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Capitolo 3: Die first

CAPITOLO TRE: die first


Puro
e disposto a salir le stelle
- Dante Alighieri

I raggi del sole di metà mattina illuminavano il salone di casa, mentre il profumo del caffè e l'odore dei pancakes mi guidavano, come se fossi stata sotto incantesimo, verso la cucina.

Trovai Lucas ad armeggiare tra i fornelli, uno straccio posato sulla spalla, lo sfrigolare del burro in sottofondo, mescolato al suono della sua voce. Stava canticchiando allegramente mentre sfornava pancakes. Ogni tanto lanciava occhiate allo schermo del cellulare e ridacchiava fra sé e sé, scuoteva la testa e, immerso nei suoi pensieri, tornava a dedicarsi alla nostra colazione.

Lucas era sempre stato una persona allegra ed esuberante. Tra i due, lui era il polo positivo della calamita. La sua positività, per me, era sempre stata fondamentale, la mia unica certezza. Anche nei momenti più bui, Lucas mi aveva dato una ragione per andare avanti. Avevo afferrato la sua mano così tante volte da perderne il conto e non era mai successo, da quando ne avevo memoria, che mi fossi anche solo sbucciata banalmente un ginocchio nel processo, n'è che non lo avessi avuto accanto.

Era la mia colonna portante, da sempre. In svariate occasioni mi ero ritrovata a guardarlo mentre rideva, a domandarmi cosa avessi fatto per meritarmi qualcuno come lui nella vita.

<<Rubo, gracias mi hermano>> Esclamai piombando alle sue spalle, prima di rubargli la tazza di caffè, cogliendolo alla sprovvista. Era così preso da ciò che stava facendo, che non si era nemmeno accorto della mia presenza.

<<Dios mìo>> Sbottò con una mano sul petto. Si voltò all'improvviso ad osservarmi con sguardo truce: se c'era una cosa che Lucas odiava era essere colto alla sprovvista. <<Prima o poi ti lancerò la padella in faccia, me lo sento.>>

Negli anni avevo imparato a capire lo spagnolo, grazie a lui. Lucas aveva origini argentine e capitava molto spesso che se ne uscisse con qualche parola o frase nella madrelingua che i suoi genitori avevano avuto cura di impartirgli sin da quando era ancora in fasce, alternata all'inglese. Per lo più, succedeva quando si irritava o quando si spaventava.

Con i suoi genitori, ad esempio, parlava sempre la sua lingua d'origine, perciò con il tempo avevo avuto la fortuna di impare a capirlo, più o meno. Il suo accento non era così forte come quello della sua famiglia, ma era comunque molto divertente sentirlo borbottare in spagnolo e la spontaneità con cui lo faceva.

<<Buongiorno anche a te, raggio di sole>> Dissi sorseggiando il caffè con un sorriso sulle labbra, seduta sullo sgabello in attesa della mia colazione, prima di recarmi in negozio per il mio turno di lavoro pomeridiano.

<<Buongiorno un bel paio di palle, hermana.>> Replicò mentre posava il piatto al centro del tavolo.

Si versò un'altra tazza di caffè, fulminandomi con lo sguardo. Lo osservai attentamente, in ogni suo movimento, analizzai le espressioni del suo viso e rigirai il cucchiaino nella tazza in attesa trepidante che parlasse.

Sapevo avesse qualcosa da raccontarmi, dopo tutti gli anni passati insieme mi bastava guardarlo per poco tempo per capire come si sentisse o se fosse successo qualcosa. Mia madre diceva sempre che Lucas era quel tipo di persona dall'allegria contagiosa. La sua gioia camminava di pari passo con lui, per quel motivo quando qualcosa lo turbava o quando era pensieroso si notava. Perché la contentezza scompariva e lasciava spazio ai pensieri.

<<Quindi? Non hai niente da raccontarmi, Zorro? Tipo com'è andata con Joker?>> Domandai genuinamente, mente osservavo Lucas che rispondeva ai messaggi tra sorrisi per petui e risatine intermittenti.

Non aveva l'aria turbata, sembrava più distratto, tanto che per attirare la sua attenzione fui costretta a schioccare più volte le dita.

<<Terra chiama Lucas. C'è nessuno? Cosa c'è, il tuo unico neurone si è fuso per davvero stavolta?>>

<<Wow. Dovrei ridere per farti credere di essere divertente?>> Rispose distrattamente, dopo aver lasciato una pila di pancakes al centro del tavolo.

<<Ad ogni modo, ieri ho trascorso del tempo insieme a Dominic e sono sempre più convinto di ciò di cui già avevamo parlato. Perciò sì, effettivamente mi interessa e credo anche che la cosa sia reciproca.>> Affermò, con un sorrisetto entusiasta dipinto in viso.

<<Sì, lo è. È un interesse reciproco.>> Confermai al ricordo delle parole di Angel. <<Il che mi porta a chiederti quali sono le tue intenzioni a riguardo.>>

<<Io non ho nessuna intenzione.>> Disse sorseggiando il suo caffè e posando gli occhi su di me.

<<O meglio, lascerò che le cose accadano come devono accadere. Se c'è un interesse reciproco, come dici tu, prima o poi emergerà, giusto? Non ho nessuna intenzione di forzare nulla. Voglio conoscere meglio Dominic, passare più tempo con lui e non affrettare le cose. Lasciare che accadano da sole insomma. Non so se mi sono spiegato.>> Versò dello sciroppo d'acero sui suoi pancakes, distratto però dal'ennesimo trillo del suo telefono, tanto che fui costretta a togliergli il tubetto dalle mani per evitare di fargli sporcare il tavolo.

Roteai gli occhi al cielo, ma sorrisi. Vederlo così distratto e sorridente era bello dopo tutto, Lucas meritava ogni cosa bella della vita e anche di più.

<<Sì, certo che ti sei spiegato.>> Gli sorrisi quando lui tornò a guardarmi.

<<Sono contenta che tu abbia trovato qualcuno con cui poter essere te stesso. Inoltre, mi fa piacere che sia proprio Joker. È un uragano quel ragazzo e mi piace il modo in cui si sente libero di essere ciò che è senza la paura di sentirsi giudicato. Anche se sono dell'idea che se lo giudicassero a lui non importerebbe. Vi somigliate, sotto questo punto di vista.>> Dissi poi, mentre spiluccavo i pancakes che mi aveva messo nel piatto con premura.

Mi persi d'un tratto nel labirinto dei miei pensieri. Pensai allo sguardo magnetico di Angel, a quell'angolo di paradiso racchiuso nei suoi occhi. Pensai al modo in cui mi guardava, alla delicatezza con cui aveva accarezzato la mia pelle. Mi vennero di nuovo i brividi, ripensandoci. Avevo passato la notte a dedicare a lui ogni mia attenzione, bramavo un suo bacio come mai mi era successo in tutta la vita con qualcuno.

D'altro canto però, era destabilizzante il suo essere schivo. Mi sembrava di essere sulle montagne russe ogni qualvolta mi trovassi in sua compagnia. Non sapevo come comportarmi. Non aveva fatto un solo passo verso di me in quei pochi giorni in cui eravamo stati insieme, ma non mi aveva nemmeno mai respinta. Sembrava un enigma, ed era talmente complesso che sarei rimasta ore ed ore in sua compagnia pur di capire come risolverlo.

Mi guardava per infiniti istanti, ma alla ricerca di che cosa, ancora non lo sapevo. Avrei voluto dargli i miei occhi per mostrargli quanto enigmatico e complesso risultasse, ma ero convinta non fosse necessario. Lui lo sapeva. Sapeva benissimo quanto fosse capace di lasciare le persone senza parole, eppure la cosa sembrava non sfiorarlo minimamente.

Avevo la sensazione che attorno a lui avesse eretto un muro che solo a qualcuno come Dominic era concesso oltrepassare, il resto del mondo restava fuori. Io però desideravo disperatamente entrare e comprenderlo.

<<E tu? Che mi dici di Angel?>> Lucas mi riportò con i piedi per terra.

Guardai il mio migliore amico negli occhi, mentre disperata cercavo risposte a tutti quei quesiti che mi si ponevano dinanzi come un muro, ogni volta che decicavo la mia attenzione a Angel. Lo conoscevo solo da pochi giorni eppure ogni mio pensiero, chissà come, ricadeva su di lui. Costantemente. Come un promemoria di ciò che era in sospeso e che mai avrei potuto avere.

<<Che devo dirti?>> Risposi, liberando un sospiro frustrato. <<È Angel.>>

Lucas ridacchiò e abbandonò il telefono per dedicarmi ogni sua attenzione. Sollevò le sopracciglia divertito da ciò che avevo detto e scosse il capo. Mi bastò guardarlo per capire che secondo lui ciò che dissi non aveva senso. Era seriamente incuriosito dalle mie parole, tanto da fissarmi intensamente e cominciare a punzecchiarmi.

<<Cosa vuol dire è Angel? Io sono Lucas, tu sei Layla. Dominic è Dominic.>>

<<Ma cosa vuoi che ti dica?>> Feci un pausa ed esalai un sospiro. Mi sfregai gli occhi, frustrata, confusa, destabilizzata, ricolma solo del viso di Angel. Ovunque io andassi, qualsiasi cosa facessi. Il suo sguardo magnetico mi perseguitava. <<Che mi piace? Sì, mi piace. Mi piace Angel. Ma, a differenza di te, io non credo di essere ricambiata.>>

<<Cosa te lo fa pensare?>> Chiese Lucas.

<<Il suo modo di fare. È così strano. Mi lascia sempre in sospeso e non riesco mai pienamente a cogliere il significato delle parole che mi dice, il significato degli sguardi che mi dedica. Non mi respinge, questo è vero, ma non mi accoglie nemmeno. Lui ha fatto un passo, io ne ho fatti mille. Sono spaesata perché non mi è mai capitato di avere a che fare con qualcuno come lui. Non mi era mai successo di rimanere senza parole durante una conversazione con una persona, con Angel invece mi succede costantemente. Sembra abbia molto da dire, ma alla fine non dice nulla, oppure riduce all'osso i suoi pensieri. Ieri abbiamo avuto una conversazione abbastanza ambigua, per esempio >> Feci una pausa e sospirai al ricordo di ciò che mi aveva detto. Quel suo modo di fare, mi lasciava di stucco ogni volta. Senza parole. Non riuscivo a capire cosa pensasse, cosa intendesse.

<<Sa essere così criptico. Sai, l'ho ringraziato per non avermi chiesto nulla riguardo alla cicatrice.>> Dissi a Lucas. Il mio migliore amico fissò lo sguardo nel mio e rimase in attesa in silenzio, una sigaretta fra le labbra e il mento poggiato sul dorso della mano.

<<Sono sempre stata abituata a un milione di domande a riguardo. Chi mi chiedeva come me la fossi procurata, chi ne rimaneva turbato perché secondo loro rovinava la mia pelle, la macchiava. Chi rimaneva a osservarla più a lungo del dovuto e mi faceva sentire come se tutto ciò che sono fosse racchiuso lì, in quella cicatrice. Ma Angel no. L'ha vista, l'ha toccata, l'ha baciata, ma non mi ha fatto domande. Ha guardato me. Mi ha guardata negli occhi come se volesse chiedermi il permesso per andare oltre. Non mi ha chiesto niente. Non era mai successo. >> proseguii.

<< L'ho trovato peculiare. Perciò l'ho ringraziato. Lui mi ha dato una risposta talmente criptica che ho intuito che dietro alle sue parole ci fosse qualcosa di più. Mi ha detto che tutti possiedono delle cicatrici, visibili o meno. Ha detto che secondo lui, la cosa importante è saper prendersene cura. E poi le ho viste, ho visto le cicatrici che aveva sul braccio. Erano dei piccoli cerchi, non so cosa avrebbe potutto provocargliele, ma ne aveva tante Lucas. >> mi interruppi ancora e ripensai a quei segni incasellati tra i tatuaggi che coprivano l'avambraccio di Angel.

<< Le ho sfiorate tutte, forse se avessi unito i puntini ne sarebbe uscita una costellazione, chi lo sa. In quel momento, quando l'ho guardato negli occhi, l'ho visto vulnerabile. È stato lì che ho capito che dietro alle sue parole, dietro al suo modo di fare e di porsi, c'è di più. C'è qualcosa che va oltre, ma era come se lui stesso non volesse guardarsi dentro. Mi è sembrato così solo, Lucas. Mi si è stretto il cuore. Gli ho chiesto se si prendesse cura delle sue ferite e lui ha semplicemente risposto che è più facile prendersi cura di quelle degli altri. Non so davvero cosa dire. C'è un muro attorno a lui, lo vedo. È così evidente che mi intimorisce. Ma sono sicura che dietro quella corazza ci sia di più. È come se avesse eretto quel muro volontariamente e si fosse chiuso lì per libera scelta, quasi temesse di mostrarsi per ciò che è. Non capisco Lucas, non capisco davvero. Tutte quelle cicatrici, il modo in cui mi guarda, quel suo essere schivo. Credo che non voglia che io vada oltre, anche se non mi respinge. Vuole che mi fermi lì, a ciò che lui è disposto a darmi. Niente di più, niente di meno.>>

Quando guardavo Angel, avevo la sensazione che i suoi occhi nascondessero ferite che lui stesso voleva evitare di vedere. Ferite di cui prendersi cura faceva ancora più male. Talvolta per stare bene è necessario lasciare che le cicatrici emergano, senza paura, mostrare il proprio dolore e sfoggiarlo come un'armatura. Io lo avevo fatto, mi aveva aiutata ad andare avanti, a diventare la persona che ero in quel momento.

Avevo perso una parte importante di me, avevo sofferto come mai in vita mia mi era successo. Però ero ripartita da lì, dal dolore. Avevo ricominciato a vivere. Mi ero rialzata un po' zoppicante e ferita, ma con l'aiuto di Lucas ero tornata a sorridere. Ero libera. Angel sembrava avere costruito una prigione con le sue stesse cicatrici e da come mi aveva parlato la sera precedente, pareva essere convinto che il suo posto fosse solo quello.

Avrei voluto dirgli che non era così, che tutti meritano la libertà. Ma ero rimasta in silenzio. In quel silenzio lo avevo guardato e avevo accarezzato le ferite che decoravano la sua pelle, nascoste dalle ragnatele d'inchiostro che ricoprivano il suo pallido incarnato. Avevo cercato di ricavarmi un posto in quegli occhi magnetici, dedicato solo a me.

Lo avevo baciato aggrappandomi a lui come se quello fosse l'unico modo per mostrargli cosa fosse la libertà, per mostrargli che se solo lo avesse voluto, io avrei potuto portarlo ovunque, oppure da nessuna parte. Eppure lui, nonostante avesse ricambiato quel bacio con passione, nonostante avesse accarezzato la mia pelle e avesse baciato ogni centimetro di me come se avesse voluto dirmi che quella cicatrice faceva di me una guerriera, era sempre rimasto distante, sempre qualche passo indietro.

Mi ero chiesta se fosse colpa mia, se fossi io quella ad aver sbagliato, ad aver fatto qualche passo in avanti di troppo. E così lo avevo guardato ancora, in cerca di risposte, ma lui era rimasto in silenzio, a torreggiare nella notte, baciato dai raggi della luna.

<<Posso capire e sono parzialmente d'accordo. Ma da quando in qua ti fermi alle apparenze? Sei sempre andata oltre, hai sempre cercato di leggere tra le righe. Dimmi allora, perché non ci provi anche questa volta? Forse il fatto che sia così intricato scoprirai che significa qualcosa, oppure non significa niente. Piano piano Layla, come hai sempre fatto. Solo così troverai le risposte. Non costruirti castelli prima del tempo, perché serebbe tempo sprecato, prima cosa, e in secondo luogo non porterebbe a nulla.>> Lucas ruppe il silenzio fra noi e attirò la mia attenzione. Smisi di mescolare improvvisamente il caffè e mi tuffai nel suo sguardo, nella speranza che lui potesse darmi qualche risposta.

<<Vedi L, ci sono alcune persone convinte che rifugiandosi nella solitudine, possano trovare la pace. Ora, quello che voglio dirti è che tu sai benissimo cosa vuol dire e come ci si sente. Io non so se effettivamente per Angel sia così, non lo conosco e non posso darti le risposte che cerchi. Ma posso dirti quello che so di te, per come ti ho vissuta fino ad ora. Se c'è qualcuno in grado di mostrare a Angel cos'è la libertà, se c'è qualcuno in grado di potergli fare vedere che le ferite che portiamo con noi non sono un limite e sono comunque bellissime, quella sei proprio tu. >> si interruppe per fare una lunga boccata dalla sua sigaretta.

<< Magari lui ha solo un carattere schivo e tutti i voli pindarici che ti stai facendo sono frutto della tua immaginazione ma anche se così fosse, tu sei forse una delle poche persone in grado di prenderlo per mano e portarlo fuori da quel castello di solitudine in cui vive. Tu, Layla, puoi scalfire ogni muro, me lo hai dimostrato più volte. Buttati. Non puoi sapere cosa prova se non lo fai. Passa più tempo con lui, cercalo, mostragli chi sei e sono certo che s'innamorerà della libertà che si assapora in tua compagnia. Magari passando del tempo con lui ti renderai conto che ti sbagliavi e le carte in tavola si ribalteranno, chi lo sa. Puoi scoprirlo solo in un modo. Non avere paura. Tu stessa mi hai detto più volte di non averne più, questo è il momento giusto per mostrare a te stessa che ce l'hai fatta.>> continuò.

<<Hai ragione>> Sospirai alla fine. <<Scusami, per un attimo mi sono sentita persa. Il fatto è che sono un po' spaesata. Sai come sono fatta: se qualcosa m'interessa vado fino in fondo e continuo finchè non ottengo ciò che desidero. Però ho paura che con lui questo possa portare all'esatto contrario. Di solito non mi trovo ad avere a che fare con persone come Angel. Lui è così particolare, sfido chiunque a non rimanerne incantato. E se insistendo lo allontanassi ancora di più? Non so che fare. Insisto? Lascio fare a lui?>> Sbattei la testa sul tavolo in preda alla frustrazione e Lucas, per tutta risposta, scoppiò a ridere.

<<Credo in te, mi hermana>> Disse scompigliandomi allegramente i capelli. <<Camarón que se duerme se lo lleva la corriente.>>

<<I proverbi di tua madre con me non funzionano.>> Sbottai all'improvviso. <<Lo so da me che chi dorme non piglia pesci, non servivi tu a ricordarmelo.>>

Lucas rise e mi lanciò il pacchetto di sigarette, invitandomi a fargli compagnia fra i primi raggi del sole della giornata. Parlare con lui era sempre così semplice. Quando mi sentivo persa era sempre lì, a sorridermi e farmi notare che la soluzione era davanti ai miei occhi ed era più semplice di quel che immaginassi. Era il mio raggio di sole, la mia luce. Mi aveva guidato fuori dal tunnel infinite volte ed ero certa che lo avrebbe fatto per sempre. In qualsiasi altra vita, lui ci sarebbe comunque stato. Non ero me stessa senza Lucas al mio fianco.

Gli sorrisi, gli diedi una spallata giocosamente e iniziai la giornata con lui al mio fianco, la sua dolcezza e i pensieri di Angel che, di tanto in tanto, infestavano la mia mente.


Avevo seguito il consiglio di Lucas e avevo contattato Angel per chiedergli di uscire e passare un po' di tempo insieme a me. Aveva accettato, il che per me era stato un grande traguardo. Eppure non aveva mostrato grandissimo entusiasmo a differenza mia che, invece, quando avevo ricevuto il suo messaggio di avevo iniziato a pensare a tutto ciò che avremmo potuto fare.

Non volevo fare le solite cose, volevo qualcosa che potesse dargli modo di farsi conoscere e farmi conoscere un po' meglio, senza andare nei soliti pub o bar della città. Volevo davvero che lui mi conoscesse, che sapesse che tipo di persona fossi. Alla fine, però non mi era venuto in mente nulla di entusiasmante e così eravamo rimasti d'accordo sul luogo d'incontro.

Angel mi aveva comunicato che staccava da lavoro alle cinque del pomeriggio e mi aveva invitata a raggiungerlo lì e aspettarlo. Non avevo la più pallida idea di quale lavoro facesse, ma quando mi fermai ai piedi di un negozio di tatuaggi mi venne da sorridere. L'insegna al neon rossa illuminava quell'angolo del quartiere recitando le parole Demon's Paradise.

Risi ancora per l'ironia.

Lasciai correre lo sguardo sulle vetrine, sui disegni esposti, mi avvicinai di qualche passo e li osservai attentamente più da vicino. Avevano qualcosa di talmente bello da lasciare senza respiro.
Quando aprii la porta, sentii il campanello tintinnare e in quell'esatto istante Angel fece capolino con il suo blocco da disegno in mano e una sigaretta posata fra le labbra.

<<Ehi>> Disse facendo qualche passo verso di me.

<<Ehi>> Risposi senza guardarlo. Girai su me stessa con l'intenzione di esplorare quel posto nei minimi particolari e, ovviamente, rimasi a bocca aperta.

Come il nome del negozio faceva pensare, per quanto paradossale potesse sembrare, una volta entrata mi accorsi che sembrava realmente un ritaglio dell'inferno curato nei minimi particolari, tanto da essere spettacolare quanto i giardini dell'Eden. Non mi seppi spiegare per quale ragione, ma ogni dettaglio di quel posto sembrava proprio gridare il nome di Angel.

Sul soffitto erano disegnate delle piume ed erano state create con una prospettiva tale da sembrare che stessero svolazzando sopra la mia testa. Con un po' di fantasia, si poteva pensare fossero create dalla cenere delle anime torturate agli inferni.

Sulle pareti si rincorrevano fiori e fiamme, i petali avevano lo stesso colore del sangue e dal nero che bruciava quell'incantevole distesa di boccioli dei quali, purtroppo, non conoscevo il nome.

Ero circondata dal fuoco, quasi come se vedere bruciare quei fiori fosse la punizione della povera anima che giaceva in quell'angolo di inferno. Bello da togliere il fiato, da sembrare il paradiso, un paradosso tale lo vedevo solo nel ragazzo che lo aveva dipinto, nei suoi occhi, racchiuso in quei silenzi che significavano molto più di mille parole.

Mi era sempre più chiaro, osservandolo, per quale motivo si chiamasse così e quando i miei occhi si posarono sull'angelo dipinto al centro di una delle pareti, tra i fiori color sangue, nei fui quasi del tutto certa. Giaceva inerme tra le fiamme, il viso sofferente.

Percepii il suo dolore sulla pelle, tanto da rimanere con il fiato sospeso ad accarezzare il suo viso, come se mi sentissi in dovere di consolarlo, nonostante la consapevolezza che si trattasse di un disegno. Ne sfiorai i contorni, mentre la sofferenza si fece vivida anche nel mio cuore. I polpastrelli delle mie dita percorsero ogni centimetro dell'angelo fino a soffermarsi sulla sua mano, tesa verso il sole.

In quella distesa di fiamme, di fiori e cenere, il sole regnava sovrano. Un eterno tramonto in cui l'angelo sembrava pregare che quella sofferenza finisse, che gli venisse donata la libertà, che quell'agonia non fosse eterna. Ma il suo volto era scolpito dall'angoscia. E proprio mentre i miei occhi percorrevano insieme alle mie dita ogni centimetro di quelle pareti, rapiti dai dettagli di ogni singola cosa, mi sembrò di essere stata catapultata lì, di sentire l'angelo pregare tra le fiamme.

Alla fine, con ancora il respiro incastrato in gola e il cuore che scalpitava chiedendo pietà, mi voltai in silenzio, stringendomi nelle spalle.

Lo vidi lì, fermo ad osservarmi attentamente, mentre torreggiava in quell'angolo dell'inferno dove il sole sembrava destinato a non tramontare mai.
Angel mi sorrise e proprio mentre le sue labbra si incurvarono lievemente e i suoi occhi incontrarono i miei, mi ritrovai a pensare a quanto quel posto fosse perfetto per lui.

Pensai che fra quei disegni vi erano tutte quelle parole che non pronunciava mai, che su quelle pareti erano dipinti tutti i suoi silenzi, i suoi sguardi, le sue cicatrici.

<<Possibile che ogni cosa che ti riguarda mi sorprenda così tanto? Questo dipinto ha qualcosa di straziante e magnifico al tempo stesso. Sono senza parole>> Esordii dopo qualche istante di silenzio, mentre Angel camminava per il salone osservando lui stesso le pareti del suo negozio, carezzandone l'intonaco di tanto in tanto e tornando a osservarmi soltanto dopo le mie parole.

<<Possibile, sì.>> Replicò con un sorriso.

Si accese una sigaretta e soffiò il fumo lasciando che la nicotina accarezzasse delicatamente i lineamenti del suo viso, si incastrava perfettamente in quel posto, quasi fosse nato perché lui vi ci regnasse. Sembrava sentirsi incredibilmente a suo agio tra quelle fiamme e in quell'eterno tramonto.

In quel momento notai un luccichio nei suoi occhi, qualcosa che sembrava dire che in quel posto, fra quelle pareti, lui si sentiva a casa. Fu la prima volta che lo vidi abbozzare uno spontaneo sorriso, lo fece solamente osservando quei disegni, l'arte intrappolata in quelle pareti.

Avevo la sensazione che sull'intonaco ci fosse tanto di lui. Che ci fossero tutte quelle parole che non diceva mai, che ci fossero marchiate in modo indelebile quelle ferite di cui si ostinava a non voler prendersi cura. E vedere quello spontaneo sorriso mentre osservava i suoi stessi disegni, mi fece perdere un battito.

Tutti gli enigmi che nascondeva fra quelle glaciali e magnetiche iridi sembravano improvvisamente scomparsi. Era così bello che una fotografia non gli avrebbe mai reso giustizia, in nessun modo.

Angel era di un fascino poetico, che mi attirava a sé senza il bisogno di fare nulla. Mi bastava ascoltare i suoi silenzi, osservare ogni dettaglio di lui e impremerlo a fuoco nella mente nella speranza che un giorno, chissà quale e quanto lontano, lui potesse guardarmi nello stesso modo e desiderare la medesima cosa.

<<Mi permetterai mai di conoscerti meglio?>> Gli chiesi, mentre lo guardavo chiudere il negozio e infilarsi le chiavi in tasca.

Angel si voltò ad osservarmi, mi allungò una sigaretta e l'accese con il suo accendino. Lo trovai un gesto carino, anche a Lucas capitava di farlo ogni tanto. Sorrisi mentre lo guardavo accendere la sua e soffiare il fumo verso il cielo, per poi tornare a posare gli occhi su di me, mentre passeggiavamo fianco a fianco lungo Bourbon Street.

<<Che cosa vuoi sapere?>> Domandò.

I raggi del sole baciavano la sua pelle e facevano scintillare gli anelli che portava alle dita. Le sue ciglia disegnavano ombre sui suoi zigomi, mentre lui mi osservava con attenzione. Pensai che probabilmente mi stesse studiando e per un istante mi chiesi a cosa pensasse quando mi guardava negli occhi, se il fatto che volessi conoscerlo veramente lo mettesse in difficoltà o gli provocasse un certo fastidio.

Era un enigma indecifrabile per me, sotto ogni punto di vista, ed era proprio per quel motivo che ogni fibra del mio corpo voleva così tanto che lui si facesse comprendere.

<<Qualsiasi cosa tu abbia voglia di dirmi o raccontarmi. Sai, fare un po' di conoscenza, come le persone di solito fanno>> Dissi facendo spallucce e sorridendogli.

Io, dal canto mio, mi sentivo piuttosto trasparente e non difficile da comprendere. Ero sempre stata quel tipo di persona che si mostrava esattamente per quella che è, senza intrighi o misteri. Per lui era nettamente più semplice capirmi e immedesimarsi nel mio modo di vedere il mondo, cosa che di certo non si poteva dire di Angel.

Ma se c'era una cosa che avevo capito in quei pochi giorni passati assieme, era che lui lo sapeva perfettamente e, probabilmente, era proprio quello che voleva. Sembrava quasi intimorire con il suo modo di fare, ma io non ero disposta a permetterglielo anzi, volevo di più.

Mi sarebbe piaciuto vedere il mondo come lo vedeva lui, in un certo senso, forse così avrei finalmente compreso per quale motivo fosse sempre così schivo e distante.

<<La notte mi fa sentire al sicuro.>> Angel ruppe il silenzio e catturò la mia attenzione con le sue parole. Guardava il cielo intensamente, camminava con le mani nelle tasche e si perse da qualche parte fra le nuvole. La sua affermazione sembrava quasi più un pensiero a voce alta, tanto che non mi dedicò nemmeno un'occhiata.

In un primo momento avrei voluto dirgli che per me era lo stesso, ma scelsi di non farlo, scelsi di domandargli cosa ci fosse nelle stelle e nella luna che lo faceva sentire al sicuro. Forse non eravamo poi così diversi, forse qualcosa in comune lo avevamo dopotutto. <<Perché?>>

<<Perché quando ero bambino era l'unico momento in cui non dovevo ascoltare quello che dicevano i miei genitori.>> Fu una risposta così spiazzante, che rimasi con il respiro incastrato in gola.

L'inespressività nella sua voce e sul suo viso furono come una pugnalata dritta al cuore. Mi ritrovai a pensare a come si dovesse sentire e mi domandai se lui sapesse quanta tristezza ci fosse in quelle parole, anche se a giudicare dalla naturalezza con cui le aveva pronunciate, probabilmente non se ne rendeva minimamente conto.

<<Mi sembra una cosa molto triste. Devi esserti sentito molto solo. E a questo punto mi chiedo come tu possa trovarci sicurezza quando il contesto in sé non te ne dava.>> Sussurrai in un sospiro, intenta ad osservare ogni espressione del suo viso per cercare di capire quali emozioni stesse provando.

<<Il silenzio e la solitudine sono cose che sono estremamente sottovalutate >> Mi lanciò una semplice e furtiva occhiata, poi scrollò le spalle. Mi trovavo d'accordo con le sue parole, ma ero anche dell'idea che dipendeva dai singoli momenti e dalle circostanze.

Sorrisi e scossi la testa, attirando lo sguardo confuso di Angel. <<Non immaginavo che la conversazione potesse prendere una piega di questo tipo.>>

<<Allora te lo ripeto: che cosa vuoi sapere, Layla?>> Sollevò le sopracciglia e notai che le sue labbra si erano leggermente incurvate sino a mostrare un timido e quasi impercettibile sorriso.

<<Qual è il tuo ricordo più bello?>> Feci qualche passo avanti e presi a camminare all'indietro dedicandogli la mia attenzione completamente. Ero esattamente di fronte a lui e lo osservavo intensamente incuriosita da ciò che avrebbe potuto rispondere.

<<Il giorno in cui ho conosciuto Dominic.>> Replicò Angel spontaneamente, senza nemmeno aver bisogno di fermarsi a riflettere.

Dovevano essere profondamente legati, a giudicare dal modo in cui parlava di lui. Sembrava l'unica persona che per lui contasse davvero, l'unica sua certezza. In un certo senso mi ricordava tanto il rapporto che avevo con Lucas.

Stavo per rispondere a Angel e confessargli che anche per me, uno dei miei ricordi più belli, era il giorno in cui avevo incontrato Lucas, ma i miei occhi furono catturati dall'auto d'epoca parcheggiata proprio a lato della strada.

Mi avvicinai incantata, girai attorno alla macchina e spiai dentro ai finestrini i suoi interni, meravigliosi come ogni cosa di quel mezzo. La carrozzeria era tinta di una pallida tonalità di rosa e catturava l'occhio di chiunque, immersa tra i colori di New Orleans, mentre i sedili di pelle erano tenui, quasi bianchi.

Quella macchina era un gioiello, curata nei minimi dettagli, in condizioni quasi immacolate e notai che di tanto in tanto qualche passante si soffermava a scattarle delle foto. Mi ritrovai a pensare che fosse una delle opere d'arte più belle sulla quale i miei occhi si fossero mai posati.

<<Ma questa è una Cadillac Fleetwood del sessanta.>> Esclamai entusiasta.

<<Ti piacciono le auto d'epoca? Questa volta sei stata tu a sorprendermi>> Domandò Angel affiancandomi.

Mi voltai ad osservarlo con un sorriso e notai che anche lui mi stava sorridendo. Aveva le mani infilate in tasca, incuriosito.

<<In realtà mi piacciono molto le auto in generale. Quelle d'epoca hanno sicuramente un posto in prima fila, fin da piccola mi hanno sempre affascinata particolarmente. Mio padre è un meccanico, sono appassionata di motori da quando ne ho memoria, al liceo mi guadagnavo qualche spicciolo sistemando le macchine dei miei amici>> Sospirai e tornai a guardare l'auto, stupenda in ogni suo millimetro.

<<Hai visto? Anche io nascondo cose sorprendenti alle volte.>>

Angel si avvicinò al mio orecchio, senza smettere di sorridere. Sentii il suo respiro sulla mia pelle, che mi fece rabbrividire.

<<Aspettami qui, devo fare una cosa.>>

Rimasi da sola con quella meraviglia per qualche istante, finchè non sentii tintinnare un paio di chiavi e il mio sguardo incrociò quello di Angel. Aprì la macchina, l'accese e abbassò il finestrino. Mi chinai lievemente per poter scorgere il sui viso e il suo sguardo divertito mi strappò una risatina. Piegai la testa di lato e rimasi a guardarlo, mentre lui con un gesto del capo m'invitò a salire.

<<Ho detto che mi piacciono le auto d'epoca ma non era necessario rubare le chiavi.>>

<<Il furto non è sicuramente una delle attività illegali che preferisco. Gli atti osceni in luogo pubblico sono sicuramente più divertenti.>> Replicò lui, prima di spingere il piede sull'acceleratore.

Il rombo del motore sembrò pronunciare il mio nome, tanto che mi lasciai sfuggire un sospiro e lanciai un'occhiata alla macchina, tornando poi ad osservare lui.

<<Sarebbe un invito?>> Sollevai le sopracciglia, divertita, con l'adrenalina che scorreva nelle vene. Avevo un amore incondizionato per le auto d'epoca e l'invito di Angel stava risultando sempre più difficile da rifiutare, soprattutto se mi guardava in quel modo.

<<Potrebbe diventarlo.>> Mi osservava così intensamente che alla fine cedetti e aprii la portiera. Salii in macchina e lasciai che Angel mi portasse dovunque volesse.

<< Questa macchina è del padre di Dominic. È da sempre un fan sfegatato di Elvis, casa sua brulica di cimeli inestimabili e con i soldi messi da parte negli anni, ha comprato quest'auto >> spiegò Angel lungo il tragitto.

<< Ci vuole del coraggio a prestare quest'auto a te >> risposi, mentre osservavo il quadrante dell'auto mostrare la velocità a cui Angel stava guidando.

Si destreggiava bene tra le strade e fui colpito dalla sua capacità di gestire un'auto di quelle dimensioni.

<< Ci vuole più coraggio a prestarla a Dominic >> replicò lui, mentre le sue dita scivolavano lungo il manubrio color crema.

<< Te le ha date lui le chiavi allora >> constatai, mentre abbassavo lievemente il finestrino.

<< Sì. Dom lavora in un negozio vicino a dove era parcheggiata l'auto. Visto che ti piaceva così tanto, gli ho chiesto di prestarmela per portarti a fare un giro. Pensavo ti avrebbe fatto piacere >> rispose.

Sorrisi in silenzo e restai a guardarlo affasciananta dalla naturalezza delle sue iniziative, dal fascino inespugnabile dei suoi gesti.

Se Angel mi stesse portando in paradiso oppure a fare visita all'inferno non ne avevo idea e nemmeno m'importava. Potevamo andare ovunque volesse, in qualunque posto, mi bastava un suo sguardo per far sì che lo seguissi. Mentre attraversavamo la città e il tramonto baciava l'incarnato di Angel, mi ritrovai a pensare che mi stesse portando a vivere, perché il mio cuore batteva così forte mentre lo guardavo che nient'altro per me contava, in quel momento.


Alla fine ci eravamo fermati ad Audubon Park. Si trattava di un parco naturale tra St. Charles Avenue e il fiume Mississippi, situato nel quartiere Uptown di New Orleans. Ci ero già stata qualche volta con Lucas, avevamo girato il parco in lungo e in largo, fra chiacchiere e risate, seduti su una panchina qualunque in compagnia di qualche spinello e vecchi ricordi che strappavano a volte un sorriso e a volte, invece, qualche lacrima.

Angel aveva seguito un sentiero che ci aveva portati dinanzi a un piccolo lago, che in quel momento rifletteva le luci del tramonto. Ci eravamo seduti su una panchina a pochi metri dalla riva, di fronte allo specchio d'acqua.

<<Hai detto che volevi conoscermi. Questo è il mio posto preferito.>> Ammirava il paesaggio affascinato, il sole si rifletteva nelle sue iridi magnetiche e lui era completamente rapito da ogni dettaglio di quel posto.

Le sue pupille vagavano ovunque, come se stesse fotografando quello spettacolo nella sua mente. <<Mi piace venire qui a disegnare>>

Non mi seppi spiegare la ragione, ma vederlo così preso dalla natura e dal tramonto stesso, mi fece sorridere. Ricordai di quando anche io vagavo per le strade della mia città natale, sola e infestata dai ricordi, fino a raggiungere quell'albero che mi faceva sentire al sicuro, protetta, anche nel cuore della notte e con solo la luce della luna a tenermi compagnia.

<<Anche io avevo un posto così, nella mia vecchia città. Quando mi sentivo triste o particolarmente sola andavo lì, il più delle volte nel cuore della notte. Mi sedevo sotto l'albero e rimanevo ad ascoltare il silenzio, per ore e ore. Guardavo le stelle e ammiravo la luna per un po', mi faceva sentire meglio. Mi trasmetteva una certa pace e la tristezza svaniva. Sembrerà paradossale, ma mi faceva sentire meno sola.>>

I ricordi delle notti insonni tornarono a far visita al mio cuore, facendolo scalpitare e piangere per qualche istante, ma sorrisi ugualmente, come se fossi ancora lì. Era strano il modo in cui le mie memorie più intime mi riportassero a casa, di tanto in tanto.

Era bello ricordare senza rimpiangere nulla di ciò che avevo vissuto. Ero andata avanti, avevo cambiato vita, non ero più lì, ma alle volte con la mente tornavo a quegli istanti in cui avevo respirato la libertà e me l'ero cucita addosso. E sorridevo. Avevo smesso di piangere e avevo cominciato a sorridere quando tornavano a farmi visita.

Avevo smesso di sbattergli la porta in faccia, avevo cominciato ad aprirla e lasciare che mi riportassero di nuovo lì, nel mio posto. Lì dove avevo trovato la mia casa, per tanto tempo, ed ero stata felice. Una felicità che mi avrebbe accompagnata per sempre, perché mi si era cucita addosso e non mi aveva lasciata andare nonostante tutto.

Angel ruppe il silenzio dopo essersi acceso una sigaretta. Per qualche istante si perse da qualche parte, fra i raggi del sole che si specchiavano sull'acqua e le nuvole che avevano assunto i colori del tramonto. Quei colori erano meravigliosi riflessi nel piombo fuso che giaceva nelle sue iridi. Mi tolse il respiro il modo in cui era rapito dalla natura, da tutto ciò che la caratterizzava.

Mi chiesi dove fosse fuggito con la mente, finchè non mi lanciò un'occhiata e fra gli sbuffi di nicotina che circondavano il nostro viso, alla fine, diede voce ai suoi pensieri.

<<Quando ero ragazzino Dominic e i suoi genitori mi hanno portato in vacanza con loro. Siamo andati a visitare l'Hoh rain forest, nello stato di Washington. Nella mia vita non ho mai più visto qualcosa di così magnifico e terrificante allo stesso tempo. Sono rimasto così affascinato da quel posto da iniziare a camminare senza neanche prestare attenzione alla direzione che prendevo. Non mi sono accorto di essermi perso fino a quando non mi sono ritrovato da solo >> parlò con una sigaretta spenta appesa tra le dita e il blocco da disegno aperto sulle gambe.

Lo portava ripiegato su sé stesso incastrato nella tasca, ovunque andasse, la sua arte lo seguiva come un'ombra. Era una prticolarità di lui che avevo notato solo quel pomeriggio, quando avevo visto sbucare il blocco dall'orlo della tasca dei suoi jeans.

<< C'eravamo solo io e quegli alberi così fitti che coprivano persino il cielo. Ho trascorso anni a desiderare di rimanere solo ma quando mi sono accorto che non sapevo dove fossi, né quale direzione prendere, ho avuto paura. Quella è stata la prima volta in cui ho provato un terrore simile. Più mi guardavo attorno e più mi accorgevo che l'unica persona su cui potevo contare ero io. In quel momento ho capito che c'è un'enorme differenza tra lo scegliere di stare soli e l'essere costretti alla solitudine.>> proseguì.

Lo ascoltai in silenzio, rapita dalla sua voce e dalle sue parole. Tutto ciò che raccontava sembrava così triste, nonostante il suo viso fosse impassibile. A volte sembrava che niente potesse scalfirlo, che non provasse emozioni, eppure ciò che raccontava e il modo in cui lo faceva, racchiudeva un'inspiegabile tristezza. Mi chiesi se ne fosse al corrente, se lo sapesse.

<<E poi che cosa hai fatto?>> domandai.

<<Io e Dominic ci siamo incontrati a metà del percorso che avevo seguito. Quel giorno ho capito che non importa quanta strada io possa fare, lui troverà sempre il modo per raggiungermi >> rispose pacato.

Lo fece con lo sguardo appeso all'acqua del lago, tra le increspature che riflettevano il rossore del sole che infiamamva il cielo.

<< Mi sono ripromesso che non avrei mai più provato una paura simile.>> solo allora, sorrise.

Il solo pensiero di avere Dominic al suo fianco lo faceva sorridere. Capii che lui era la sua unica certezza e l'unica luce in quel luogo in cui si era rinchiuso. Lui aveva paura di rimanere da solo, questo mi era chiaro dopo le sue parole, a volte la solitudine l'aveva cercata e la cercava, come se fosse convinto che solo così sarebbe stato bene.

<<E ci sei riuscito?>> Domandai, stregata dalle sue parole.

<<La vita non è gentile con nessuno, Layla. Ma qualcosa mi dice che questo tu lo sappia già.>> solo in quel momento si voltò a guardarmi. E proprio lì, baciato dal tramonto e con le ombre a tempestargli lo sguardo, mi sembrò per la prima volta fragile, vulnerabile.

Gli sorrisi e incrociai le gambe piazzandomi esattamente di fronte a lui. Angel mi dedicò tutte le sue attenzioni, osservando ogni espressione del mio viso, ogni dettaglio.

<<Sai, molto spesso mi capita di soffermarmi ad osservare Lucas e cercare di imprimere nella mia mente ogni singolo dettaglio di ciò che è. Il modo in cui mi fa sentire al sicuro, protetta, a casa. Cerco sempre di godermi al massimo ogni istante passato con lui, di ascoltare la sua risata o di non perdermi mai nulla di ciò che dice o fa. Ha fatto tanto per me, ha sacrificato davvero tanto per rimanere al mio fianco. È una parte molto importante della mia vita, un tassello fondamentale, senza il quale sarei persa. Completamente alla deriva. E così mi ritrovo a osservarlo per infiniti istanti, con la paura di svegliarmi il giorno dopo e non trovarlo più. Non sentire più il profumo del caffè che mi prepara ogni mattina, non poter più ascoltare il suono della risata o il rumore dei suoi passi quando cammina per il corridoio in piena notte e viene da me, perché non riesco a dormire. Ho giurato che mi sarei goduta ogni singola cosa, che mi sarei presa cura di lui sempre, perché non voglio trovarmi a dover imparare a vivere senza di lui. Il pensiero di una vita senza Lucas mi spaventa da morire, più di quanto persino lui stesso possa immaginare.>>

<<La tua paura e la mia, in fondo, non sono poi così diverse.>> Disse semplicemente con un amaro sorriso a incorniciargli il viso.

<<Forse, dopo tutto, io e te non siamo poi così diversi.>> Dopo le mie parole, Angel si abbandonò a una spontanea risata.

Non mi fu concesso sapere cosa in ciò che avevo detto gli avesse suscitato divertimento, ma vederlo ridere illuminato dai raggi del sole mi scaldò il cuore. I suoi occhi avevano storie da raccontare, più passavo del tempo con lui più me ne rendevo conto. Ero disposta ad ascoltare tutti i suoi silenzi, se me lo avesse concesso.

Avrei provato a comprenderli e li avrei condivisi con lui. Io ero rimasta in silenzio per un tempo che mi sembrava un'eternità, accompagnata da Lucas e dalla luce delle stelle, e mi aveva aiutato più di quanto si potesse immaginare. Nonostante non volesse darlo a vedere, nei suoi occhi lo vedevo il dolore che provava a nascondere persino a se stesso.

Lo sentivo sulla mia pelle quando mi parlava in quel modo e quando mi concedeva, anche se per brevi istanti, di entrare nel suo mondo per vederlo dalla sua prospettiva. Sembrava avere indossato il dolore talmente bene da non rendersi conto che gli si era cucito addosso e si era radicato a fondo, fino ad arrivare al suo cuore e averlo avvelenato.

Eppure, in qualche modo, il dolore si univa al suo incanto e ai miei occhi appariva bellissimo, in ogni sua sfumatura, con ogni cicatrice che portava.

Guardai Angel disegnare, dopo essere tornata a sedermi al suo fianco. Lo osservai tracciare quelle linee delicate, mentre scrutava il paesaggio attentamente e cercava di disegnarne nel dettaglio ogni linea, mi chiesi dove fosse con i pensieri. Ogni suo disegno sembrava una fotografia in bianco e nero, uno scatto di come il mondo appariva ai suoi occhi.

Era bello stare con lui persino così: in silenzio, seduti l'uno accanto all'altra ad osservare il tramonto. E proprio in quel momento, mentre estrasse la sua sanguigna e prese a delineare il tramonto, mi chiesi se avesse un colore preferito. Se nel suo mondo di bianchi e di neri ci fosse un colore che gli trasmetteva emozioni, che gli strappava un sorriso.

<<Angel?>> Lo chiamai rompendo il silenzio.

<<Dimmi>> Sospirò rumorosamente e posò la sua sanguigna sul blocco. Si accese una sigaretta e si voltò ad osservarmi, ancora perso in quello specchio d'acqua e intrappolato in quel tramonto che scaldava il cuore.

<<Qual è il tuo colore preferito?>> Gli chiesi all'improvviso. Sfiorai il suo blocco da disegno con i polpastrelli delle dita, accarezzai il tramonto che aveva disegnato sotto al suo sguardo attento e magnetico.

Era semplicemente uno schizzo fatto in cinque minuti, eppure aveva qualcosa di estremante incantevole. Non potevo sfiorare il sole, ma mentre sfioravo quelle linee mi sentii come se lo stessi facendo.

Alzai gli occhi incontrando lo sguardo di Angel, un sorriso increspò le sue labbra e il suo sguardo percorse ogni centimetro di me. Dai miei occhi, alla sfumatura dei miei capelli, ai tatuaggi sulle mie braccia, fino a tornare nuovamente a guardarmi intensamente, come se anche lui si stesse chiedendo dove fossero persi i miei pensieri.

<<Il colore del tramonto.>> Sussurrò dopo istanti di interminabile silenzio.

Allungò la mano e con un gesto lento tese la mano verso il mio viso. Annullò la distanza che lo separava da me con quel gesto e tra le dita si lasciò scivolare una ciocca dei miei capelli, piano, con una lentezza che mi strappoò il respiro, ne sfiòrò ogni centimetro sino a quando gli scivolò via dai polpastrelli.

Rimanemmo lì, in silenzio, con il sole che lentamente ci abbandonava e incastrati in quel tramonto che avrei desiderato fosse eterno. Io persa nei suoi occhi e lui che mi accarezzava i capelli, in silenzio.
Furono istanti che mi avrebbero accompagnata fino a che avrei avuto vita.

In quel momento non lo sentii così distante, fu la prima volta che Angel mi lasciò oltrepassare quel muro che lo circondava da quando lo avevo incontrato, anche se di poco. Fu per quello che custodii quel momento nel mio cuore e mi sentii come se, da quel giorno in poi, sarebbe diventato uno dei miei ricordi più belli.

Spazio marshmellow:

Holaaaaaa!

Come vi è sembrato il capitolo?

Ovviamente essendo dal POV di Layla, il capitolo (battute di Angel escluse) è stato scritto da Ila.

Cosa ne pensate di questi due? Diciamo che questi primi capitoli hanno lo scopo di farvelo conoscere un po' meglio, anche se con angel è un po' difficile 👀

Avete sviluppato qualche simpatia particolare?

Spero che la storia vi stia spiacendo, reggetevi perché fra po' inizia il delirio...

Vi voglio bene,

Grazie

Alex

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