermo prima o poi qualcuno l'avrebbe visto e avrebbe dato l'allarme, rovinandogli così l'effetto sorpresa, l'unico reale vantaggio che aveva su quella folla che non si era ancora accorta della sua presenza.
Nelle condizioni attuali era impensabile sperare di riuscire a incontrare il Khan da solo, però poteva approfittare dello scompiglio che avrebbe provocato il suo arrivo, comparendo dal nulla davanti a tutti quanti.
Di questo era certo.
Lo sbalordimento che Saaràn avrebbe ottenuto sugli Un approfittando dell'apparizione improvvisa di Bortecino sarebbe stato efficace e di questo era certo.
Ciononostante, la cosa avrebbe funzionato soltanto se avesse saputo condurla al meglio.
Valutò un momento quello che sarebbe stato opportuno fare per attuare il suo piano, quando vide che in quelle due settimane in cui l'Urdu non si era mosso, l'erba era cresciuta arrivando fin quasi in cima alle ruote rimaste del Carro Reale.
La lupa era in attesa e attendeva di sapere cosa volesse fare.
Con le orecchie dritte lo guardava, scodinzolando.
Saaràn le disse:
"Portami più vicino che puoi al carro" e lei con un balzo, se lo portò via.
Rispuntarono proprio a ridosso del carro, davanti alla prima cerchia di cavalieri presenti nel greto.
Uscirono dalle radici di un piccolo cespuglio rinsecchito e in un batter d'occhio mutarono la loro forma da nebbia vorticosa in solidi corpi.
Colsero talmente di sorpresa gli Un-han più vicini alla vettura Reale, che quando costoro se li videro spuntare all'improvviso dal nulla in mezzo al pietrisco, nessuno di essi riuscì a proferire una sola parola.
Lo sgomento ottenuto da Saaràn, fu totale.
Anche i Tarpan sui quali i nobili si trovavano, agitando a dismisura le froge nell'avvertire la presenza degli aculei di Gioturna che Bortecino stringeva in bocca, annusavano l'aria e arretravano, come se si stessero chiedendo come fosse possibile che non si fossero accorti prima della presenza di un lupo nel campo.
Vedendo sbucare dal nulla il Naaxia in compagnia di Bortecino, la maggior parte degli Un-han della prima fila sgranarono increduli gli occhi e smisero di agitare i cavalli contro la folla, incapaci di formulare un pensiero coerente per molti secondi dopo la loro apparizione.
Sui loro volti si dipinse una grottesca maschera di incredulità mista a paura e soggezione.
Vedersi comparire davanti l'animale sacro a Ten-gri li portò a non sapere più cosa pensare, cosa fare e come agire, se non guardarsi disorientati gli uni con gli altri senza avere idea di quali iniziative prendere.
Soltanto pochi furono così pronti da aggrottare la fronte sospettando qualcosa di molto grave dietro a tale comparsa, tuttavia l'effetto che Saaràn desiderava da quella repentina apparizione, fu ottenuto: sui nobili Un scese il silenzio.
Dalle prime fila si udiva provenire soltanto il soffio del vento e il sommesso gorgogliare dell' acqua che scorreva poco distante.
Quelli che si trovavano nelle retrovie mormorarono qualche ingiuria nel vedersi spingere indietro dai cavalli che li precedevano, ma poi, accorgendosi a loro volta di quello che stava accadendo accanto al Carro Reale, si ammutolirono come gli altri.
Lasciando andare la coda di Bortecino, Saaràn scrutò i nobili che lo fissavano increduli uno a uno. Quello che vide non gli piacque per nulla.
Oltre allo sbigottimento, c'era qualcosa altro.
Astio, forse? Non lo sapeva.
Si mosse lentamente attorno alla vettura bloccata nel greto del torrente.
Voleva che tutti quanti potessero vederlo, compreso quelli che si trovavano dall'altra parte del Carro.
La lupa lo seguì, non distanziandosi mai più di un passo dalle sue gambe.
Poi afferrò quello che non gli tornava.
Quelli che Saaràn vedeva riuniti in prima fila erano tutti nobili Hanbakai.
Sui loro cappelli erano appese soltanto code di cane.
Tra di essi non ve ne era uno solo che portasse gli amuleti della Tribù Kaidu, quella di Kutula, come avrebbe dovuto essere in un'occasione del genere.
Nella seconda e terza fila vedeva ancora Hanbakai, poi nelle fila più indietro vedeva Obor, Iterai, qualche Keraita, pochi Merchiti, ma nessun nobile appartenente alla Tribù Kaidu o a quella dei Konghirati.
Dov'erano finiti i Clan fedeli al Khan?
Possibile che fossero stati mandati tutti quanti alla Grande Caccia di Primavera?
Solo un folle avrebbe fatto una cosa del genere!
Colto da un improvviso sospetto si voltò verso il carro e osservò attentamente l'uomo prostrato sul pianale.
Aveva le braccia e la testa serrati dal Syedan.
Dal volto schiacciato sotto di esso, vide i suoi occhi puntati su di lui.
Erano increduli, smarriti, pieni di rabbia e impotenti.
Gli sorrideva increspando appena la bocca insanguinata.
Era stato percosso, a lungo, duramente.
Un rantolo gli usciva a fatica dalle labbra.
Stava lentamente soffocando.
Nella posizione in cui i suoi aguzzini lo avevano lasciato faticava a respirare.
Nel riconoscerlo, a Saaràn gli si gelò il sangue nelle vene.
"Kutula!" gemette.
Senza più pensare alla propria incolumità e lasciando sola Frassinella a fronteggiare i nobili Un-han, Saaràn si diresse verso la scaletta più vicina e si arrampicò sul Carro Reale.
Andò al fianco dell'amico, cercando di sollevargli il peso del Syedan dal collo, ma quando afferrò il legno con entrambe le mani e tentò di smuoverlo, lo trovò maledettamente pesante.
Vi riuscì soltanto in parte, eppure quel poco di sollievo bastò a Kutula per respirare meglio e mormorargli qualche parola muovendo appena le labbra tumefatte:
"Vattene... scappa!" gli intimò, ma Saaràn nemmeno gli badò.
Si mise freneticamente a slacciare i nodi che serravano i legni della gogna alle braccia e al collo dell'Anda, quando alle sue spalle avvertì lo scricchiolìo della porta della Yurta che si apriva.
Prima ancora che si voltasse a guardare di chi si trattasse udì sollevarsi un sorriso amaro, tronfio di vittoria, seguito da un'esclamazione divertita:
"Eccoli dunque assieme!" disse una voce che riconobbe immediatamente.
"Muu-Gol!" esclamò ad alta voce, mettendosi in piedi più velocemente che riuscì.
Quando Saaràn si voltò, pieno di rabbia e pronto a difendersi, vide il volto lungo e affilato del suo nemico.
Gli occhi di Muu-Gol brillavano di gioia.
Era euforico, trionfante nel tenerli entrambi in pugno, eppure poco alla volta lo vide divenire sorpreso, incredulo, quando l'Hanbakai si accorse che il Naaxia non era giunto solo.
Nel momento stesso che realizzò gli sguardi sbigottiti e attoniti che avevano i suoi uomini più fidati presenti ai piedi del carro, Muu-Gol vide anche Bortecino.
Il suo corpo venne scosso da un fremito di paura che lo fece arretrare.
La Lupa Azzurra teneva a bada gli Un-han della sua Tribù al posto di Saaràn.
Allora in un attimo comprese tutto.
Era in trappola.
Per la seconda volta Bortecino era arrivata in soccorso del Naaxia.
Si ricordava molto bene la violenza con cui quella belva l'aveva aggredito durante la battaglia lungo il torrente.
Più volte aveva tentato di ucciderlo azzannandolo alla gola.
Ormai non aveva più dubbi: Ten-gri aveva scelto un Gran Khan e la scelta non era caduta su di lui, bensì su Saaràn.
Guardando gli occhi dei suoi uomini più fidati, capì subito che nessuno di loro avrebbe osato intervenire in suo aiuto.
Ora che Bortecino in persona si metteva tra il Naaxia e la loro rabbia, se avesse commesso un solo errore l'avrebbero abbandonato senza pensarci due volte.
Era solo nel fronteggiare Saaràn, non il contrario.
Nemmeno uno tra coloro che gli avevano promesso fedeltà avrebbe affrontato la furia di Ten-gri per venirgli in soccorso.
Non poteva nemmeno obbligarli, perché se avessero compreso che anche lui aveva paura, avrebbero cercato subito un altro nobile più idoneo a comandarli.
Muu-Gol era finito in un imbroglio difficile da gestire e ci si era messo con le proprie mani.
In un pugno, tenendolo alto davanti a sé quasi fosse uno scudo, Muu-Gol teneva saldamente il vessillo della sua Tribù, l' Aul con sopra un Cane Rosso su fondo Giallo.
Nell'altra stringeva il Pugnale Azzurro, il pugnale del Khan.
Non aveva altre armi con sé, soltanto quel simbolo del potere sull'Urdu che finalmente era riuscito a strappare a Kutula e che adesso apparteneva a lui.
Lo impugnava stringendolo forte, con rabbia, agitandolo avanti e indietro pronto a usarlo contro al Naaxia, ma invece di scagliarsi contro Saaràn, con un urlo pieno di esasperata impotenza, Muu-Gol usò la lama del pugnale di taglio, sbattendolo forte contro il palo del Comando e tranciando di netto la treccia che vi teneva attaccato l'Aul di Kutula.
Quando questo crollò miseramente in terra, al posto vi mise il suo.
Adesso era lui il Khan dell'Orda Azzurra e voleva che fosse chiaro a tutti.
Con uno sguardo carico di odio verso Saaràn vi si mise davanti, disposto a tutto pur di proteggerlo.
Impugnando minaccioso il Pugnale del Khan urlò:
"Questo carro è mio, adesso! Vattene di qua, verme schifoso. Rifiuto della terra, vattene!".
Era rosso in volto.
Per il livore le vene del collo si gonfiavano fin quasi a scoppiare.
Il suo volto era una maschera che trasudava da ogni lineamento l'odio che provava per l'uomo che aveva davanti.
Gli occhi parevano saltargli fuori dalle orbite e ad ogni parola che pronunciava sputava saliva e rabbia.
Era folle, completamente folle.
Aveva tramato nell'ombra per arrivare al potere e ora che era quasi arrivato a ottenere il trionfo, se lo vedeva messo in pericolo dall'arrivo del Naaxia.
Non poteva permettere che accadesse.
Erano anni che si stava preparando per questo momento.
Aveva organizzato tutto fin nei minimi particolari.
Per ultimo non era stato facile convincere il Khan che sarebbe stato meglio mandare i suoi uomini più fidati alla Caccia di Primavera, tuttavia c'era riuscito.
Kutula era rimasto senza uomini a proteggerlo e quei pochi che erano rimasti al campo avevano potuto resistere poco contro i suoi.
Erano morti tutti quanti, giustiziati sul posto uno per uno.
Tuttavia, nonostante il successo, la mente di Muu-Gol aveva un tarlo che la rodeva da giorni.
Era rimasta irrimediabilmente sconvolta in seguito a quello che era successo lungo le rive del torrente.
Dopo che aveva rapito il figlio di Saaràn credeva di avere in pugno la situazione, invece tutto aveva iniziato ad andare a rotoli.
Una dopo l'altra, le sue convinzioni si erano frantumate.
La lotta contro Bortecino, i lupi, la morte dei suoi uomini, la solitudine, la fuga a piedi nel buio e la paura di non saper tornare all'Urdu, l'avevano reso completamente pazzo.
Vedendolo così sconvolto, Saaràn decise di restare fermo.
Rimase in posizione di difesa tra il nuovo Khan dell'Orda e l'amico steso a terra.
Si aspettava che da un momento all'altro Muu-Gol gli sarebbe saltato addosso per farla finita, invece non capitò nulla.
Rimasero a fronteggiarsi.
Con un sottile e flebile sollievo si rese conto che la minaccia dell'altro non si sarebbe concretizzata, capì che anche Muu-Gol aveva paura di lui.
Il nuovo Khan non poteva attaccarlo.
Lentamente Saaràn allargò le braccia, perché tutti vedessero che non aveva armi con sé.
Per il codice d'onore Un, un uomo non aggrediva con un arma in pugno un altro uomo disarmato, a meno che non volesse essere svergognato davanti a tutta l'Urdu.
Tra Un si lottava ad armi pari e Saaràn, per quanto fosse il Naaxia, era pur sempre un Un a tutti gli effetti.
Non vi erano deroghe a questa regola e trasgredirla non sarebbe stato onorevole nemmeno per il Khan.
Se Muu-Gol voleva mantenere il controllo sull'Orda, non poteva permettersi un errore simile fin dall'inizio.
Gli Un rispettavano un Capo forte e valoroso, non un codardo.
Muu-Gol lo sapeva e fremeva, agitando nervosamente il pugnale Azzurro stretto nella mano.
Se lo avesse usato per aggredire il Naaxia davanti a tutti si sarebbe disonorato con le sue stesse azioni e a mani nude non avrebbe mai osato farlo.
Anche se disarmato, Saaràn era temibile.
Muu-Gol era un valoroso combattente, ma in gioventù l'Anda di Kutula lo aveva battuto spesso nella lotta corpo a corpo e il pericolo di essere sconfitto davanti ai suoi uomini era troppo alto.
Non poteva rischiare di perdere tutto quello che aveva finalmente ottenuto in un solo momento.
La follia l'aveva completamente disorientato, ma non così tanto da non comprendere che non gli conveniva farlo.
In fondo, aveva quello che aveva sempre desiderato ottenere.
Fin dalla gioventù voleva sopra ad ogni altra cosa prendere il potere sull'Orda Azzurra.
Il suo sogno più grande era di poter appendere il proprio Aul sul Palo del Comando davanti a tutti e adesso che finalmente l'aveva ottenuto, non se la sentiva di rischiare.
"Vattene!" gli urlò ancora contro.
Con lievi cenni d'assenso del capo, questa volta Saaràn sollevò le mani in alto, in segno di pace.
"Me ne andrò, sì, ma insieme a lui..." fece, accennando con la testa verso Kutula "... e non prima di aver detto a tutti quanti quello per cui sono venuto. Se mi consentirai di parlare, me ne andrò in pace e tu sarai il Khan dell'Urdu".
Muu-Gol sollevò un sopracciglio.
Era una proposta sensata.
La valutò freneticamente, tentando di comprendere se dietro a quella offerta di pace si celasse una trappola, oppure fosse la scappatoia ideale per poter salvare la faccia davanti al suo popolo.
Se avesse accettato, Saaràn sarebbe andato via e con lui sarebbe scomparsa anche Bortecino.
Voltò rapidamente lo sguardo verso l'uomo stretto nello Syedan. Sogghignò. Il vecchio Khan respirava appena.
Di Kutula nemmeno si preoccupava più, ormai.
Il vecchio Khan era ridotto in fin di vita, impotente e gonfio di veleno.
Al suo arrivo alla Yurta Reale l'aveva trovato steso in terra, svenuto e incosciente.
Muu-Gol era pronto a qualunque cosa pur di strappargli una volta per tutte il Pugnale Azzurro.
Era disposto a ucciderlo senza pietà o morire nel tentativo di ottenere quell'arma, invece non aveva nemmeno avuto bisogno di lottare per sfilargliela di dosso.
L'aveva trovato inerme.
Non aveva dovuto fare altro che allungare una mano e prenderla.
Con tutto il veleno che gli aveva dato nel Khumish in mesi di attenta pazienza, era già molto se Kutula arrivava vivo al mattino dopo.
Se Saaràn ci teneva così tanto, che se lo prendesse pure, l'importante era che se ne andassero tutti quanti al più presto.
Voleva parlare? D'accordo!
Dubitava che volesse raccontare a tutti del rapimento del figlio e dello stupro sulla moglie e sulla figlia, troppa vergogna, troppo disonore, ma in quel caso avrebbe negato tutto quanto. La parola del Naaxia contro la sua. Per sempre.
In fondo, oltre a loro due non vi erano altri testimoni vivi, pensò sorridendo beffardo.
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