16) EFFETTO SORPRESA
La soluzione la propose Frassinella.
"Proverò a non cambiare forma!" annunciò entusiasta la Yaonai e Saaràn la guardò sbigottito.
"Come...Mia Signora?" le domandò lui allibito.
"Benché non abbia ancora provato a viaggiare in questo modo, resterò lupa e sotto queste spoglie proverò a spostarmi da un luogo all'altro" gli disse ancora lei.
"E io, Signora... come potrò seguirti, se non potrò afferrare la tua mano?" eccepì lui, incerto se esultare davanti a quella proposta.
Lei gli sorrise, sconcertata tanto quanto lui dalla novità, eppure stimolata a metterla in atto.
"Lasciami provare, prima. Se potrò farlo e vedremo che funziona, quando ti guarderò e ti toccherò con la coda, tu l'afferrerai ben stretta e mi seguirai".
Saaràn annuì. Gli parve potesse andare, ma c'era una cosa a cui per il momento non avevano pensato .
"Desideri che porti io gli aculei di Zűin?" le domandò ancora e la vide subito scuotere la testa.
"No, li terrò io" rispose lei senza incertezze "Li terrò tra i denti, perché non mi fido ad abbandonarli prima di essere sicura di dove lasciarli".
"Di cosa hai paura? Eppure ormai sono immune dal loro effetto" replicò lui.
"Non è questo, sospetto che lasciati in mano a un uomo richiamino Gioturna. Non ricordi? Tu stesso mi hai detto che avevi avuto questo timore. Sono troppo pericolosi per correre un tale rischio. Per contro, sono abbastanza certa che finché li terrò io, saremo al sicuro".
Davanti a queste congetture, egli non poté che assentire.
Trovandosi d'accordo, i due si sbrigarono a metterle in atto.
Il tempo passava e l'Urdu era distante.
La donna ridivenne lupa e fece qualche tentativo, ma ben presto si accorse che spostarsi in quel modo attraverso il Mondo dei Semplici, era tutt'altro che facile.
Per lei tuffarsi contro l'erba con quel corpo così diverso da quello a cui era abituata, fu come per un esperto nuotatore che si gettasse abitualmente in acque fin lì ben conosciute, improvvisamente vi incontrasse correnti, mulinelli, alghe, scogli e ostacoli che prima non vi erano mai stati, a impedirgli i movimenti.
Un nuotatore meno esperto di lei si sarebbe certamente perso nei meandri viscosi in cui correvano le Yaonai e sarebbe annegato.
I primi fallimentari tentativi furono disarmanti, ciononostante, poco alla volta Frassinella riuscì a districarsi dalle difficoltà, arrivando a compensare la minore agilità che aveva da lupa, con i migliori sensi dell'olfatto e dell'udito dell'animale rispetto alla sua forma umana.
Si fece guidare più da quelli, che dal senso di orientamento nel quale le Yaonai erano sublimi.
Si affidò all'istinto e in questa maniera, passo dopo passo, arrivò a comprendere da quale parte dovesse dirigersi per arrivare nel punto desiderato.
Le ci vollero più tentativi per riuscirvi, tuttavia alla fine ottenne il risultato desiderato e benché fosse un poco più lenta e potesse spostarsi per tratti più brevi rispetto a quando lo faceva come donna, la sicurezza che Frassinella acquisì dopo le prime incertezze parve darle una soddisfazione tale, che si mise a ridere tra un balzo e l'altro.
Una volta appresa la tecnica, ci prese gusto a comparire e scomparire a pochi passi attorno all'uomo.
Saltava a balzi, come un lupo, prendendolo alla sprovvista, alle spalle, di fronte, di fianco, allungando sempre di più il tragitto ad ogni tentativo.
Saaràn la guardava saltare, comparire, nascondersi, balzare fuori dall'erba in continuazione, divertito anch'egli della sua gioia, lieto tanto per lei che per se stesso che fosse riuscita nel suo intento.
Poi venne il suo momento per lui di provare a sua volta.
Il primo contatto che ebbe con la coda robusta e pelosa di Bortecino lo fece sentire strano.
Sbagliò, più volte.
Nel momento di compiere il balzo partiva sempre troppo presto o troppo tardi.
Non se la prese, tentò ancora.
Non riusciva a comprendere quando il tocco della coda fosse casuale oppure voluta, ma dopo le inevitabili incertezze su come attuare il trasferimento, apprese i tempi giusti per seguire i movimenti di lei e ad ogni tentativo i due migliorarono visibilmente nella riuscita.
Si allenarono per qualche tempo per raggiungere un'intesa perfetta e quando si sentirono abbastanza pronti per tentare di avventurarsi nella Steppa, decisero di avviarsi.
L'Urdu li aspettava, non era più il momento di giocare.
La consapevolezza di essere in procinto di fare una cosa pericolosa fece passare ad ambedue la voglia di sorridere.
La vita di migliaia di persone dipendeva da loro.
Il destino di Togriluudyn e degli Un era nelle loro mani.
Ridivennero seri e con un unico balzo arrivarono fino in fondo alla valle. In vista della sterminata Steppa, Bortecino ebbe un momento di smarrimento.
Il timore di perdersi in quel mare d'erba l'intimorì, ma Saaràn le diede il coraggio si spiccare il primo salto.
I due scambiarono uno sguardo e lui le afferrò la coda.
Partirono, tenendosi sempre in vista del letto del torrente.
Anziché arrivarci in un unico trasferimento, dovettero fare più soste per permettere alla lupa di orientarsi e correggere la rotta, tuttavia in quattro o cinque balzi arrivarono abbastanza vicino all'accampamento Un da poterne vedere i primi carri in lontananza.
Con un ultimo sguardo d'intesa, soddisfatti del risultato l'uomo e la lupa si gettarono a capofitto nell'erba per raggiungerli.
Entrambi avevano fretta di arrivarvi.
Saaràn si sentiva sotto pressione.
Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta arrivato sul posto o come avrebbe reagito Kutula nel vederlo arrivare con la Lupa Azzurra, malgrado ciò non voleva rimandare ancora.
Sentiva che doveva incontrare il suo antico Anda il prima possibile, prima che qualcuno dell'accampamento prendesse un'iniziativa pericolosa che poteva trasformarsi, una volta iniziata, in una rivolta difficile da controllare per chiunque.
Voleva parlargli da solo, senza nessuno che potesse ascoltarli.
Temeva il carattere collerico del Khan e si chiedeva come avrebbe reagito.
Si domandava se Kutula avrebbe compreso che voleva aiutarlo, o piuttosto l'avrebbe considerato un pericoloso avversario per la corsa al potere.
Questo non lo sapeva, ma prima che con chiunque altro, i due Anda dovevano parlare per comprendersi, spiegarsi e cercare una soluzione assieme.
Queste erano le speranze e i dubbi che animavano l'animo di Saaràn mentre viaggiava per quell'ultimo balzo tenendo ben salda la sua mano alla coda di Bortecino.
Malgrado ciò, quando giunsero in vista dell'Urdu e si ritrovarono in mezzo al branco di lupi che li attendeva ben nascosto nell'erba, intuì subito che qualcosa non era come doveva essere e che le preoccupazioni che l'avevano agitato fino ad allora, erano state inutili.
Non c'erano sentinelle in vista.
Tutto era stranamente tranquillo e silenzioso.
Benché quelli che vedesse fossero i carri più esterni dell'Urdu, quelli dei Fugai, i Raccoglitori di Sterco, coloro che tra gli Un erano i meno difesi di tutti, era strano che da essi non giungesse nemmeno uno strillo, un richiamo, uno schiamazzo, non si scorgessero bambini giocare o donne lavorare accanto alle Yurte.
Era strano e non gli piaceva.
Tra i carri dei Fugai c'era sempre qualcuno che gridava a squarciagola.
Qui l'arroganza silenziosa degli Un-han raramente arrivava.
Quella restava accanto al proprio signore, al Khan, pronta a servirlo o a ucciderlo, attuando l'una o l'altra cosa con il medesimo zelo per poterlo fare nel migliore dei modi.
Questo invece era il girone meno nobile, quello meno abituato alle ipocrisie dell'ambizione, il meno formale di tutti quanti.
Generalmente i Fugai era chiassosi, parlavano ad alta voce e non si risparmiavano nel rivolgersi l'un l'altro in modo rumoroso.
Malgrado ciò, i loro carri erano silenziosi.
Parevano deserti.
Arrivando nei pressi dell'Urdu, Saaràn aveva pensato di doversi nascondere per non farsi notare prima di aver incontrato Kutula, tuttavia vide che era inutile.
Nessuno era in vista, se non qualche vacca al pascolo, allontanatasi pericolosamente dalla propria mandria senza nessun controllo.
Anche questo era un cattivo segno.
Una vacca sola nella Steppa era una facile preda per un branco di lupi e gli Un lo sapevano bene.
Riportarla nella più sicura cerchia della mandria era un compito che generalmente svolgevano i Nonun, i servi, i bambini, gli anziani, ma queste parevano abbandonate a se stesse.
Tutto ciò era strano, molto strano.
Decise di andare a vedere da più vicino.
Lasciato il grosso del branco di lupi dove si trovava e avvicinatosi con cautela alla prima cerchia dei carri, nascondendosi dietro di essi per restare al coperto, Saaràn sbirciò all'interno dell'accampamento.
Al suo fianco, con in bocca l'involto degli aculei ben saldo tra i denti, Bortecino non lo lasciava un attimo, così come Khar e Zurvas che gli stavano alle spalle, proteggendolo da quella parte.
Dopo non molto si rese conto di dove fossero andati i Fugai.
In lontananza vide una moltitudine di gente raccolta attorno al Carro Reale.
Gli Un erano laggiù, tutti quanti, nessuno escluso.
Anche questo era molto strano.
Se anche le sentinelle non erano al loro posto, doveva essere successo qualcosa di molto grave per i Clan.
Nemmeno tra i carri più interni vi era qualcuno.
La strada era libera.
Facendo un cenno a Khar e Zurvas perché restassero dove si trovavano, Saaràn guardò Bortecino e le afferrò saldamente la coda:
"Portami laggiù" le disse senza incertezze e lei, accennando un gesto d'intesa con il capo, obbedì.
Balzarono all'unisono verso una margherita.
Spuntarono proprio alle spalle degli ultimi Un, tutti Fugai.
I Raccoglitori di Sterco erano addossati gli uni agli altri come tanti strati di una cipolla.
Si serravano in cerchio attorno al carro Reale.
Spingevano per scorgere qualcosa, appoggiati alle classi sociali più altolocate che li precedevano.
Erano stretti attorno al cuore pulsante della comunità, a fissare come potevano quello che vi accadeva al centro.
La comparsa dei due alle loro spalle fu talmente repentina, che nessuno si accorse del loro arrivo.
Erano tutti troppo attenti a osservare qualcosa che attirava la loro attenzione.
Ora che si trovava più vicino, Saaràn vedeva che davanti a lui vi era solo una parte dell'Urdu.
Quelli erano perlopiù donne, bambini, uomini anziani, oltre che Clan minori e pochi soldati, poi si rammentò del Kavryn-an, la Grande caccia di Primavera.
Gli uomini migliori erano lontani dal campo.
Quello era un evento importante per l'Urdu, lo riforniva di cacciagione per quasi tutto l'anno e non durava meno di un mese, in modo di dare tempo al miglio di germogliare ed essere raccolto.
Kutula gli aveva detto che l'avrebbe fatta iniziare prima quell'anno e da quando glielo disse non erano ancora passate due settimane.
La caccia non era ancora finita.
Vista l'esiguità della folla, il grosso dell'esercito doveva essere impegnato nelle operazioni di accerchiamento della selvaggina e sarebbe rientrato soltanto quando le ultime prede chiuse nelle reti, non fossero state massacrate tutte quante a colpi di freccia.
Probabilmente la maggior parte dei nobili Un-han e dei soldati non erano molto lontani, ma già il fatto che non fossero presenti nell'accampamento era un vantaggio per lui.
Il Carro Reale era a un centinaio di Tese da dove si trovava.
Come l'ultima volta era ancora leggermente storto e pendente da un lato, appoggiato sui ceppi in mezzo al guado del torrente, in attesa che arrivassero le ruote nuove per sostituire quelle rotte.
Essendo più alto di coloro che osservavano, nonostante la ressa di cavalli e cavalieri che si assiepavano nelle prime fila, anche Saaràn lo scorgeva chiaramente e vedeva che sulle ruvide assi che ne formavano il pianale, vi era un uomo chino a terra, prostrato, legato a un Syedan come lo era stato lui pochi giorni prima.
Nelle prime file i nobili erano agitati e i loro cavalli scalpitavano tenendo indietro la massa.
Probabilmente era quell'uomo la causa di tutto quello scompiglio.
Non sapeva chi fosse, eppure dalla posizione delle membra distorte e serrate nei legni della gogna, intuiva che stesse soffrendo le pene che aveva patito lui quando si trovò nella medesima situazione di quel poveraccio.
Sentendo ancora su di sé quelle corde ruvide, lo compatì.
Al solo pensiero di aver avuto addosso il Syedan, gli vennero i brividi e si massaggiò i polsi, passando le dita dove le corde li avevano serrati ai legni.
All'esterno della Yurta Reale, infisso saldamente nello spesso assito del pianale del carro, a fianco della porta d'ingresso, scorgeva il palo che reggeva le insegne del Khan: in alto il Tug, lo Stendardo Reale in corna di Yak, sorreggeva le cinque code di cavallo che sventolavano nel vento.
In mezzo lo Sherdan, lo stendardo del Khan, uno scudo tondo con dipinto un Lupo Azzurro su fondo giallo.
Bene, si disse. Dove vi era lo Sherdan, lì si trovava il Khan.
E più sotto ancora vedeva sventolare l'Aul, con sopra un Orso Nero Rampante su fondo viola, vessillo della tribù dei Kaidu, a cui apparteneva Kutula, il suo Anda.
Dietro agli Un-han che si agitavano come scalmanati per tenerla indietro, la massa degli Un era stranamente silenziosa, quasi stesse aspettando che qualcosa accadesse da lì a poco.
Pensò che forse Kutula avesse trovato un complice di Muu-Gol e stesse per farlo giustiziare, tuttavia del suo amico non vedeva ancora traccia.
Intuendo che si trovasse all'interno della Yurta Reale, afferrò nuovamente Bortecino per la coda.
Serrandola forte tra le dita, i due si scambiarono uno sguardo e si capirono al volo.
Prima che fosse troppo tardi era meglio muoversi, se voleva parlargli da solo.
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