12) EPIDEMIA MORTALE (Seconda parte)
Anche Frassinella lo sapeva.
Ne era perfettamente cosciente e continuamente tra sé e sé se lo ripeteva, ciononostante faticava a staccarsi da tutto questo.
Della Foresta Nera, dimora e dominio per millenni del fiero popolo delle Yaonai, della sua casa natia, della sua famiglia, non restavano che macerie fumanti coperte di cenere.
Delle Schegge con le quali le sue Sorelle di Foresta avevano condiviso vita e speranze, non rimanevano che cadaveri riversi a terra, carbonizzati, straziati da un potere immenso.
Per molte Yaonai, le più fortunate, la morte sarebbe sopraggiunta all'istante con l'esplosione del vulcano, ma per altre, le poche sventurate che come lei si sarebbero trovate condannate a vivere ancora, la sopravvivenza all'inizio sarebbe stata molto difficile.
Alle volte sarebbe parso loro impossibile respirare ancora senza la parte vitale che le era stata tolta, poi avrebbero ripreso a trascinarsi senza una meta da un luogo all'altro, inutili per sé e per gli altri, senza uno scopo, fino all'abbruttimento.
Lei lo sapeva, c'era già passata e sapeva cosa volesse dire essere senza radici. Eccome se lo sapeva.
Quelle che lasciava nell'animo perdere metà di se stesse, erano cicatrici profonde.
Non avrebbe augurato a nessuno un dolore simile.
Tuttavia, vedendo Saaràn fissare con tanta smania cima Khurts Khutga, la via del ritorno... casa, anche lei ripensò ai lupi, ai Togril, a Togriluudyn e si disse che in fondo era fortunata, perché, al contrario delle sue Sorelle, tutto questo lei l'aveva già passato e ora aveva qualcuno a cui tornare.
Eppure ancora dubitava.
Paura, dubbio, solitudine, forse.
Spinta da un desiderio atavico di vicinanza emise un lento gemito, il canto delle Yaonai, un suono acuto e triste come un ululato, che echeggiò a lungo sulle rocce dei Monti Anunna.
Quando ebbe finito sorrise al pensiero di Khar-Chikh, il suo compagno, solo, ferito, lontano.
In cuor suo avrebbe voluto essere nel loro giaciglio assieme a lui e strusciarsi pelo contro pelo, curarlo, invece lei e il Naaxia erano qua.
In fondo aveva ottenuto quello per cui erano venuti.
Aveva mostrato a Saaràn quello che restava del Mondo delle Yaonai e avevano trovato chi poteva aiutarlo.
Il Cercatore di Strade conosceva di nuovo l'Infinitamente Piccolo e l'uomo aveva incontrato Faggiola, la Grande Madre.
Tutto quello che si era riproposta di fare l'aveva ottenuto, tuttavia tutto questo aveva un prezzo.
Le cose a Togriluudyn andavano male, molto male.
Saaràn, per quanto ancora non lo sapesse, era stato fortunato.
Dopo aver contratto il morbo da Gioturna si era salvato e si era ripreso in fretta, ma lui era diverso dagli altri uomini.
Nelle sue vene scorreva sangue Yaonai.
Le medicine che il Maestro gli aveva somministrato avevano avuto un effetto incredibile sul suo corpo, ma gli altri...
Tremò al pensiero di quello che stava accadendo a Togriluudyn e si strinse ancor di più nelle braccia per darsi coraggio.
Pensò ai Togril che cadevano come mosche senza che lei potesse fare nulla per salvarli.
L'avvenire, ora più che mai, le faceva paura.
Se ormai tutto fosse crollato?
Tutto l'impegno, tutto il lavoro svolto da generazioni intere, svanito in poco tempo.
Tutto era stato stravolto così in fretta, così radicalmente, che il cervello di chiunque faticava a restare dietro allo sviluppo di eventi tanto tragici e distruttivi.
Anche se era una Yaonai, il pensiero di essere una delle ultime di una fiera stirpe che per millenni aveva dominato su quelle terre, la faceva sentire debole e strana, incerta su cosa era meglio fare.
Inoltre gli eventi incalzavano, Gioturna, il morbo, i Togril, gli Un, tutto accadeva assieme.
Ancora non aveva accettato appieno quello che il presente le presentava, che già doveva pensare al futuro e non si sentiva ancora del tutto pronta a farlo.
Sapeva di cosa aveva bisogno, di cosa aveva bisogno una Yaonai quando perdeva la fiducia in se stessa.
Avrebbe avuto desiderio di qualcosa che le avesse potuto dare il coraggio di fare il primo, faticosissimo passo, poi tutto sarebbe venuto da sé.
Per questo aveva bisogno del consiglio della Grande Madre, di una parola, un conforto, una strada da seguire.
Come le accadde trecento anni prima, quando Salice Splendente le diede quella missione che poco alla volta divenne la sua ragione di vita.
Eppure questo tardava ad arrivare.
Questa forza di cui necessitava per iniziare a sperare le mancava.
Da due giorni attendeva di avere la possibilità di parlare assieme a Faggiola, tuttavia la situazione nella valle dei Togril era troppo grave perché la Grande Madre potesse allontanarsi dai suoi doveri di curatrice anche solo per pochi attimi.
Lei lo sapeva, era appena ritornata da Togriluudyn dopo aver passato la notte presso la sua gente.
Non poteva abbandonarli proprio ora, quando avevano più bisogno di lei.
Aveva dato ordini a Tomor di fare tutto quello che poteva.
Assieme a Chonyn aveva organizzato i soccorsi e lasciato disposizioni perché quello che era possibile fare, venisse fatto.
Tutto quello che le era venuto in mente per il bene dei suoi Togril, l'aveva realizzato.
Inoltre aveva spedito i suoi lupi nella Steppa, affinché raggiungessero il campo degli Un e non perdessero mai di vista i loro carri.
Ora che erano così vicini, voleva sapere in ogni momento quello che succedeva nell'Urdu, perché la situazione nella valle era delicata come ben poche altre volte lo era stato in passato.
Dopo l'aggressione di Gioturna al giovane Muu Atzai, gli uomini e le donne del villaggio avevano preso a cadere in preda alla febbre, ammalandosi uno dopo l'altro.
A Tosgon il morbo mieteva vittime tra i più deboli e i malati abbondavano. Ve ne erano troppi, rendendo difficili le cure.
I lavori nelle risaie erano stati sospesi, così come lo sgombero delle macerie provocate dal terremoto, perché l'urgenza era altrove, nel disperato ed estremo tentativo di salvare più gente possibile da quel morbo infame che aveva raggiunto la valle.
L'eccessiva vicinanza tra le persone e la moltitudine di contatti, accelerava il diffondersi del contagio.
Il male si allargava a macchia d'olio.
Di casa in casa, l'infezione si diffondeva come un incendio incontrollabile, mietendo vittime di ora in ora.
I primi a essere colpiti dalla febbre furono i compagni di lavoro di Muu Atzai, poi toccò alle loro famiglie e ai vicini di casa.
In soli due giorni metà della popolazione Togril era caduta preda del contagio e un malato ogni tre non ce la faceva a superare la crisi del terzo giorno. Il terzo giorno.
C'era bisogno dell'aiuto di tutti quelli che ancora non mostravano i sintomi della febbre.
Toccava a costoro il triste compito di portare lontani i cadaveri.
Coloro che non riuscivano a riprendersi dalla febbre dovevano essere seppelliti da qualche parte, in qualche maniera.
Tutto era successo talmente in fretta, che era difficile anche solo pensare a cosa fare.
Si faceva tutto quasi senza riflettere, si agiva e basta, sperando di fare il meglio.
Chi se la sentiva passava le sue giornate tra gli infermi, gli altri, i più, su ordine del Maestro si erano sparpagliati per le campagne ed evitavano di avere contatti con altri abitanti della valle.
Anche sua moglie Pino Argentato e le figlie erano lassù e non si risparmiavano da giorni.
Giorno e notte, senza mai fermarsi, assistendo come potevano i malati assieme a Faggiola.
In quanto Yaonai tutte loro erano immuni al contagio, ma erano poche in confronto alla moltitudine dei malati.
Per fortuna i rimedi che Neko aveva utilizzato per curare il Naaxia, parevano funzionare anche sui Togril.
Anche se meno velocemente e con minor efficacia che con Saaràn, tuttavia alcuni reagivano e miglioravano.
Le erbe di cui Neko aveva bisogno per curarli abbondavano in quella stagione e un intero reparto di giovani Togril si erano assunti il compito di raccoglierle nella valle e macerarle a dovere.
Quelli che avevano superato la crisi del terzo giorno e non erano morti per la tosse, già si sentivano meglio.
Anche se i tempi della ripresa sarebbero stati più lenti che per il Naaxia, qualche barlume di speranza c'era.
Tutto era stato messo in moto per il meglio, ma lei ora si sentiva sola e non sapeva come fare.
Dopo aver scoperto che il controllo che aveva su Gioturna era scomparso, non sapeva come affrontarla.
Questo era il dilemma che la torturava.
In seguito all'esplosione del vulcano qualcosa era cambiato profondamente nella natura di quell'essere immondo.
Qualcosa di così profondo e tremendo che le aveva permesso di attaccare i Togril nonostante lei fosse presente nella valle.
L'aveva pure aggredita durante il trasferimento Yaonai e questo non era mai successo prima.
Per qualche motivo il potere che la Grande madre le assegnò secoli prima sull'Immonda Creatura, pareva essere svanito e non ne comprendeva il perché.
Ora Gioturna era svanita.
Pareva scomparsa nel nulla, ma Frassinella sapeva che non era così. Sapeva che quella bestia si era nascosta da qualche parte, in attesa di attaccare ancora appena fosse stato possibile.
Forse l'arrivo della Grande Madre era riuscito a intimorirla abbastanza da farla rintanare nelle profondità della terra, ma cosa sarebbe accaduto, se anche Faggiola avesse perso definitivamente il controllo su di lei?
Gli unici a non essere ancora stati attaccati dalla sua furia erano gli Un, ma cosa sarebbe successo se il morbo che quell'essere maledetto portava con sé, avesse raggiunto anche i loro carri?
Per quanto con l'andar del tempo gli Un fossero diventati spietati, violenti e pericolosi, li aveva guidati per generazioni intere attraverso la Steppa e abbandonarli ora avrebbe reso vano uno sforzo durato secoli.
In qualche modo doveva salvare chi le avesse dato ascolto.
Le ruote spezzate del Carro Reale li avevano temporaneamente fermati, ma Frassinella non si faceva illusioni, presto i Clan avrebbero ripreso ad avanzare.
Avrebbero finito per trovare ciò che rimaneva delle tracce dell'antico villaggio nella valle, poi sarebbero arrivati fino ai Togril e sarebbe stata la fine per entrambi i due popoli.
Scoprendo il momento di debolezza in cui si trovava la gente della montagna, gli Un li avrebbero sicuramente aggrediti e sarebbero venuti a contatto anche con il morbo, condannandosi a morte certa con le loro stesse mani.
Avrebbe dovuto avvisarli del grave pericolo che stavano correndo se avanzavano ancora, oppure avrebbe dovuto abbandonarli a se stessi, salvando così soltanto i Togril?
Cosa avrebbe dovuto preservare?
I Togril che secoli prima l'avevano salvata, oppure gli Un, che lei stessa aveva condotto in salvo, facendoli fuggire dal medesimo pericolo che ora minacciava tutti quanti?
Non lo sapeva.
Si trovava davanti a un bivio che avrebbe causato gravi conseguenze qualunque fosse la scelta che avesse preso e non sapeva decidersi su quale strada seguire.
Nell'incertezza del momento, si strinse ancora di più nelle braccia.
Avrebbe dato qualunque cosa per avere un sostegno qualsiasi.
Un cenno, una parola, un gesto.
Poi, all'improvviso accadde l'imprevisto .
Al suo fianco, vedendola oltremodo silenziosa e triste, Saaràn fece una cosa che mai avrebbe immaginato di poter fare nei confronti della Sua Signora: le cinse le spalle con un braccio.
Nemmeno ci pensò, lo fece con un gesto familiare e spontaneo che gli venne dal profondo, soltanto perché sentiva che in quel momento era giusto farlo.
Lei era molto più alta di lui e l'Un faticava a tenerle la mano sulla spalla, ma nonostante tutto lo fece e notò con piacere che lei non si ritrasse al contatto.
Anzi, gli sorrise e dopo un primo momento di sorpresa e smarrimento, gli si strinse accanto e gli afferrò la mano.
Al Naaxia non parve nemmeno strano il contatto tra la pelle ruvida, callosa e calda della sua mano con quella delicata e fredda di lei.
In quel momento erano soltanto due esseri che, nella loro diversità, necessitavano di sentire che avevano accanto qualcuno su cui contare.
Entrambi avevano perduto il mondo in cui era cresciuti e vissuti, però ad ambedue restava qualcosa a cui fare ritorno e per cui lottare.
Ognuno di loro, a modo proprio, se ne rendeva conto.
Questo li rendeva molto più simili l'uno all'altra di quello che fosse mai accaduto prima e li univa rincuorando specialmente la Yaonai, che in quel contatto improvviso e inatteso trovò proprio quello di cui aveva bisogno: la sensazione di non essere sola.
Soprattutto, quel repentino e imprevisto calore trasmessole dalla mano dell'uomo alla sua, fu la spinta di cui Frassinella aveva bisogno per comprendere cosa doveva essere fatto.
Stringendo più forte la mano di Saaràn, senza staccare lo sguardo da quello che restava del bosco che un tempo conobbe come madrepatria, gli disse:
"Raccogli le tue armi. Partiamo. Ci restano ancora un paio di cose da fare prima di tornare a casa".
Al colmo della felicità, l'uomo non se lo fece ripetere due volte.
Ansioso com'era di partire, in un paio di balzi tornò al giaciglio.
Indossò in fretta le armi e per ultima raccolse da terra la bisaccia e se la gettò a tracolla.
Non se la ricordava così pesante.
Al duro contatto sul fianco, Saaràn si rammentò cosa vi aveva messo dentro prima di partire da Togriluudyn e iniziò a sudare.
I due aculei di Zűin!
Immediatamente avvertì attraverso il tessuto quegli oggetti maledetti e ne ebbe timore.
Erano velenosi, infetti, portavano la morte con sé!
Era quasi certo che fosse a causa di quei pungiglioni che Zűin li aveva inseguiti.
Incerto se toccarli ancora per levarseli da dosso o se lasciarli dove si trovavano, pensò fosse meglio avvisare Frassinella di quello che aveva fatto a sua insaputa.
"Mia Signora..." disse timidamente, quasi temesse di essere rimproverato mentre le andava incontro "... credo di doverti dire una cosa importante".
Lei si voltò incuriosita e se lo vide arrivare incontro a mani discoste dal corpo, quasi che fosse sporco.
"Sarebbe?" gli domandò.
"Credo di sapere perché Zűin ci ha aggrediti, l'ultima volta" disse impacciato.
"Davvero?" fece lei facendosi attenta.
Lui accennò un gesto con il capo, indicandosi il fianco: "Temo sia per quello... che ho nella sacca".
Non riuscendo a capire, la Yaonai aggrottò un poco la fronte e lui si affrettò a dirle:
"I due aculei... li ho... raccolti a tua insaputa e li ho portati con me".
"Sciocco uomo!" fu la prima reazione rabbiosa che la donna ebbe nel saperlo, poi, sforzandosi a rimanere calma e tornando lucida "Un momento" disse, subito dopo.
Quindi non ho perso il controllo su di lei, pensò tra sé e sé, potrebbe averci aggredito per riaverli. Forse non sopporta che siano in mano a un uomo. Chissà, potrebbe anche essere. Sì, ma certo!
Rimase pensierosa per un poco, poi, sentendo ritornare la fiducia, rivolgendosi a Saaràn, riprese a dire:
"Forse non è un male averli con noi e di certo è un bene che tu me lo abbia detto. La tua insensatezza, in fondo, mio caro Saaràn, potrebbe tornarci utile. Fammeli vedere, su" gli disse tendendo una mano in attesa.
Ma lui dubitò e rimase a braccia sollevate, distanti dalla sacca, mortificato e incerto sul da farsi.
Comprendendo i timori del Naaxia, lo rassicurò:
"Non temere, il morbo non può più niente su di te, oramai ne sei immune. Puoi prenderli in mano senza timore".
Fidandosi delle sue parole, Saaràn infilò lentamente una mano nella bisaccia, ne afferrò il pesante tessuto in cui erano avvolti i due pungiglioni e li tirò fuori.
Immediatamente li sentì pulsare nel pugno come fossero vivi e li consegnò volentieri nella mano della Yaonai.
Vedendolo sollevato per averle detto la verità, ma avvilito per il rimprovero ricevuto, lei si raddolcì.
In fondo l'uomo aveva agito d'istinto e quella dote era alla base di ogni scelta che un Cercatore di Strade doveva compiere ogni giorno.
Se voleva che diventasse un Gran Khan, doveva dargli tutto l'appoggio che poteva e dirgli tutto quello che egli ancora non conosceva.
"Sarà meglio che questi li porti io. Dubito che Gioturna ci aggredirà se faremo in questo modo, ma abbi ancora un poco di pazienza. Prima di partire devo dirti delle cose del tuo passato".
Incuriosito e preoccupato al tempo stesso, egli annuì.
Era poco entusiasta di dover rimandare la partenza, ma acconsentì e rimase ad ascoltare quella che la Sua Signora aveva da dirgli.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro