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17) CHULUUN TSAIZ (Il Castello di Pietra)

Una volta giunto al sicuro dentro la galleria che lo avrebbe condotto a Togriluudyn e superata la paura del vuoto, Saaràn si ricordò immediatamente di Saryn, di Gerel e degli altri che ancora dovevano attraversare il pericoloso ponte.

Fece fermare il Tarpan che trasportava lui e la moglie e gli diede una carezza affettuosa sul collo muscoloso.

"Grazie Monglik" gli ripeté grato e questa volta lo fece senza imbarazzo, anzi, si sentì soddisfatto di averlo fatto.

In fondo era un buon animale e si era meritato qualcosa di più dell'indifferenza che gli aveva dato nei giorni passati.

D'altronde non era con lui che ce l'aveva, bensì con se stesso e per come si era comportato.

Non poteva addossare al quadrupede una colpa che non aveva.

Non sarebbe stato giusto.

Se qualcuno aveva sbagliato, se qualcuno doveva essere condannato per le azioni commesse, quello era lui e nessun altro.

Come Un doveva rispetto al cavallo che lo aveva portato in salvo e come uomo gliene doveva come essere vivente, nato sotto Ten-gri come lui.

Sapeva che con questo Tarpan non avrebbe saputo provare il medesimo legame che poco alla volta si era venuto a creare con quell'animale brutto e sgraziato che gli fu compagno di una vita intera, tuttavia non poteva escludere nuovi affetti.

Una vita passata insieme non si dimentica così facilmente, ma dare a quel morello il medesimo nome del suo predecessore, Monglik, gli sembrava un giusto riconoscimento per averlo condotto in salvo.

Tornò a dargli un'altra carezza.

Il Tarpan sbuffò, alzando e scuotendo ripetutamente la testa, poi, sollevando il labbro, parve sorridere.

In seguito Saaràn appoggiò una mano sul braccio di Helun.

"Siamo passati, Khani, tranquilla siamo passati" le disse delicatamente e sentì che la morsa di lei attorno ai fianchi si allentava poco a poco.

La vide muovere la testa, aprire gli occhi, lievemente rilassarsi.

Sentendosi al sicuro, improvvisamente la donna respirò meglio.

Anche lei parve riprendersi dallo spavento e si ricordò dei figli:

"Saryn, Gerel!" gemette. Si voltò, trafelata.

L'eco del suo grido si moltiplicò in ogni direzione, ma non ebbe tempo di dire altro, che un tonfo alle loro spalle segnalò l'arrivo di un Tarpan nella galleria.

Era Saryn, che già arrivava.

Il ragazzino, da una parte spinto dall'esigenza di passare e dall'altra dall'orgoglio di dimostrarsi grande, senza attendere alcun segnale aveva seguito l'esempio del padre ed era passato.

"Eej, Aab!" urlò felice, appena li scorse in attesa nel vederlo giunto al sicuro.

Il ragazzino aveva il volto sconvolto di chi avesse visto in faccia la morte, eppure, quando li vide, trovò la forza di abbozzare un sorriso.

Entrambi i genitori chiusero gli occhi e ringraziarono Ten-gri per averlo condotto sano e salvo fino a loro.

Saaràn tirò un sospiro di sollievo, Helun si mise una mano sulla bocca per non urlare dalla gioia.

Eppure non era ancora finita. Con le orecchie tese, entrambi si posero in ascolto del prossimo attraversamento.

Dopo un tempo che parve infinito, Saaràn avvertì i tonfi degli zoccoli di Filli sul ponte: trattenendo il fiato li contò uno a uno con il cuore in gola. Con essi, seppe il tempo che ancora mancava prima di rivedere comparire Gerel sana e salva. Ventotto... ventinove... trenta!

Allo scadere della conta, il corto muso della cavallina che conduceva la figlia fece la sua comparsa nel riquadro della porta.

Il passo della Tarpan era lento, costante, per nulla intimorita dal vuoto.

Erano salve! Erano entrambe salve!

Gerel, fasciata nel suo vestito azzurro e con i lunghi capelli biondi a ricaderle sulle spalle, cavalcava diritta e dava l'impressione di essere serena.

Con l'espressione concentrata di chi aveva una missione importante da compiere, gli occhi chiusi e le mani appoggiate al pomolo della sella, la bambina fece il suo ingresso nella galleria come se avesse fatto una normale passeggiata nella Steppa.

Appena si rese conto che il suono dei passi della pezzata cambiava al contatto con la roccia, aprì gli occhi e vide i genitori davanti a lei ad accoglierla.

Si fermò nel fascio luminoso di una delle prime feritoie presenti nella galleria e, nella luce del sole del pomeriggio, i suoi capelli parvero ancora più chiari di quello che già erano.

L'ombra che la sua figura proiettava sulla parete opposta la faceva sembrare più grande di quello che la sua età le concedeva.

Nonostante fosse spettinata e un poco sporca in viso, stanca e stazzonata nel vestito, era bellissima.

Sorridendole Saaràn le fece un cenno di benvenuto, Helun le inviò un bacio.

Benché distratta da tutte le cose nuove che vedeva, la bambina sorrise a entrambi, ma la contentezza che il Naaxia provò nel vedere entrambi i figli giunti in salvo, ebbe breve durata.

Un'improvviso brusio alle spalle di Filli attirò la sua attenzione verso quella parte di galleria che la figlia e la puledra avevano appena attraversato e che, arrivando dall'esterno, risultava immersa nell'oscurità.

Si accigliò nel riconoscere cosa l'aveva provocato.

Entrando non aveva notato che dietro al portone vi erano appostati degli uomini armati, venuti ad attendere il loro arrivo.

La paura del vuoto e il timore per la sorte dei figli l'avevano distratto, ma ora si fece attento.

Appena dietro all'ingresso vi erano dei Togril, uomini di ferro armati e pronti a intervenire in caso di necessità.

Ne contò otto, quattro per ogni lato della porta, pronti a rammentare ai nuovi arrivati la loro condizione di prigionieri.

Al loro ingresso non si erano mossi da dove si trovavano, erano rimasti immobili, appostati e nascosti nell'ombra.

La medesima cosa avevano fatto all'arrivo di Saryn, tuttavia, alla vista di Gerel, qualcosa parve averli messi in agitazione, come se la comparsa della bambina li avesse in qualche modo turbati, li avesse smossi dalla loro fissità e li avesse portati a rivelare la propria presenza.

Li udiva mormorarsi a vicenda parole incomprensibili e li vedeva scambiarsi occhiate furtive, quasi a indicarsela l'un con l'altro.

Poi vide che altri due soldati Togril erano comparsi davanti a Monglik.

Non li aveva nemmeno visti arrivare.

Si trovavano accerchiati. Non potevano arretrare e tanto meno avanzare, stretti da dietro da quelli che gli chiudevano la fuga e davanti da questi.

I due erano immobili a pochi passi dal morello, nascosti dietro gli scudi per sbarrargli la via, con la spada sguainata pronta a sventrare l'animale in caso il cavaliere si fosse mostrato aggressivo.

Erano attenti, vigili ad ogni suo movimento, eppure non meno di quelli che chiudevano la fuga degli Un da dietro, anche costoro parevano distratti dall'improvviso apparire della bambina.

In quel momento Saaràn si rese conto che nessuno badava a lui.

Tenendo bene in vista le mani aperte in segno di resa, approfittò della momentanea distrazione dei soldati per guardarsi attorno.

Sulla sinistra dell'entrata vide che c'erano un argano in legno e un voluminoso tamburo orizzontale attorno al quale si avvolgevano due grosse funi, poi carrucole e pulegge in legno, tiranti e ruote dentate di varie dimensioni, attaccate le une alle altre.

Seguendo il percorso delle corde, vide che dall'argano salivano fino quasi alla volta della galleria prima di scomparire in fori scavati nella roccia.

Dovevano essere le stesse che aveva visto legate al ponte di legno, dall'altra parte dell'entrata.

Due uomini senza armatura erano pronti a far ruotare l'argano.

In mano stringevano spranghe di legno squadrate, alte come loro e dall'aspetto solido.

Quando il primo colpo sordo degli zoccoli sul legname del ponte segnalò a Saaràn l'arrivo del Tarpan di Omnod, i Togril di guardia smisero di osservare Gerel, si ricomposero e si misero in posizione serrata l'uno a fianco dell'altro per accoglierlo.

Contò i passi del cavallo e al trentesimo tonfo dei suoi zoccoli sul legno della passerella, comparve anche il giovane.

Omnod marciava rigido sulla sella, livido in volto e immobile come una statua di cera.

Teneva le braccia larghe e strizzava gli occhi con tutte le sue forze, come se in quel modo potesse nascondersi alla paura.

Gerel, vedendolo arrivare in quel modo, lo trovò buffo e si mise a ridere.

La risata argentina della bambina rimbalzò sulle pareti di roccia e colse impreparato il giovane Un che all'udirlo sollevò appena una palpebra.

Nel momento che si accorse di essere passato oltre al baratro, timidamente li aprì entrambi e sospirò di sollievo.

Mancò poco che si accasciasse per baciare sul collo l'animale che l'aveva portato in salvo, ma quando con uno sferragliante rumore di metallo due degli uomini di ferro gli si affiancarono rimanendo accanto al suo Tarpan, lo Scengun si riprese immediatamente.

Portò la mano a una spada che non trovò.

Saaràn non perse tempo, gli fece cenno di stare fermo e il ragazzo, sollevando le mani, ubbidì.

Dopo poco avvertirono i tonfi del cavallo di Uleg avanzare sul ponte.

Saaràn li contò e dopo trenta passi, nella galleria comparve anche il Taiciuto.

Aveva gli occhi aperti, era tranquillo, sereno, una volta abituatisi alla penombra il vecchio servitore si guardò attorno, stupito da quello che lo circondava, ma non meravigliato.

Più che sorpreso, parve felice.

Due Togril si affiancarono anche al suo Tarpan e fu quasi con sollievo che il Nonun sollevò le mani in segno di resa.

Quando uno dei soldati gli andò accanto per parlargli, per precauzione l'anziano mise le mani bene in vista e si fece attento.

Dopo aver scambiato alcune parole con lui, l'uomo in armatura gli fece cenno di avanzare.

"Ci siamo tutti, padrone" fece il Taiciuto alla volta di Saaràn "Vogliono che si avanzi piano, tutti assieme".

Egli annuì. Attese che i due uomini di ferro che gli sbarravano il passo si scostassero e si incamminassero a fargli strada, poi con un leggero colpo di talloni fece avanzare Monglik.

Quando si mosse, ebbe giusto il tempo di vedere le ultime donne Togril allontanarsi in fondo alla galleria.

Presto anche quelle sarebbero scomparse come tutte le altre dalla vista assieme ai suoi Tarpan. Si chiese se li avrebbe più rivisti.

"Dove siamo?" gli domandò allarmata Helun, ma lui non seppe come risponderle.

Scosse la testa.

"Credo sia Togriluudyn, ma non ne sono sicuro" le rispose.

"Pensi che ci uccideranno?" gli domandò ancora lei. Dalle sue parole Saaràn capì che Helun era più preoccupata per i figli che per se stessa.

Scosse ancora la testa.

"Non temere, Khani. Avessero voluto farlo, l'avrebbero già fatto".

Fatti appena una ventina di passi, i due Togril gli si pararono di nuovo davanti. Fecero un cenno al cavaliere, sbarrandogli la strada.

Da dietro Saaràn udì la voce di Uleg avvisarlo:"Fermati, padrone. Dobbiamo aspettare gli altri" gli disse perentorio il Nonun.

Ubbidendo subito, Saaràn fece in modo di fermarsi davanti a una delle feritoie che davano all'esterno. Con noncuranza, osservò attentamente quello che si vedeva attraverso di essa.

Era rastremata, alta quanto un uomo, larga all'interno e stretta all'esterno, si restringeva passando da un paio di Tese dalla loro parte a una fessura larga appena un palmo all'estremo opposto.

Erano ideali per degli arcieri posti a difesa di quella parte di mura.

Il bastione era massiccio, spesso anch'esso un paio di Tese, costruito in blocchi di pietra ben squadrati e livellati tra loro.

Si chinò un poco in avanti per guardare oltre la feritoia e vide che si trovavano all'altezza del pianoro che sovrastava la montagna al di là del burrone.

Una ventina di Tese separavano le due pareti di roccia che cadevano quasi verticali fino ad arrivare in fondo, al torrente.

Quella distanza rappresentava una difesa pressoché insormontabile per chiunque. Nessuno avrebbe tentato di entrare da quella parte.

In alcune zone all'ombra del pianoro antistante, vedeva chiazze di neve non ancora del tutto sciolta dall'inverno appena passato, per il resto tutto il pianoro era completamente scoperto e brullo.

Solo radi ciuffi d'erba lo ricoprivano, ma nessun riparo, nessun nascondiglio possibile dietro cui nascondersi.

Una posizione molto difficile per qualunque nemico volesse aggredire le difese dei Togril.

Stava ancora osservando l'esterno, quando alle sue spalle udì un possente rimbombo di zoccoli ferrati battere sulla pietra della galleria.

Stavano arrivando gli stalloni che chiudevano la colonna.

Preceduti dai lupi che li accompagnavano, uno alla volta fecero la comparsa all'interno della galleria anche i quattro cavalieri Togril.

I primi due si portarono davanti a Saaràn, gli altri due, quando Chonyn con Kha-Cik steso sullo scudo fece la sua comparsa per ultimo nella galleria, rimasero dietro a Uleg.

Nel momento in cui anche l'ultimo cavaliere ebbe terminato di passare sul ponte, un sordo rumore di pulegge, ingranaggi ferrosi e corde striscianti presero a muoversi nella roccia.

Due uomini spingevano sul tamburo facendolo ruotare.

Le funi che attraversavano la parete di pietra poco alla volta si arrotolarono su di esso e all'esterno, metà passerella iniziò a sollevarsi.

Una volta verticale, questa si serrò contro la roccia dell'entrata con un tonfo sordo che rimbombò a lungo in tutta la galleria.

Chiuso quel passaggio, tutto quel versante del bastione restava separato dal resto della montagna da un burrone che lo circondava su due lati e terminava almeno un centinaio di Tese più in basso.

Uno dei due cavalieri di testa disse qualcosa a Saaràn.

Non comprese quello che gli disse, ma i gesti che costui gli fece e il voltare il cavallo per proseguire, furono abbastanza eloquenti per fargli comprendere che voleva che li seguisse.

"È quello che si chiama Khűchtei (Cuctei), signore" gli disse da dietro Uleg "Ha detto che sei arrivato al CHULUUN TSAIZ".

(Ciulun Zais - Il Castello di pietra)".

Saaràn annuì senza voltarsi e non disse una parola, ma nel sentirglielo dire provò un'improvvisa stretta al cuore.

Si sentì un'altra volta in trappola.

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