Capitolo 15: Sono sbagliata, e non posso farci niente.
«Devi farti bella per lui, Aideen» dice Ecate, mentre mi pettina i capelli.
Evito di guardarmi allo specchio, mentre sbuffo.
Da qualche decina di minuti, Ecate mi sta vestendo e pettinando, cosa che non sopporto.
Indosso un vestito nero, che mi mette a disagio. A Royal piacerebbe tanto.
Detesto dover vivere qui, vorrei tanto trasferirmi sulla Terra e restarci. Magari a Firenze, per poter passare più tempo con Royal... Lì non sarei obbligata ad ascoltare i lamenti delle anime dannate, o ad indossare vestiti eleganti per incontrare i figli degli amici di mio padre.
Però queste sono solo mie fantasie... Non credo succederà mai.
«Ma perché? Non capisco che cosa abbia di speciale» borbotto.
«È il figlio di una coppia di demoni più rispettati dell'Inferno. La sua è una famiglia importante, e ultimamente tuo padre sta avendo qualche... difficoltà ad andare d'accordo con loro» si limita a dire, le mani ancora nei miei capelli.
Aggrotto le sopracciglia.
Non mi va, non voglio essere trattata come un cavolo di trofeo...
Ma se Ecate dice che devo fare qualcosa, allora è meglio se la faccio.
E poi cosa sarà mai pranzare con un demone? L'ho già fatto altre volte, posso farlo anche questa volta.
«Ecco, sei pronta» mi lascia un bacio sulla guancia.
Faccio un sorriso tirato, e senza che me ne accorga, mi ritrovo nel grande salone dove mio padre accoglie gli ospiti.
Questo posto lo conosco a memoria: le pareti sono rosse, così come la tovaglia che copre il lunghissimo tavolo di legno dove mio padre è abituato a cenare con i demoni più importanti dell'Inferno. Riesco quasi a sentire le loro risate malefiche riecheggiare nella stanza.
Mi guardo intorno, e mi accorgo che Ecate non c'è più: c'è solo un ragazzo che non ho mai visto prima.
La prima cosa che noto di lui sono i capelli rosso fuoco.
Il suo viso pallido è molto bello, i lineamenti duri e le labbra sottili senza nemmeno l'ombra di un sorriso. Indossa una tunica rossa e dorata, di un materiale che sembra molto costoso. È seduto sulla sedia dove di solito siede mio padre, con un bicchiere di quello che sembra vino rosso in mano.
Non appena mi vede si alza, poggia il bicchiere e mi viene incontro. Con un movimento della mano fa accendere il fuoco nel gigantesco camino di fianco a noi.
Quando è davanti a me, mi prende delicatamente la mano, lasciandoci un bacio.
Un brivido mi scuote: è caldo, bollente.
Royal non è così caldo, lui è freddo come il marmo.
Questo invece, è diverso. Non ci sono abituata, è strano.
«Principessa, è un onore incontrarti.» una voce roca e sensuale esce dalle sue labbra stese in un leggerissimo sorriso, «Sono Kai, al tuo servizio.»
Apro di scatto gli occhi, e vedo solo il buio. Per un attimo non ricordo dove sono, ma poco dopo tutto mi torna in mente. Non sono all'Inferno, sono in Italia, sulla Terra.
Mi alzo e corro in bagno per rimettere.
Che schifo, che schifo, che schifo.
Tossico e cerco di calmare la mia respirazione, che è decisamente troppo veloce.
Mi sciacquo la bocca e mi siedo sul water, gli occhi stretti.
Incubi del genere è uno dei più difficili da gestire una volta sveglia.
Cerco di pensare a qualsiasi cosa che non sia l'incubo che ho appena avuto, perché è così che riesco a calmarmi di solito.
Penso a Royal, alle sue labbra.
Le sue dita lunghe e fredde.
Penso a tutto tranne all'incubo.
I suoi capelli neri.
I suoi rossi.
I gemiti del mio vampiro.
Le sue mani calde su di me.
Stringo gli occhi. È difficile, è troppo difficile.
Royal, Royal, Royal. Pensa a Royal, e Kai sparirà, è così che funziona, dannazione.
Il suono del suo nome sulle mie labbra.
Le sue braccia muscolose.
I suoi occhi scuri...
Faccio una serie di respiri profondi, le mani nei miei capelli.
Mi sono calmata.
Stringo i denti e appoggio la testa al muro dietro di me.
Dannazione, è stato complicato.
«Tutto bene?»
La sua voce mi fa girare di scatto. Ero talmente distratta da non sentirlo arrivare.
Il novellino. Che ci fa ancora sveglio?
Gli umani non dovrebbero dormire, a quest'ora della notte?
Indossa un maglioncino azzurro, e un pantalone della tuta grigio.
Si sta stropicciando un occhio con una mano.
«Sì, credo di non aver digerito qualcosa» mento.
«Okay... allora torno a letto?» mormora, uno sbadiglio che sfugge alle sue labbra.
«Sì, forse è meglio» dico, distogliendo lo sguardo.
Fisso davanti a me per un po', con il viso assonnato di Peter ancora impresso nella mia mente. Perché si è preoccupato? Qualche giorno fa solo a vedermi diventava rosso di rabbia...
Decido che forse è meglio non pensarci troppo, e torno sotto le coperte.
Tengo gli occhi bene aperti, per non sognarlo di nuovo.
«Se ho capito bene adesso visiteremo la Basilica di San Vitale...» mormora Jessica, persa nei suoi pensieri.
Annuisco, assottigliando gli occhi a causa della luce del sole che mi va negli occhi.
Oggi è il nostro ultimo giorno in Italia.
È passata una settimana dal mio incubo su Kai, e stasera prenderemo di nuovo l'aereo, e torneremo a Los Angeles.
Devo dire che questa settimana non è stata male: viaggiare mi era mancato, e la compagnia di Jessica non mi è dispiaciuta. Vedere le sue reazioni esagerate, il suo viso arrossato, i gesti che fa quando è nervosa... è divertente.
Comunque il giorno nel quale dovevamo andare a vedere la tomba di Dante, ho fatto finta di sentirmi male per poter restare all'hotel.
«Dalle foto che ho visto, l'interno è molto bello» dice Peter.
Sbircio verso di lui.
Anche stare col novellino non è orribile come pensavo. Da quella sera sotto la pioggia, l'odore di rabbia non si è fatto sentire, e quello di tristezza molto meno del solito.
È un umano malinconico, ma non è più il ragazzo maleducato a cui volevo assolutamente dare una lezione. Le cose fra noi sono cambiate. Forse è decisamente meglio così.
Qualche minuto dopo mi accorgo che siamo arrivati davanti al monumento, e seppure siamo tanti, riesco a sentire la voce odiosa di Bella.
«Io non capisco, è la novantesima chiesa che visitiamo, non possiamo fare altro? Ugh, siete noiosi.»
Alzo un sopracciglio.
Sarei d'accordo con lei se all'interno di quelle chiese non ci fossero bellissimi dipinti. È solo una deficiente che non è capace di apprezzare l'arte.
Intanto Jessica si avvicina all'entrata, insieme al novellino.
Oggi ha i capelli castani slegati, che le vanno in viso a causa del vento. Indossa una maglietta rossa e dei jeans.
«Aideen, vieni?» si gira verso di me quando si rende conto che non la sto seguendo.
Socchiudo gli occhi, pensando ad una scusa che potrei usare.
Ecco, io in monumenti come quelli non ci posso entrare.
Ci ho già provato una volta, ma non sono riuscita ad entrarci. C'era come un muro invisibile, che non mi permetteva di avvicinarmi. C'è un modo per oltrepassarlo, ma comunque non ci tengo: sarebbe un insulto verso mio padre...
«Uh, passo. Vi aspetto qui fuori» borbotto.
«Peccato... Allora cercherò di fare in fretta!» esclama, sparendo poi all'interno della basilica.
Sospiro, mentre mi siedo su un muretto lì vicino.
Non avrei mai pensato di poter passare così tanto tempo con degli umani... Sono delle creature così interessanti, mi sorprendono sempre, ma credo che dopo questa gita avrò bisogno di una piccola pausa da loro. Mi mancano i miei vampiri, Evil, e le persone dannate come me.
Non devo abituarmi a stare con gli umani, assolutamente. La loro presenza è effimera, la mia invece non lo è.
Io sono eterna, loro mortali.
Mentre aspetto che la visita sia finita, lascio vagare i miei pensieri.
Kai e il suo stupido biglietto di San Valentino mi tormentano, e non capisco perché: so benissimo che non potrà mai venire qui sulla Terra, eppure... ho come l'impressione che mi stia osservando.
Un rumore fastidioso mi risveglia dai miei pensieri. Sembrano dei singhiozzi.
Alzo lo sguardo e mi guardo intorno, gli occhi assottigliati.
Jessica esce dal monumento, le mani che le coprono gli occhi, e corre fino ad un punto più isolato.
Dannazione, non posso lasciarla da sola per nemmeno dieci minuti!
Mi alzo e velocemente la raggiungo.
Lei è seduta su una panchina, mentre io mi ritrovo in piedi davanti a lei.
«Che succede?» le chiedo, mentre lei abbassa gli occhi sulle sue mani.
«Niente»
Aggrotto le sopracciglia.
Sta mentendo.
«Jessica. Non devi mentirmi.» mi siedo vicino a lei.
«Davvero, è la verità. Piango per niente, te lo assicuro. Sono solo una bambina terrorizzata anche dai tuoni» scuote la testa.
Aggrotto le sopracciglia.
Cerco il suo sguardo, ma lei evita il mio.
«E allora?» chiedo, un po' confusa.
«E allora niente, le cose stanno così» dice, tirando su col naso.
Sospiro, perché non capisco il motivo della sua tristezza.
È triste perché è terrorizzata dai tuoni? Altri umani hanno paura dell'altezza, altri degli spazi chiusi... Non capisco che cosa ci sia di male.
«Dai, non piangere. Non so se te ne sei accorta, ma in questi ultimi giorni ho passato tanto tempo in tua compagnia... dovresti aver capito che non sei un'umana qualunque. Anche se sei una bambina certe volte, non significa niente» dico, incrociando le braccia al petto.
«Non lo so...» mormora.
«Facciamo così, io ti faccio un trucchetto che ho imparato un po' di tempo fa, e tu smetti di piangere.»
Si gira verso di me.
Si riavvia una ciocca di capelli dietro l'orecchio e smette di singhiozzare.
«Un trucchetto di magia?» chiede, questa volta il suo sguardo azzurro su di me.
«Più o meno...» mormoro.
Lei annuisce, curiosa.
Le mostro i palmi delle mie mani, per farle capire che non nascondo niente all'interno, poi metto un palmo sopra all'altro, e chiudo gli occhi.
Questo trucchetto è uno dei primi che ho imparato, quando ero ancora una bambina. Mia madre me l'aveva insegnato.
Penso ad un fiore che sboccia, prima piccolo, poi mano a mano più grande.
È una margherita.
Immagino come sarebbe averla tra le mani, i petali che mi solleticano le dita.
Quando mi convinco di averla davvero fra le mani, apro gli occhi e la mano.
Jessica schiude le labbra, meravigliata. Il fiore che avevo immaginato è sul palmo della mia mano.
«Come hai fatto?» esclama, un sorriso sul volto ancora bagnato dalle lacrime.
«È un segreto» sussurro.
«Vorrei saperlo fare anche io... È molto bello!»
Lei sorride ancora, mentre gioca con la piccola margherita.
Sospiro, contenta che abbia smesso di piangere.
Continuo a chiedermi perché stava piangendo in quel modo poco fa. Era così felice prima di entrare nel monumento!
«Insomma, chi è che ha paura dei tuoni?»
Mi giro di scatto verso il punto da cui è provenuta quella voce.
Dovevo immaginarlo, dannazione.
Anche se l'ho sentita da lontano, so benissimo a chi appartiene la voce.
Mi alzo, lo sguardo fisso sulla ragazza che fra poco ucciderò, se qualcuno non mi ferma.
Cammino, la rabbia che mi monta dentro.
Sento Jessica che mi chiama, ma non reagisco.
La rabbia.
Vedo solo quella.
«Che cosa ti avevo detto l'ultima volta?» dico, una volta arrivata dietro di lei.
Bella sussulta, perché non si era accorta di me.
I suoi capelli biondi sono legati in una coda, ma non mi soffermo su nient'altro talmente la mia mente è offuscata dall'ira.
«I-io...» non la lascio nemmeno finire che una mia mano si ritrova sul suo collo, mentre la spingo con forza per allontanarla dagli altri.
Lei ha gli occhi azzurri spalancati, mentre io non lascio la presa sul suo collo nemmeno quando la sua schiena si imbatte contro un muro.
«Così mi deludi, ti pensavo più intelligente» sibilo, facendo pressione sul suo collo candido.
«L-lasciami» bisbiglia.
«Scusa, non riesco a sentirti» socchiudo gli occhi.
Mi sento potente.
La sua paura e il suo dolore passano dal suo corpo al mio.
«Ti avevo detto di non darle fastidio, e tu che cosa hai fatto?» scuoto la testa, «Non so che cosa devo fare con te, vuoi che ti rompa qualcosa per fartelo capire?»
Alzo un sopracciglio, avvicinando il viso al suo.
«Jessica non la devi toccare, e non le devi parlare se non per scusarti di respirare la sua stessa aria» sbotto.
La mia mano è ancora sul suo collo. Il suo viso è arrossato, e non riesco a smettere.
La sua paura che mi scorre nelle vene, insieme al suo dolore, mi dà soddisfazione.
È quello che merita.
È quello che meritano tutti quelli come lei.
«Aideen, che stai facendo?»
Mi giro verso il punto da cui è provenuta la voce.
È Peter.
Gli occhi spalancati, le labbra schiuse.
Ritiro di scatto la mia mano dal collo di Bella, che cade in ginocchio, cominciando a tossire.
Il novellino si avvicina velocemente, e si inginocchia accanto a lei. Le mette le mani sulle guance, mentre io ho lo sguardo fisso sul collo arrossato di Bella.
Gliel'ho fatto io.
«Ma sei impazzita?! Cosa avevi intenzione di fare, eh?» esclama Peter, girandosi verso di me.
Non reagisco.
Lui mi guarda, disgustato, poi torna ad occuparsi di lei.
Mi guardo le mani, che cominciano a tremare. Mi volto e mi allontano.
Forse avevo torto nel pensare che fra noi le cose potessero andare meglio. La delusione e il disgusto nei suoi occhi marroni mi fanno venir voglia di vomitare.
Io volevo solo proteggere la mia... amica.
Sento gli occhi lacrimare e non capisco che cosa mi stia succedendo.
Mi torna in mente il viso terrorizzato di Bella, e non riesco a fare a meno di esserne compiaciuta, di essere fiera di averla rimessa al suo posto, di averla fatta soffrire...
Sono come mio padre.
Sono uguale a lui, a Kai, e a tutti i cattivi.
Sono sbagliata, e non posso farci niente.
Non ho idea di dove io stia andando, ma non ho la minima intenzione di tornare da Jessica e tutti gli altri.
Sto meglio da sola.
E loro stanno meglio senza di me.
Ehi, ciao!
Scusate se non ho aggiornato da un po', ma ho avuto un po' di cose da fare ❤️
In questo capitolo si legge della parte di Aideen che è forse la più complicata da descrivere. È una parte di lei incontrollabile, di cui è terrorizzata.
E poi, all'inizio c'era un altro sogno ricordo ehhe lo so sono fissata con sti sogni...
Spero vi sia piaciuto il capitolo, ditemi che cosa ne pensate!
Baci 😈
-Gaia 💜
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