Capitolo 16: Dimmi qual'è la tua versione del paradiso.
«Dai Stella, apri la porta» sento la voce di Royal mentre continua a bussare.
Sono stesa sul letto, e fisso il soffitto.
Non voglio che Royal mi veda in questo stato.
Sono tornata a casa qualche ora fa, anche se l'aereo doveva decollare stasera. Per distrarmi mi sono fatta tutto il tragitto correndo e nuotando, e in un paio di ore mi sono ritrovata qui.
Era parecchia strada, ma avevo bisogno di stare da sola, e di concentrarmi su altro che il viso disgustato di Peter che mi guarda. Vedo solo quello, dannazione.
«Lo so che ci sei, posso sentirti respirare»
Stringo i denti ma non rispondo. Non voglio.
Royal non deve vedermi in questo modo, non più. Di solito non sono mai così, senza voglia di fare niente, con la mente altrove e i pensieri deprimenti. Per questo non voglio aprirgli la porta. Meglio se resto sola con i miei problemi.
I miei stupidi pensieri.
Non riesco a pentirmi di quello che ho fatto a quella vipera, e questo mi fa pensare che forse devo smettere di passare del tempo con Jessica. Che succederebbe se un giorno mi arrabbiassi con lei e stringessi un po' troppo forte? Non posso permetterlo, e a quanto pare non riesco ancora a controllarmi.
«Aideen, non ti vedo da una settimana e mi sei mancata. Se non rispondi entro trenta secondi butto giù la porta»
Sbuffo e mi alzo, perché ci tengo alla mia porta. Quando la apro, lo vedo.
Ha le braccia incrociate, ed è appoggiato al muro di fianco a noi. Non mi soffermo nemmeno a guardare com'è vestito, perché sono troppo occupata ad osservare il suo viso perfetto. Dopo una settimana passata fra umani di bellezza comune, rivederlo mi fa schiudere le labbra.
Certo, il novellino è molto bello per un umano, ma Royal è qualcos'altro.
Quando mi vede alza il mento, e le labbra carnose si stendono in un leggero sorriso.
I capelli neri e gli occhi scuri che vanno in contrasto con la sua pelle marmorea...
Nemmeno il tempo di lasciarlo parlare che mi fiondo sulla sua bocca, tirandolo dal colletto della maglietta che indossa, per farlo entrare in camera mia. All'inizio lui spalanca gli occhi scuri, preso un alla sprovvista, ma nemmeno un istante dopo ricambia poggiando una mano sulla mia guancia.
Lo stendo sul letto e salgo su di lui, tenendomi con i gomiti, mentre continuo a giocare con la sua lingua. Royal mormora qualcosa mentre cerco di togliergli la maglietta.
Non lo ammetterò mai, ma mi è mancato. Le sue labbra mi sono mancate così tanto.
E le sue mani, e la sua lingua...
«E a me nessuno viene a salutare? Guarda che io me lo segno!» sento la voce di Arrow rimbombarmi nelle orecchie, e mi stacco a malavoglia dalle labbra di Royal.
Alzo gli occhi al cielo, mentre il vampiro sotto di me ridacchia.
«Forse è meglio se andiamo da lui, che poi si offende sul serio» alza un sopracciglio.
Sospiro ma annuisco, perché ha ragione.
Ci alziamo, e quando scendiamo le scale, troviamo Arrow davanti alla porta, con un finto broncio che si dissipa quando ci vede. Si passa una mano tra i capelli verdi e mi saluta con una pacca sulla schiena.
«Per celebrare questo ritorno, stasera usciamo» esclama, mettendomi un braccio intorno alle spalle.
Io lo guardo male, anche se i suoi gesti mi fanno piacere. Sbircio verso di lui, che mi sta ancora sorridendo.
«Guarda che sono stata via soltanto una settimana» borbotto.
«Se proprio vuoi saperlo, cercavo solo una scusa per divertirmi con voi» sussurra, facendomi l'occhiolino.
Chiudo la porta dietro di me e abbasso il cappuccio della mia felpa.
Nonostante siamo a metà marzo, oggi piove davvero tanto, e c'è pure parecchio vento.
Mi tolgo la felpa bagnata e la maglietta, restando in reggiseno.
Ormai sarà una settimana che sono tornata dalla gita a Ravenna, e ancora non ho parlato con Jessica o col novellino.
Mi sentivo a disagio.
Al liceo ci sono andata, ma li ho evitati, stando attaccata a Lentiggini, lasciandolo parlare anche quando i suoi discorsi erano noiosissimi. Lui ne era contento, ma credo si sia accorto che mi sto comportando stranamente.
Il fatto è che forse, per una volta nella mia lunga esistenza, voglio agire pensando agli altri, e non solo a me stessa.
Per Ecate, sembro ridicola, ma è così, e so che è la cosa giusta da fare. Stare con gli umani è divertente, ma li metto in pericolo con la mia sola presenza. E se sono davvero "amica" o come si dice, di Jessica... allora è meglio così.
È quello che fanno gli amici, no?
Intanto passo tanto tempo con Royal e Arrow, al Lux. Ci vado quasi tutte le sere.
Mi distraggo come posso.
Stasera sono sola, perché la Signora Denvers è andata a cenare da un suo amico. Certo, amico.
Scuoto la testa mentre indosso un pantalone della tuta bordeaux.
Mentre cerco una felpa asciutta sull'attaccapanni, sento il campanello suonare.
Aggrotto le sopracciglia: sarà sicuramente la signora Denvers, ma lei lei ha le chiavi, quindi non capisco perché abbia suonato il campanello.
Decido di non aprirle, perché sarei anche in reggiseno, ecco.
Il campanello suona di nuovo, e cambio idea, spazientita.
Vado ad aprire la porta.
«Pensavo avessi le...» mi interrompo quando realizzo che il ragazzo castano che si trova davanti a me non è la signora Denvers.
Non dico niente per qualche secondo, mentre mi chiedo come diavolo abbia fatto a trovare questa casa.
Sta ancora piovendo, infatti Peter ha i capelli fradici e una mano davanti agli occhi per impedire alle gocce di pioggia di accecarlo.
«Cosa vuoi?» dico.
Per una volta la mia voce non è acida, o arrabbiata. È neutra, senza nessuna emozione.
Indossa una felpa verde scuro che sembra piuttosto leggera e dei jeans marroni.
Come mai non è ancora morto di freddo?
«P-possiamo parlarne dentro? Io mi sto più o meno congelando...» balbetta, guardandosi intorno.
Il suo cuore batte molto forte, e mi torna in mente il fatto che sono ancora in reggiseno.
Ah, ecco perché evita il mio sguardo.
«E perché dovrei-» chiedo incrociando le braccia al petto.
«Maledizione, sono fradicio, fammi entrare a basta!» esclama guardandomi finalmente negli occhi.
Stringo i denti e lo faccio entrare, perché si congelerebbe davvero.
Chiudo la porta e trovo finalmente una mia felpa viola pastello, che indosso velocemente.
«Ricordi il compito che dovevamo fare insieme?» chiede, toccandosi la nuca con una mano.
«Certo, scrivere la nostra versione del paradiso, o qualcosa del genere» dico, incrociando le braccia al petto.
Non gli dico di sedersi o cose del genere, perché spero se ne vada al più presto. Così restiamo vicini alla porta, mentre aspetto che mi dica che cosa vuole.
Lo guardo mentre aspetto che continui. È sempre molto bello, e ha le guance arrossate dal freddo.
Lui apre la bocca per dire qualcosa, ma ci mette un pochino prima di parlare.
«Bisogna consegnarlo tra una settimana, per questo sono venuto qui.»
«Non potevi parlarmene al liceo invece di rischiare di prenderti un accidente sotto la pioggia?» sbuffo, mentre mi avvicino alla tavola da pranzo.
«Be', da quando siamo tornati dall'Italia non è stato facile trovarti» mormora.
Non ribatto. È vero, su questo ha ragione.
Rifletto un po' sul da farsi. Dato che è qui, è forse meglio se lo facciamo adesso questo compito.
E poi è venuto fin qui con questa pioggia...
«Va bene, facciamo questa cosa» acconsento, facendogli segno di sedersi, «Ma è meglio se prima ti preparo qualcosa di caldo. Di che cosa hai voglia?»
«N-non lo so» balbetta, forse disorientato dalla mia domanda.
Forse è la prima volta che sono gentile con lui.
«Del thè andrà bene» concludo, anche se lui non ha aperto bocca.
Non ribatte, perciò mi avvio verso la cucina, che è proprio di fronte al tavolo, e comincio a preparargli il thè.
«Mia zia ha davvero dei gusti strani, perciò... Cioccolato ti va bene?» chiedo mentre frugo nei sacchetti del thè della signora Denvers.
Lui annuisce, e gli do la schiena mentre aspetto che l'acqua sia calda abbastanza.
Nel mentre penso a cosa dovrei mai scrivere per quel compito. La mia versione del paradiso eh? Il paradiso l'ho visto, e non è qualcosa che si descrive, è qualcosa che si sente.
Il paradiso può essere diverso per tutti. Il mio di paradiso, era la grande casa in cui vivevo con mia madre. Là dentro mi sentivo al sicuro. Ricordo, c'era un grandissimo giardino, con una fontana nella quale adoravo giocare. Certe volte chiamavo mia madre e la facevo sedere sull'erba, mostrandole le forme che riuscivo a creare a partire di piccole gocce d'acqua.
Lei rideva, ed era quello il mio paradiso.
Stringo i pugni. Pensare a lei non fa mai bene, soprattutto dopo quel sogno che ho fatto qualche tempo fa, che mi ha fatto ricordare come ci si sentiva a stare in sua compagnia.
Mi accorgo che l'acqua è pronta, prendo la teiera e ne verso il contenuto nella tazza che ho preparato poco prima, rabbrividendo al contatto bollente. Annuso l'odore di cioccolato e sorrido.
Ora che ci penso, anche il cioccolato è il paradiso.
«Tieni. E fa attenzione, è calda» porgo la tazza a Peter, che mi fissa, seduto a tavola.
Lui mi ringrazia, per poi sorseggiare il suo thè.
Le labbra rosa si poggiano delicatamente sul bordo della tazza, e per un po' resto immobile a fissarle.
Mi siedo di fianco a lui, distogliendo lo sguardo dal suo.
Detesto averlo qui, in casa mia. Lui mi disprezza, l'ho letto sul suo viso disgustato, e quell'immagine non vuole andarsene dalla mia mente.
«Allora... Vogliamo cominciare?» chiede, poggiando la tazza sul tavolo.
Annuisco, e dopo essere andata a prendere un foglio e alcune cose per scrivere, torno a sedermi di fianco a lui.
Non mi piace questa situazione, ma lui sembra essere più tranquillo del solito. È strano.
«Okay... Io direi di scrivere su un foglio a parte le nostre idee, e poi uno di noi due scrive la bella.»
«Va bene» annuisco, un po' indifferente.
Lui comincia a scrivere qualcosa sulla brutta, lanciandomi occhiate ogni tanto.
Ad un certo punto poggia la matita e aggrotta le sopracciglia.
«Sei strana oggi» dice, mentre beve un sorso di thè.
«Cioè?»
«Non sei come al solito... C'è qualcosa che non va?» chiede, piegando la testa da un lato.
Qualcosa che non va?
«Come al solito in che senso?» mi acciglio.
«Non hai fatto nessuna battuta sarcastica da quando sono arrivato, non mi fissi come se volessi uccidermi perché sei superiore a tutti e...» smette di parlare quando lo fulmino con lo sguardo.
Lui stringe le labbra, nascondendo un sorriso.
«Sì ecco, questo sguardo qui» ridacchia, e io scuoto la testa.
Si mette una mano sulla bocca per nascondere il suo sorriso, e vorrei spostargliela: è ancora più bello quando sorride.
Appoggio il mento sui palmi aperti delle mie mani e decido di comportarmi come al solito, visto che me l'ha fatto notare.
«Dai novellino, dimmi qual'è la tua versione del paradiso» lo fisso, con un leggero sorriso sul viso.
Ehii!
Eccomi con un nuovo capitolo!
Spero vi piaccia, ditemi che cosa ne pensate❤️
Ho già iniziato l'altro, ma non credo che portò pubblicarlo prima di questo fine settimana :(
Baci 😈
-Gaia💜
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