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12) TRACCE DI VITA

Silenziosi, immobili e corazzati come erano, i quattro guerrieri Togril incutevano timore soltanto con la loro presenza.

Saaràn, Helun, i figli, Uleg e Omnod, prepararono con cura la loro roba, facendo ben attenzione a non provocarli inutilmente.

Per quanto non avessero più manifestato intenzioni ostili nei confronti degli Un, nemmeno a Omnod passò per la mente di tentare di fuggire dalla valletta, ben sapendo che se anche avesse potuto sorprendere quei quattro, non sarebbe ugualmente andato lontano.

All'esterno, accovacciati nell'erba con attenta noncuranza verso quello che accadeva oltre le rocce, i lupi mantenevano il controllo del territorio.

Mai nessuna sentinella Un sarebbe stata altrettanto solerte di quelle bestie selvagge a tenere d'occhio dei prigionieri.

All'apparenza il branco nemmeno degnava di uno sguardo i prigionieri, eppure nessuno dubitò neppure per un attimo che chiunque avesse tentato la fuga, avrebbe fatto ben pochi passi prima di essere circondato, bloccato e aggredito da una cinquantina di lupi feroci, disposti a qualunque cosa pur di non lasciarlo andare via.

Nessuno uscì da solo se non per pochi attimi e nemmeno Gerel sembrava a suo agio con tanti lupi all'erta fuori della valletta.

Per quanto ne fosse attirata e spiasse ogni loro mossa da distante, per quanto fosse affascinata dalla loro presenza, la bambina restava accanto alla madre e li osservava da lontano.

Quando poi per Saaràn, Omnod e Uleg arrivò il momento di spostare il carro dall'imbocco della valletta, a spingerlo fuori venne anche Chonyn.

Saaràn lo ringraziò.

Quando l'ebbero posizionato al meglio, il Togril salì sul carro e portò acqua e cibo a Kha-Cik.

Quando avvertì la sua presenza, il lupo steso sullo scudo dell'uomo uggiolò di contentezza e il Naaxia osservò con quanta attenzione l'uomo e l'animale si davano reciprocamente affetto.

Si ricordò di Monglik e si vergognò di se stesso per come si comportò nei suoi confronti.

Fu troppo per lui e distolse lo sguardo da quei due.

Aveva abbandonato nella Steppa il suo amico e l'opprimente senso di colpa gli pesava ancora sulla coscienza.

Dalla rabbia gli venne voglia di urlare, ma soffocò la sofferenza che gli stringeva la bocca dello stomaco in un mugugno appena udibile.

La ferita provocata da quel distacco era ancora troppo fresca per non soffrirne, così si allontanò e andò ad aiutare la moglie alla stanga del carro.

Insieme attaccarono le vacche al traino ed Helun insistette per avere anche Bor e Dakhi, i due pezzati.

Quando ebbero finito di attaccare anche quelli, Saaràn l'aiutò a salire e la donna andò a prendere le redini sul davanti del carro.

Rimaneva solo una cosa da preparare: la mandria di stalloni.

Stavano ancora pensando a come fare per trasportarla in sicurezza, quando arrivarono le donne che dalle rocce li avevano tenuti sotto tiro.

Con gli archi a tracolla arrivarono in silenzio, osservando Omnod con sospetto, Saryn con curiosità e Gerel con rispetto.

Sebbene lo Scengun si fosse tolta la divisa del Khan e vestisse come Saaràn, alcune di quelle donne gli scoccarono occhiate così cariche d'odio, che al loro passaggio lui si spostò, si mise in disparte e le lasciò sfilare senza dire una parola.

Man mano che le Togril entravano ordinatamente nella valletta, quella al comando le smistò, dando brevi ordini ad ognuna di esse.

Gli Un non ebbero bisogno di molto tempo per comprendere di quale disciplina fossero dotate quelle donne.

Si muovevano rapide, andando ognuna al posto assegnato senza discutere.

Mostrarono un certo interesse soltanto per Helun e per il carro che ella conduceva, ma appena furono passate oltre, tornarono attente e ordinate come prima.

Si diressero verso la mandria.

Dimostrando una lunga abitudine a trattare con quegli animali, si avvicinarono con cautela ai Tarpan e si divisero i cavalli, prendendone due a testa.

Su uno di essi salirono cavalcandolo a pelo, mentre l'altro lo portarono al traino.

L'efficienza dimostrata da quelle donne lo stupì, ma non potendosi opporre Saaràn le lasciò fare senza dire una parola.

Al pari di Omnod si fece da parte, tuttavia fu con un nodo alla gola che vide portare via quelli che ormai considerava i suoi cavalli.

Mentre le arciere uscivano due alla volta attraverso lo stretto ingresso della valletta e si sistemavano in colonne ordinate davanti al carro di Helun, Chonyn disse a Uleg di farli salire a cavallo e di aspettare il loro ritorno mettendosi dietro al carro.

Dopodiché i quattro Togril, lasciando ai lupi e alle donne il compito di sorvegliarli, rinfoderarono le spade e si allontanarono di corsa.

Saaràn li seguì con lo sguardo domandandosi dove stessero andando e non poté che essere colpito dalla loro forza.

Erano agili, veloci e scattanti anche con la corazza addosso e lo scudo appeso al braccio.

Guardandosi attorno incuriosito, si domandò dove fosse finito Tomor biye.

Prima l'aveva cercato, ma dopo il colloquio non l'aveva più visto nei dintorni.

Voleva ridargli la lamina di ferro che aveva trovato sotto uno degli Hanbakai, tuttavia dovette rimandare a tempi migliori il suo proposito.

Nell'attesa che i quattro uomini di ferro tornassero, Gerel, Saryn e i tre uomini salirono in groppa ai loro cavalli e raggiunsero Helun.

Si posizionarono dietro il carro come gli era stato ordinato e attesero pazientemente il ritorno dei Togril.

Quando dopo poco quelli ricomparvero, i prigionieri rimasero talmente sorpresi nel vederli arrivare a cavallo, da restare a bocca aperta.

Montavano enormi cavalli dal pelo lungo, scuro e folto fin sugli zoccoli.

Erano i destrieri più alti e imponenti che gli uomini dell'Urdu avessero mai visto: ogni zoccolo di quegli animali ne valeva quattro dei loro Tarpan e la testa, ampia come quella di un bue, era grande il doppio di quella di un cavallino della Steppa.

Erano possenti, irrequieti, tanto pesanti da far vibrare il terreno ad ogni passo che facevano.

Maestosi e lenti, i cavalli Togril avanzavano sicuri, con gli occhi attenti e le froge dilatate, guardando con curiosità i piccoli Tarpan della Steppa che indietreggiavano spaventati nel vederli avvicinare.

Come i cavalieri che li montavano, anch'essi erano corazzati con lamine di ferro lucido sul petto e sulla testa.

Scintillavano nel sole e incutevano timore al solo vederli.

Erano attrezzati con finimenti curati, massicci e forti, morsi in metallo e una grossa sella di cuoio con lunghe e robuste staffe per sostenere i piedi dei cavalieri.

Era più simile alla sella Taiciuta che non a quella Un e sul lato sinistro, infilata in un fodero di cuoio grande e spesso, vi era appesa una spada a due tagli, molto più lunga di quella che portavano rinfoderata a vita.

Saaràn immaginò che la usassero quando combattevano a cavallo, per colpire più facilmente nemici appiedati.

Senza dire una parola, i quattro si disposero subito dietro ai prigionieri, sistemandosi a ventaglio.

Sentendosi a disagio, al loro apparire Gerel preferì riprendere il suo posto accanto alla madre: smontò, attaccò Filli a uno degli anelli posteriori del carro e risalì la scaletta con la velocità di un furetto.

Quando tutto fu pronto, Chonyn diede ordine alla donna in testa alla colonna di mettersi in marcia.

Dal fondo della colonna attesero che le donne partissero appaiate, ordinate e precise nel mantenere distanza e allineamento.

Dietro alle Togril si mosse il carro guidato di Helun con Gerel seduta al suo fianco, poi Saaràn, Omnod e Uleg a seguirle da presso.

Dietro a tutti si mossero per ultimi i quattro Togril e lungo i lati della colonna, sparpagliati e guardinghi mentre andavano avanti e indietro, seguivano i lupi a passo spedito, annusando la terra e l'aria alla ricerca di odori sospetti.

La colonna si diresse verso Est.

Saaràn sapeva che da quella parte vi era solamente il greto del torrente che avevano seguito per giorni e suppose che fosse là che le Togril si stessero dirigendo.

Ben presto si rese conto di aver visto giusto.

Marciarono di buon passo per quasi un Zai, quando incontrarono la sponda pietrosa del torrente in secca e la seguirono, risalendola verso i monti.

Dopo non molto le vide inoltrarsi in profondità all'interno di una valle lunga, ampia ed erbosa.

Erano arrivati ai Monti d'Oro.

Fianchi di montagne si inerpicavano tutto attorno a loro su morbide morene di detriti, prima di svettare alte in frastagliati costoni di roccia grigia che si perdevano nelle nuvole.

La colonna delle Togril entrò nella valle risalendo il percorso del torrente.

Saaràn stimò che doveva essere lunga molti Zai, però non avrebbe saputo dire quanti.

A malapena riusciva a scorgerne le pareti rocciose in fondo, che ancora in ombra, la sbarravano.

Il sole doveva già essere alto, ma dalla sera prima il cielo si era mantenuto nuvoloso e Ten-gri si vedeva soltanto a tratti.

Nella valle la colonna avanzava in una penombra umida e fredda e i contorni delle cime dei monti erano soltanto linee più scure nell'ovattata trasparenza delle nebbie.

La marcia procedette a lungo, in linea retta, con una pendenza morbida, costante e senza scossoni per il carro.

Il pianoro che si stringeva come un imbuto tra le due catene di monti che lo circondavano, si mantenne piano, ricoperto di cespugli ed erbe insolite che Saaràn faticò a riconoscere, grasse, basse e spesse, ancora fradice dalla brina notturna.

Il carro avanzava tranquillo procedendo su di un tratturo livellato, nel quale il fondo erboso pareva essere stato liberato da massi e rocce per cinque o sei Tese di larghezza lungo tutto il suo tratto.

La cosa all'inizio incuriosì il suo istinto di Cercatore di strade.

Pensò si trattasse di un caso, poi si accorse che non era così.

Benché fosse ben camuffata sotto uno spesso strato d'erba, si rese conto di essere sopra a una strada costruita appositamente per risalire quella valle.

Non dovevano passare molte persone per quella via, come non vi erano solchi nell'erba a indicare il transito recente di carri.

Evidentemente il loro doveva essere il primo a passare su quella strada da molto tempo a quella parte, però in passato Saaràn aveva già visto strade come quella e sapeva dove li avrebbe condotto.

Scosse la testa, sperando di sbagliarsi.

Presto la colonna avrebbe incontrato un villaggio di gente tranquilla, pacifica, che lavorava la terra ignara di cosa volesse dire il loro arrivo in quella valle.

Case, strade, campi arati. Donne, bambini, anziani.

Aggrottò la fronte e un pensiero inquieto gli balenò nella mente.

Un detto Un diceva: Sotto Ten-gri non esiste che la Steppa

e lui sapeva bene cosa significasse questo detto per la gente dell'Urdu.

Se gli uomini del Khan fossero arrivati in quella valle, avrebbero distrutto qualunque cosa vi avessero trovato e l'avrebbero rasa al suolo.

Non potendo fare altro che seguire la colonna delle Togril, senza dare nell'occhio Saaràn seguitò a osservare i dintorni della valle, alla ricerca di altri indizi che potessero fargli capire se aveva visto giusto.

Man mano che avanzarono inoltrandosi tra le montagne, le nuvole si diradarono, il sole illuminò la valle e lui salutò il suo arrivo con vivo piacere.

Era da quando erano entrati in quella valle che aspettava di vederlo.

L'umidità di quella mattinata uggiosa gli era entrata nelle ossa e gli faceva dolere la schiena e le spalle.

Mentre le nebbie del mattino abbandonarono poco alla volta le cime delle montagne scoprendole alla vista, Helun, Gerel, Saryn e Omnod guardarono allibiti e preoccupati quelle altissime pareti di pietra che li circondavano da ogni parte, sulle quali vedevano aggrappati alberi fino a dove arrivavano gli sguardi e massi in bilico, pronti a crollare a valle a ogni momento.

Mai in vita loro avevano visto uno spettacolo simile.

Abituati agli spazi aperti della Steppa e a muoversi per tutta la vita solamente sotto il Ten-gri, temevano che da un momento all'altro quegli immensi ammassi di rocce potessero crollargli addosso.

Se in cuor loro quei quattro temettero di essere giunti alla fine della loro vita, Saaràn non poté biasimarli, perché, scorgendo Ten-gri ridotto a una stretta striscia azzurra appena visibile tra una catena di monti e l'altra, egli stesso provò la medesima sensazione.

Per la prima volta la sua gente non lo vedeva ricoprire tutto il mondo e se ne avevano paura, li comprendeva.

Tutto questo sapeva di fine, di conclusione, di morte.

Egli stesso provava quella soffocante sensazione e non gli piaceva.

Se la sua famiglia era giunta fino a lì era per seguire lui, ma come Un egli sapeva che avrebbero preferito tornare indietro e fuggire lontano, verso quegli spazi aperti che conoscevano e amavano da sempre.

Era l'abitudine assimilata in generazioni di vita nomade che gli chiedeva di allontanarsi da quella realtà diversa da ciò che conoscevano.

Tutto questo si scontrava improvvisamente con una realtà nuova in cui restare era difficile.

Anche per Omnod era la medesima cosa.

Solo l'affetto che provava nei confronti di Saaràn lo tratteneva dall'andarsene via e lui lo sapeva.

Lo rispettava come capo e questo lo inorgogliva.

Fino ad ora lo aveva condotto bene, aveva saputo agire per il meglio al momento giusto, perciò, se diceva che era necessario arrendersi e andare con quella gente, benché spaventato e perplesso, il ragazzo avrebbe ubbidito e sarebbe rimasto.

L'avrebbe seguito ovunque, fino in fondo, anche a costo di andare all'inferno.

Purché fosse una buona sorte, quello era un buon giorno per morire, diceva un motto Un e Saaràn ne sorrise, sperando che non fosse ancora la volta buona per nessuno di loro.

L'unico che non parve contrariato dall'inoltrarsi attraverso i monti, fu Uleg.

Al contrario dei suoi compagni, il Taiciuto fissava la valle in cui si stavano infilando quasi la stesse ammirando.

Non ascoltava i mugugni soffocati che di quando in quando giungevano da Omnod che cavalcava al suo fianco.

Nemmeno avvertiva i commenti colmi di stupore dei due bambini e dalla sua padrona.

L'anziano servo era lontano, assente.

Con i pensieri che vagavano chissà dove, appariva appagato, dopo anni di esilio e schiavitù.

Per la prima volta da molto tempo si sentiva a casa e si vedeva chiaramente.

Ogni cosa della sua persona lo lasciava intendere.

Anche i suoi vestiti, verdi, ridicoli altrove, troppo visibili nella Steppa, qui ritrovavano una loro ragione di esistere.

Erano giusti. Si fondevano quasi perfettamente nelle tonalità umide e scure del fondovalle e ne divenivano parte integrante.

In qualche modo i ricordi che il Taiciuto portava con sé condividevano in parte la storia di quelle terre, anche se era nato in valli differenti, ormai smarrite lontano nella Steppa.

Con gesti lenti e appagati Uleg accarezzava piano il cappuccio floscio sul petto, noncurante a tutto il resto.

Di quando in quando stringeva nella mano la piccola sfera di metallo per accertarsi che non fosse andata persa, quasi fosse una vecchia e fidata amica ancora al suo fianco.

Saaràn lo vide e scosse la testa.

Non riusciva a condividere la gioia del suo servitore.

Per una volta tanto, l'attento e arguto Taiciuto che spesso il Naaxia aveva trovato d'accordo con i suoi timori, questa volta sembrava non avvertirli. Al contrario del Nonun, egli faticava a trattenere la sua inquietudine.

Temeva che da un momento all'altro comparissero alla vista campi coltivati, strade, case e questo sarebbe stato un grosso guaio per i Togril che vi abitavano.

Le tracce nell'erba sarebbero state troppo evidenti per sfuggire alla vista di una pattuglia in perlustrazione e gli Un di Kutula venivano proprio in questa direzione per prendere le ruote del il carro Reale.

Quegli uomini cercavano lui e di certo prima o poi avrebbero visto le impronte del carro, le avrebbero seguite, risalite.

Due, forse tre giorni al massimo e sarebbero arrivati alla strada che i Togril stavano seguendo ora.

All'inizio sarebbero stati in pochi, un centinaio appena aveva detto Omnod, ma se al loro arrivo non l'avessero trovato ad attenderli con le ruote, l'avrebbero cercato e avrebbero fatto rapporto al Khan.

Dopo ne sarebbero arrivati altri, molti altri.

Inoltre, da qualche parte c'erano anche gli Hanbakai.

Non sapeva che fine avessero fatto, dove fossero, cosa stessero congetturando in quel momento, ma a modo loro rappresentavano un pericolo mortale per quella gente.

Muu-Gol avrà già saputo dell'esistenza dei Togril? Non ne aveva idea.

Non gli piaceva tutto questo, sopratutto perché non aveva previsto che quelle montagne fossero abitate.

Erano molte le cose che in quel momento non aveva modo di sapere, tuttavia di un fatto era assolutamente certo: la comparsa dell'Urdu in quella zona della Steppa, poteva diventare un grosso guaio per gli abitanti di quella valle.

Un grosso guaio, reale e pericoloso per tutti quanti loro.

Scosse la testa preoccupato, osservando la strada che stavano percorrendo.

L'unico vantaggio rappresentato da quel tratturo ben spianato, era che per una volta tanto non doveva preoccuparsi per il carro.

Su quel terreno pianeggiante e ben livellato Helun sapeva destreggiarsi bene anche senza la sua guida.

Quei due giorni di solitudine nella Steppa le avevano fatto bene, era cresciuta, le difficoltà che aveva affrontato l'avevano resa più forte e consapevole delle sue reali possibilità, nonostante la menomazione alla gamba l'avessero ostacolata.

Ne era contento, perché di fronte a quello che temeva per il futuro, iniziava a sentirsi vecchio e stanco.

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