1.2 ~ Tradizioni intramontabili
Il fuoco scoppiettava vivacemente nella sala comune dei Serpeverde, vuota a quella tarda ora della notte. Solo Rose e Daphne, per nulla intenzionate a chiudere lì la prima serata di ritorno a Hogwarts, erano sveglie e ancora perfettamente lucide, sedute sul divanetto davanti al camino.
La cena era stata piuttosto... memorabile. Albus Silente, il preside della scuola, aveva annunciato, durante il suo solito discorso d'inizio anno, che a Hogwarts si sarebbe tenuto il grande Torneo Tremaghi. Era una sfida che vedeva affrontarsi in tre prove i tre maghi migliori di tre scuole di magia. Al termine della gara sarebbe stato nominato un campione, a cui sarebbero andate gloria eterna e una somma di galeoni non da poco.
Hogwarts avrebbe ospitato le altre due scuole, Durmstrang e Beauxbatons, che sarebbero arrivate il giorno prima di Halloween, e un selezionatore imparziale - definito così proprio da Silente - avrebbe scelto i tre studenti meritevoli di gareggiare. Potevano partecipare, però, solo coloro che erano maggiorenni, dunque gli alunni del settimo anno; tra l'altro, l'organizzazione del Torneo Tremaghi aveva reso impossibile lo svolgimento del Quidditch - lo sport dei maghi - quell'anno.
«Che ne pensi di Moody?» sussurrò a un tratto Daphne.
Gli occhi di Rose passarono dalle fiamme alla sua migliore amica. Il nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure, l'ex Auror (cacciatore di maghi oscuri) Alastor "Malocchio" Moody, le aveva lasciato una sensazione lievemente sgradevole addosso, che l'aveva investita quando lui aveva fatto il suo teatrale e terrorizzante ingresso nella Sala Grande, in ritardo.
Gamba di legno a forma di zampa di leone, grosso occhio finto dall'indagatoria iride blu elettrico, cicatrici sul volto e un non indifferente pezzo mancante di naso, aveva a dir poco intimorito gli studenti che non lo avevano mai visto. Aveva un'aria aggressiva e rozza, oltre che la paranoia di essere avvelenato, motivo per cui tutta la sera aveva bevuto dalla sua boccetta personale e aveva annusato in continuazione il cibo nel suo piatto.
«Ai suoi tempi era un grande Auror» rispose Rose, incerta su come proseguire, «ma non pensi che... be', sì, che con gli anni sia diventato un po'... svitato?»
«Solo svitato?» replicò Daphne, sporgendosi verso di lei. «Rose, a me sembra uno completamente fuori di testa, se devo dire la verità.»
«Magari è solo un'impressione» mise in conto la giovane Potter, «magari non è... così. Sono curiosa di vedere come sarà la sua prima lezione.»
«Io no» ribatté Daphne, senza esitazione, fissandosi per un attimo le unghie perfettamente limate e smaltate. «Sto bene anche senza sapere fino a che punto si è bevuto il cervello.»
«Che esagerata!» commentò Rose, senza riuscire, però, a trattenere un sorriso.
«Lo hai detto tu per prima che è uno svitato» puntualizzò l'altra. «Sarà anche colpa dei tanti anni di lavoro, degli attacchi dei maghi oscuri e tutto quello che ti pare, ma resta sempre strambo.»
Rose non replicò, riportando lo sguardo smeraldo sul fuoco nel camino, le cui fiamme andavano affievolendosi, e così il calore che emanavano.
«Allora, me lo fai vedere il vestito o no?» fece Daphne, riportando l'attenzione della sua migliore amica su di sé.
«Ah, sì!»
Scese in fretta dal divano, con i calzini sul pavimento che donavano silenziosa leggerezza al suo passo. Corse verso i dormitori, imboccando la propria camera. Si mosse in punta di piedi, cercando intanto di abituare gli occhi al buio e pregando di non fare rumore per evitare di svegliare le sue compagne di stanza, le quali dormivano beatamente ormai già da un paio di ore.
Capì di aver raggiunto il proprio baule, ai piedi del suo letto a baldacchino, quando vi sbatté contro con l'alluce. Si morse la lingua, nel tentativo di non emettere alcun suono, e sollevò il ginocchio, stringendosi il dito del piede con le mani. Una volta che il dolore della botta fu passato, si piegò sul baule, aprendolo piano. Infilò un braccio dentro, tastando con mano quello che i suoi occhi non riuscivano a vedere, e le sue dita strinsero una voluminosa scatola rettangolare. La tirò fuori e chiuse il baule; tornò quindi nella sala comune.
Posò la scatola sul divano tra lei e Daphne, sedendosi di nuovo con una gamba piegata e l'altra penzoloni. La bionda batté brevemente le mani, entusiasta.
«Vediamo questo gioiellino, su» la incitò.
Rose si schiarì la gola, assumendo un'aria d'importanza, e rimosse solennemente il coperchio.
«Per tutte le Gorgoni!» si lasciò sfuggire Daphne.
Rose prese il vestito, ben sistemato nella scatola, e lo dispiegò con cura. Era un abito da cerimonia, comprato perché era stato inserito nella lista di cose da acquistare per quell'anno scolastico, e la signora Weasley, la gentile e affettuosa madre di Ron, glielo aveva regalato per il compleanno.
Rose si era subito preoccupata per quanto avesse speso, una cifra sicuramente esorbitante che i Weasley non potevano permettersi, ma la signora Weasley era stata irremovibile, non aveva accettato neanche uno scellino; la ragazza aveva deciso, quindi, di consegnare a Ron un'equa somma di denaro, e lui si era occupato di metterla tra i risparmi di famiglia senza che la madre se ne accorgesse.
L'abito era uno dei più belli che Daphne avesse mai visto, dopo il suo ovviamente: era di un verde scuro che si abbinava perfettamente al colore degli occhi di Rose, anche se la tonalità non era la medesima. Non aveva maniche o bretelle, ma una spigolosa scollatura a cuore, con un corpetto di lucente raso dai ghirigori più scuri in rilievo; la gonna era lunga e vaporosa, sempre di raso ma ricoperta da due strati di tulle che le davano un effetto più voluminoso. Rose sarebbe stata un incanto con quell'abito indosso, Daphne ne era certa.
«Bello» commentò, mentre l'altra lo piegava con attenzione e lo riponeva nella scatola, «ma preferisco il mio.»
Daphne le aveva mostrato il suo abito da cerimonia durante il viaggio verso il castello, l'aveva tirato fuori nello scompartimento dell'Hogwarts Express in cui avevano trascorso le ore che le separavano dal ritorno a scuola.
Era un abito argentato, la gonna aderente a sirena con un corto strascico, il corpetto dalle bretelle sottili; tutto decorato da ghirigori intricati che correvano ordinatamente da cima a fondo, ricoperti di brillantini luccicanti. Era un vestito che avrebbe messo in evidenza le forme perfette di Daphne, parti del suo corpo che lei cercava sempre di valorizzare al meglio, senza mai sfociare nella volgarità.
Lei possedeva quella dose di vanità che le permetteva di comportarsi spesso senza vergogna di mostrare se stessa, che era una mezza via tra un pregio e un difetto di cui Rose a volte sentiva la mancanza.
«Mi sembra giusto» decise Rose, chiudendo la scatola. «Il problema è perché ce lo hanno fatto comprare.»
Daphne sollevò le spalle, lo sguardo rivolto altrove.
«Sarà per qualcosa di bello. Di certo non un problema.»
«Dipende sempre dal punto di vista, Daphne.»
«Rose, per favore! È un abito da cerimonia, sarà per una festa o cose così... niente di cui preoccuparsi, insomma.»
«Chissà, potrebbe essere collegato al Torneo Tremaghi» disse Rose.
«Già. Il torneo... ti piacerebbe partecipare?»
«A me?» fece Rose, indicandosi sorridendo. «Grazie per avermi considerata coraggiosa, Daphne, ma non lo sono fino a quel punto. Quello è più il genere di cose che farebbe Harry. Si ficca sempre in queste stupidaggini che poi diventano guai giganteschi.»
«Non mi stupirei se diventasse il campione di Hogwarts» ammise Daphne, prima di portarsi una mano davanti alla bocca e sbadigliare vistosamente. «Forse dovremmo andare a dormire... domani è il primo giorno, ci sono le lezioni, e poi...» sbadigliò di nuovo «... ho sonno.»
«Come vuoi» acconsentì Rose, alzandosi dal divano e afferrando la scatola contenente l'abito.
Quella di restare sveglie fino a tardi, la prima sera di ritorno a Hogwarts, per loro era una significativa tradizione.
La sera del 1° settembre 1991, dunque tre anni prima, dopo lo Smistamento e la cena di benvenuto e bentornato in Sala Grande, Rose sedeva in disparte nella sala comune dei Serpeverde. Quel mondo di maghi e streghe era completamente nuovo per lei, che non aveva mai saputo di farne parte fino al giorno del suo undicesimo compleanno, e lo stesso valeva per Harry, che era però stato assegnato ai Grifondoro e non poteva purtroppo tenere compagnia alla sorella.
Un giovane Draco Malfoy era già circondato da ammirati Serpeverde, la sua voce ricca di arroganza sovrastava le altre nella sala, e Rose non poteva fare a meno di rammaricarsi che lui fosse del suo stesso anno, e che quindi fossero costretti a stare in classe insieme. E in quel momento aveva notato una ragazzina bionda, sola come lei, che piangeva in silenzio; vedeva le lacrime rigarle le guance, anche se cercava di nasconderle.
Si era chiesta se fosse il caso di andare da lei o lasciarla alla sua solitudine, forse non voleva che qualcuno si intromettesse nella sua vita; sembrava che la maggior parte degli studenti di quella Casa fossero arroganti ed egoisti. Ma poi aveva pensato a come lei stessa, in quel momento, desiderasse qualcuno con cui poter parlare, perché quella vita era così nuova da non sembrare la sua.
Era quindi scesa dalla poltrona nell'angolo che aveva occupato fino a quel momento, si era lisciata le pieghe della gonna della sua nuova uniforme, e aveva avanzato, attraversando timidamente la sala, sperando che nessuno la stesse fissando, senza sapere che, invece, due occhi grigi si erano puntati su di lei non appena si era mossa dal suo nascondiglio.
«Ciao» aveva detto piano, e la ragazzina dai lunghissimi e lisci capelli biondi aveva alzato la testa.
Aveva le ginocchia piegate e, fino a un istante prima, il volto era affondato in esse; le braccia circondavano le gambe coperte dalle calze nere, bagnate dalle sue lacrime.
«Posso sedermi qui?»
Lei aveva annuito piano, e la giovane Rose si era accomodata sul cuscino del divano alla sua destra. Era ancora bassina a undici anni, e si era seduta così indietro con il fondoschiena che i suoi piedi non toccavano il pavimento.
«Mi chiamo Rose» aveva detto, parlando sempre per prima, e aveva teso la mano.
Rose non era mai stata brava a fare amicizia in tutta la sua breve vita, e le sue dita erano sudate per l'agitazione, il cuore le batteva nel petto più rapidamente del solito. Al pensiero che quella ragazzina avrebbe dovuto stringerle la mano, sentendo quanto fosse bagnata, il sudore sembrò raddoppiare. Si vergognava non poco, in quel momento.
L'altra fissò per qualche istante il braccio di Rose teso nella sua direzione, quindi, allungando il proprio con visibile esitazione, strinse la mano che le veniva offerta con tanta gentilezza e comprensione.
«Daphne» aveva detto soltanto.
«Che bel nome!» aveva esclamato Rose con sincerità, sorridendo.
«Grazie. Anche il tuo mi piace.»
Daphne aveva ricambiato il sorriso tra le lacrime che le rigavano le guance.
«Va tutto bene?» aveva domandato con tatto Rose, cercando di non risultare invadente.
Daphne aveva tirato su col naso.
«Non tanto.»
Rose non aveva replicato, aspettando che fosse lei a a parlare di nuovo, raccontando senza dover essere forzata, oppure cambiando argomento. Avrebbe capito perfettamente se Daphne non avesse voluto spiegarle perché stesse piangendo, aprendosi con una sconosciuta.
«I miei genitori non mi hanno salutata, oggi» aveva continuato piano Daphne, strofinandosi il naso con il palmo della mano. «Non sono venuti con me alla stazione. Mi ha accompagnata una delle domestiche...»
Altre lacrime calde le avevano attraversato incontrollate il volto, e lei se le era asciugate precipitosamente con la manica del mantello. Sperava che, dentro di sé, Rose non la stesse prendendo in giro. Si stava sentendo ridicola.
«Torno tra quasi un anno e non mi hanno nemmeno salutata» aveva ripreso comunque. «Si sono inventati la prima scusa che gli è passata per la testa su qualcosa da fare al Ministero e...»
A quel punto un singulto soffocato l'aveva costretta a tacere. Si era portata entrambe le mani al viso, trattenendo i singhiozzi. Daphne non avrebbe saputo dire in quale momento della sua vita si fosse resa conto che i suoi genitori trascuravano lei e sua sorella. Forse lo capì col tempo, senza mai esprimerlo a voce alta ma limitandosi ad accettarlo silenziosamente, quella consapevolezza innata che era apparsa in lei così lentamente e delicatamente da non accorgersi che ci fosse; forse, in fondo al cuore, l'aveva sempre saputo.
Comunque, quella sera di tre anni prima ancora non aveva elaborato quel sapere che solo il passare del tempo avrebbe potuto far sgusciare senza dolore, e aveva lasciato che le lacrime scivolassero ancora sulle sue guance, spostando lo sguardo sulle fiamme del camino per la vergogna.
Rose aveva preso un bel respiro, avvicinandosi di qualche centimetro a lei sul divano, e fissando gli occhi davanti a sé, con la più grande semplicità nella voce che quelle parole potevano dare, aveva rivelato: «I miei genitori sono morti.»
Allora Daphne si era voltata verso di lei, gli occhi azzurri screziati di castano scuro sgranati, guardando il profilo di Rose.
«Davvero?»
Rose si era girata verso di lei con lentezza, quasi insicura, e aveva annuito piano.
«Sì. Sono... sono stati uccisi. Io non li ho mai conosciuti.»
«Oh» Daphne si sentì terribilmente stupida di fronte alle sue parole. «Mi dispiace. Non... non lo sapevo.»
«Già. Sai, io...»
Rose aveva inspirato profondamente prima di continuare.
«Io sono Rose Potter.»
Gli occhi di Daphne si erano sgranati ancora di più.
«Potter... come Harry Potter?»
«Sì. Sono sua sorella. Gemella.»
«Oh... n-non credevo che Harry Potter avesse una sorella.»
«Sì, be'... lo so. Cioè...» si fermò, alla ricerca delle parole giuste per spiegare la situazione, «lo dicono in molti.»
«Mi dispiace, comunque. Per... per quello che è successo. Davvero... mi dispiace tanto.»
«Grazie.»
Daphne le aveva rivolto un sorriso, e Rose aveva ricambiato, anche se mestamente.
Completamente prive di sonno per l'inizio di quella nuova avventura, erano rimaste sul divano quasi tutta la notte, raccontandosi le storie più strane della loro infanzia.
E, da quella sera, erano diventate inseparabili.
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