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Capitolo 24- La Coppa del Mondo di Quidditch (Parte Seconda)

Stazionava inerte fra la balaustra di sicurezza e il proprio posto a sedere, indeciso sul da farsi; scrutava il campo con occhio critico, spaziando fra la folla indistinta alla ricerca del minimo segnale di pericolo. I suoi occhi saettavano rapidi ed esperti da un capo all'altro del campo, senza tralasciare il più piccolo dettaglio. Sebbene in apparenza potesse sembrare totalmente assorto dall'operazione e perfettamente concentrato, faticava a mantenere i nervi saldi, al pensiero che, di lì a pochi istanti, due delle migliori squadre di Quidditch del pianeta avrebbero fatto il loro ingresso sul campo. Attorno a lui, un numero considerevole di simpatizzanti di entrambe le fazioni, s'agitava convulsamente, nel tentativo di ingannare la trepidante attesa con la speranza, pressocchè vana, di poter intravedere anche un solo membro dell'una o dell'altra squadra aggirarsi per il campo. All'interno di tale confusione, risultava particolarmente complesso mantenere la calma e persistere nel passare al setaccio, con lo sguardo, il campo, tuttavia, il Numero Uno pareva essere immune alle urla estasiate che la folla in delirio emetteva tutt'attorno a lui e persisteva nella sua minuziosa ricerca, quasi ne dipendesse la sua stessa vita.
Fu un lampo. Sette vortici piroettanti, di color verde acceso, saettarono verso il cielo, già punteggiato dalle prime stelle, come frecce impareggiabili e precise, scoccate da un invisibile arco. Fendettero l'aria ad un'elevatissima velocità, provocando un'impercettibile turbinío, che scosse i suoi capelli, esattamente come la sua anima. In pochi istanti, nella sua mente si accavallarono ricordi su ricordi, differenti, eppure accomunati dalla medesima sensazione di eccitazione, che lo pervadeva invariabilmente, ogni qual volta entrasse a contatto con l'essenza stessa del Quidditch. Perchè il Quidditch, per il Numero Uno, non era soltanto un comune sport, non lo era affatto, tutt'altro, era per lui necessario, ben superiore all'ossigeno che respirava, paragonabile, probabilmente, solo alla necessità di affondare il viso in quella tempesta rossa di capelli, che puntualmente emanavano la stessa fragranza di frutti di bosco. Nel corso degli anni, uno stuolo di aspiranti distruttori di sogni, dagli undici ai centocinquant'anni, s'era impuntato nel voler esprimere la propria disapprovazione nei confronti dell'attaccamento che nutriva il Numero Uno per il suo sport. Perchè sì, era il suo sport, era una parte di lui, nulla avrebbe potuto far vacillare questa convinzione e il modo in cui dava sfoggio delle proprie abilità e dell'assiduità che dimostrava nel seguirlo, non erano comparabili a quella di nessun altro. Per qual ragione avrebbe dovuto censurare le proprie urla estasiate in caso di vittoria, oppure i suoi giorni trascorsi in cupi silenzi, in caso di sconfitta? Lui era il Numero Uno, la quint'essenza del Quidditch in tutta la sua unilateralità, nulla avrebbe potuto distoglierlo dal suo obiettivo: aggiudicarsi il ruolo di Cercatore nella squadra nazionale. Di talento, di certo, non ne era accorto: le mirabolanti picchiate in linea retta in cui si lanciava, nel tentativo di afferrare il bramato Boccino d'Oro, erano il perfetto binomio fra indicibile maestria e quel minimo di sregolatezza, che sempre si rivela necessario, se si aspira a voler eguagliare i veri campioni.
Per il Numero Uno, non c'era nulla di più eccitante, adrenalinico, portatore di brividi e allo stesso tempo meraviglioso che non il salire in sella ad una scopa e lanciarsi, in apparente caduta libera, verso il fondo del campo, fra le urla dapprima sgomente ed in seguito estasiate della folla attorno a lui. O meglio, non c'era nulla di eguagliabile, fin quando, un fatidico giorno di Settembre, i suoi occhi color nocciola non avevano incontrato un paio di iridi di un verde acceso, chiaro e brillante, come un prato irrorato di bruma mattutina. Da allora le sue certezze erano andate via via vacillando, fino a disperderai quasi del tutto. Come poteva un paio di comuni occhi di ragazza, donargli con un solo sguardo, le stesse travolgenti emozioni che, in precedenza, soltanto un agguerritissimo match di Quidditch era riuscito a donargli? Il Numero Uno, non se ne capacitava per nulla. Da quel giorno settembrino, gli sfondi accesi dei suoi pensieri, avevano assunto la stessa tonalitá di verde di quelle iridi e risultava piuttosto complesso riuscire a focalizzare la propria attenzione sulla minuscola sfera dorata che era il Boccino, se tutto attorno a lui l'interno mondo si era reso monocromaticamente verde. Verde. Era divenuto il suo colore preferito, eguagliabile, forse, solo al rosso e all'oro della propria divisa, che dimostrava il proprio orgoglio d'essere non solo un valido membro, ma il capitano stesso della Squadra di Quidditch del Grifondoro.
"E LA FRANCIA RIMARCA IL PROPRIO VANTAGGIO, PER CENTOCINQUANTA A SESSANTA!" La voce amplificata da un Incanto Sonorus del telecronista, riscosse, dai propri contorti ricordi, la mente del Numero Uno. Incredulo, il giovane asso del Quidditch, volse lo sguardo verso l'enorme tabellone, che forniva il punteggio aggiornato in tempo reale. Dunque era proprio vero: a caratteri cubitali, in lettere dorate, sfavillava prepotentemente il numero centocinquanta, in corrispondenza del punteggio assegnato alla nazionale francese, mentre un tetro sessanta faceva timidamente capolino in corrispondenza dell'Inghilterra. Com'era possibile? Non era umanamente concepibile, ragionava il Numero Uno, che sette professionisti di tale calibro mantenessero una quotazione tanto bassa, era inaudito! "Non ha speranze l'Inghilterra, non senza il suo Cercatore, dovremo rassegnarci a sganciare a Bagman quei trenta galeoni..." Un momento. Che andava blaterando quell'individuo seduto nella tribuna precedente la sua? A cosa si riferiva quando affermava che la nazionale inglese non avrebbe avuto speranze senza il proprio Cercatore? Cos'era accaduto a Tyson? Era dunque vero che, in quegli istanti, si stava disputando un incontro impari di sei contro settte? Il Numero Uno era disorientato, per quanto tempo s'era immerso nei meandri più oscuri della propria mente, dimenticando totalmente dell'epico scontro che stava svolgendosi tutto attorno a lui?
Roteó con folle rapidità una lente del proprio Omniocolo, focalizzando l'attenzione sui dettagli presenti a bordo campo, verso il quale s'avviava una folla scomposta sempre più consistente. Poteva osservare con chiarezza la sagoma di Robert Tyson, il mitico Golden-Rob, vera e propria leggenda nel mondo del Quidditch agonistico, distesa inerte al di sopra di una barella, circondata da una serie di inflessibili Guaritori, misti ad inviati della Gazzetta del Profeta.
Robert Tyson infortunato. Non sarebbe stato possibile augurarsi una sventura peggiore, per la nazionale inglese, senza il proprio Cercatore, considerato fra i migliori al mondo, non avrebbe avuto realmente alcuna possibilità di aggiudicarsi la vittoria.
Il Numero Uno non ebbe tempo per rifletterci più approfonditamente, in una manciata di secondi aveva già raggiunto il campo e s'apprestava a presentarsi all'allenatore, totalmente sordo ai fischi e alle ammonizioni continue che folla ed arbitro gli rivolgevano. Ben presto avrebbero acclmato l'eroe che avrebbe portato l'Inghilterra al trionfo. Impettito, nella sua divisa scarlatta, che ben poco aveva a che fare con le uniformi smeraldine della nazionale inglese, si rivolse direttamente all'allenatore "Mi lasci giocare" Non era una richiesta, nè una possibilità, era un ordine. E quando il Numero Uno ordina, i suoi sottomessi eseguono. L'allenatore Gray, tuttavia, un anziano mago dall'aria smunta e stressata, dimostró alcune riluttanze "Io non la conosco, come posso affidarle il destino della mia squadra?" Chiese disperato, saettando lo sguardo alla ricerca di un'altra possibilità per sfuggire all'inesorabile sconfitta. "Mi lasci giocare" Ripetè il giovane virtuoso "Io sono il Numero Uno. Mi lasci giocare e afferreró quel Boccino prima ancora che la Francia abbia il tempo di rendersi conto che sono sceso in campo" Il Numero Uno allungó un braccio, in attesa che gli venisse consegnata la prestigiosa scopa da corsa Nimbus 900, appartenuta a Tyson, certo com'era che le sue parole avessero sortito l'effetto sperato. Effettivamente, dapprima Gray tentó di rifiutare, tuttavia non ebbe altra scelta, in special modo nell'attimo in cui s'accorse che la nazionale francese aveva di pochissimo sfiorato la possibilità di segnare l'ennesimo goal, portandosi alla certa vittoria.
Non appena il Numero Uno decolló, avvertì un brivido, un sentore indescrivibile, la prova concreta che quella partita sarebbe stata sua, che il Boccino d'Oro avrebbe avuto la possibilitá di svolazzare liberamente per il campo solo per pochi altri minuti.
Ispezionó il campo ad una rapiditá mai vista ed, effettivamente, individuó l'oggetto del suo desiderio dopo solo pochissimi istanti, aleggiava pochi metri più in basso, attorno agli anelli della nazionale inglese. Non v'era il tempo per prestare attenzione al telecronista che annunciava in pompa magna il suo ingresso in campo, nè tantomeno per pianificare un'altra possibile strategia. Solo una mossa era attuabile, in quel caso, per aggiudicarsi di certo la gloria. Agì d'istinto, con un movimento estremamente rapido e fluido, pressocchè impercettibile all'occhio umano. Padroneggiava l'ambita scopa quasi l'avesse cavalcata durante la sua intera esistenza, quasi gli fosse sempre appartenuta. Si lanció in linea retta, puntando dritto verso il Boccino d'Oro, tallonato a breve distanza da Bouvier, la giovane promessa del Quidditch francese. Era un esperto, quel Bouvier, nessuno avrebbe potuto mettere in discussione tale affermazione, tuttavia, non possedeva neppure una singola briciola del talento del Numero Uno. In pochi, brevissimi istanti, le sue dita prive di guanti, si serravano attorno alla minuscola e fremente sfera dorata. Sollevó il braccio destro, ricolmo di trionfo ed orgoglio, uno smagliante sorriso trentadue denti stampato sul viso, mentre l'immane folla in delirio, totalmente euforica, tut'attorno a lui, non faceva che ripetere in coro il suo nome...
"James! Jaaames! Svegliati, sognatore! La partita è finita, l'Inghilterra ha perso" Lo informó una nota voce femmile. "Come perso? È impossibile! Io ho afferrato il Boccino in un lampo e abbiamo vinto e...." Lily roteó gli occhi smeraldini e sospiró "Ho capito: lo schock per la sconfitta della tua squadra ti ha indotto a produrre una versione immaginaria della partita, per non danneggiare ulteriormente la tua giá compromessa mente" Valutata questa bizzarra ipotesi, abbrancó un Harry semi addormentato, giró sui tacchi e s'avvio verso l'uscita.

#SpazioAutrice
Ciao bella gente! Sì, sono viva! Scusatemi per l'immane ritardo, ma sono stata sommersa dai compiti in classe e non ho potuto pubblicare. Vi prometto che dal prossimo capitolo torneró ad aggiornare regolarmente ogni 30 voti. A proposito, abbiamo già raggiunto le 16mila views! Sono stramega contenta e, per ringraziarvi, vorrei indire un simpatico contest. Chi realizzerá la migliore copertina per Oblivion entro il 10 Aprile, vincerà. Il vincitore riceverà un follow da me (inutile, ma okay) pubblicitá per le proprie storie e, ovviamente, la pubblicazione della propria copertina. Per partecipare contattatemi in bacheca, nei commenti o privatamente. Ricordo entro il 10 Aprile.
Spero l'idea e la storia vi piacciano, sarei felice se me lo comunicaste, grazie
A presto,
For ever and always be a potterhead!
I solemnly swear that I am up to no good!

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