1.5 ~ Punizione
Theodore Nott fissava Rose Potter con insistenza. Quel giorno la ragazza aveva intrecciato i capelli castani, che le ricadevano più corti del solito sulla schiena. Una ciocca ribelle le solleticava la guancia destra, e lei se la spostava di continuo dietro l'orecchio, ma quella tornava imperterrita a stuzzicarle la pelle.
Lui non poteva credere che non fosse una Purosangue. Una Mezzosangue in Serpeverde era un disonore per la Casa e per tutti coloro che ne facevano fieramente parte. Era una sorta di scherzo del destino, un modo con il quale il Cappello Parlante aveva voluto prendersi gioco di loro, inserendola in quella cerchia di maghi e streghe dalla nobile discendenza. C'era un motivo per cui era lì, in mezzo a loro?
Nott si sforzava di credere che fosse così.
Rose si spostò di nuovo i capelli dietro le orecchie, lo sguardo persistentemente fisso sulle pagine del libro di Incantesimi che portava in grembo, nelle orecchie la voce di Daphne, accanto a lei, che le giungeva indistinta, quasi come una cantilena a tratti stridula; coglieva ogni tanto qualche parola che sembrava rientrare nella sfera semantica della manicure e della moda, e la sua attenzione tornava ancora alle formule da imparare.
Sollevò appena la testa, gettando gli occhi di qua e di là per la sala comune, quasi vuota tranne per Theodore Nott che, sprofondato nella poltrona, si fissava le scarpe con fare distratto, due studentesse di primo che spettegolavano in un angolo ridacchiando a voce troppo alta, un ragazzo che cercava di studiare quella che sembrava Storia della Magia, e due fidanzatini - lei del quinto anno e lui del sesto - che si sbaciucchiavano sul divano davanti al camino acceso.
Rose abbassò di nuovo lo sguardo, tornando a leggere le pagine del rinomato Libro degli Incantesimi, di Miranda Gadula, e Theodore Nott riprese a osservarla, continuando a chiedersi cosa ci fosse di tanto interessante in un libro scolastico - o in generale in un libro.
«Mi hai sentita?» la voce di Daphne s'infiltrò severa nell'orecchio di Rose senza alcun permesso.
Lei terminò di leggere una frase, quindi sollevò la testa, fissando l'amica con la fronte aggrottata.
«Cosa, scusa?»
«Sono quasi le sei e mezzo!»
La mente di Rose ci mise qualche secondo in più del dovuto a collegare i pezzi. Quando ricordò, scattò in piedi, chiudendo il libro scolastico senza preoccuparsi di segnare la pagina, e afferrò la borsa, affrettandosi a lasciare la sala comune esclamando un «diamine!» a voce piuttosto alta.
Percorse i corridoi di corsa, rischiando di scivolare per la fretta, e le venne quasi un infarto quando Pix il Poltergeist le tagliò la strada all'improvviso. Si fermò un attimo, mentre la figura del fantasma si piegava in due per le risate, e si portò una mano al petto, percependo il cuore battere più forte del solito.
«Accidenti, Pix!» esclamò. «Mi hai fatto venire un colpo!»
Quello continuò a ridere, la sua voce che rimbombava sonora nei sotterranei, schiacciata dalle cupe pareti dei corridoi. Non potendo perdere ancora tempo, Rose si riprese e ricominciò a correre, imboccando la porta aperta dell'aula di Pozioni.
Piton e Malfoy erano già lì, e la aspettavano in silenzio: il primo, immobile, dava le spalle alla cattedra, il secondo passeggiava avanti e indietro.
L'ultima cosa che Draco desiderava era beccarsi una punizione con Rose Potter. Era stata colpa sua, tutta sua, di quella ragazza senza un briciolo di cervello. Gli aveva davvero dato uno schiaffo - e anche bello forte - davanti a un professore; nessuna studentessa sana di mente avrebbe fatto un gesto simile. Ma lei... lei non era come le altre. E lui lo sapeva.
Benché al momento del bisogno fossero pronti ad ammazzarsi a vicenda, Draco non avrebbe potuto fare a meno di lei. Litigare con Rose faceva parte della quotidianità, lei faceva parte della sua quotidianità, e lui non sarebbe mai riuscito a farne a meno, sebbene lo desiderasse non poco.
Entrò nell'aula con l'aria trafelata, il petto abbracciato dal maglione dell'uniforme che si alzava e si abbassava in fretta, il fiato corto. Draco smise di camminare, restando immobile a osservarla. Lei si portò una mano sull'addome, quindi deglutì e sollevò lo sguardo smeraldino sul professore.
Piton la fissò con le labbra arricciate, un evidente rimprovero negli occhi; Draco guardò sbigottito Rose rivolgere un sorriso di scuse al professore, e Piton andarsene senza una parola, chiudendo la porta con un tonfo che risuonò per i cupi sotterranei.
Per quanto Severus odiasse la famiglia della ragazza, non avrebbe mai potuto essere adirato con lei per un semplice ritardo, non quando sfoggiava - con sincera innocenza - lo stesso sorriso di Lily.
Rose osservò Piton lasciare l'aula con lo stesso stupore di Malfoy. Non l'aveva rimproverata per essere arrivata in ritardo, aveva solo dimostrato quanto fosse impaziente di lasciarli alla loro punizione.
Si tolse la borsa dalla spalla, sistemandovi dentro il libro di Incantesimi, e la appoggiò sul pavimento, sollevando poi la testa per fissare Malfoy, che stranamente taceva.
«Allora? Che si fa?»
«Dovremmo sistemare quelli in ordine alfabetico» rispose Malfoy, indicando brevemente un'alta pila di fascicoli sul primo banco.
Rose tirò fuori la bacchetta, ma lui la fermò subito.
«Senza magia.»
Lei sbuffò.
«Non ci credo che tu non usi la bacchetta.»
«Me l'ha sequestrata» ringhiò Draco, stringendo i denti.
Ecco un alto motivo per avercela con Rose Potter: Piton si fidava di lei, ma non di lui. Sul volto di Rose apparve un sorriso sorpreso e soddisfatto, quindi rimise la bacchetta a posto, nella borsa. Se Piton si era fidato di lei, confidando che non usasse la magia come ordinato, allora non lo avrebbe fatto; per Rose era molto importante sapere che il professore aveva fede in lei. Non lo avrebbe deluso.
Senza un'altra parola, ma con un sorriso stavolta di sfida nei confronti di Malfoy, avanzò per sedersi al primo banco. Spostò i capelli dietro le spalle e allungò le mani sui fascicoli. Li contò e li divise in due pile perfettamente uguali. Poi si voltò.
Draco, la sua bellezza conturbante che trasudava da ogni poro della pelle, era appoggiato a un banco, le braccia incrociate, il viso sottile dal mento affilato rivolto nella sua direzione, lo sguardo che vagava per l'aula.
«Malfoy?»
Draco puntò gli occhi su di lei.
«Vieni qua» Rose batté piano le dita sul posto accanto a sé.
«Non prendo ordini da te» disse acido lui.
Lei sollevò lievemente le sopracciglia.
«Bene» replicò, prima di voltarsi di nuovo.
Portò la propria attenzione sui fascicoli, iniziando a dividerli con criterio. Erano per lo più dati scolastici di studenti e studentesse degli anni precedenti. Lo sguardo di Rose catturò la scritta "Scamander", impressa con un'elegante grafia su un foglio all'interno di una cartellina. Un giovane Newt Scamander, famosissimo magizoologo inglese, guardava timidamente l'obiettivo, mostrando un sorriso appena accennato. Indossava l'uniforme di Hogwarts, dal cui colore era chiaro che lui fosse un Tassorosso. La cartellina conteneva le foto di tutti gli studenti del suo stesso anno, compresi quelli di Case differenti dalla sua.
Concentrata com'era sulle fotografie che le sorridevano, Rose si accorse a malapena che Malfoy si era seduto accanto a lei. Draco le lanciò una breve occhiata, quindi, spingendo indietro la propria sedia, allungò i piedi sul tavolo. La reazione ottenuta fu quella desiderata.
Rose abbandonò all'istante la cartellina per voltarsi indignata verso di lui. Malfoy intrecciò le dita dietro la testa, un ghigno sul viso, e lei incrociò le braccia sotto il seno.
«Allora?»
«Allora cosa?»
«Devi la-vo-ra-re» scandì lei. «Adesso!»
«Non credo proprio. Te lo scordi che io mi metto a dividere quei cosi. Tu sei matta.»
Sistemò meglio i piedi.
«Tu lavora. Io... sto qua.»
«E cosa ci guadagno?»
«Non lo so. Che cosa vuoi da me?»
Sul volto di Draco apparve un sorriso sornione.
«Assolutamente niente» rispose Rose, osservandolo disgustata.
«Andiamo, Potter, non essere antipatica, fammi questo favore.»
«Non ci penso nemmeno, anzi, lo sai che faccio? Vado dritta da Piton, così vediamo!»
Draco tolse i piedi dal banco e avvicinò la sua sedia a quella di una Rose decisamente contrariata.
«Dovremmo lavorare un po' sul tuo caratterino, Potter.»
«L'unica cosa su cui dobbiamo lavorare sono questi cataloghi» ribatté lei in un sibilo velenoso, spostando verso di lui la pila che gli apparteneva.
Quando lei terminò di ordinare i suoi fascicoli, Draco aveva iniziato da poco, distratto com'era.
Non sapeva bene come chiamare quel qualcosa che lo investiva ogni volta che la vedeva. Sapeva di provare un piacere inspiegabile a provocarla e a subire ogni volta la sua reazione, ma non aveva idea di come fosse nato il desiderio di incontrarla ovunque andasse. Solo la sua vista gli portava leggerezza. Ed era piuttosto strano.
Rose Potter non era bella, non lo era affatto. Era carina, abbastanza graziosa da poter far innamorare qualcuno, ma non tanto da poter ammaliare lui. No, era qualcosa di impensabile. Malfoy e la sorella di Potter? Non esisteva alcunché di più ripugnante. Il solo pensiero era riprovevole. E impossibile.
Rose spostò le sue ordinatissime pile verso Draco, quindi incrociò le braccia sul banco e vi poggiò la guancia, lo sguardo rivolto verso il ragazzo. Gli occhi di Malfoy erano fissi sui fascicoli, e lei si chiese come potesse una sfumatura così rara e meravigliosa di grigio appartenere proprio a lui, perché il suo aspetto fosse così piacevole quando il suo carattere era tanto arrogante.
Non seppe spiegarsi per quale motivo, eppure immaginò di passare le dita tra i chiarissimi capelli di Draco, scostando dalla sua fronte i ciuffi biondo platino che gli accarezzavano la pelle diafana. E forse sfiorare con i suoi stessi polpastrelli quel viso, il profilo del suo naso, il mento a punta, e di osservare da vicino la particolare tonalità di suoi occhi, cercare la sfumatura delle sue iridi.
Draco si voltò d'un tratto a guardarla, e Rose girò di scatto la testa.
«So di essere bello, ma non serve sbavare, Potter» commentò lui, il solito ghigno sul viso.
«Idiota» borbottò lei, nonostante fosse appena arrossita.
Malfoy fece per tornare al lavoro, ma si fermò, le mani a un centimetro dal prossimo fascicolo, e la fissò di nuovo. Farlo o non farlo?
«Sai» esordì, e Rose si girò a guardarlo, «non posso fare a meno di pensare che tu sia... diciamo... se così di può definire... attratta, in un certo senso, da me.»
«Cosa?» fece lei, forse con un tono troppo acuto. «Io - proprio io - attratta da te? Neanche morta, Malfoy.»
«Ah sì? Eppure le tue guance sono rosse.»
Rose avvampò e nascose il viso, voltandosi dall'altra parte. Stava cercando di riprendere il proprio colorito naturale, quando, due minuti dopo, Draco fece scivolare verso di lei il penultimo fascicolo. La ragazza, lo sguardo perplesso, lo afferrò piano, sotto gli occhi attenti di Malfoy. La scritta sull'etichetta recitava:
Prefetti degli anni 1970 - 1980
Rose sfogliò con cura le pagine al suo interno, osservando le foto degli studenti e alzando di tanto in tanto lo sguardo su Malfoy, non capendo per quale motivo le avesse consegnato quel fascicolo. Poi capì. Sotto la didascalia "prefetti Grifondoro anno 1975/1976", c'erano due fotografie, seguite dai nomi dei soggetti e dalle loro date di nascita. La prima raffigurava un Remus Lupin più giovane di come Rose lo avesse mai visto; alzava brevemente una mano in segno di saluto, un'espressione un po' impacciata. La seconda foto, invece, mostrava una ragazza dai capelli rossi, un grande e sincero sorriso ad illuminarle il volto dai lineamenti delicati. Una giovane Lily Evans guardava sua figlia adolescente, e Rose Potter osservava sua madre con gli occhi colmi di lacrime amare.
Una goccia sfuggì al suo controllo e precipitò sul foglio, appena sotto la foto. Percepì il fascicolo scivolarle via dalle mani, e sollevò piano la testa. Malfoy se n'era riappropriato, per poi metterlo nell'ordinata pila dei fascicoli che erano catalogati per la lettera "P".
Le pupille di Draco si spinsero nello sguardo di Rose, frantumarono il velo di lacrime e penetrarono nelle sue crepe. La fissò negli occhi a lungo, nessun segno di derisione su di lui, solo la lieve ombra di un pungente pentimento: non avrebbe dovuto mostrarle quella fotografia.
In evidente stato di disagio, Rose si passò la manica dell'uniforme sugli occhi, interrompendo il contatto visivo e rimuovendo ogni traccia di lacrime, poi scostò la sedia dal banco e si alzò. Si rassettò la gonna, quindi, lanciando una veloce occhiata a Malfoy, dichiarò: «Io... vado. Tanto ho finito. Non penso ci sia bisogno che resti».
Draco schiuse lentamente le labbra, intenzionato a dire qualcosa, ma lei fu più rapida: si diresse verso la porta, raccolse la borsa che aveva lasciato sul pavimento, e oltrepassò la soglia, lasciando Malfoy solo e affranto.
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