2.13 ~ La Stanza delle Necessità
Se la delusione avesse una voce, la sua avrebbe urlato senza esitare il risentimento che si portava dietro.
La stanza del dormitorio era vuota, le pareti di pietra sembravano riposare ancora. Il silenzio che la avvolgeva le congelava la pelle, nonostante fosse rannicchiata sotto le lenzuola. Non faceva davvero freddo, fuori. Ma dentro... dentro lo sentiva.
Gli altri quattro letti a baldacchino erano sfatti, eccetto per quello di Daphne, le cui coperte erano state risistemate con cura dalla padrona stessa, prima che lei si rendesse presentabile per la colazione e lasciasse il dormitorio alla volta della Sala Grande.
Rose non aveva mai amato dormire fino a tardi. Non era una mattiniera, ma le piaceva, quando poteva, svegliarsi prima degli altri per godere della pace che regnava nel castello mentre la maggior parte degli studenti riposava. Durante la settimana era pressoché impossibile bearsi della serenità mattutina, perché per poter arrivare in tempo alla prima lezione della giornata quasi tutti si svegliavano – seppure controvoglia – piuttosto presto. Il sabato e la domenica, invece, Rose era tra i pochi che mantenevano invariato l'orario della propria routine rispetto ai giorni precedenti. Lo stesso non poteva dirsi, però, di quel fine settimana.
Il sabato – il primo sabato di ottobre – si era ritrovata in piedi prima del solito, nervosa com'era per l'uscita a Hogsmeade, che significava dover vedere Draco in quello che, lei ne era appena giunta al corrente, sarebbe stato un terribile appuntamento. Infatti, le sue riflessione l'avevano tenuta sveglia tutta la notte, e il termine di esse – la decisione di interrompere la brevissima relazione che aveva avuto con lui – l'aveva lasciata con una tristezza che non le aveva permesso di chiudere occhio neanche per poche ore. La giornata era stata intensa, e non aveva trovato il tempo di riposarsi; non aveva voluto trovarlo, più che altro. La sera, però, era stata costretta a infilarsi sotto le lenzuola, con l'unico vano risultato di trascorrere un'altra notte insonne.
Quella domenica mattina, infatti, non era rimasta nel letto perché aveva dormito fino a tardi, ma perché non aveva dormito affatto, e il suo corpo iniziava ad accusare – anche se al momento sbagliato – la mancanza di sonno. Il suo desiderio di riposare, però, era pari a zero.
Si stava salvando dagli incubi, certo, ma non dai propri pensieri. L'indignazione di Draco, che lui aveva tentato di mascherare con gelida indifferenza, continuava a risuonarle nelle orecchie. Il frastuono del silenzio attorno a lei non era abbastanza per sovrastare la sua voce.
Sapevo che ti avrei messa in pericolo, ma ho lasciato a te la scelta. Questa cosa è più forte di me, ma non sarei stato insistente se mi avessi rifiutato.
La verità in quelle parole era stata disarmante.
Mi dispiace dirtelo, Rose, ma sei tu che non capisci. Questa situazione di cui parli tanto non è niente di complicato. È una cosa fra me e te, e nessun altro.
Strizzò gli occhi, come se così l'immagine risentita di lui potesse svanire, quindi, con un movimento repentino, spostò le lenzuola e si tirò a sedere. Aveva sbagliato. Di nuovo.
All'inizio lo aveva rifiutato, quasi senza esitazione, poi aveva ammesso di avere dei sentimenti per lui, accettando di intraprendere una relazione, e adesso, dandogli motivazioni da non sottovalutare ma che lei non avrebbe mai desiderato trovare, lo aveva allontanato. Di nuovo.
La necessità di chiedere aiuto le fece prudere le mani. Ma a chi avrebbe mai potuto rivolgersi?
Harry non avrebbe mai capito, neanche se lei avesse tenuto segreta l'identità di Draco, pertanto anche Ron e Hermione erano da escludere. Sirius era irraggiungibile – meglio evitare una corrispondenza con lui, se la lettera fosse stata intercettata sarebbe stato pericoloso – e poi comunque non si sarebbe schierato dalla parte di Rose, anzi, lei temeva che avrebbe reagito da padre iperprotettivo e invadente, e avrebbe tirato fuori un discorso sui ragazzi che, ringraziando Godric, ancora non era stato intavolato. E Daphne... Daphne era la sola che avrebbe potuto aiutarla, ma Rose non voleva che la sua migliore amica credesse che glielo stesse dicendo solo perché desiderava il suo aiuto. Anche se ormai il momento giusto per dirglielo era passato già da un pezzo. Avrebbe dovuto raccontarle la verità sin dall'inizio.
In quel momento, Rose percepì più del solito la mancanza di una figura adulta al suo fianco. Si chiese come sarebbe stato se Lily fosse ancora in vita. Se avrebbero chiacchierato come due amiche del cuore, se si sarebbero scambiate lettere che domandavano risposte e urlavano consigli, se finalmente lei non si sarebbe sentita giudicata. Era questo che una madre faceva? Accogliere i dubbi dei propri figli senza mai giudicarli e offrire loro non solo le risposte che spesso mancavano, ma, più di ogni altra cosa, la propria vicinanza come il più accogliente dei rifugi? Forse, un giorno, lo avrebbe scoperto.
Domandandosi ancora una volta perché Sirius fosse il padrino di Harry e lei non avesse nessuno, e intuendone la possibile risposta, trattenne l'impulso di aprire il baule e recuperare dall'interno del libro di Incantesimi la foto dell'Ordine della Fenice originario. Giunse a un compromesso sfiorando da sopra la maglietta il piccolo ciondolo regalatole da Sirius. Non lo abbandonava mai, perché sentirlo contro la pelle le dava una sensazione di vicinanza a lui che non poteva ottenere davvero.
Scese dal letto, e, una volta resasi presentabile, lasciò finalmente il dormitorio e la sala comune dei Serpeverde, non senza aver prima salutato con una carezza Betty, che riposava ai piedi del suo letto, accanto al baule.
Decise di rimandare la colazione in Sala Grande, nonostante fosse perfettamente consapevole del fatto che non avrebbe potuto evitare Draco a lungo. Il giorno dopo sarebbero ricominciate le lezioni, e lei avrebbe dovuto vederlo anche agli allenamenti di Quidditch.
Percorrendo in fretta la scalinata dei sotterranei che conduceva alla sala comune dei Tassorosso, scacciò bruscamente il pensiero di Draco dalla proprio testa, sapendo però che non avrebbe potuto tenerlo lontano per molto, e si concentrò sul proprio importante compito.
Raggiunse un grande dipinto che ritraeva una ciotola di frutti dai colori vivaci, e avvicinò l'indice alla pera verde. La solleticò piano, e quella, dopo aver ridacchiato, si tramutò in una maniglia. Rose gettò un'occhiata lungo il corridoio, poi si infilò furtiva nelle cucine.
L'intenso odore di cibo le stuzzicò fastidiosamente lo stomaco vuoto, mentre osservava l'ampia stanza, collocata esattamente sotto la Sala Grande. Innumerevoli elfi domestici si affollavano attorno a quattro lunghi tavoli, che rappresentavano proprio quelli delle quattro Case, e altri erano indaffarati presso quello dei professori. Posavano le pietanze pronte per la colazione sulle superfici legnose, e i piatti svanivano, apparendo magicamente sui tavoli della vera Sala Grande, proprio nel punto in cui gli elfi li avevano posizionati. Altri elfi domestici erano occupati a preparare la colazione, chi armeggiando con i fornelli, chi impastando con le proprie mani, e Rose si godette per un attimo quell'organizzato caos di eccellenti lavoratori.
Ma fu soltanto per un istante, perché all'improvviso qualcuno le strinse con forza le gambe, strillando «Rose Potter, signorina!» e lei abbassò lo sguardo. L'elfo domestico Dobby la fissava allegro con i suoi enormi occhi verdi, grandi come palle da tennis; le orecchie da pipistrello sporgevano da un berretto di lana, uno degli indumenti che Hermione realizzava con i ferri e spargeva per la sala comune di Grifondoro – sperava così di liberare gli elfi domestici che durante la notte si occupavano della pulizia della torre, ma era Dobby a raccogliere tutti quegli indumenti. Come infatti Rose notò, indossava molti paia di calzini, che facevano sembrare i suoi piedi troppo grossi rispetto al suo corpicino.
«Dobby!»
L'elfo domestico si staccò da lei, e fece un inchino così profondo che il suo lungo naso sfiorò il pavimento.
«La signorina vuole fare colazione?» le chiese, raggiante, afferrando subito un vassoio di bignè dalle mani di un elfo, che stava per posizionarlo sul tavolo dei Corvonero.
Lo stomaco di Rose brontolò sonoramente a quella vista, e lei si sentì in dovere di accettare.
«Grazie, Dobby» disse, afferrando un dolcetto.
Dobby le mostrò un sorriso raggiante, quasi commosso dal fatto che lei avesse accettato la sua offerta, e pose senza cura il vassoio sul tavolo dei Tassorosso.
«Come sta Winky?» domandò Rose dopo un poco, dato che Dobby la stava osservando mangiare con un largo sorriso stampato sul volto e lei iniziava a sentirsi abbastanza a disagio.
Le orecchie di Dobby si afflosciarono. Winky era stata l'elfa domestica del signor Crouch, e non si era ripresa facilmente dal licenziamento subito.
«Winky beve ancora tanto, signorina. Ancora non vuole vestiti, Rose Potter. E nemmeno gli altri elfi domestici. Nessuno di loro pulirà più la Torre di Grifondoro, con tutti i berretti e calzini nascosti ovunque, per loro è un insulto, signorina.»
«Forse dovrei dire a Hermione di smettere, allora...»
«No, Rose Potter, signorina, prende tutto Dobby. Dobby è felice di andare da solo nella Torre di Grifondoro. Lui spera sempre di incontrare Harry Potter, e oggi ha incontrato sua sorella! È tanto felice di vedere la signorina!»
«Anche io sono felice di vederti» ammise Rose, dopo aver ingoiato l'ultimo boccone di bignè.
Poi abbassò la voce.
«Dobby, ti ricordi che hai detto che avresti voluto aiutare me e Harry in caso di bisogno?»
Dobby annuì, le orecchie di nuovo sollevate.
«Dobby vuole aiutare Harry Potter e Rose Potter, perché Harry Potter e Rose Potter hanno liberato Dobby e Dobby è molto, molto più felice adesso.»
Rose sorrise.
«Bene, perché c'è una cosa che potresti fare per me.»
L'elfo apparve raggiante.
«Lo dica, Rose Potter, signorina!»
«Devo trovare un posto dove trenta persone possono esercitarsi nella Difesa contro le Arti Oscure senza essere scoperte da nessuno, soprattutto dalla Umbridge» sussurrò Rose.
Aveva saputo sin da subito di poter chiedere a lui, in quanto l'elfo si era detto in debito con lei e suo fratello al termine del secondo anno, e avrebbe accettato qualsiasi richiesta, anche la più impossibile. E questa lo era, lei ne era consapevole, e non si aspettava una reazione positiva da parte di Dobby, che però avrebbe eseguito la richiesta anche se fosse stata senza alcuna speranza.
Invece, l'elfo fece un saltello, agitando allegramente le orecchie e battendo le mani.
«Dobby conosce un posto perfetto, signorina!» esclamò contento. «Dobby l'ha sentito dire dagli altri elfi domestici quando è arrivato a Hogwarts, signorina. Noi la chiamiamo Stanza Va-e-Vieni, signorina, oppure Stanza delle Necessità!»
«Perché la chiamate così?» domandò curiosa Rose.
«Perché è una stanza dove si può entrare solo se c'è veramente bisogno. A volte c'è, a volte no, ma quando appare ha sempre tutto quello che serve a chi la cerca. Dobby l'ha usata, signorina, quando Winky era molto ubriaca; l'ha nascosta nella Stanza delle Necessità e ha trovato antidoti alla Burrobirra, un bel lettino da elfo per farla dormire, signorina... e Dobby sa che il signor Gazza ci trova i detersivi quando li sta finendo, signorina, e...»
«Quanti la conoscono?» sussurrò Rose, trattenendo un sorriso.
«Molto pochi, signorina» rispose serio Dobby. «La gente di solito ci capita per caso quando ne ha bisogno, ma spesso non la trovano più, perché non sanno che è sempre lì che aspetta di essere chiamata, signorina.»
«È perfetta, Dobby!» esclamò Rose, entusiasta. «Quando puoi mostrarmi dov'è?»
«Quando vuole, signorina!» disse Dobby, soddisfatto dall'entusiasmo di Rose. «Possiami andare anche stanotte, se vuole!»
Per un attimo, lei fu tentata di accettare. Si sarebbe fatta prestare da Harry il Mantello dell'Invisibilità e la Mappa del Malandrino, e poi era un prefetto, quindi qualunque cosa fosse accaduta avrebbe potuto giustificarla con una scusa riguardo qualche speciale ronda notturna o altri compiti sciocchi dei prefetti. Poi però l'importanza del gruppo di Difesa contro le Arti Oscure si fece sentire; non poteva rovinare tutto soltanto per il suo desiderio di curiosità e la voglia di dare luogo a una lezione quanto prima. C'era bisogno di preparare con cura ogni cosa, le sue mosse non avrebbero dovuto essere affrettate, ma studiate meticolosamente.
«Stanotte no» sospirò quindi. «È una cosa molto importante, e devo prepararla bene. Ma grazie, davvero. Io... so che sei più legato a mio fratello, ma anche per me sei un vero amico, Dobby.»
L'elfo domestico emise un verso commosso, i suoi grandi e tondi occhi verdi si riempirono di lacrime di gioia, e il suo corpicino fu scosso da singulti emozionati. Tentò di trattenersi, ma fu inutile, e scoppiò a piangere sonoramente.
«G-grazie... s-signorina... D-Dobby... Dobby è a-amico d-della sorella d-di Harry P-P-Potter e... e lo sarà sempre!»
«Oh, Dobby, non volevo farti piangere» si scusò Rose, sorridendo commossa.
L'elfo afferrò un lembo della propria veste e si soffiò fragorosamente il lungo naso. Poi, asciugandosi i lacrimoni, alzò lo sguardo su Rose.
«C'è q-qualcos'altro che Dobby può f-fare per la signorina?»
Rose si piegò piano verso di lui.
«Hai fatto già tanto» affermò, «ma a questo punto devo sapere un'ultima cosa.»
Dobby annuì vigorosamente.
«Tutto, Rose Potter, signorina.»
«Dov'è questa Stanza delle Necessità? E come si fa ad entrare?»
Le orecchie dell'elfo scattarono di nuovo verso l'alto, e la gioia gli illuminò gli occhi enormi un'altra volta.
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