1.26 ~ Resta
Ludwig Stewart, un inglese mandato a studiare a Durmstrang per una tradizione di famiglia, non aveva mai pensato che con Rose Potter potesse succedere qualsiasi cosa, nonostante si fosse accorto subito di piacerle. Ma, in fondo, come avrebbe potuto non piacerle?
Era solo una ragazzina come le altre, carina, forse, ma non abbastanza da affascinare lui. Lo aveva attratto la storia della sorella di Harry Potter, la gemella del Bambino-Che-È-Sopravvissuto di cui la maggior parte del mondo magico non era a conoscenza. Si era chiesto quanto sarebbe riuscito ad avvicinarsi a lei senza che si accorgesse che aveva un secondo fine, e, un pochino, ci era riuscito.
Ma poi, dopo quella conversazione sulle Arti Oscure, Ludwig aveva capito che lei, benché piuttosto attratta da lui, era fin troppo sveglia per poter essere raggirata. È vero, era riuscito ad abbindolarla esprimendosi soltanto sul fatto che fosse carina, ma era certo che se avesse tirato fuori altri argomenti lei avrebbe iniziato a sospettare qualcosa.
A sospettare che Ludwig Stewart, a differenza di quanto lui stesso avesse affermato, era non poco affascinato dalle Arti Oscure e dalla storia dei Potter, e non in modo positivo come l'apparenza poteva suggerire.
Rose si accorse proprio quella sera che in qualche modo Ludwig l'aveva usata, pur non avendo idea del motivo.
Stava cercando di farsi strada tra gli studenti per allontanarsi dalla pista da ballo, in mente la vaga idea di trovare Daphne quanto prima per raccontarle ciò che era accaduto con Malfoy, quando andò a sbattere contro qualcuno e barcollò all'indietro. Sollevò la testa, e lo vide.
«Ludwig?»
«Rose!»
Lui si era voltato piano. L'aveva osservata nel suo abito verde scuro, i capelli raccolti e il trucco sugli occhi. Era bella, quella sera.
«Mi fa piacere vederti» affermò, indirizzandole un sorriso smagliante. «Mi dispiace non averti invitata. Sarebbe stato meraviglioso venire al ballo con te, ma sapevo che avevi già un accompagnatore.»
Capì di non essere riuscito ad abbindolarla quando vide che lei non era arrossita affatto, come invece faceva ogni volta che lui le rivolgeva la parola. Rose inarcò le sopracciglia, certa che lui stesse mentendo sfacciatamente, e, in cuor suo, piuttosto delusa.
«Non so da chi puoi aver saputo che avevo già un accompagnatore» esordì, abbastanza duramente, «ma io ho aspettato fino alla fine che tu mi invitassi.»
Ludwig sapeva che ormai aveva perso l'occasione di avvicinarsi a lei in qualsiasi modo, e si maledisse terribilmente per questo, ma decise comunque di inscenare un altro tentativo.
«C'è sempre il tempo per rimediare» disse, poi le tese la mano. «Possiamo... riprovare.»
Rose osservò la sua mano tesa, il sorriso luminoso, gli occhi brillanti, e si rese però conto che quello sguardo non era animato dalla bontà che credeva gli appartenesse, quanto più da un luccichio maligno che non le piacque né la convinse.
«No, grazie» disse, seria.
«No?» fece lui, la fronte aggrottata dalla sorpresa.
Sapeva che la sua farsa non sarebbe durata ancora a lungo, ma non credeva che lei avrebbe potuto rifiutarlo così apertamente. Era attratta da lui, e stava lottando con se stessa per frenare l'impulso di afferrare la mano del giovane di cui avrebbe voluto essere la dama e concedergli un ballo.
«No» ripeté lei.
Lo fissò da sotto in su sollevando il mento, un'aria di sfida ad abbellirle i lineamenti.
«Non dirmi che ti sei offesa perché non ti ho invitata!» esclamò lui, tentando ancora. «Dai, balliamo insieme.»
Fece per afferrarle la mano, ma lei la ritrasse.
«Ma si può sapere che hai, Rose?»
«Di certo non vengo a dirlo a te» replicò lei, dura. «Piuttosto, tu che hai? Hai fatto una bella trasformazione dall'ultima volta che ci siamo visti. O sei sempre stato così?»
Gli occhi di Ludwig lampeggiarono pericolosamente. Rose indietreggiò, certa di non volergli rivolgere un'altra singola parola, e gli voltò le spalle, ma, in uno scatto rapido e imprevedibile, lui le afferrò un polso. La tirò verso di sé con facilità, dato che lei, colta alla sprovvista, non aveva opposto la minima resistenza. Rose sbatté contro il suo petto, inalando senza volerlo il suo buon odore, e lui ne approfittò per circondarle saldamente le spalle con un braccio, il polso di lei ancora stretto tra le dita della mano libera.
«Lasciami andare!»
«Ti ho chiesto di ballare con me» sibilò lui, piegandosi sul suo volto.
«E io ti ho detto di no!» ribatté lei, serrando i denti e cercando di sottrarsi alla sua stretta.
Ludwig spostò la mano dalla sua spalla, e le sistemò una ciocca castana dietro l'orecchio, facendo scivolare il palmo sulla sua nuca, sotto l'ortensia e il nodo in cui i suoi capelli erano raccolti. A occhi estranei sarebbe potuta sembrare una carezza, invece non era altro che una morsa.
«Che diavolo vuoi?» ringhiò lei, nascondendo il dolore dietro la fierezza della sua voce.
«Solo soddisfare qualche curiosità.»
«Di te non ne voglio sapere più niente. Non ti risponderò neanche se devi chiedermi dov'è il bagno! E adesso lasciami.»
«Rose, sii ragionevole...»
«Mi metto a strillare.»
«Non c'è motivo per cui tu debba...»
«Sto per urlare, Ludwig.»
Ludwig fece correre lo sguardo cristallino per l'intera Sala Grande, ponderando i rischi. Alla fine, decise saggiamente che sarebbe stato meglio evitare. La lasciò, rimuovendo le mani da lei con uno scatto repentino, e indietreggiò.
Rose gli voltò le spalle senza lanciargli neanche un ultimo sguardo, disgustata da lui come non mai, e si allontanò rapidamente, scivolando più in fretta che poté tra i corpi che ballavano. Abbandonò la Sala Grande e percorse quella d'Ingresso, fino a raggiungere la fredda scalinata in pietra che conduceva ai sotterranei.
Ansante, appoggiò la schiena alla gelida colonna che precedeva i primi gradini, accorgendosi di avere le guance bagnate. Lasciò perdere fin dal principio l'impresa di asciugare le lacrime, e scivolò piano ai piedi della colonna, sedendosi sulle scale e sfilandosi le scarpe, e la gonna di raso ricoperta di tulle si sollevò come una nuvola prima di ricadere scomposta sulla pietra e avvolgere la propria padrona.
Rose affondò il volto tra le braccia, incrociate sopra le ginocchia, e si concesse un muto ma liberatorio pianto, il busto scosso da singulti silenziosi ma ben visibili. Non sapeva bene neanche lei perché stesse piangendo. Sapeva solo che le sembrava di sentirsi meglio.
Soffriva terribilmente per suo fratello, per tutto ciò che si era ritrovato ad affrontare senza averlo voluto o ricercato, per quello che aveva già affrontato, senza mai lamentarsi ma accettando le sfide che si erano presentate a lui non richieste, lotte che lo avevano messo in pericolo, scontri che dimenticavano di dover essere combattuti da un ragazzo troppo giovane - che aveva mostrato però una grande maturità -, battaglie che sembravano soltanto precedere una guerra.
E si sentiva usata, stupida, delusa, intimorita. Colui per cui aveva una cotta sembrava desiderare altro, qualcosa che lei ancora non aveva compreso, e l'aveva attirata a sé con menzogne celate da un bel sorriso e parole adulatorie. E le aveva fatto male, sentiva ancora le sue dita sulla pelle, un tocco che solo pochi giorni prima aveva desiderato, e che adesso invece la nauseava come non avrebbe mai creduto possibile. Buffo come avesse pensato di sapere tutto su di lui in una conoscenza così minima e come invece ogni suo pensiero si fosse rivelato sbagliato. Il principe azzurro non si era mai trasformato in un cattivo, no; era il malvagio ad essere sempre stato nascosto dietro la figura del buono.
Passi rapidi ma delicati risuonarono nella Sala d'Ingresso, e Rose si asciugò le lacrime in fretta, passandosi i palmi sulle guance, vergognandosi profondamente non solo di aver pianto, ma anche di averlo fatto per un ragazzo che nemmeno conosceva e che, di certo, non se lo meritava. Si abbracciò le gambe piegate, reprimendo i brividi di freddo che le attraversavano la pelle scoperta, e posò il mento sulle ginocchia.
Scoprì presto che il padrone di quei passi era Malfoy. La superò per le scale, fingendo di non vederla o forse non accorgendosi davvero di lei, prigioniero com'era dei suoi pensieri. Rose però lo riconobbe, e lui si fermò all'improvviso qualche gradino sotto di lei. Rimase immobile per alcuni attimi, dandole le spalle, poi si voltò piano, una mano nella tasca degli eleganti pantaloni neri.
Era abbastanza offeso e deluso dal comportamento di lei, si sarebbe aspettato almeno un ringraziamento per il dono che le aveva fatto trovare quella mattina, o forse qualcosa di più, ma era probabile che lei non avesse compreso pienamente il significato del suo gesto. Tra le sue iridi grigie si poteva leggere la punta di sconforto che si portava dentro, ma Rose aveva i pensieri altrove per potersi rendere conto dello stato d'animo di lui.
«Smettila di piangere e alzati.»
Quando lei, sollevando la testa, lo fissò con la fronte corrugata, in cerca di una spiegazione alle parole che le aveva rivolto, Draco vide che era ancora più graziosa, il mascara sbavato che le pendeva dalle ciglia, rigandole le guance bagnate, le gote rosse per il freddo, l'eleganza dell'acconciatura ormai persa, con l'ortensia che, però, si aggrappava ancora saldamente ai suoi capelli. Pensò per un istante di sfilarsi la giacca e posarla sulle sue spalle tremanti, ma scacciò in fretta quella follia dalla mente.
«Ti stai rovinando il vestito» spiegò, in risposta allo sguardo interrogativo che lei gli aveva rivolto.
Rose non se ne curò affatto, anzi, abbassò le ginocchia per mettersi più comoda, le mani raccolte in grembo, e, con una fitta al cuore che non seppe spiegarsi, lo osservò voltarle le spalle.
«Malfoy!»
Non sapeva perché lo avesse richiamato, aveva sentito il suo nome premere contro le labbra e non era riuscita a trattenersi.
Draco si girò di nuovo verso di lei, senza neanche un accenno di dubbio nello sguardo, un'altra delle sue solite espressioni indecifrabili schiacciata sul viso. Rose aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Avrebbe voluto chiedergli di rimanere là, di sedersi sul gradino accanto a lei, e restare così per un tempo indeterminato. Ma poi serrò le labbra e scosse il capo, quel «resta» che si agitava prepotentemente contro i suoi denti, lì sulla punta della lingua, troppo strano e inadatto, però, per poter essere pronunciato.
Che stupida. Quello era Draco Malfoy. E il Draco Malfoy che conosceva la detestava come lei detestava lui, e come egli non poteva fare a meno di ricordarle ogni singolo giorno, con quelle sue battute pungenti che la irritavano al massimo. Il Draco Malfoy di quella sera era diverso da quello che conosceva, ma era stata soltanto un'illusione. Di Draco Malfoy uno solo ne esisteva, e quello che Rose Potter si trovava davanti, ora intento a scendere le scale verso la sala comune con una morsa a stringergli lo stomaco, era soltanto quello di sempre.
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