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Capitolo 28: I fottuti pensieri nel cassetto.

Fisso la ragazza a qualche metro da me, le sopracciglia aggrottate. La sto studiando come fosse un enigma da risolvere.
I capelli marroni tagliati corti sulle spalle, gli occhi verdi che sorridono. Una maglietta a righe blu e bianche le copre tutto il petto, e dei jeans azzurri le fasciano le gambe.

Continuo a guardarla mentre ridacchia e gesticola con le mani, cercando di capire se l'ho già vista prima. No, decisamente non l'ho vista prima.
Non ho idea di chi sia, eppure il novellino sembra conoscerla bene dal modo in cui le sorride.

«Perché stai trucidando Allison con lo sguardo?» chiede Jessica, mordicchiandosi le labbra.

Quindi è Allison il suo nome.

«Allison?» dico, le labbra che mi si arricciano mentre il suo nome esce da loro.
«Sì, Allie. È un'amica di Peter... Sul serio non ti eri mai accorta di lei?» chiede, ridacchiando.
«Mhm. È anche una tua amica?»
«No, non proprio. È amica di Bella però» alza le spalle.

A quelle parole giro la testa verso di lei.
Jessica sgrana gli occhi, e schiude le labbra.

«Non è come lei, te lo assicuro! È gentile» mette le mani davanti al suo petto, «Conosce Bella da quando è piccola, per questo stanno spesso insieme.»

Io aggrotto le sopracciglia. Jessica sorride, come per calmarmi.

Il suo viso è un po' arrossato dal caldo, e si stringe nella sua felpa viola pastello. Anche se siamo a fine aprile certi giorni non fa caldo, anzi. A me non dà fastidio, però a Jessica sì: quando c'è un po' di vento il suo piccolo naso diventa colorato, e lei si strofina le mani sulle guance per far scomparire il rossore.

Adesso non fa tanto freddo, però lei indossa la felpa, e io la mia giacca di pelle nera. La canottiera, anch'essa nera, che indosso mi riscalda abbastanza. A me piace avere freddo, quindi non mi dà fastidio vestirmi leggera.

Il freddo è sempre stato sinonimo di casa, di rifugio.
Un posto in cui potevo nascondermi senza temere.
Un posto che fosse esattamente il contrario del caldo costante dell'Inferno.
Un posto in cui riuscivo a sentirmi al sicuro.

«Comunque, domani esco con Arrow... Sono troppo ansiosa, spero di non dire cose stupide» balbetta Jessica, le scuotendo la testa.

Capisco che vuole cambiare il discorso, quindi la accontento. Non so perché stavo trucidando Allison con lo sguardo, sinceramente... Stavo solo cercando di capire perché il novellino le sorrideva in quel modo.

«Non ti preoccupare, ti ho detto. Andrà bene, vedrai» torno a guardare Jessica.
«Arrow mi ha detto che il suo amico non sta molto bene» mormora, «Royal, vero?»

Sussulto. Non mi aspettavo di sentire il suo nome, ma mi ricompongo subito.

«Sì, si è ammalato.»
«Mi dispiace» mormora Jessica, ma quasi non la ascolto.

Non ho visto Royal da qualche giorno. Gli ho lasciato al Lux due bottiglie intere del mio sangue, perché non voglio ritrovarlo nello stesso stato in cui era quando sono tornata dalla settimana in montagna, però non l'ho visto. Sono troppo orgogliosa per cercarlo davvero, però ogni due giorni vado al Lux per portargli da mangiare. Non ho visto i suoi occhi scuri dal giorno in cui si è arrabbiato con me.

Lui non si arrabbia mai con me se non quando il nome Kai viene pronunciato in sua presenza. Però, quando si arrabbiava per Kai e scorgeva le lacrime che mi scorrevano lungo le guance, sospirava, poi mi abbracciava e si scusava, toccandomi i capelli.

Agrotto le sopracciglia, mandando via quei pensieri strani. Sarà quel sogno-ricordo che ho fatto. Quando tre giorni fa mi sono svegliata vicino a Royal me n'ero dimenticata, ma più tardi mi è tornato in mente. Che strano. Quei momenti, quel tempo passato con Royal prima che arrivasse Kai, sono stati come cancellati. Li avevo come soppressi, messi in un cassetto della mia mente che avevo poi chiuso a chiave. Quei ricordi ci sono ancora, ma non ci penso da troppo, tanto tempo. Li ho rinchiusi solo perché fanno male.

Decido di non pensarci più. È passato, mentre questo è il presente, e Royal non si è ancora scusato.

Giro un po' il viso verso Jessica, che mi sta fissando in un modo strano.

«Che c'è?» chiedo, e lei scuote la testa, come svegliata da uno stato di trance.
«Niente... È solo che mi sono sempre chiesta se fra voi due ci fosse qualcosa.»

Assottiglio gli occhi, mentre cerco di capire il senso della sua domanda.
Jessica vede la mia confusione e si affretta a spiegarmi meglio.

«Insomma, so che voi due andate a letto insieme, praticamente lo sanno tutti, però ecco...» esita, prima di dire in un leggero sussurro: «State insieme?»

Insieme? E che cosa vorrebbe dire?

«È il tuo ragazzo?» chiede quando vede che non ho risposto.
«Definisci ragazzo?» dico, senza sapere troppo come rispondere.

Jessica si avvicina al mio viso assottigliando gli occhi.
Mi allontano leggermente e sbuffo.

«No, non è il mio ragazzo» dico.
«Peccato...» si rattrista, poi d'un tratto rialza il viso, sorridendo, «Oh, ma che dico, non hai bisogno di un ragazzo, sei troppo tosta per quella roba lì!»

Lei scoppia a ridere, mentre io sono sempre un po' confusa.

D'un tratto sento la campanella suonare, Jessica spalanca gli occhi.

«Devo andare. Ci vediamo a mensa!» mi lascia un bacio sulla guancia e si allontana.
«Ciao» mormoro.

Cerco di abituarmi ai suoi piccoli baci, però è comunque strano. Nessuno mi dava dei baci in quel modo, se non... se non mia madre, già.

Scuoto la testa e alzo lo sguardo.

Peter è seduto sul bordo del muretto, da solo. Bene.

Sorrido di nascosto quando vedo che il libro che sta leggendo è la copia di Twilight che gli ho regalato.

Mi avvicino a lui e lo fisso.
Non si accorge di me: è troppo occupato a leggere. Indossa una maglietta verde scuro con una giacchetta di jeans, e dei pantaloni neri.

«Hai intenzione di restare lì seduto per tutta l'ora di letteratura?» chiedo.
«Oddio, Aideen! Ma che ore sono?» sbarra gli occhi marroni quando accorge di me, per poi alzarsi.

Guarda il suo orologio e aggrotta le sopracciglia.

«Cavolo, scusa, hai ragione» dice, un po' nervoso, «Quando leggo perdo la cognizione del tempo.»
«Andiamo» dico quando lui ha messo a posto il libro.

Ci avviamo verso l'aula e non diciamo nulla per tutto il tragitto. Guardo Peter e lo vedo perso nei suoi pensieri. Ultimamente i miei pensieri sono composti unicamente dal sapore delle sue labbra. Forse dovrei rinchiuderli in un cassetto come ho fatto con-

La voce stridula della Scarlet mi fa sussultare.

Mi guardo intorno, e realizzo che io e Peter siamo seduti ai nostri posti, la Scarlet che è appena entrata in classe. Alzo lo sguardo per vedere qual è il tema di questa nuova sequenza, e non appena vedo la scritta sulla lavagna quasi sbuffo.

Romeo e Giulietta.

La Scarlet comincia a spiegare come questo è uno dei suoi argomenti preferiti, perché gli studenti sono sempre creativi quando si parla dell'amore e bla bla bla.

E ovviamente, già, dovevo aspettarmelo, assegna un lavoro da fare. A coppie.

Quindi non solo ho dovuto fare il compito sul paradiso con il novellino, ma adesso devo farne uno anche per l'amore?

Non ho ascoltato esattamente che cosa bisogna scrivere, ma so già che cosa dirò a Peter quando mi chiederà di aiutarlo a scivere qualcosa: l'amore non esiste. O almeno, non per la figlia del diavolo, non per me. Dante mi ha sempre detto che solo chi ha un cuore nobile può amare e essere amato. Be', io il cuore nobile non ce l'ho.

Mentre una volta la lezione finita usciamo dall'aula, mi avvicino a Peter.

«A quanto pare quest'anno dovrai fare tutti i progetti di gruppo con me» dico, sorridendo un poco.

Esatto, dargli noia è di nuovo diventato un passatempo divertente.

«Non mi dà fastidio... Sei molto brava in letteratura» mormora, e io annuisco.

Non so il perché, ma sento che quella non è l'unica ragione del perché non gli dà fastidio lavorare con me.

«Nemmeno a me dà fastidio» ammetto.

Forse è questa la condanna.

«Forse questa volta dovremmo fare a casa mia» mi guarda un po' preoccupato, «Il tuo cane mi fa un po' paura, ammetto.»

Spalanco gli occhi, poi scoppio a ridere.
Evil. Ovvio che lo spaventa.

«Oh, tranquillo, va bene, faremo a casa tua» mi calmo, e sospiro.

Casa sua... Non potrà essere così orribile, dopotutto ci sono andata per cena una volta.

«Uhm, Aideen» dice Peter, dandomi un piccolo biglietto, «Ho cambiato telefono e quindi anche il numero... tieni, così potremo decidere quando farlo, e...»
«Stai per caso approfittando del compito per darmi il tuo numero?» assottiglio gli occhi.

Peter diventa rosso in viso, e comincia a tremare.

«N-no! Io intendevo, cioè, non volevo-»
«Sto scherzando!» ridacchio, facendogli cenno di calmarsi.

Mentre mi copro la bocca cercando di nascondere il mio sorriso, Peter si mette una mano dietro alla nuca, mentre sorride anche lui.

Con la coda dell'occhio ho l'impressione di scorgere due occhi scuri fissarmi. Mi giro per osservare meglio, ma i capelli neri che avevo intravisto sono spariti. Aggrotto un po' le sopracciglia. Sono davvero così disperata da immaginarmi le cose?
I pensieri nel cassetto, Aideen, i fottuti pensieri nel cassetto, e non ci pensi più.

«Ci vediamo domani, allora» mi dice Peter, facendomi un cenno con la mano.

Io lo guardo mentre si allontana da me, probabilmente per prendere l'autobus.
Cerco di reprimere la frase che sta per uscire dalle mie labbra, ma fallisco miseramente.

«Dai, ti accompagno a casa» dico, raggiungendolo.
«C-cosa?» balbetta mentre lo prendo per il braccio per mostrargli la direzione in cui dobbiamo andare.
«Vieni, prima che cambi idea» borbotto, avvicinandomi alla mia macchina.

Occhi marroni mi sorride, poi mi segue.

«Grazie.»

Mi siedo sul mio letto e incrocio le braccia al petto.

Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, ma il mio stomaco si contorce lo stesso mentre aspetto che Ecate risponda alla mia chiamata. Sinceramente la sto chiamando per chiederle perché non mi ha detto nulla sulla faccenda di Kai, ma anche per chiederle che cosa sta succedendo a Royal.

Sono preoccupata per lui, anche se sta facendo lo stronzo da quasi una settimana.

Appena vedo la figura di Ecate apparire davanti a me, alzo il mento.

Lei è sempre la stessa, la pelle abbronzata coperta da un vestito nero, i capelli ricci raccolti in una crocchia e gli occhi, che pensavo sinceri, puntati su di me.

«Aideen, ciao! È da un po' che non ti sento-» sorride, ma io la interrompo: non voglio fare finta che stia andando tutto bene.
«Perché non mi hai detto niente di Kai?»

Ecate ci mette un po' a reagire: il suo sorriso svanisce piano piano, e abbassa il capo, sedendosi non so dove nella sua stanza, che vedo a malapena.

«Come l'hai scoperto?» chiede.
«Non importa come l'ho scoperto, importa perché non me l'hai detto» ribatto.

Non sono così stupida da mettere Katherine in mezzo. Non sarebbe una mossa intelligente, e poi non posso tradirla così, non voglio.

«Non potevo. Aideen, non puoi prendertela con me, sai che se tuo padre mi dice qualcosa-»
«Lo so» la interrompo di nuovo, «Solo... Pensavo fossimo amiche.»

Ecate non ribatte.

So benissimo che se mio padre le dice di fare qualcosa lei deve obbedire, ma comunque... La Ecate che conosco avrebbe trovato uno spiraglio nelle parole esatte che le ha detto mio padre e avrebbe trovato un modo per dirmelo. Invece la persona che ho davanti adesso non ha fatto un bel niente. Katherine perlomeno mi ha aiutato, anche se ho dovuto darle Royal per una notte.

«Questa è casa mia, Ecate. Non tornerò all'Inferno» le dico, scuotendo la testa.
«Aideen, credimi, è meglio che tu non ti opponga. Potrebbero farti del male» i suoi occhi sono preoccupati.
«Mi hanno già fatto del male in passato, e sono sempre qui» alzo le spalle.
«Non fisicamente» sussurra, abbassando gli occhi, «Non pensare che qui non noteranno come ti stai piano piano sciogliendo. Non lo fai apposta, ma ti stai indebolendo.»

Spalanco gli occhi per un frammento di secondo, poi mi ricompongo.

Non fisicamente. Ti stai indebolendo.

E che cosa vorrebbe dire? Mi sto indebolendo?

«Ho l'impressione che tu mi stia mentendo di nuovo» ignoro la sua frase precedente, «Ci dev'essere un incantesimo per spezzare l'accordo, e anche se non ci fosse, so che lo potresti anche creare.»
«Mi dispiace, non posso dirti niente. Devi credermi, vorrei aiutarti, ma non posso.»

Ecate scuote la testa, e sembra dispiaciuta sul serio. Io la guardo male. Se anche Ecate mi abbandona, dovrò passare il resto dell'eternità a fuggire Kai. A scappare da lui. Perché non tornerò laggiù per niente al mondo.

«Devo andare» dice Ecate ad un tratto.

Io alzo lo sguardo verso di lei, e le faccio cenno di aspettare.

Royal. Devo sapere come curarlo.

«Aspetta! Devo chiederti un'altra cosa, è a proposito di Roy-»

«Mi dispiace, Aideen, ma devo andare. È meglio se noi due non ci sentiamo per un po'» dice e io scuoto la testa.
«Per favore, è molto importante!» insisto, ma Ecate è già sparita.

Resto un attimo a guardare il punto in cui pochi secondi fa c'era lei, poi mi passo la mano nei capelli e do un calcio alla sedia della mia scrivania.

«Merda!» esclamo, mentre mi siedo di nuovo sul letto.

Ecate è l'unica che può sapere come curare Royal. O almeno sapere che cos'ha. È lei che l'ha creato, non esiste una persona che sappia rispondere meglio alla mia domanda.

Sbuffo e mi stendo sul letto, sentendo poco dopo un peso sulla pancia.

Evil. Mi sale addosso e abbaia piano, leccandomi la mano. Forse ha capito che sono leggermente disperata: prima di tutto, Ecate mi ha abbandonata. Royal pure, e per di più gli devo fornire il sangue regolarmente altrimenti potrebbe morire. In seguito, un vampiro che si è preso una cotta per la mia amica non smette di chiedermi consigli stupidi, e per ultima cosa, il che non vuol dire che è la meno grave, le labbra del novellino non vogliono uscire dalla mia testa.

Per Lucifero... In che casino mi sono ficcata?

Salveee!! Eccomi con un nuovo capitolo, un po' di passaggio, ma shh...
Spero vi sia piaciuto!
Royal non si fa vedere e Ecate rifiuta di aiutare Aideen... Che cosa succederà secondo voi?
Con Peter invece? Un nuovo lavoro da fare a coppie hehehe chissà cosa succederà? Vi dico solo un indizio: ricordate cos'è successo quando i due hanno fatto il compito sul paradiso? Ecco, riflettete sulla questione ehehehe!
Per la #TeamRoyal invece? Che ne pensate dei pensieri nel cassetto di Aideen?
Baci 😈
-Gaia 💜

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