Capitolo 44: Voglio sentirti, essere sicuro che tu sia qui.
«Come mai non mi sono accorta di nulla?» sbuffa Jessica, scuotendo la testa, «Sono davvero una pessima amica.»
«Non è vero, piantala con questa storia.»
Scuoto la testa, anche se sono leggermente divertita. Certe volte mi domando come possa farsi prendere dallo sconforto così facilmente.
Dopo essere quasi svenuta dalla sorpresa, Jessica non ha smesso di pormi una serie di stupide domande sul novellino. Io non le ho sempre risposto, ma ho cercato di essere onesta il più possibile. Alla fine lei è arrivata alla conclusione che io e Peter stiamo insieme in segreto. Certo, non è affatto la verità, ma sembrava così felice quando lo ha detto che non ho ribattuto.
«Non ti preoccupare, farò finta di niente» mi fa l'occhiolino.
«Mhm» annuisco.
Speriamo solo non dica cose strane a Peter... Però non sarebbe così male vederlo arrossire d'imbarazzo.
A proposito di Peter... Io e Jessica siamo quasi arrivate alla casetta, ma siamo state fuori tutto il giorno, quindi non so se il novellino si senta meglio oppure no. So benissimo che se la può cavare da solo e che non ha bisogno di una babysitter, ma sono comunque leggermente preoccupata per lui.
Jessica continua a parlare di qualcosa e dopo qualche minuto arriviamo davanti alla casa in cui alloggiamo. Lei si precipita da Allison per raccontarle che cosa abbiamo fatto, mentre io vado a vedere se Peter è ancora nella sua camera.
Apro la porta della stanza e la trovo vuota. Il letto è rifatto, e non c'è traccia del novellino.
Aggrotto leggermente le sopracciglia, poi torno di là, da Jessica e quell'altra.
«Dov'è Peter?» chiedo, interrompendole di colpo.
Allison alza lo sguardo e Jessica si gira verso di me.
La ragazza dagli occhi verdi ha i capelli legati in una crocchia, e indossa dei vestiti comodi, da casa. Jessica invece è ancora in costume.
«Non lo so...» mormora, «Ha detto che usciva, ma non mi ha detto dove.»
Non rispondo, poi mi avvio verso il bagno. Cioè, questa resta qui per sorvegliarlo e lo lascia uscire, senza nemmeno chiedergli dove andava? Patetica.
Decido di farmi la doccia e di aspettare dopo cena per andare a cercarlo. Mi spoglio e dopo aver fatto colare un po' d'acqua entro nella vasca. Certo che dopo una giornata intera con Jessica ho bisogno di rilassarmi. Non che sia brutto stare con lei, anzi, a me piace parecchio, è solo che non sono abituata a fare tutti questi sforzi. Ridere e sorridere così tanto mi stanca.
Sospiro al contatto dell'acqua, ma mi affretto a raffreddarla, perché tutto quel calore mi ricorda il sogno di stanotte.
A proposito di Kai, dovrei invocare Katherine non appena torno a casa, perché tutto questo silenzio da parte sua mi sta facendo inquietare. So benissimo che ho poco tempo a disposizione prima che lui ottenga il diritto di venire a prendermi, per questo cerco di passare il più tempo possibile con i miei amici. Kai ancora non sa dove abito, e la probabilità che venga subito a cercarmi in questo buco di città è davvero minima. Se Katherine fa bene la sua parte e mi avverte in anticipo, dovrei riuscire a scappare in tempo.
Raddrizzo un poco le spalle.
Sarei disposta a scappare e a nascondermi per sempre pur di non tornare all'inferno.
Scuoto la testa e mi sciacquo il viso. Non devo pensare a tutto questo. Il sogno è stato più che sufficiente. Chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi nell'acqua fredda.
Ad un certo punto la porta si apre, e il viso di Jessica diventa subito rosso dall'imbarazzo.
«Mi dispiace scusa non pensavo ci fossi tu perdonami!» dice tutto d'un fiato, richiudendo la porta.
«Jessica, aspetta» mi alzo e mi arrotolo un asciugamano intorno al corpo, «Ho finito, puoi entrare.
Timidamente Jessica apre la porta, facendo spuntare il suo viso all'interno.
«Grazie...» mormora «Tra poco è pronto da mangiare, quindi cerco di fare veloce.»
Annuisco ed esco dal bagno, chiudendo la porta dietro di me. Mi avvio verso la mia stanza e mi vesto con una canottiera bianca e dei pantaloncini della tuta.
Mi guardo allo specchio mentre mi sistemo i capelli neri sulle spalle.
Decido di lasciarmi il viso al naturale, anche se di solito non mi piace essere struccata davanti a delle persone che non conosco o che trovo antipatiche. Sono più minacciosa con la matita nera intorno agli occhi, ammetto.
«Certo che Peter sembrava molto triste...» mormora Emrys.
«M-ma da dove sei spuntato?» esclamo, spalancando gli occhi.
«Sono entrato dalla finestra» alza le spalle.
L'amorino mi sorride, poi mi giro e mi accorgo di Amaris. Lei è seduta sul mio letto, e si sta facendo una treccia.
«E tu?» le chiedo.
«Io ero qui da prima.»
Aggrotto le sopracciglia. E io mica l'avevo vista. Come ho fatto per non accorgermi di lei?
Scuoto la testa.
«Non vi preoccupate per Peter, lo andrò a cercare io.»
«Aideen, abbiamo fatto qualche dispetto a quella ragazza, sei fiera di noi?» sorride Emrys.
«Che cosa...»
«Peter non sembrava molto in forma, e quella non smetteva di toccarlo, allora l'abbiamo fatta inciampare un paio di volte» Amaris alza le spalle.
«Siete dei diavoletti, altro che angeli» ridacchio.
Be' forse un poco sono fiera di loro.
«Per adesso state calmi, ci penso io» dico, «Potete restare qui, per favore?»
«Be' se ce lo chiedi così...» mormora Emrys, abbassando gli occhi, un leggero sorriso sul suo viso.
«Grazie» gli scompiglio i capelli.
Faccio un segno anche ad Amaris, poi esco dalla stanza. Mi domando se veramente resteranno lì. Speriamo di sì... Sono contenta che abbiano fatto qualche dispetto ad Allison, ma non esageriamo, ecco.
Vado verso il salotto e trovo proprio lei, che sta preparando qualcosa. Comincio ad apparecchiare, perché non voglio parlare con lei, ma non voglio nemmeno lasciarle fare tutto il lavoro.
«Aideen» dice ad un tratto.
«Che c'è?»
Quasi sbuffo, perché ho appena pensato al fatto che non voglio parlare con lei, ma mi trattengo.
«Senti... So che probabilmente mi detesti, ma vorrei davvero dimostrarti che non sono come Bella» si gira verso di me, giocando con le sue mani, leggermente ansiosa.
Ancora con questa storia...
«Io... Lo so che è un po' tardi, ma vorrei staccarmi da lei, e diventare una persona migliore» mormora, «Lei è mia amica da quando siamo piccole, mi è sempre restata accanto, e per questo l'ho sempre seguita, anche mentre intraprendeva strade sbagliate, ma...»
Si ferma, poi alza il mento, convinta da quello che mi sta dicendo.
«Adesso ho deciso di agire per me stessa e non solo per accontentarla. Voglio aiutare le persone, io non sono mai stata del genere a fare del male...»
E quello che sento nell'aria è puro pentimento. Non ho nemmeno bisogno di toccarla per capire che se morisse adesso, andrebbe di sicuro al purgatorio. Non è cattiva, questo è sicuro, eppure non riesco proprio ad essere gentile con lei.
«Puoi fare quello che ti pare, l'importante è che tu non faccia del male ai miei amici» borbotto.
«Te lo prometto.»
Alzo lo sguardo verso di lei e annuisco.
Qualche minuto dopo siamo tutte e tre a tavola, e io fisso il mio piatto. Melone e prosciutto, questo si che è il paradiso. Allison ci racconta delle ricerche che ha fatto su questo posto e sui luoghi che potremo andare a visitare, mentre Jessica concorda con lei. Io sono un po' persa nei miei pensieri.
«Peter non è ancora tornato... Sono leggermente preoccupata» mormora Allison, mentre sparecchia.
«Io vado a cercarlo» dico, alzandomi.
Ho aspettato abbastanza. Speravo che sarebbe tornato per cena, ecco perché non sono uscita subito.
«Vengo con te!» esclama la ragazza dagli occhi verdi.
«No» ribatto, «Vado da sola, tu resta con Jessica.»
Lei sta per dire qualcosa, ma poi si rassegna ed annuisce.
Jessica mi prega di non fare troppo tardi e io le dico di sì per rassicurarla.
Non appena esco da casa, comincio ad annusare l'aria, cercando di riconoscere l'odore di Peter. Quando ne sento anche solo poco, mi avvio in quella direzione. L'odore di Peter lo conosco bene ormai: non dovrebbe essere difficile ritrovarlo, e comunque non potrà essere andato troppo lontano.
Avevo ragione, perché poco dopo lo trovo. Non è molto lontano, ma ho camminato abbastanza per arrivare su questa specie di piccola collina. Lui è seduto in terra, la schiena contro un albero. La tristezza che provava questa mattina non si è abbassata nemmeno un po', anzi, è aumentata.
Quando arrivo vicino a lui, mi siedo anche io per terra, ma non dico niente. Non so che cosa dire. L'ho detto, io non sono capace di consolare le persone.
«Stamattina...» parla lui per primo, «L'hai sentito, non è vero? Quello che provavo...»
«Sì, è vero» non rifletto prima di parlare.
Con Peter preferisco essere sincera. Lui non mi guarda, ma aggrotta le sopracciglia.
«Perché non sei... niente, lascia perdere» scuote la testa.
«No, continua» dico curiosa.
«Ho detto lascia perdere.»
Distolgo lo sguardo perché la sua risposta era leggermente brusca. Peter non mi parla mai così, ma posso capirlo. Sembra molto stanco, si vede che questa tristezza l'ha tenuto occupato tutto il giorno.
Torno a guardarlo, e sospiro. Poggio la mano sulla sua spalla, ma quando sto per dire qualcosa vengo interrotta da tutto il dolore che mi entra dentro.
«Non toccarmi» si allontana in fretta da me, stringendo forte gli occhi, «Non voglio illudermi che vada tutto bene, non voglio che tu mi porti via il dolore... io non...»
Si interrompe, coprendosi il viso con le mani.
Andare a cercarlo è stata una pessima idea... Sto solo facendo peggiorare il suo stato, non sarei dovuta venire qui.
«Mi dispiace» dico, mentre lo stomaco mi si stringe, «Vado a chiamare Allison. Lei dev'essere più brava in queste cose.»
Mi alzo e faccio per avviarmi verso la casa. Non sono mai stata e non sarò mai brava in queste cose. Allison è una brava persona, forse lei potrà consolarlo. È meglio così.
«No, resta» la voce di Peter mi fa fermare, mentre sento la sua mano attorno al mio polso, «Non devi fare niente, solo... resta con me e basta.»
Faccio quello che mi dice, e torno a sedermi vicino a lui. Non vedo come io possa aiutarlo, ma se è lui che me lo chiede...
«Oggi è l'anniversario della morte del mio migliore amico» dice Peter.
Spalanco gli occhi. Avevo capito che qualcosa non andava, ma una notizia del genere non pensavo l'avrei sentita.
«È morto in un incidente, un anno fa.»
Peter si guarda le mani, mentre l'odore di tristezza e di dolore diventa insopportabile. Cerco di trattenermi e di ascoltarlo. Ma che merda di amica sono, che invece di pensare a consolarlo vorrebbe solo aspirargli il dolore per nutrirsi.
Non merito Peter, e non merito la sua amicizia. Non merito che si confidi con me.
«Io ero con lui nella macchina» continua il suo racconto, mentre io stringo i pugni, «Stavamo tornando a casa e la strada era molto stretta... È arrivata una macchina che ci ha urtato e ci ha fatto cadere da una specie di burrone.»
Guardo Peter, mentre lui distoglie lo sguardo. Ha gli occhi molto lucidi, e il labbro che trema. Non merito di vederlo così. Lui si mostra così fragile, mentre io non riesco nemmeno a trovare le parole giuste per consolarlo.
«La macchina si è ribaltata più volte, ma quando si è fermata, ero ancora vivo e non ero ferito gravemente» mi spiega, «Quando mi sono girato verso il mio amico... lui era ancora cosciente, ma aveva il ramo di un albero conficcato nella pancia.»
Spalanco un po' gli occhi.
«I nostri telefoni erano scivolati dietro, e per quanto provassi a muovermi, non potevo raggiungerli. Eravamo bloccati lì, e non potevamo chiamare nessuno» questa volta sono le sue mani che cominciano a tremare, e lui cerca comunque di nasconderle, «Ricordo il suo viso mentre ha realizzato che non ce l'avrebbe fatta. Aveva paura, eppure non voleva farmelo vedere.»
E dopo quella frase, riesco a vedere le lacrime sul suo viso. Vorrei solo leccargliele via, ma mi costringo a stare ferma e ad ascoltare la fine.
«È morto dopo forse un'ora, e io sono restato lì a guardare il suo corpo senza vita per una mezz'ora che mi è sembrata un'eternità. È... È come se quell'immagine si sia stampata n-nella mia mente...»
Sta piangendo così silenziosamente che se non lo stessi guardando potrei benissimo pensare che sia soltanto nervoso. Invece le sue lacrime le vedo benissimo, e non riesco a smettere di osservarlo.
«È passato un anno, eppure... riesco ancora a sentirlo mentre si lamenta dal dolore» stringe gli occhi, «Pensavo di essere riuscito a superarlo, ma quando stamattina ho visto la data di oggi, ha avuto l'impressione di essere di nuovo lì...»
Quando ha finito, si gira verso di me, e spalanca gli occhi.
«Perché piangi?»
Mi porto di scatto le mani sulle guance, e mi accorgo che sono bagnate. Non me n'ero nemmeno accorta...
«N-non» cerco di giustificarmi, ma vengo interrotta.
Peter si avvicina a me e mi abbraccia. Ero talmente distratta che cado all'indietro, e mi ritrovo stesa nell'erba, con Peter su di me. Il suo corpo si sposta leggermente per non pesarmi troppo addosso, ma poi torna ad abbracciarmi. Io cerco di trattenermi dall'aspirare il suo dolore, ma è impossibile.
«Non riesco a controllarlo...» bisbiglio, la voce rotta dalle mie lacrime silenziose.
«Non importa» dice, «Ho bisogno... voglio sentirti, essere sicuro che tu sia qui.»
Lui torna a poggiare la testa sul mio petto, e questa volta tutte le sue emozioni negative passano dal suo corpo al mio. Gli accarezzo i capelli con la mano, cercando di consolarlo.
«Mi dispiace tanto, Pete...» mormoro.
Lui non risponde, ma il dolore sembra leggermente diminuito. Eppure ce n'è ancora, quindi il mio corpo glielo ruba.
E per la prima volta nella mia esistenza, aspirare e sentire il dolore di un umano mi fa piangere.
Salveee!
Eccomi con questo nuovo capitolo! Spero vi piaccia. Qui si scopre un po' più di Allison e si vede Peter in un momento molto fragile...
Comunque, io intanto vado a mangiarmi una granita!
Baci 😈
-Gaia 💜
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