Capitolo 7: Self sabotage
Capitolo sette: Self sabotage.
<<La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra,
e risplende in una parte piú e meno altrove.>>
- Dante Alighieri
Camminavo svelta verso casa, la vista offuscata dalle lacrime che calde e lente mi bagnavano le guance. Mi strinsi in me stessa, mi chiusi a riccio come a volermi proteggere dall'oscurità che mi richiamava a sé con sempre più forza ed io, esausta, onestamente non sapevo come sfuggirle.
Mi sentivo umiliata, persa, una povera illusa. C'era una parte di me che ripeteva le parole di Angel costantemente da quando ero uscita dal suo appartamento, l'altra invece desiderava disperatamente tornare indietro e chiedergli spiegazioni. Se in precedenza lmi aveva sempre allontanata con i gesti, quella mattina aveva scelto parole taglienti come la lama di un coltello che veniva persistentemente rigirata e spingeva sempre più in profondità, fino a farmi mancare il respiro.
Ero di nuovo a quel punto in cui i miei peggiori incubi mi torturavano come un loop infernale, senza sosta, di continuo. Ero talmente esausta da reggermi a stento in piedi ma Angel, in qualche modo, mi faceva sentire viva.
Nonostante le mie ferite bruciassero profondamente, ogni volta che lui mi sfiorava, mi guardava e mi baciava, sentivo il mio cuore battere, sentivo la vita scorrere nelle mie vene. Non aveva la minima idea di quanto guardarlo negli occhi donasse speranza al mio esausto cuore.
Volevo che lo sapesse, che lui se ne rendesse conto, volevo che vedesse i miei occhi scintillare ogni volta che alleggeriva il peso dei miei pensieri malinconici, strappandomi una risata.
Entrai in casa sbattendo la porta con più forza del previsto, ignorando che fossero le quattro del mattino e che Lucas potesse stare dormendo. La frustrazione e un'immensa tristezza annebbiavano il mio cuore, mi accecavano, mi facevano mancare il respiro e perdere battiti.
Mi chiedevo in continuazione dove avessi sbagliato e persistevo a pensare di avere rovinato tutto. Forse sarei dovuta rimanere in silenzio, forse non avrei dovuto dire come mi sentivo, come lui mi faceva sentire ogni volta che mi guardava.
Forse avrei solo dovuto dedicargli il mio sorriso nel silenzio di quella notte di luna piena in cui avevo ceduto al desiderio di averlo accanto, di avere qualcosa di più che i suoi sguardi sfuggenti. Una parte di me sapeva di aver fatto la cosa giusta eppure un'altra parte, che in quel momento aveva il cuore a brandelli e sentiva l'umiliazione cucita addosso, se ne pentiva.
Se fossi rimasta zitta, se mi fossi limitata a guardarlo e sorridergli ringraziandolo in silenzio, a quell'ora sarei stata ancora fra le sue braccia. Probabilmente non mi sarei ritrovata a fare i conti con il peso delle sue parole, perché se io non gli avessi confessato i miei sentimenti lui non le avrebbe pronunciate.
Varcai la soglia della mia stanza sbattendo nuovamente la porta, mentre il silenzio rimbombava. La malinconia e la tristezza erano tornate a far visita al mio cuore. La paura aveva bussato alla porta e io, troppo fragile, le avevo aperto. Avrei voluto scacciarla, ma i miei incubi si stavano mescolando alle parole di Angel, come un loop infernale destinato a ridurre a brandelli il mio cuore.
Erano tornati a farmi visita i mostri sotto al mio letto, quelli contro cui lottavo ogni giorno e chiudevo in una scatola pur di andare avanti e vivere la mia vita come meritava di essere vissuta. Era ciò che meritavo e lo sapevo perfettamente ma, a volte, bastava schiacciare involontariamente un tasto e la scatola si apriva come il vaso di pandora. Riportava alla luce i ricordi, i brividi, gli incubi, la tristezza, le ferite brucianti che sentivo ancora vive sulla mia pelle.
Involontariamente, Angel, era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. La scatola si era aperta del tutto e ora non sarei più riuscita a contenerne le conseguenze.
<<Fanculo>> Esclamai lanciando il mio cellulare sul letto e prendendomi la testa fra le mani, lasciandomi cadere con le ginocchia a terra.
In quel momento la porta si spalancò e quando mi voltai per chiedere scusa al mio migliore amico per averlo svegliato, trovai gli occhi assonnati di Lucas accompagnati dal viso stanco di Dominic ad osservarmi, la confusione dipinta sui loro volti.
Diedi nuovamente le spalle a entrambi, posai la testa sul materasso e rimasi lì ferma, in silenzio, a piangere chiudendomi a chiocciola, come quando ero bambina.
<<Layla?>> Lucas mi si avvicinò con cautela e prese posto accanto a me. Cercò il mio sguardo, ma il suo gesto fu invano perché nel momento in cui prese ad accarezzarmi i capelli mi voltai con la testa dall'altra parte.
<<Layla, ti va di dirmi cosa è successo?>> Chiese appoggiando la schiena al letto e restandomi accanto nonostante gli avessi voltato le spalle.
<<Ho sbagliato tutto.>> Sussurrai spezzando il silenzio.
Il modo in cui Angel mi aveva guardata quando avevo detto di voler stare con lui era stato come essere pugnalata. Avevo visto ogni traccia di divertimento sparire, il suo sorriso spegnersi e il suo viso contorcersi confuso, sconvolto.
Avevo visto il terrore nei suoi occhi, per la prima volta da quando lo conoscevo, eppure non riuscivo a comprendere quale lato di me lo spaventasse tanto da farlo impallidire in quel modo e da fargli compiere dieci passi indietro.
Ogni volta che credevo di essergli più vicina, c'era qualcosa che dimostrava che in realtà eravamo ad anni luce di distanza. Ma quella notte capii che eravamo due pianeti completamente differenti: io ero Venere e lui, invece, era Marte.
<<Avrei dovuto rimanere in silenzio. Non avrei dovuto esprimere i miei sentimenti. Avrei dovuto lasciare le cose come stavano. E invece no, ancora una volta ho scelto di seguire il mio istinto, ma ho sbagliato.>> Mentre pronunciavo quelle parole però, un'improvvisa rabbia mi schiaffeggiò in volto, risvegliandomi dal mio stato di trance e bruciando nelle mie vene.
Mi voltai verso Dominic e mi alzai in piedi camminando verso di lui con il viso ancora bagnato dalle lacrime, il respiro incastrato in gola.
<<È tutta colpa tua.>> Dissi puntandogli il dito sul petto. Dominic mi osservò intensamente, senza battere ciglio, senza fermarmi. Sembrava stesse cercando di congiungere i punti attraverso le mie parole, studiandole.
<<Tu mi hai illusa. Hai detto che gli importava di me, mi hai spinta a non mollare, a continuare. Sono andata da lui, gli ho confessato quello che provavo e vuoi sapere cosa ha fatto? Mi ha cacciata, Dominic. Mi ha mandata via. >>
<< Mi hai mentito. Avevi detto che gli importava, eri così convinto che ho lasciato che le tue parole m'illudessero. A lui non importa un cazzo di me, sono solo un gioco, un passatempo.>> Spintonai
Dominic mentre la rabbia mi accecava e l'umiliazione mi schiaffeggiava il viso in continuazione.
<<Non gliene frega niente. E tu mi hai illusa. Se tu non mi avessi detto nulla, se non ti avessi ascoltato, non gli avrei detto nulla. Sarei rimasta in silenzio e tutto sarebbe rimasto come prima. Non mi sarei sentita così sporca e umiliata, non mi sarei mai sentita un giocattolo. Non mi sarei sentita come se avessi perso la mia dignità, non lo avrei mai permesso. Nessuno ha il diritto di calpestarmi in questo modo, nemmeno Angel.>>
<<La smetti? Non è addossando la colpa a Dominic che risolverai il tuo problema. Se Angel ha fatto una cazzata la colpa non è di certo di Dom. Siediti, piantala e dimmi cosa è successo invece che utilizzare Dominic come capro espiatorio.>> Lucas si parò davanti a Dominic e mi fissò dritto negli occhi. Prese il mio viso tra le mani e mi asciugò le lacrime che mi rigavano il viso in continuazione, senza sosta.
Mi scostai dalla presa del mio migliore amico e mi strinsi nelle spalle come se quel gesto potesse proteggermi dai mali del mondo. Io il male lo avevo visto, mi aveva guardata negli occhi e non c'era alcuna traccia di esitazione sul suo volto.
Sul viso di Angel avevo visto la paura, il terrore che lo aveva paralizzato fino a distogliere lo sguardo dal mio. Non riuscivo a comprendere come potesse essere rimasto così calmo, come avesse fatto a mantenere quella pacatezza, nonostante morsi di paura lo stessero divorando. Lui non era il male che credeva di essere, perché io il male lo avevo visto e in lui non ce n'era alcuna traccia.
<<Ho avuto un incubo.>> Sussurrai una volta ripreso il controllo di me stessa. Presi posto sul letto e incrociai le gambe mentre entrambi i ragazzi si misero al mio fianco. Posai la testa sulla spalla di Lucas, la sua mano che mi accarezzava il braccio dolcemente.
<<Ieri sera, quando io e Dom ci siamo salutati, sono andata da lui. Siamo finiti a letto insieme un'altra volta. Io sentivo fosse giusto così, sentivo che era lì che dovevo essere, che volevo essere, che non c'era nessun altro posto al mondo in cui sarei dovuta stare, se non con lui. Poi ci siamo addormentati e io ho avuto un incubo. Mi sono svegliata gridando e lui era lì, mi ha aiutata, mi ha tranquillizzata, la paura è passata. Lucas non c'è mai stata una persona al mondo, escluso te, in grado di calmarmi dopo un incubo. Mi ha persino fatta ridere. Ha asciugato le mie lacrime, si è preso la mia paura e ha lasciato spazio solo alle risate. Mi sono sentita così bene, così in pace. >> soffoccai il bruciore in gola e ripresi presto a parlare.
<< Gli ho confessato i miei sentimenti, gli ho detto che volevo stare con lui e lui è sbiancato. Si è allontanato, ha lasciato la mia mano e mi praticamente cacciata. Continuava a dire di essere un veleno, in un loop così doloroso, erano una tortura le sue parole. Ma per me non è così. Volevo che sapesse quanto mi fa sentire viva eppure, più io glielo dicevo, più lui sembrava spaventato anzi, terrorizzato. Tanto che alla fine mi sono sentita così umiliata e calpestata che me ne sono andata. Ho fatto come voleva lui. L'ho accontentato e me ne sono andata. Ha chiaramente detto che il fatto che mi abbia aiutata quando ne avevo bisogno non significa niente, non significa che voglia stare con me. Così me ne sono andata. Sembrava aspettare solo quello, ripeteva di essere un veleno per chiunque, che me ne sarei dovuta andare. Lo ripeteva così tanto che mi veniva da vomitare. E alla fine l'ho accontentato. Non ce la facevo a rimanere lì, me ne sono andata.>>
Dominic inspirò di scatto e scosse la testa. Strinse i pugni fra i capelli e si poggiò allo stipite della porta. Un triste sorriso comparve sul suo viso, come se sapesse perfettamente per quale motivo Angel si fosse comportato in quel modo e come se, in qualche maniera, fosse un colpo anche per lui. Per un istante i suoi occhi scintillarono di pura tristezza, il blu nel suo sguardo si fece più intenso, tanto da ricordare i fondali marini.
<<Non ci credo lo ha fatto di nuovo.>> Si lasciò scivolare fino a sedersi a terra e sollevò il viso al cielo qualche istante, prima di tornare a guardarmi con gli occhi colmi di risentimento e sensi di colpa.
<<Mi dispiace Layla, davvero. Il problema non sei tu. Gli è stato ripetuto per tutta la sua vita che lui fosse una tossina per chiunque, che non sarebbe mai stato amato e che sarebbe stato solo in grado di rovinare ogni cosa lui toccasse. Nessuno escluso. Speravo andasse meglio, ma mi sbagliavo. Sono davvero sicuro di quello che ti ho detto, non avevo alcuna intenzione di illuderti e non stavo mentendo. Questa cosa è così radicata in lui, che si preclude ogni possibilità di stare bene.>>
Distolse lo sguardo sinceramente dispiaciuto. Era così triste vederlo in quel modo. Lui si sentiva male per il suo migliore amico. In quell'istante però, mentre i suoi occhi blu scintillavano al chiaro di luna, sembrò sinceramente rassegnato.
Presi un respiro profondo e cominciai a roteare gli anelli al dito nervosamente, mordicchiandomi il labbro nella speranza di trattenere le lacrime.
<<Ma io non gli ho mai detto una cosa del genere. Non l'ho mai nemmeno pensato.>> La mia voce tremava.
Il mio migliore amico catturò una timida lacrima che mi solcò ilstanco viso, mi prese la mano e ne accarezzò il dorso. Lucas non era il tipo di persona che diceva di volerti bene attraverso le parole, lo faceva attraverso piccoli gesti come quello. Gli bastava stringermi la mano per farmi sentire meno sola, per farmi sapere che lui era lì e non aveva alcuna intenzione di andarsene.
<<Anzi, è tutto il contrario per me, Dominic. Gliel'ho anche detto, speravo di aiutarlo dicendoglielo, invece ho ottenuto l'effetto contrario.>>
Dom s'inginocchiò davanti a me, catturò una lacrima dolcemente e sorrise. Fu un sorriso così amaro che il mio cuore si spezzò, fui quasi del tutto certa che lui e Lucas avessero sentito i frammenti crollare a terra. Dominic scostò una ciocca di capelli dal mio viso e mi guardò dritto negli occhi. Lessi la sofferenza fra quelle pupille e sensi di colpa che, in realtà, non gli appartenevano.
<<Ricordi ciò di cui abbiamo parlato? Quando ti ripetono una cosa per tanto tempo, alla fine finisci per crederci nonostante, in fondo, sai che non è vero. Eppure ti è stata detta fino allo sfinimento, al punto tale che non puoi fare a meno di crederci. E Angel ne è talmente convinto che per lui non esiste nessuna verità al di fuori di questa. Lui penserà sempre di essere in grado solo di avvelenare la tua vita, Layla. Sono onestamente dispiaciuto perché speravo, in cuor mio, che riuscisse ad aprirsi con te, che si lasciasse andare. Scusami, non avrei di certo voluto vederti soffrire in questo modo.>>
Lucas inspirò di scatto e osservò il ragazzo da sotto le lunghe e scure ciglia. Lo scrutava con attenzione, valutava e soppesava ogni sua affermazione.
<<Guarda che non sei costretto a giustificarlo, non lo devi fare per forza.>>
Il ragazzo tornò ad alzarsi in piedi e sorrise al mio migliore amico, mentre rubava una sigaretta dal mio pacchetto che giaceva sul comodino. L'accese e fece spallucce, mentre una nuvola di fumo circondò il suo viso e i suoi capelli verdi.
<<Non lo sto giustificando. So benissimo che ha sbagliato e che Layla non se lo meritava. Sto semplicemente dicendo che questo è il solo modo di vivere che Angel conosce. È terrorrizzato dalla solitudine, ma si costringe a stare da solo.>>
<<Ma non ha allontanato te.>> Sussurrai osservando le mie dita mentre giocavo nervosamente con gli anelli che scintillavano al chiaro di luna. Più cercavo di comprendere, meno ci riuscivo.
Non avrei mai chiesto a Angel di cambiare, non gli avrei mai chiesto di mostrarsi per ciò che non era. Mi piaceva così, non avrei cambiato nulla in lui. Credevo lo avesse capito ma, a quanto sembrava, mi ero sbagliata.
Dom tossicchiò leggermente strozzando una risata, più amara che divertita. Posò le sue pupille nelle mie e scosse il capo, visibilmente contrariato.
<<Ti sbagli. Ci ha provato più volte, tante che ne ho perso il conto. Solo che io non me ne sono mai andato, sono sempre rimasto lì con lui, nonostante tutto. E alla fine si è semplicemente stancato e ha smesso di provarci. Però all'epoca eravamo bambini e le cattiverie che possono uscire dalla bocca di un bambino sono infinitamente meno crudeli di quelle che potrebbero potenzialmente uscire dalla sua bocca adesso.>>
Sentii il mio respiro fermarsi prima ancora che pronunciassi quelle parole. Se c'era una cosa che avevo imparato era che mai, mai in vita mia, avrei permesso a qualcuno di calpestare la mia dignità e mancarmi di rispetto, chiunque esso fosse.
Non avevo intenzione di perdere la mia dignità, nemmeno per qualcuno come Angel, nonostante mi fossi abituata alla sua presenza nella mia vita e volessi di più. Gli avrei mostrato il mondo nel modo in cui lo vedevo io, avrei lottato io stessa contro i demoni che lo torturavano se me ne avesse dato la possibilità.
Ma aveva scelto di lasciarmi andare, di credere di essere un veleno anche per me, quando in realtà sapeva ben poco di ciò che avvelenava i miei pensieri giorno e notte. Ne sapeva ben poco di quanto grata gli fossi per avermi fatta sentire viva di nuovo dopo tanto tempo. Ma evidentemente non voleva nemmeno vederlo, non voleva vedere quanto di bello ci fosse in lui perché era troppo concentrato su ciò che di negativo aveva sempre visto.
Il suo cuore era tanto buono e puro ed ero convinta che infondo lo sapesse, ma era così fermamente convinto di essere una tossina per chiunque si avvicinasse a lui che si precludeva ogni possibile chance di felicità. Preferiva chiudermi fuori che vedere quanto mi facesse stare bene e mi rendeva triste venire a patti con una cosa di quel tipo.
Ma nonostante Angel fosse un diamante, non valeva più del rispetto per me stessa, della mia dignità.
<<Mi dispiace ma io non sono disposta a farmi umiliare più di così. Non posso, non ce la faccio Dom.>>
<<E non devi nemmeno. Non te lo permetterei e non è giusto. È triste il fatto che lui non riesca a concedersi un minimo di pace e libertà, sono seriamente dispiaciuto per questo. Vorrei che si lasciasse andare, dico sul serio. Ma non a discapito tuo, L.>> Disse Lucas catturando la mia attenzione.
Chiusi gli occhi e lasciai che mi coccolasse, come aveva sempre fatto, nel tentativo di portare via ogni traccia di tristezza che mi attanagliava, nel tentativo di riportarmi il sorriso solo nel modo in cui Lucas era in grado di fare.
Dom spense la sua sigaretta nel posacenere sulla scrivania e posò la testa sullo stipite della porta, chiudendo gli occhi e sospirando tristemente. <<Mi dispiace Layla, dico sul serio. E mi rattrista, perché questa cosa gli sta rovinando la vita e lui nemmeno se ne rende conto.>>
Sia io che Lucas scegliemmo di rimanere in silenzio e non rispondere, mentre la tristezza ci accompagnava amaramente fino al sorgere dell'alba.
Dominic aveva lasciato casa con le prime luci del mattino, comunicandoci che sarebbe andato dal suo migliore amico per accertarsi che stesse bene e preparargli i pancakes. Io, invece, mi rimisi a letto e restai sotto le coperte fino a che non fui costretta ad uscire di casa per andare al lavoro.
Lucas faceva il turno centrale al bar e staccava alle sei del pomeriggio mentre io, invece, chiudevo il negozio e terminavo alle otto. L'accordo era che sarebbe venuto a prendermi e saremmo andati a mangiare qualcosa con Dominic, non mi era dato sapere se Angel ci sarebbe stato oppure no. Fare la commessa in un negozio, non era mai stato semplice.
Avrei potuto scrivere un libro e aprire una rubrica per raccontare ciò che chi, come me, vedeva ogni giorno durante il proprio turno. Durante la mia carriera lavorativa, anche se non era poi chissà quanto lunga, avevo sempre fatto la commessa ed ero sempre stata a contatto con le persone e, proprio per quella ragione, avevo bene o male imparato a riconoscere la tipologia di persona che mi si presentava dinanzi.
Ciò che chi non aveva mai lavorato a stretto contatto con il pubblico non poteva sapere era che esistono varie tipologie di cliente e a ognuna di esse è necassario dedicare attenzioni differenti.
Quel giorno ero di pessimo umore e, purtroppo, molti clienti se ne accorgevano. Piegavo la merce sbuffando, la riponevo fra gli scaffali esasperata e persistevo a borbottare contro chiunque avesse lanciato l'abbigliamento in quella maniera irrispettosa.
Inoltre, ogni qualvolta venissi chiamata in cassa, i miei lamenti giungevano forti e chiari alla clientela. Il mio capo mi aveva chiesto se andasse tutto bene svariate volte, ma io avevo liquidato le sue domande e la sua curiosità con un gesto della mano, tornando a farmi i fatti miei e a esporre la merce.
Era finalmente giunta la mia ultima mezz'ora di lavoro quando, con la coda dell'occhio, notai Lucas fare il suo ingresso accompagnato da Dominic e Angel.
Il mio migliore amico e Dom sollevarono una mano per salutarmi nell'esatto momento in cui mi notarono tra le gente che ancora bazzicava in negozio mentre Angel, invece, rimase con le mani in tasca ad osservarmi con le labbra tese in una linea sottile.
Il mio sguardo trovò il suo ed ebbi un tuffo al cuore. Avrei voluto poter entrare nella sua testa e sapere a cosa pensasse mentre mi guardava in quel momento e in quel modo, tra le occhiate silenziose e i ricordi di quella notte che strinsero il mio cuore fino a farmi mancare l'aria. I suoi occhi spaventati mi torturavano da tutto il giorno, il modo in cui il suo sorriso si era spento e in cui si era allontanato di scatto come se solo il fatto che ci stessimo sfiorando lo potesse ustionare, mi facevano sentire in errore.
Pensai sempre più di aver fatto il passo più lungo della gamba e mentre mi scrutava attentamente come se volesse accertarsi che stessi bene, la vista mi si appannò a causa delle lacrime che stavo cercando di trattenere. Distolsi lo sguardo e tornai ad occuparmi del negozio dando le spalle ai ragazzi.
<<Okay, ora che siamo qui, vedi di non fare lo stronzo.>> La voce di Dominic arrivò forte e chiara alle mie orecchie. Si trovavano nella corsia dietro la mia tanto che, anche senza volerlo, riuscivo a sentire ogni cosa.
Mi fu chiaro che Dominic era sinceramente preoccupato per Angel, anche dal tono di voce. Riuscii a percepire la frustrazione che gli causava la situazione.
<<Non se lo merita. Se farai lo stronzo, ti prenderò personalmente a calci in culo davanti a tutti. Chiaro?>> Esclamò di nuovo quando Angel rimase in silenzio.
<<Non ho alcuna intenzione di farlo Dom, stai tranquillo.>> Rispose in tono piatto.
Il suono della sua voce mi fece trattenere il respiro e chiudere gli occhi. Quanto poco ne sapeva di come le sue parole mi avessero ferita, di quanto mi avessero fatto male. L'umiliazione mi schiaffeggiò nuovamente, portandomi ad abbassare lo sguardo e sospirare in silenzio mentre spazzavo a terra.
<<Te lo sto dicendo perché ti conosco, Angel. È una procedura di routine ormai e se non c'è niente che possa farti cambiare idea allora va bene, lo accetto. Ma non fare lo stronzo con lei, sai benissimo anche tu che non se lo merita e so anche che sei consapevole di quanto speciale sia. Lo vedo come la guardi, Angel. Per quanto tu possa evitarlo i tuoi occhi, i tuoi gesti, parlano per te. Non puoi scappare per sempre, sarà solo una tortura lenta e dolorosa.>> Gli disse Dominic sconsolato. Non potevo vederli ma ero certa che Dom gli avrebbe dato uno scossone per risvegliarlo e riportarlo alla luce, se avesse potuto.
<<Hai finito?>> Domandò Angel infastidito. << Le ho fatto un favore, prima o poi lo capirà anche lei e mi ringrazierà >> disse poi.
Il suo tono non ammetteva repliche: era inutile, per quanto Dominic ci potesse provare, niente avrebbe potuto aiutarlo.
<<Questa cosa ti sta distruggendo, Angel. Mi dispiace che tu non te ne renda conto. Ti stai privando di ogni cosa bella della vita. Torno da Lucas, si starà chiedendo che fine abbiamo fatto.>> Concluse il ragazzo dai capelli verdi. Anche da quella distanza riuscii a sentire il rumore dei passi sconsolati di Dominic, i suoi sospiri frustati e i borbottii contrariati.
<<Mi scusi signorina, posso chiedere a lei?>> Una voce mi riportò con i piedi per terra e soltanto quando mi voltai, stringendo la scopa tra le mani e osservando l'uomo dinanzi a me, mi ricordai di stare ancora lavorando.
<<Certo, mi dica pure.>> Sorrisi nel modo più amichevole possibile, mentre l'uomo si avvicinò ulteriormente di un passo e mi sorrise a sua volta.
Era alto almeno una quindicina di centimentri più di me e di stazza era pressappoco come Lucas e Dominic messi uno di fianco all'altro. Sapevo perfettamente chi fosse, si trattava di un cliente abituale che veniva spesso per fare regali ad amici e parenti.
Il modo in cui mi capitava di notarlo mentre mi osservava con quei suoi occhi azzurri e vitrei mi aveva messa a disagio più volte, ma nonostante questo cercavo sempre di essere il più amichevole possibile.
<<Il prezzo di questa felpa quindi qual è?>> Chiese con l'indumento in mano e osservando il cartellino con gli occhi stretti a fessura.
<<Il prezzo finale è il cinquanta per cento in meno di quello scritto.>> Replicai con un sospiro e le sopracciglia sollevate. A volte mi domandavo quale fosse il loro quoziente intellettivo, per pormi domande tanto stupide.
<<Okay. Quindi lo sconto è ancora da applicare?>> Insistette ancora. Quando capii che non aveva intenzione di lasciarmi andare molto presto posai la scopa e l'appoggiai al muro, dedicando la mia totale attenzione all'uomo che attendeva le mie risposte impazientemente.
<<Sì, lo sconto è ancora da applicare.>> Gli dissi tossicchiando e battendo le palpebre freneticamente.
<<Okay. Allora...>> Rimase a fissare il cartellino per diversi istanti, in silenzio e pensieroso. Sapevo già quale sarebbe la successiva domanda, aspettavo solo che me la facesse.
Passavamo le ore a spiegare le stesse identiche cose alle persone che continuavano a porre sempre le stesse domande, come un loop infernale destinato a non finire mai e che portava solo all'esasperazione di noi poveri disgraziati addetti alla vendita.
<<Quindi quanto fa?>>
<<La metà di quarantasette e cinquanta.>> Affermai cercando di non ridergli in faccia. Era una cosa che accadeva abbastanza frequentemente, per cui io e i miei colleghi ci ritrovavamo spesso a prendere in giro i clienti.
<<Nonostante tu abbia l'aria molto arrabbiata oggi, devo dire che resti sempre la più bella di tutto il negozio. Te lo hanno mai detto?>> Esclamò all'improvviso. Si stava facendo sempre più vicino, mi osservava intensamente, in ogni mio gesto.
Improssivamente sentii il respiro farsi pesante e il cuore cominciare a pompare sangue scandendo intensamente i miei battiti, fino a sentirli nelle orecchie.
<<Grazie mille, non esagerare però.>> Risposi in un sussurro. Stavo provando a rimanere cordiale il più possibile, ma la verità era che si stava facendo troppo invasivo, stava insistendo troppo.
Feci un passo indietro e gli sorrisi, nella speranza che quel sorriso gli bastasse e si allontanasse ma ottenni l'effetto contrario.
<<Non sto esagerando, è la pura verità. A che ora stacchi? Ti aspetto e andiamo a mangiare una pizza?>>
Deglutii e sospirai rumorosamente, infastidita. Continuai ad arretrare <<Apprezzo molto ma non posso. Mi stanno già aspettando, grazie lo stesso.>>
<<Non puoi raggiungerli dopo i tuoi amici? È solo una pizza, giuro che non ti mangio. Ti vedo sempre qui in negozio, sei bellissima sai? Lascia che ti offra una cena.>> Non aveva l'espressione di qualcuno che aveva l'intenzione di arrendersi.
Il fatto era che mi stava facendo agitare e iniziavo a non riuscire più a capire come respingerlo. Continuavo a indietreggiare, con le mani tremanti e il sorriso di qualcuno che, infondo, non era poi tanto felice di ricevere le sue avance. Ma più io indietreggiavo, più lui avanzava. Più io dicevo di no, più lui insisteva. Più lui insisteva, più il panico si faceva strada nel mio petto e meno riuscivo a ragionare. Eppure la situazione non era così complicata, non riuscivo a comprendere cosa mi impanicasse così a questo livello.
<<Ho detto no grazie. Vai a pagare la tua felpa e lasciami stare, devo finire di pulire e andarmene a casa.>> Ero certa di essere arrossita, dalla rabbia, dal fastidio, per il panico.
<<Non c'è bisogno di scaldarsi tanto, ti ho solo fatto un complimento. Sei anche arrossita, non ti è poi dispiaciuto così tanto.>> Disse lui avvicinandosi ancora e accarezzandomi una ciocca di capelli.
A quel punto strinsi i denti e inspirai di scatto. Aveva invaso il mio spazio vitale e la cosa m'infastidiva parecchio. Nessuno doveva permettersi di farlo, nessuno doveva permettersi di avvicinarsi così tanto e di essere così insistente senza il mio consenso. Presi il suo polso e lo squadrai da capo a piedi, stringendo la presa e scostando la sua mano con la forza.
<<Sono rossa in viso perché mi stai infastidendo.>> Sbottai.
<<Non ti devi avvicinare così, non mi devi guardare così. Se io ti dico di no è no. Lasciami in pace e non toccarmi mai più. Ora vattene, per favore.>>
Mi resi conto di aver alzato la voce quando la chioma verde di Dominic comparve al mio fianco, le mani in tasca e l'espressione confusa. Scrutava l'uomo con attenzione, poi si rivolse a me. <<C'è qualche problema qui?>>
Sorrisi a Dom ringraziandolo mentalmente e squadrando il cliente da capo a piedi. <<No, il signore se ne stava andando.>>
L'uomo sospirò rumorosamente, frustrato e scoccando la lingua sul palato. <<Quindi a cena con me non ci vieni?>>
<<Se vuoi ci vengo io.>> Il profumo di Angel invase le mie narici e mi si strinse il cuore quando sentii la sua presenza alle mie spalle. Scelsi di non voltarmi a guardarlo, lasciai che si fece spazio fra me e Dom e si avvicinasse all'uomo. Lo guardò serio, in attesa di una risposta, lanciandomi solo una breve occhiava per un solo secondo.
Il cliente lo guardò arricciando il naso. <<Ma io l'ho chiesto a lei.>>
Angel sorrise. Gli mostrò il sorriso più freddo che avessi mai visto. Non gli avevo mai visto quel sorriso in volto, non mi aveva mai guardata così. Era così freddo e distante che mi vennero i brividi. <<E io l'ho chiesto a te. Se hai così voglia di una cena te la offro io, andiamo.>>
Non smise di guardarlo e restò con quel glaciale sorriso sul viso.
Mi rivolsi al cliente, con sguardo truce e gli occhi stretti a una fessura. <<Ora mi stai ancora più sul cazzo: a me non l'ha mai chiesto.>>
Dom scoppiò a ridere e mi avvolse un braccio attorno alle spalle, lasciandomi un tenero bacio fra i capelli e guardando Angel che ci dava le spalle e fissava l'uomo in attesa della sua risposta, le mani infilate in tasca. <<Se ti può consolare, nemmeno a me.>>
Lucas arrivò all'improvviso con un paio di felpe in mano e le sopracciglia corrugate. Osservò la scena confuso, poi si rivolse a me. <<Cosa mi sono perso?>>
Dominic divertito, diede uno spintone a Lucas e gli mise il braccio dietro al collo, ed io mi avvicinai a lui arruffandogli i capelli affettuosamente e dandogli un bacio sulla guancia.
Una volta giunta la fine del mio turno, salutai i miei colleghi e lo store manager per poi uscire con la borsa a spalle e andare dai miei amici. Lucas mi aveva mandato un messaggio in cui diceva di raggiungerli al pub, dove avevano già preso posto per evitare di non rimanere senza tavolo.
Fuori dal negozio, i miei occhi si posarono sull'imponente figura di Angel. Se stava lì fermo, appoggiato al muro, la sigaretta tra le labbra e una nuvola di nicotina che circondava il suo pallido viso. In quel frangente, avrei voluto scattargli una fotografia per osservarlo in eterno.
Mi chiesi a cosa stesse pensando, dove si fosse perso, perché mi impedisse di raggiungerlo. Avrei voluto prenderlo per mano e mostrargli tutto ciò di cui si privava, fargli vedere il mondo come lui non lo aveva mai visto. Però scelsi di rimanere in silenzio.
Scelsi di rimanere qualche passo indietro e osservarlo mentre fumava quella sigaretta beandosi della sua solitudine, con Axel ai suoi piedi.
Il cane dovette sentire il rumore dei miei passi, perché non appena fui a qualche metro da loro, mi corse incontro zampettando allegramente e facendomi le feste invitandomi ad accarezzarlo.
<<Ciao bello, ma ciao>> Esclamai mentre le mie mani accarezzavano il suo bellissimo muso e il suo manto grigio.
<<Cosa ci fai tu qui?>> Ero inginocchio ai piedi di Axel, intenta a farmi dare i baci e giocare con lui. Scelsi di non guardare Angel negli occhi, perché se lo avessi mi sarei sentita morire ancora una volta e non volevo.
Angel si allontanò dal muretto e si avvicinò fino a che non vidi i suoi anfibi proprio accanto ad Axel, il quale stavo ancora coccolando. Si abbassò fino a restare inginocchio e cercò i miei occhi, come se non aspettasse altro che guardarmi.
<<Alla fine, ha rifiutato il mio invito.>> Disse lanciando un'occhiata alle porte del negozio e poi tornando ad osservarmi con la testa piegata di lato.
Ignorai la sua battuta e mi alzai in piedi. Feci qualche passo indietro, mi accesi una sigaretta e restai a guardarlo ferma e immobile. Temevo un contatto con lui, temevo di crollare e cedere ancora alle tentazioni di Lucifero. Non potevo permettermelo, non ero quel tipo di persona che permetteva di essere usata come un giocattolo, da nessuno al mondo.
<<Perché sei qui?>>
Lui sorrise e scosse il capo, fece spallucce e lanciò un biscottino ad Axel, che restò seduto ai suoi piedi pendendo dalle sue labbra e attendendo ancora cibo.
<<Non si sa mai, magari cambia idea.>>
Angel si avvicinò di qualche passo, arrivando a qualche centimetro da me e quando fece per accarezzarmi il viso io indietreggiai di scatto, evitandolo. <<Credevo non ti importasse niente di me, invece adesso ti trovo qui fuori da solo ad aspettarmi. Perché?>>
Sospirò e sollevò le sopracciglia, contrariato da ciò che avevo appena detto.
<<Non ho mai detto che non me ne frega niente di te, Layla.>>
<<Allora cosa vuoi da me? Io non posso andare avanti così, vivere nel dubbio così. Un minuto sei con me e quello dopo mi respingi. Io ho bisogno di certezze. Quindi dimmi: cos'è che vuoi davvero, Angel?>> Esclamai con le mani chiuse a pugno. Sentii le unghie lacerarmi la carne, i palmi della mano.
Era talmente criptico da mandarmi fuori di testa: più cercavo di capirlo, di comprendere le sue scelte, di leggere fra le righe, di ascoltare i suoi silenzi e farne tesoro, meno riuscivo a comprenderlo. Ereggeva un muro per me impossibile da scalfire perché più io tentavo in ogni modo di crearmi uno spazio, una crepa, in cui poter entrare, più il muro si alzava e meno possibilità avevo di raggiungerlo.
L'unica cosa che mi restava da fare era chiedere cosa volesse da me, cosa volesse che facessi, come voleva mi comportassi perché io non sapevo più dove sbattere la testa. Più che confessargli come mi faceva sentire e come mi sentivo accanto a lui, non avevo altro da fare o dire.
<<Se non mi vuoi qui dillo e me ne vado.>> Fu l'unica cosa che riuscì a dire. Non disse altro. Restò appeso alle mie iridi, in attesa di me e della mia risposta.
Sorrisi ironicamente e scossi il capo, con le lacrime agli occhi. Feci per rispondere e sputargli tutta la mia rabbia addosso, ma alla fine lasciai perdere e distolsi semplicemente lo sguardo. Mi strinsi nelle spalle, mi abbracciai da sola nella speranza di ripararmi dal dolore che allontanarmi da lui mi avrebbe causato.
Io volevo di più, meritavo di più. Non ero disposta a vivere senza certezze, senza sapere come sarebbe stato il giorno a seguire.
Non potevo accettare ciò che lui era disposto a darmi, ossia nemmeno la metà di ciò che era. Se solo si fosse lasciato andare, se solo avesse permesso alle persone di farsi amare, avrebbe scoperto che mondo stupendo ero sicura ci fosse nascosto fra quelle iridi che raffiguravano paradiso e inferno.
Un tale paradosso non poteva essere altro che un meraviglioso e strabiliante quadro, uno di quelli che lasciava senza respiro. Però, non era ciò Angel desiderava. Desiderava ciò che eravamo, gli andava bene così. L'incertezza, il dubbio, quei baci rubati nella notte al chiaro di Luna. Ma io no. Io non potevo vivere così. Non dopo tutto ciò che avevo passato, non mi bastava.
<<Vai>> Mi costò molto più di quanto potesse anche solo lontanamente immaginare pronunciare quella parola.
Una lacrima solcò il mio viso quando Angel, in silenzio, indietreggiò senza aggiungere altro e mi lasciò lì da sola ad osservarlo andare via.
La sensazione di vuoto che sentivo in quel momento l'avevo già provata e flashback di una notte stellata e colma di risate ma terminata fra le lacrime e disperazione, tornarono a farmi visita schiaffeggiandomi in viso dolorosamente e ripetutamente.
Era stato autolesionismo e lo sapevo perfettamente, ma non avevo altra scelta.
Gli incubi infestavano le mie notti prosciugandomi di ogni energia e forza, non potevo permettere alla realtà di fare lo stesso.
Spazio marshmallow:
Holaaaaaaa!
Come vi è sembrato il capitolo?
Qua le cose vanno bene, no? 🔥
Angel è...complicato. Direi che è l'appellativo giusto peso lui ✨
Spero che la storia vi stia piacendo!
Vi ricordo che il capitolo è stato scritto da ila wendygoesaway
Vi voglio bene
Grazie
-Alex
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