1.7 ~ La lettera di Sirius
Sirius Black non era stato un padrino esemplare per Harry Potter, ma, di certo, non per colpa sua. Rinchiuso ingiustamente nella temibile prigione di Azkaban per ben dodici anni, era riuscito a scappare solo l'anno precedente, sfuggendo al controllo degli orribili guardiani delle celle, i Dissennatori. Si era recato a Hogwarts per salvare Harry dal seguace di Voldemort sotto copertura, Peter Minus (detto Codaliscia), il vero colpevole degli omicidi per cui Sirius era stato imprigionato e dell'uccisione di Lily e James. Ma il Ministro della Magia non aveva creduto all'innocenza di Sirius, che era stato dunque costretto a un'eterna fuga.
Sirius era stato il migliore amico di James Potter, sin dai tempi della scuola. Avevano fondato, assieme a Remus Lupin e Peter Minus (che poi li aveva traditi), il gruppo dei Malandrini, in cui i membri si avvalevano di nomi inventati: erano, rispettivamente, Felpato, Ramoso, Lunastorta e Codaliscia. La singolare scelta di questi pseudonimi non era affatto casuale; Sirius, James e Peter erano infatti diventati Animagi, rispettivamente un cane, un cervo e un topo, mentre Remus era un lupo mannaro.
Rose era rimasta affascinata da questa storia, e l'anno precedente, prima che Sirius fosse costretto a fuggire, aveva chiesto a lui e Lupin chi fosse, invece, il suo padrino o la sua madrina. Remus aveva allora fissato l'amico, che si era limitato a spostare lo sguardo altrove, posando le mani sulle spalle di Rose, senza però rispondere. E lei non aveva conosciuto la verità.
Harry camminava avanti e indietro per la sala comune dei Grifondoro, la lettera di Sirius stretta tra le mani, uno stato confusionale a investirlo, quando il ritratto davanti l'entrata si scostò e sua sorella fece il suo ingresso, ringraziando il cielo che la parola d'ordine che suo fratello le aveva rivelato a inizio anno non fosse cambiata. Aveva l'aria stanca, ma indossava già la divisa scolastica e portava con sé una scatola di spille.
La gettò senza tante cerimonie sul divano, lasciando che qualche spilla precipitasse sui cuscini o sul pavimento - Harry poté leggere così la scritta "C.R.E.P.A." -, e si sedette sbuffando con noncuranza, mentre le molle sotto di lei saltavano.
«Buongiorno» disse infine, incrociando le braccia e accavallando le gambe.
«Ehm, buongiorno» fece incerto Harry, prima di accomodarsi su una poltrona di fronte a lei, restando però seduto sulla punta del cuscino, rigido.
Con una certa esitazione, le allungò la pergamena ripiegata sulla quale Sirius aveva scritto la sua risposta alla sua lettera, e Rose, indugiando appena, prese il foglio che le veniva teso. Lo dispiegò con cura, quindi iniziò a leggere.
Harry,
volo immediatamente a Nord. La notizia della tua cicatrice è l'ultima di una serie di strane voci che mi sono giunte fin qui. Se ti fa ancora male, vai subito da Silente: dicono che abbia convinto Malocchio a tornare al lavoro, il che significa che ha colto i segnali, anche se è l'unico. Mi farò vivo presto. I miei più cari saluti a Ron e Hermione. Un grandissimo abbraccio a Rose. Tieni gli occhi aperti, Harry.
Sirius
Rose abbassò piano la lettera, sollevando gli occhi su suo fratello. Il nervosismo e la confusione era tutto ciò che poteva notare sui suoi lineamenti. Harry aveva scritto a Sirius perché la cicatrice gli aveva ricordato di essere ancora lì, inviandogli una fitta dolorosa che non prometteva niente di buono, e ciò in seguito a un sogno su Voldemort che i due fratelli Potter ritenevano fosse tutto tranne che surreale.
Il pericolo c'era, trasudava persino dalle poche righe d'inchiostro che Sirius aveva tracciato su quel foglio di pergamena. Sembrava essere sicuro che Silente fosse preoccupato. E se Silente lo era, allora quei segnali non erano vani.
Mi farò vivo presto.
«Sta... tornando» pronunciò solo Rose, restituendo la lettera a Harry, che la ripiegò lentamente e con cura.
«Sì» soffiò fuori lui, non sapendo che altro dire, oltre a condividere la propria preoccupazione. «Ma non dovrebbe farlo.»
«Sa cavarsela benissimo.»
«È pericoloso lo stesso.»
«E a lui cosa può importare? Quel genere di pericolo è tutto per lui. Senza pepe la vita non ha gusto... aveva detto così no?»
«Sì» sorrise Harry, nel ricordare l'affermazione del padrino, «ha detto così.»
«Non penso che tu debba preoccuparti per lui, la tua situazione è molto più critica. Di questo sì che devi preoccuparti.»
Non appena Rose vide suo fratello esitare, evitando accuratamente il suo sguardo, fu assalita dal dubbio.
«Che cosa hai fatto?»
«Niente» si affrettò a rispondere lui, volendo evitare che la sorella pensasse al peggio ma riuscendo solo ad aumentare i suoi dubbi. «Cioè, niente di grave. Ho solo... scritto di nuovo a Sirius.»
«Davvero?» fece Rose. «Perché?»
«Perché non voglio che torni. Qui... qui sarebbe molto a rischio.»
«Dirgli di non tornare lo spingerebbe ancora di più a farlo.»
«Infatti non gli ho scritto quello» replicò Harry, diventando rosso d'un tratto. «Gli ho detto che la cicatrice non mi ha fatto male. Che forse me lo sono solo immaginato. E lui non si deve preoccupare.»
«Ma non è giusto, Harry» lo rimproverò Rose, sporgendosi verso di lui e premendo i gomiti sulle ginocchia. «Non puoi dire una bugia, non su una cosa come questa! Se credi che mentire possa tenere le persone al sicuro, ti sbagli. È la verità a definire le scelte che vengono dal cuore, a guidare i tuoi desideri... E sono assolutamente certa che Sirius voglia la verità. E poi, non è tanto stupido da credere alle tue bugie, non riuscirai a tenerlo lontano se ha deciso di tornare.»
«Non m'importa se è sbagliato, Rose... non voglio che Sirius torni. Preferisco dirgli una bugia per tenerlo lontano piuttosto che farlo correre qui con il rischio che lo prendano.»
«Ma è sbagliato!» ripeté lei. «La tua cicatrice non è una questione su cui dire bugie!»
«Lo so, Rose, lo so» replicò lui, cercando di farle abbassare la voce: ci mancava solo che i Grifondoro si svegliassero e scendessero in sala comune per assistere alla discussione tra lui e sua sorella.
«E allora smettila!» ribatté Rose, una punta di esasperazione a graffiarle la gola. «Smettila di fare finta che vada tutto bene, smettila di fare finta di essere sempre a posto, smettila di fare finta di stare okay solo perché tenere le cose per te ti fa stare meglio, perché non è così! Non è così e quindi smettila di dire bugie!»
«Ti sembra facile!» esclamò di rimando Harry, scattando dalla poltrona con furia. «Ti sembra facile tenere certe cose per me quando vorrei gridarle perché sto scoppiando, perché non ce la faccio più!? Credi che io sia felice di stare zitto!? Lo faccio per non preoccupare gli altri, lo faccio per voi, non perché "mi fa stare meglio"! Come se poi parlare mi aiutasse! A chi, dimmelo tu, a chi dovrei chiedere aiuto? Non c'è nessuno che può aiutarmi.»
Rose lo fissò schiudendo appena le labbra, lo sguardo velato da lacrime pronte ad attraversare il suo viso. Deglutì sommessamente, ingoiando il guazzabuglio di sensi di colpa e dolore che avrebbe voluto riversare attorno a sé, mentre Harry si lasciava cadere sulla poltrona con un tremito, sfilandosi gli occhiali e premendo i palmi delle mani sulle orbite oltre le palpebre abbassate.
Avrebbe potuto raccontare ciò che gli accadeva, i sogni che lo tormentavano, i timori che lo affliggevano, ma niente sarebbe cambiato per lui, perché nessuno aveva le facoltà per aiutarlo. Nessuno aveva le risposte che cercava, e tenere tutto ciò che lo torturava per sé avrebbe risparmiato preoccupazioni alle persone che amava. Il sollievo dato dalla narrazione delle sue sofferenze non avrebbe potuto salvarlo in alcun modo. Tanto valeva, perciò, privarsene, ed evitare che altri stessero male a causa sua.
«Harry.»
Le dita di sua sorella gli sfiorarono con dolcezza il dorso della mano, e lui si scoprì gli occhi, inforcando di nuovo gli occhiali per guardarla.
«Non sei solo. È vero, noi non sappiamo come aiutarti, ma siamo qui con te perché vogliamo che tu ci dia una parte del tuo peso. Te lo stiamo chiedendo noi, Harry. Non possiamo eliminarlo del tutto, ma se lo portiamo insieme ti sembrerà un po' più leggero.»
Gli strinse la mano con tenerezza, e Harry ricambiò dolcemente. In quel momento, egli amò Rose nel modo in cui si ama una madre.
«E so che non riesci, e forse non ci riuscirai mai, a raccontarmi tutto quello che ti preoccupa, per cui sono già contenta che tu mi tenga partecipe di questi problemi su Sirius, sulla cicatrice e sul resto. Ma, ogni tanto... quando il peso si fa più pesante» sorrise per la propria metafora, «io ti ascolto. Per qualsiasi cosa. Devi solo... solo provare. Okay?»
Harry annuì, poi Rose lasciò andare la sua mano per raccogliere la lettera di Sirius che era scivolata sul pavimento. La restituì a suo fratello con un sorriso mesto.
«Io ti consiglierei di parlare con Silente» gli disse. «Ma, se non vuoi, non devi farlo per forza.»
Quindi si alzò dal divano, salutò il fratello scompigliandogli i capelli già arruffati, e si diresse verso il buco del ritratto. Harry aveva appena tirato un sospiro stanco, quando la vide tornare indietro in fretta con un rapido «dimenticavo!» e riprendere la scatola di spille del C.R.E.P.A. che aveva abbandonato tra i cuscini, per poi correre via seguita dal sorriso divertito di suo fratello.
Mentre si dirigeva verso i sotterranei per tornare alla sala comune dei Serpeverde, Rose sapeva di avere in mente un pensiero egoista, ma non poteva rimediarvi perché la rendeva davvero felice nonostante tutto: Sirius stava tornando e lei non poteva che essere contenta di rivederlo.
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