16) TOGRILUUDYN
Il ponte in legno proseguiva in linea retta addossandosi poi alla parete verticale oltre al precipizio, dove Saaràn scorse che vi era un passaggio scuro scavato nella roccia.
Pareva una porta, larga appena quanto l'assito su cui marciavano i cavalli.
Osservandola attentamente, vide che un vago alone di luce proveniente dal suo interno ne definiva appena i contorni in pietra.
Si stagliava netta, squadrata, ritagliata nella montagna per almeno quattro Tese in altezza.
Due robuste corde attaccate a metà del ponte, s'innalzavano fino a cinque, sei Tese di altezza.
Saaràn non vedeva dove finissero quelle funi, però ebbe l'impressione che vi fossero dei fori nella roccia e, attraverso quelli, le corde vi andassero dentro.
Tutto aveva un aspetto solido e massiccio, costruito appositamente per ostacolare il passaggio a chiunque giungesse fino a lì.
Qualunque cavaliere fosse giunto sopra a quel passaggio, una volta iniziato ad attraversarlo non avrebbe più potuto smontare e chi avesse provato a farlo, avrebbe inesorabilmente trascinato se stesso e la sua cavalcatura nel vuoto.
Deglutì al solo pensiero del salto che l'avrebbe aspettato se avesse fallito una mossa.
Per quanto si sporgesse, da dove si trovava ancora non vedeva il fondo del burrone, però di passo in passo, man mano che avanzava lo vedeva sprofondare sempre più in basso. Di più, sempre di più.
Di colpo si rese conto che la vita dalla sua famiglia era affidata ai Tarpan che cavalcavano e anche se controvoglia diede un buffetto affettuoso al collo del cavallo.
Probabilmente anche l'animale aveva paura e al pari di un essere umano aveva bisogno di essere rassicurato.
Si vergognò di se stesso, della meschinità che aveva dimostrato nei confronti di quel Tarpan fino a quel momento, perché era un buon animale e non meritava l'indifferenza che gli aveva riservato da quando erano insieme.
In fondo non era colpa sua se Monglik era morto, inoltre, entro un paio di minuti, avrebbe avuto bisogno di tutto il sangue freddo di cui il cavallo era dotato e non aveva senso farlo innervosire.
Ormai mancava poco, un paio di cavalli ancora e poi sarebbe stato il turno del suo Tarpan.
Annusando forte avvertì nell'aria un odore acre, che lo feriva alle narici tanto era pungente.
Era già da un po' che lo avvertiva e man mano che si avvicinava al ponte, esso aumentava.
Ancora non capiva da dove arrivasse, tuttavia la sua presenza lo mise in allarme.
Lo riconobbe subito, era pece, quella sostanza nera e appiccicosa che di quando in quando spuntava in polle puzzolenti nella Steppa e che lui evitava volentieri.
Era rivoltante.
Il solo avvertire nell'aria l'odore di quella melma putrida, gli provocava il voltastomaco.
Inoltre, lo detestava per un altro motivo.
Esso era molto pericoloso per i carri dell'Urdu, visto che a contatto con il fuoco bruciava facilmente, emettendo al tempo stesso una quantità incredibile di fumo nerissimo.
Quando nella prateria esplorava la strada migliore per l'Orda, faceva sempre in modo che la rotta evitasse quelle polle bituminose, ma qui, bloccato su quel sentiero di montagna, non poteva fare altro che tentare di annusarlo il meno possibile e sperare di non vomitare.
L'attesa era esasperante.
Le Togril davanti a lui passavano lente sul ponte, ognuna di esse impiegandoci quella che a Saaràn pareva un'eternità; avanzavano caute senza mai guardare in basso e giunte dall'altra parte si infilavano nella parete di roccia con i Tarpan al seguito.
Per distrarsi, per ogni cavallerizza che passava, iniziò a contare il numero di passi che doveva fare il cavallo per arrivare dall'altra parte.
Trenta.
Doveva arrivare a contare fino a trenta tonfi sul legno, perché quello era il tempo che impiegava una Togril ad attraversare il ponte.
Trenta passi in tutto, da quando rimbombava il primo colpo di zoccolo sul legno a quando le vedeva sparire nella montagna.
Non pareva così difficile da fare.
Rinnovata un minimo la fiducia nelle proprie capacità, Saaràn sospirò di sollievo, ma sbirciando oltre la spalla vide che il vuoto era sempre lì e si rese conto che anche i suoi figli avrebbero dovuto passare sopra a quelle assi.
Chi l'avrebbe detto a Saryn, Gerel... Omnod!
Improvvisamente si ricordò anche del giovane Un.
Lo Scengun era già terrorizzato e Saaràn dubitava che avrebbe saputo affrontare quel pericolo senza agitarsi.
Facendo anche solo una mossa falsa, il soldato avrebbe rischiato di cadere di sotto e, se avesse fatto qualche sciocchezza prima che Gerel e Saryn fossero passati dall'altra parte, avrebbe messo a rischio anche la vita dei suoi figli!
Si voltò, i ragazzi alle sue spalle non si erano ancora accorti di nulla. Helun, nemmeno.
Meglio, avrebbe avuto un poco di tempo per capire il da farsi.
Guardò attentamente le cavallerizze che passavano sul ponte e vide che nel momento in cui le zampe del Tarpan abbandonavano il sentiero, la Togril che lo conduceva staccava le mani dalla criniera del cavallo che montava.
Sulle prime si stupì, poi comprese.
Invece di trattenerli, lasciavano che quegli animali seguissero la loro natura.
I Tarpan, al contrario degli uomini, non temevano l'altezza.
Doveva avvisare i suoi, dirglielo, subito, subito!
Bisbigliò quasi:
"Saryn, Gerel! Non temete: più avanti c'è un ponte. Allentate le redini e lasciate che a portarvi pensi il cavallo. Quando sarà il momento, chiudete gli occhi e non guardate in basso! Avete capito?".
Vide i due bambini annuire.
Avevano i volti lividi dalla paura, ma erano presenti e attenti.
Li vide allentare le redini come gli aveva detto. Bene... bene.
Almeno loro era riuscito ad avvisarli, ma chi lo preoccupava era Omnod: il soldato non l'aveva udito e teneva gli occhi serrati.
Doveva avvisarlo. In qualche modo doveva arrivare fino a lui.
Fischiò, zufolò, tentò di attrarne l'attenzione, ma niente da fare.
Gli occhi di Omnod non volevano saperne di aprirsi.
Allora tentò di attirare l'attenzione del Taiciuto, tuttavia il servitore era ancora distratto da cose che solo egli vedeva e non badava ai suoi richiami.
Inutilmente Saaràn gesticolò e gli fece cenno, poi ebbe un'intuizione: prese una piccola pietra dal costone e gliela lanciò.
Lo colpì proprio in mezzo al petto e al contatto improvviso con il sassolino, Uleg parve riscuotersi.
Si guardò attorno attonito, come se si rendesse solo allora di dove si trovassero, tuttavia non diede a vedere di essere spaventato, soltanto divenne cosciente di essere quasi sospeso nel vuoto.
Con un'indifferenza che Saaràn in quel momento gli invidiò, il Nonun sollevò il mento per chiedergli cosa volesse.
Saaràn gli fece cenno di pensare al giovane Un.
"Siamo al ponte!" mormorò con un filo di voce "Avvisalo di fare come gli altri".
Con un cenno affermativo, Uleg gli fece intendere di aver capito.
Un momento dopo lo vide chiamare delicatamente Omnod.
Saaràn annuì soddisfatto, ma non poté rallegrarsi oltre.
Appena si voltò verso il ponte, vide che il momento di passare si avvicinava.
Toccava quasi a lui.
Il batticuore riprese a pulsare inferocito, tanto più che man mano si avvicinava al ciglio del burrone, l'odore di pece nell'aria si faceva sempre più intenso e nauseabondo.
Quando si trovò a ridosso del ponte, comprese che proveniva da lì, dal legname che i Togril avevano usato per costruirlo.
Ogni sua parte ne era stata da poco impregnata.
Aveva sempre detestato quell'odore e dovette sforzarsi per non vomitare. Non poteva permetterselo, visto che dopo la Togril che lo precedeva, sarebbe stato il suo turno.
Contò lentamente un'ultima volta la quantità di passi che l'animale compiva per arrivare dall'altra parte e si fermò ancora a trenta.
Trenta passi, soltanto trenta passi. Sospirò a fondo.
Già il suo Tarpan si apprestava verso le prime assi in attesa di passare, quando, con il cuore in tumulto, strinse le mani di Helun e le disse:
"Non aprire gli occhi fino a quando non te lo dico io, d'accordo, Khani?".
Avvertì il rapido movimento d'assenso del volto della donna sulla sua schiena, poi azzardò a sbirciare oltre il bordo del ponte.
Nemmeno allora vide il fondo del burrone, ma ebbe la netta sensazione che il precipizio fosse profondo fino a raggiungere il torrente.
Un salto di un Tesen o forse più.
Cercò di non pensarci e deglutì.
Quando vide il Tarpan che lo precedeva scomparire nell'oscurità della montagna, capì che doveva andare.
Sospirò a fondo, poi diede un leggero colpetto con i talloni sui fianchi del morello.
Il cavallo si mosse, lento e senza scossoni si avvicinò al bordo del precipizio.
Quando fu a un passo del ponte abbassò la testa per annusare il vuoto, puzzolente di bitume e aria fredda: l'odore della pece che impregnava il legno lo infastidiva, ma lo conosceva e non l'avrebbe fermato.
Saaràn azzardò ancora a guardare di sotto e vide che aveva avuto ragione: il salto, oltre al sottile assito che ricopriva il ponte, arrivava fino al torrente in un unico balzo.
Chiuse gli occhi e allentò le redini come aveva visto fare alle Togril.
In quel momento affidò la vita della moglie e la propria agli occhi e alle zampe dell'animale che stavano cavalcando e si rilassò.
Improvvisamente gli rivenne in mente Monglik e pensò a tutte le volte che quell'animale fedele lo portò in salvo, chiedendogli in cambio soltanto un poco rispetto e affetto, proprio come quello che montava ora.
Nel ricordarselo, si vergognò.
Le parole gli salirono alle labbra prima che potesse rendersi conto di averle pronunciate.
Al dire il vero, nemmeno allora credette di averle dette, eppure le udì uscire dalla sua bocca.
"Mi affido a te, Monglik, vai" disse delicatamente al morello, accarezzandogli piano il dorso con il palmo della mano.
Ebbe la sensazione che l'animale scuotesse la testa per fargli capire che lo aveva compreso.
Il morello sbuffò, proprio prima di posare con decisione lo zoccolo sul legno.
Il tonfo sordo che il violento contatto provocò, colpì Saaràn al petto come una mazzata e senza volerlo trattenne il fiato.
Le braccia di Helun si strinsero attorno a lui come una morsa.
L'eco dei passi del cavallo scese fino al fondo del burrone prima di ritornargli addosso e sovrapporsi al tonfo successivo.
Per un momento gli parve di volare: l'aria risaliva dal basso con un soffio gelido dandogli l'illusoria sensazione di sollevarlo, ma non osò aprire gli occhi.
Attese e contò i rimbombi degli zoccoli sulle assi: ... venti... venticinque... trenta!
Poi un freddo differente, umido e improvviso, lo avvolse come un manto e un soffio tiepido come un respiro lo raggiunse in faccia.
Sapeva di muffa, di pietra bagnata e di stantio.
Il tonfo dello zoccolo del suo Tarpan diventò uno schiocco che colpiva un suolo roccioso, seguito da un altro e da un altro ancora.
Una eco diversa lo circondò, solida e netta come la pietra della montagna. L'avvolse, vicina e tutta attorno a lui.
Quando aprì gli occhi si trovò immerso in un buio scarlatto che presto divenne una penombra a cui i suoi occhi dovevano abituarsi.
Era entrato in una galleria di solida roccia, larga, spaziosa, sulla destra illuminata da strette feritoie svasate in blocchi squadrati, sulla sinistra di pietra scavata ad arte.
Ce n'erano tante di quelle feritoie, regolari, squadrate, una posta ad ogni pochi passi dall'altra.
Erano tante e si perdevano in lontananza, si inoltravano in profondità davanti a lui.
La luce del sole, che in esse si infilava, rifletteva nel polveroso pulviscolo fluttuante nell'aria e le lame luminose che vi proiettava dentro, si posavano su quella di fronte disegnandovi rettangoli illuminati.
Abituandosi a quella luce, davanti a sé Saaràn vide le Togril avanzare distanziate di pochi passi le une dalle altre, spostandosi da un cono di luce all'ombra come in un gioco che si ripeteva per ogni feritoia su ognuna di esse.
In fondo, a un centinaio di passi o forse più, piccola come un bottone luminoso, scorse una luce più intensa.
L'uscita della galleria.
Con un po' d'emozione, Saaràn si rese conto di essere arrivato a Togriluudyn.
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