34å
"Penso che mio padre farà un infarto" dissi ridacchiando perché anche il solo immaginare l'espressione che avrebbe messo su mi faceva divertire particolarmente.
Lo spring break non era ancora terminato e dopo essere tornati da Cuba io ed Harry avevamo deciso di restare a Cincinnati per altri due giorni prima di ritornare al college.
Era strano realizzare che non fossi più sola ma ci stavo facendo l'abitudine.
"Mia madre sarà felice, tanto lei pensava fossimo insieme dalla vigilia di Natale" aggiunse lui per poi schiarirsi la gola ed incrociare le sue dita alle mie.
La sua mano tremava leggermente e lo potevo percepire dal suo viso che fosse agitato e tutto ciò mi fece sorridere.
Camminai lungo il vialetto di quella che era sempre stata casa mia e stringendo un po' più forte la presa sulla mano di Harry mi ritrovai a bussare lievemente alla porta, non sicura se mio padre fosse a casa anche se la sua macchina era parcheggiata di fronte alla casa.
Rimasi a fissare la porta di legno massiccio per un paio di minuti prima che venisse spalancata ed io rimanessi sbalordita da quello che mi si parò di fronte.
Mi voltai verso di Harry e dall'espressione sul suo viso lo capii subito che neanche lui si aspettasse di vedere sua madre di fronte a noi.
Indossava un accappatoio ed i suoi capelli erano bagnati e ricadevano sulle sue spalle.
"Mamma..." mormorò Harry non sicuro di cosa in realtà stesse capitando, era ferito, lo leggevo nei suoi occhi che fosse l'ultima cosa che si sarebbe aspettato quel giorno.
Fu una frazione di secondo quella in cui mollò la presa sulla mia mano, e fu ancora di meno il tempo che ci impiegò nel fare alcuni passi indietro con la chiara intenzione di voler scappare ed io lo capii.
Perciò per quella singola volta lo lasciai perdere, non lo rincorsi perché forse voleva stare da solo, perché forse quelle informazioni erano state troppo forti per lui.
"Harry aspetta!" gridò sua madre per poi provare a rincorrerlo, solo che lui aveva già raggiunto la sua macchina ed era sfrecciato ancora prima di realizzare cosa stesse facendo.
Mi aveva lasciata sola e con i genitori di entrambi i quali a tratti sembravano più immaturi di noi.
Incrociai le braccia al petto e fissai quella donna a lungo mentre internamente desideravo solo che scomparisse da casa mia, arrivando al punto in cui non mi importò neanche più che si trattasse della madre del mio ragazzo.
"Sapete, avevamo pensato di farvi una sorpresa ma apparentemente l'avete fatta voi a noi" dissi dura, alternando lo sguardo tra Stacy e mio padre.
"Entra dentro Delilah, penso abbiamo bisogno di parlare" dichiarò mio padre, facendomi arrabbiare ancora di più di prima perché sembrava troppo indifferente alla situazione.
Era davvero possibile che si fosse rifatto una vita in così poco tempo? Era davvero così facile dimenticare una persona con la quale si era stati insieme così tanto?
"Sto ascoltando" dissi dura, quasi acida dopo essermi seduta all'isola della cucina ed aver fissato Stacy e mio padre sorseggiare del caffè dalle loro rispettive tazze.
"È una storia così lunga che non riuscirei a spiegarla neanche se volessi. Il punto è che io e tuo padre ci stiamo frequentando e questo è tutto quello che penso dovreste sapere" confessò Stacy abbassando gli occhi e fissandoli sul ripiano di fronte a lei perché forse temeva una mia reazione.
Ed io la ebbi quella reazione, solo che fu un'esplosione interiore di emozioni negative ed io non le lasciai trapassare fuori.
"Avete bisogno della mia benedizione o cosa?" chiesi alzandomi dalla sedia perché fremevo dalla voglia di spaccare tutto intorno a me, e sapevo che se fossi rimasta avrei combinato un grande macello.
"No Delilah, non è questo ma se voi ci appoggiaste sarebbe tutto più facile, non credi?" chiese mio padre tentando di abbozzare un sorriso ma io non riuscii a berla quella storia e quella falsa empatia.
Non mi ci volle molto a capire che a loro non importasse del mio parere come neanche di quello di Harry e così senza più dire nulla uscii di casa.
Scacciai le lacrime che minacciavano di uscire costantemente e camminai verso il solo posto dove ero certa avrei trovato Harry, il cimitero.
E non lo sapevo per certo ma lì è dove anche io sarei voluta andare in quel momento e sperando nella nostra quasi telepatia, forse sarei davvero riuscita a trovarlo lì.
Camminai verso la tomba di mia madre e senza più pensare a lui mi sedetti per scambiarci un paio di parole.
"Sai mamma, mi spaventa terribilmente tanto l'idea che papà si sia rifatto una vita, ho paura che ti dimenticherà..." mormorai lasciando freno libero finalmente alle mie lacrime.
Sapevo che andare avanti fosse normale ma non mi sarei mai aspettata che lo facesse così in fretta, buttando nel cestino venticinque anni di matrimonio.
E per rendere il tutto più drammatico, con la madre del mio ragazzo, quello cosa ci rendeva?
Una sorta di fratellastri?
Come ci avrebbero guardati le persone che sapevano della loro frequentazione? Avrebbe quello influito nel mio rapporto con Harry?
Sbuffai frastornata e confusa e decisi di alzarmi dall'erba verde solo quando cominciai a non sentire più le mie gambe a causa della posizione nella quale ero rimasta per un tempo indefinito.
Il tipico formicolio invase le mie gambe e fu davvero fastidioso per alcuni secondi, ma quando scomparve tutto fu meglio.
Sapevo Harry fosse lì, lo potevo quasi percepire.
Camminai tra tutte le pietre funerarie e mi ritrovai a vagare persa nel cimitero, leggendo date e immaginando storie di quelli che ormai non c'erano più.
E dopo una decina di metri lo trovai.
Se ne stava seduto a gambe incrociate sull'erba di fronte ad una tomba, mi stava dando la schiena e si teneva la testa fra le mani.
Non sapevo se mi volesse tra i piedi ma pensai valesse la pena almeno provarci, perché forse parlandone si sarebbe sentito meglio.
"Ehi..." dissi a voce bassissima per non spaventarlo ma anche perché nutrivo un certo rispetto per il posto nel quale ci trovavamo.
Si voltò di scatto e quando capì si trattasse di me, sospirò.
"Come hai fatto a trovarmi?" chiese alzandosi da terra e restando però fermo al suo posto.
"Ho semplicemente pensato a cosa io avrei fatto e adesso eccomi qui" sussurrai cominciando a fare dei piccoli passi verso di lui con la chiara intenzione di tastare il terreno.
"Mi sembra assurda tutta questa situazione, sento che potrei impazzire da un momento all'altro" ammise con la voce spezzata mostrando tutto il dolore che stava provando ed io ero grata che si stesse aprendo con me.
"È quel che è Harry, ho parlato con loro e non gli importa quello che noi pensiamo perciò le opzioni sono solo due, o accettiamo o accettiamo comunque" dichiarai davvero dispiaciuta, perché quello era stato chiaro fin dal primo momento, che ai nostri genitori non importasse del parere di nessuno.
"Come potrei accettare una cosa simile Del? Come fai ad accettarlo tu? Tua madre è morta sette mesi fa" chiese frustrato facendomi sentire ancora più male di prima.
"Ne parliamo per strada che ne dici?" chiesi non volendo portare un discorso simile in quel posto.
Il solo problema era che non sapevo neanche dove andare ed era ancora più frustrante.
"Ritorniamo al college?" gli chiesi dopo un paio di minuti passati a camminare in silenzio.
"Andiamo a casa, restano ancora un paio di giorni e non ho intenzione di andare lì prima del dovuto" rispose sicuro di quel che stava dicendo, quasi come se in realtà per lui l'opzione di tornare ad Indianapolis non fosse mai esistita.
Mi schiarii la gola non sicura di come esporre il mio problema.
"Io penso andrò da Grace, anche perché non potrei sopportare di vedere tua madre girare mezza nuda per casa mia" la buttai lì, anche se quella in realtà non mi sembrava essere l'idea migliore.
"Come scusa? Perché dovresti andare da Grace? Pensavo l'avessi capito che saresti venuta con me" rispose accigliandosi per poi aprire gli sportelli della sua auto ed aspettare che io prendessi una decisione anche se in realtà non c'era neanche bisogno di chiedermelo, perché non avevo aspettato altro.
"E se tua madre dovesse tornare a casa?" chiesi davvero spaventata dal fatto che avrebbe potuto rovinare la mia permanenza a casa sua.
"La conosco e so che non lo farà, non fino a quando non torneremo al college" rispose serio, come se sapesse il fatto suo e non mi restò altro che crederlo anche perché altre opzioni non avevo.
"E poi prendila come una prova per quello che verrà" aggiunse ammiccandomi ed aprendomi lo sportello per invitarmi a salire in auto.
Inghiottii il groppo che mi si era creato in gola e annuii piano, per poi spostare lo sguardo fuori dal finestrino intimorita da come sarebbero stati quei due giorni con lui, avevo paura perché temevo non sarebbe finita bene.
La porta della sua immensa casa mi venne aperta e fui spinta da lui per entrare.
Era davvero strano quanto grande fosse anche perché non me la ricordavo davvero così immensa.
"Come fai a non perdertici?" chiesi spensierata per poi sorridere.
"Non è così grande, ci farai l'abitudine, devi farci l'abitudine" si corresse guardandomi serio, probabilmente cercando di intercettare i miei dubbi e anche se ancora erano tanti, quel giorno mentii davvero bene.
Non fraintendetemi, adoravo passare del tempo con lui ma ero anche spaventata.
Ero stata da sola per sei anni e non avevo neanche dato modo a qualcuno di avvicinarsi e da un momento all'altro mi ero ritrovata in una relazione con un ragazzo che a volte dubitavo essere reale.
Quell'anno forse sarei riuscita a finire il college e i piani per il futuro sembravano davvero essere stati ben definiti da Harry e quasi tutti mi coinvolgevano.
Salii le scale dietro di lui e mi ritrovai a guardare la marea di porte bianche poste ai lati del grande e spazioso corridoio.
Lo guardai aprire la prima sulla destra ed invitarmi ad entrare.
Era tutto bianco, bianco da far schifo a parte i vari quadri appesi alle pareti.
Li guardai ammaliata e nuovamente mi ritrovai a sentirmi attirata da loro.
Li osservai uno ad uno e quando mi colpì la realizzazione sentii la mia testa girare velocemente.
Il mio cuore aveva cominciato a battere all'impazzata mentre costatavo trattassero tutti di una storia.
E l'ordine nei quali erano stati appesi era uno cronologico.
Il primo sulla destra mostrava una figura in un negozio di dischi, e anche se non era dettagliato, lo avevo potuto perfettamente capire che si trattasse della prima volta che c'eravamo incontrati.
Il secondo mostrava un ragazzo seduto su una panchina con un girasole in mano ed una ragazza che correva nella sua direzione.
Il terzo era un paio di labbra senza nient'altro attorno.
Il quarto mostrava una grande tavola imbandita di natale dove tante figure scherzavano e ridevano spensierate.
Il quinto ritraeva una scritta "New York" mentre un centinaio di piccoli puntini colorati mi ricordarono di come ero rimasta incantata a fissare le luci di quella città.
E continuavano, tutti a ritrarre piccoli momenti tra di noi ma senza essere dettagliati.
"Li hai fatti tutti tu? Dio è fantastico!" gridai felice, estasiata da quello che stavo vedendo e fiera del fatto che lui fosse riuscito a fare una cosa simile.
"Te ne regalerei davvero qualcuno ma penso che rimanendo insieme raccontano una storia" rispose sorridendo e nonostante fossi dispiaciuta del fatto che non ne avrei potuto avere qualcuno, ero felice che mi avesse mostrato la sua opera.
"Ti ricordi il mio discorso insieme a Simsons? Quella sulla mostra d'arte?" chiese grattandosi poi la nuca e sedendosi sul letto.
"Si, più o meno, ricordo che aveva detto mancasse un'opera" risposi avvicinandomi e sedendomi accanto a lui, ma senza distogliere lo sguardo dai piccoli quadri che guardati da quella prospettiva mi raccontavano una storia, la nostra storia.
"Avevo in mente di portare la nostra storia a Los Angeles Delilah" concluse lui stringendo la mia mano e poggiando la sua testa sulla mia spalla.
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