Capitolo 18: Mi lascio abbracciare.
L'acqua che scivola lentamente lungo il mio corpo.
I brividi che il calore mi provoca.
Chiudo gli occhi.
Passo le dita sulla piccola striscia di mosaici attaccate alle pareti di marmo beige della doccia, per poi appoggiarci interamente i palmi. Resto qualche minuto nella doccia, mentre penso di nuovo a quello a cui ho pensato tutta la notte.
Peter.
Per l'amor del Diavolo, non ho idea di che cosa mi sia preso. All'inizio volevo solo farlo imbarazzare, ma nel mentre è successo qualcosa. Volevo sbattere le mie labbra sulle sue, e non per dargli fastidio, ma perché lo volevo, perché ne sentivo il bisogno.
Sto impazzendo, è chiaro.
Per un umano, sto impazzendo a causa di un umano. Oh, Lentiggini non sarebbe per niente contento. So per certo che ad un certo punto lo verrà a sapere, e che mi farà di nuovo la predica. Non che me ne importi qualcosa, giusto per puntualizzare.
Mentre esco dalla doccia cerco di togliermi la bocca del novellino dalla testa. Devo trattenermi, devo mantenere il controllo.
Vado verso la mia camera e mi vesto velocemente con un top nero preso a caso nel mio armadio e dei jeans bianchi.
Dopo aver bussato, perché l'educazione la conosco, entro nella camera degli ospiti. Peter è steso sul letto, e dorme ancora profondamente. Il piumone azzurro gli copre il corpo fino al petto.
Mi avvicino silenziosamente e mi siedo vicino a lui. Mentre dorme sembra una persona diversa: il suo viso è rilassato e il petto gli si alza e abbassa regolarmente.
Sfioro con le dita le sue gote, poi ritiro di scatto la mano.
Che cosa sto facendo, per l'amor del diavolo?
Scuoto la testa e cerco di riprendere il controllo del mio corpo. Lo scuoto un pochino e lui sospira, ancora mezzo addormentato.
«Peter, ti devi svegliare» mormoro scuotendogli ancora la spalla.
«Mhm...»
Peter scuote la testa, e tiene gli occhi chiusi.
Decido di cambiare metodo per svegliarlo.
«Novellino, sveglia!» esclamo, e lui si siede sul letto di scatto.
«Oddio...» biascica.
Assottiglio gli occhi per quello che ha detto, ma decido di ignorare la voglia di dirgli di moderare il linguaggio.
Mi alzo e vado ad aprire la finestra, per fare entrare un po' d'aria e di luce.
«Oh Santo-» esclama Peter, ma io lo interrompo.
«Ehi!» mi giro verso di lui e lo guardo male.
Lui abbassa lo sguardo, e uno sbadiglio lascia le sue labbra.
«Potevi avvertirmi, mi sono appena svegliato...» borbotta, stendendosi di nuovo sul letto.
«Novellino, se non vuoi arrivare in ritardo al liceo ti conviene alzarti.»
Detto questo esco dalla stanza e scendo le scale. Sento Peter che borbotta qualcosa, ma qualche minuto dopo mi raggiunge in cucina.
«Vuoi qualcosa da mangiare?» chiedo.
«No, non ho fame» mormora.
Mi giro verso di lui e lo guardo male.
Si è vestito in fretta, con la stessa roba di ieri. I capelli sono davvero disordinati, e mi viene un po' da ridere. Si sta stiracchiando, e io scuoto la testa.
«Sai che la colazione è il pasto il più importante della giornata?»
Lui alza lo sguardo su di me e capisco che la mattina da appena sveglio non gli si deve parlare. Anche se è molto carino.
«Va bene, come ti pare» alzo le spalle.
Dopo qualche minuto usciamo da casa e ci avviamo verso la mia macchina.
La Signora Denvers è tornata, per fortuna: non mi andava di prendere l'autobus. Ieri sera l'ho sentita entrare, gli ho detto di Peter e del fatto che stesse dormendo nella camera degli ospiti. Adesso starà ancora dormendo, visto che non era in cucina a preparare qualcosa da mangiare.
Entro in macchina e il novellino mi segue.
Metto in moto. Non diciamo niente per qualche minuto, poi è lui che spezza il silenzio.
«Alla fine che cosa hai deciso per Jessica?»
Con ancora le mani strette sul volante, giro un poco la testa verso di lui. Il suo viso sembra un po' più sveglio, ma ha ancora gli occhi marroni leggermente assottigliati.
«Io... Immagino che tornerò a passare del tempo con lei» alzo le spalle.
«È gentile da parte tua.»
«No, è egoista» sospiro, scuotendo la testa, «Se fossi davvero sua "amica" le starei lontana.»
«Non è vero. Te l'ho detto, lei ha bisogno di un'amica, e a quanto pare anche tu» dice.
Aggrotto le sopracciglia mentre tengo lo sguardo fisso sulla strada.
«Io non ho bisogno di nessuno.» alzo il mento.
«Farò finta di crederti» mormora il novellino.
Gli scocco un'occhiataccia, ma non dico niente.
Per il resto del tragitto restiamo in silenzio, Peter nei suoi pensieri ed io concentrata sul guidare. Mi sento strana: stare con lui è diverso dopo ieri. Lui sembra sempre lo stesso, invece.
Arrivati al liceo parcheggio, e resto qualche istante in macchina, pensando a che cosa mi ha detto occhi marroni. Se succederà qualcosa sarà colpa sua. Lui mi ha spinto a continuare a vedere Jessica. È lui che mi ha impedito di non essere egoista. Però so benissimo che mi sto solo illudendo, e che se volessi davvero fare una buona azione non ascolterei Peter.
Esco dalla macchina, e lui mi segue.
«Che lezione hai adesso?» chiedo.
«Mi vuoi fare da baby-sitter tutto il giorno?» sbotta.
Non dico niente, mentre lo guardo. Aggrotto le sopracciglia.
«Volevo solo essere gentile» torno a guardare davanti a me.
E poi mi chiedono perché sono sempre scontrosa. Stupidi umani.
«I-io... Scusa» sospira, e sembra davvero desolato, «Ho matematica, comunque.»
«Okay» annuisco.
Non dico più niente e ci avviciniamo agli armadietti, dove Peter si ferma e comincia a tirare fuori i quaderni di cui ha bisogno.
«Guarda chi si vede» mi sorride quando ci accorgiamo della presenza di una ragazza castana a pochi metri da noi.
Indossa una camicia a quadretti blu e viola aperta, che lascia vedere una maglietta grigia scura con una scritta. I suoi capelli sono allacciati in una mezza coda, e delle piccole ciocche le ricadono sulle guance.
Jessica sbircia verso di me, e quando le faccio un gesto con la mano lei accenna un sorriso.
Mi avvicino a lei, e Peter mi segue.
«Ciao» le dico.
È bello parlarle di nuovo.
Lei fa per salutarmi, ma Peter parla per primo.
«Io vado a lezione. Ci vediamo dopo Jess» le lascia una carezza sulla guancia, poi se ne va.
Lo guardo mentre si allontana. Sento di nuovo quella cosa, nello stomaco.
Torno a guardare Jessica.
«Mi dispiace di non essere stata con te dopo Ravenna» dico.
«No, non dire cose del genere! La Scarlet mi ha detto che dei tuoi parenti italiani erano stati male e per questo non eri tornata in America con noi. So che si vuole stare soli in momenti come quelli... Mi dispiace tanto! Loro stanno meglio?» esclama tutto d'un fiato.
Ah già, la scusa dei parenti malati. Era quella che avevo usato per essere sparita, e la Scarlet se l'è bevuta.
Io non ho parenti in Italia, ovviamente.
«Stanno meglio» mento.
Lei sembra rilassarsi, e sorride. Anche le mie labbra si stendono un poco.
«Com'è andato il volo, comunque?» chiedo.
«Il volo? Ah, sì, uhm...» abbassa gli occhi.
Mentre la guardo capisco che si vergogna. Si vergogna di avere avuto paura.
«Tu non c'eri... era più difficile calmarmi» alza le spalle, cercando di prenderla sul ridere, oppure di non mostrarsi debole.
La capisco. Capisco che non vuole mostrare la sua debolezza, ma con me non c'è bisogno. Forse glielo dovrei dire.
Faccio per aprire la bocca ma lei parla per prima.
«Quando ci sei tu sono più tranquilla» mormora.
E di nuovo quel calore nel petto, quel formicolio nello stomaco. È una sensazione strana, ma non mi dà fastidio. So benissimo che dice così perché le posso aspirare la paura, a sua insaputa... Ma mi fa felice lo stesso.
Le poggio una mano sulla spalla e le accarezzo i capelli castani.
Lei spalanca leggermente gli occhi nocciola e un piccolo sorriso si fa spazio sulle sue labbra rosa.
«Dai, ti accompagno in classe» dico, mentre poi lei mi indica dove dobbiamo andare.
Non avrei mai pensato di potermi trovare un'amica, ma quando Jessica sorride e mi prende a braccetto, per poi allontanarsi e ridacchiare nervosamente quando si accorge che mi irrigidisco, incomincio a pensare che forse mi sbagliavo.
Chiudo l'armadietto e sussulto quando mi accorgo della presenza di un angelo.
Ero talmente immersa nei miei pensieri dal non averlo sentito arrivare.
Da stamattina sono stata con Jessica, e sentirla chiacchierare senza sosta mi sembrava quasi un sollievo. Adesso lei sta ancora mangiando, insieme al novellino e all'altro umano del loro piccolo gruppo.
Io ho tirato fuori una scusa a caso per andarmene, perché la presenza del novellino mi confonde sempre di più. Stavo proprio pensando a lui prima di accorgermi di Theo.
Lentiggini è appoggiato al muro di armadietti, e la sua espressione non è affatto gioiosa come al solito.
Oh oh.
Theo non si arrabbia mai: dev'essere successo qualcosa di grave.
«Aideen» mi saluta, senza un briciolo di felicità.
«Lentiggini» aggrotto le sopracciglia, assottigliando gli occhi.
«No, niente nomignoli, Aideen» sbotta, mettendosi di fronte a me.
Questa volta abbasso leggermente il capo.
Ahia.
«Ho sentito che Peter Argent ha passato la notte da te» dice.
Merda, perché gli umani non sanno tenere la bocca chiusa?
«E che cosa ne sai, scusa? Te l'ha detto lui?» chiedo, tentando di scappare dal suo sguardo di fuoco.
«Aideen, lo so quando menti» incrocia le braccia al petto e mi blocca il passaggio.
Sospiro e capisco che in effetti non posso mentirgli. In realtà non ho motivo di mentire: ho voluto che Peter dormisse a casa mia solo per proteggerlo dalla pioggia e dal freddo.
«Senti, avevo una ragione-» cerco di dire, ma lui mi interrompe.
«No, Aideen. Gli umani non li degni di uno sguardo da più di cento anni, e d'un tratto ne lasci uno dormire da te?» assottiglia gli occhi.
D'accordo, capisco i suoi sospetti, però sta un po' esagerando.
Insomma, non sono più la Aideen che uccide gli umani per divertimento, sono cambiata, e lui lo sa. Perché mi guarda in questo modo?
I suoi occhi verdi sono arrabbiati, e sul suo viso lentigginoso non c'è nemmeno l'ombra di un sorriso.
«Non scherzare con me, che cos'hai in mente?»
«Niente, io-» vengo interrotta da lui un'altra volta.
«Smettila di mentire!» esclama, mentre io non posso fare a meno di sussultare.
Che cosa mi succede? Non riesco a ribattere, non riesco a trovare la risposta pronta come faccio sempre. La mia gola si è seccata e non riesco a fare niente se non spingere la schiena sull'armadietto, con l'immenso desiderio di sparire.
Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo. Mi sembra di tornare al momento in cui avevo le spalle contro il muro e davanti un ragazzo con il viso arrabbiato, i capelli rossi come il colore delle sue guance e delle pareti della stanza.
Con un fremito torno al presente.
Theo è davanti a me, non Kai.
«Hai detto che quel ragazzo è come un distributore ambulante di rabbia e di tristezza. Non so che giochetto perverso ti è venuta voglia di fare con lui, ma ti conviene smettere subito» dice, la voce, che una volta era gioiosa, adesso severa e dura come la pietra, «Capisco che tu sia un demone e che è nella tua natura, ma non puoi fare così se non vuoi tornare nel posto da dove sei venuta.»
E quella è la goccia che fa strabordare il vaso. Il mio stomaco si contorce e le lacrime escono finalmente dai miei occhi. Mi trema il labbro, ma nessun suono lascia la mia bocca.
Capisco che tu sia un demone e che è nella tua natura.
E le lacrime non si fermano.
L'espressione dura di Theo sparisce, rimpiazzata dal viso che conosco da più di cento anni, e non quello che ho visto pochi secondi fa. Lui schiude le labbra e la confusione vela i suoi occhi.
Non ho idea di che cosa succede dopo, so solo che mi ritrovo seduta sul pavimento freddo del bagno, le mani nei capelli, mentre cerco di calmare il mio respiro.
Vedo tutto sfocato. Sento bussare alla porta del bagno, ma non rispondo, anzi, mi metto le mani sulle orecchie.
Voglio che se ne vada, voglio che se ne vada. Fatelo andare via.
Stringo gli occhi mentre continuo a tapparmi le orecchie.
Questa volta nemmeno il pensiero di Royal riesce a calmarmi. Il ricordo di Kai è stato stimolato troppo, mi è sembrato di essere di nuovo lì con lui. Nessuno mi aveva mai trattato in questo modo tranne lui o mio padre.
Ad un certo punto sento la porta del bagno aprirsi, e delle braccia stringermi. È un profumo dolce e familiare.
Appoggio il mento sulla sua spalla, ma non dico niente. Sto ancora piangendo, ma silenziosamente. Credo lei se ne sia accorta.
Jessica è in ginocchio vicino a me, con le piccole mani che mi accarezzano la schiena e i capelli. Sussurra qualcosa, ma non capisco nulla. Le sue dita che mi accarezzano la schiena dall'alto in basso sembrano spazzare via il mio sconforto.
Prima ho pensato che lei non doveva vergognarsi di avere paura con me, quindi anche se mi sento debole, anche se mi vergogno, decido che in questo momento non voglio fingere e voglio solo godermi il calore della mia amica.
E mi lascio abbracciare.
Eccomi! Scusate, è un po' tardi, ma volevo troppo aggiornare!!
Mi sono emozionata mentre scrivevo questo capitolo 🥺 È sempre difficile quando Aideen crolla.
Voi invece? Che ne pensate?
La #TeamPeter felice eh? Le cose fra loro stanno cambiando ehehe 💙
E Jess 🥺❤️ È cute!!!
Comunque, spero di aggiornare presto 🥺
Baci 😈
-Gaia 💜
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