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Capitolo 10: Antidote

Capitolo dieci: Antidote

TRIGGER WARNING ⚠️ :

Il capitolo seguente affronta agenti che possono urtare i più sensibili.
Se stai affrontando un periodo difficile o conosci qualcuno che lo sta vivendo, non esitare a contattare i numeri di emergenza:

TELEFONO AMICO: 02 2327 2327
TELEFONO AZZURRO: 1969
NUMERO PREVENZIONE SUICIDIO: 800 334 343
NUMERO PREVENZIONE DISTURBI ALIMENTARI: 800 180 969
NUMERO VIOLENZA DOMESTICA: 1522
SUPPORTO PSICOLOGICO: 800 833 833
SUPPORTO PSICHIATRICO: 800 274 274
TELEFONO ROSA: 06 375 18282
SUPPORTO PER AUTISMO: 800 031 819

Il sentiero
per il paradiso
inizia all'inferno.
- Dante Alighieri

I respiri gracchianti di Layla mi raschiavano i timpani. Le sue palle erano scosse da tremori convulsi e incontrollati, le coperte le aggrovigliavano le gambe e i capelli scarlatti le ricadevano ai lati del viso.

Le ciocche vermiglie tessevano una tenda sottile che schermava il suo pianto straziante. Era divelta da un terrore sconosciuto, da una qualcosa che le stava strappando l'ossigeno dai polmoni e la mia voce non trovava la maniera di raggiungerla.

Era come se tra le pieghe della notte e i ricami d'argento che i raggi di luna intrecciavano tra le ombre, il suo cuore si accartocciasse negli attimi. Il terrore la stava depredando di tutto ciò che aveva e lei tremava sotto il mio sguardo, con i respiri che incespicavano tra loro sino a incurvarle la schiena. Aveva avuto un altro incubo.

Tesi la mano verso la sua spalla nuda rattoppata dalle ciocche di capelli, con le dita scosse dall'asia di spaventarla ancora e il cuore che si strozzava per il terrore di non sapere come aiutarla, come raggiungerla.

I miei polpastrelli sfiorarono il suo incarnato avvolto dalle ombre, quella sua pelle morbida increspata dai brividi e lei si voltò a guardarmi. Divenni pietra sotto i suoi occhi, perché c'era una tale disperazione racchiusa nelle sue iridi da lasciarmi cascare nell'impotenza, in un vortice di insulsa inutilità.

Non sapevo come chetare i suoi respiri, come restituirle l'ossigeno che il terrore le stava strappando di dosso tra le pieghe del silenzio. Avrei voluto donarle i miei polmoni, condividere bronchi e alveoli con lei che nel sonno li aveva perduti.

La mia natura di veleno mi stava intossicando cuore e mente, perché io guardavo Layla e tutto ciò che riuscivo a pensare era che non ero mai stato l'antidoto per le sofferenze di nessuno, nemmeno per le mie. Io la guardavo e tutto ciò che sapevo fare era specchiarmi nel suo dolore e restarne annichilito.

<< Layla, sono qui. Non ti lascio >> dissi, la voce macchiata dall'ansia.

<< Respira assieme a me >> continuai.

Strinsi le mie dita alle sue che erano fredde e inumidite dal nervosismo, il polpastrello del mio pollice le solcò la pelle, piano con una delicatezza che non sentivo nemmeno mia.

Le scostai con la mano libera i capelli dal viso, liberai i suoi zigomi alti dalle ciocche inzaccherate di sudore, dalle lacrime che le arrossavano lo sguardo. Fissai gli specchi d'acqua delle sue iridi, il modo in cui la luce che filtrava dalla grande vetrata della finestra ne tingeva la superficie.

Aveva le labbra schiuse, i respiri soffocati che le inaridivano la bocca che tremava assieme a lei, mentre perle di sale le scivolavano lungo il profilo del viso.

Lacrime calde si gettarono a capofitto tra le mie dita, sospese poco sotto il suo volto, scosse dalla sua paura. Le stringeva con una forza che sembrava forgiata dalla stessa disperazione che le vedevo riflessa negli occhi.

<< Respira >>.

<< Piano, segui me >> proseguii.

Riempii i polmoni d'ossigeno e Layla si sforzò di emularmi, anche se tremava, anche se il pianto le annaffiava le guance e tutto in lei sembrava essere scosso da un terrore che non conosceva padrone.

<< Brava, ora espiriamo >> dissi, prima di liberare l'aria che avevo ingabbiato nei polmoni.

Il cuore mi picconava le costole, era martoriato dall'ansia mentre la paranoia mi masticava il cervello sino a spolparlo del tutto. E i pensieri correvano senza tregua, a briglia sciolta, con una crudeltà infame.

Li sentivo gridare che il veleno non poteva curare, che le tossine non leniscono il dolore altrui, ma atrofizzano e uccidono. Niente in me era nato per aiutare gli altri, non ero nemmeno mai riuscito a medicare le mie di ansie, ma solo di nutrirle sino a bruciarmi la carne con le mie stesse mani.

Quelli erano i miei pensieri fissi, ciò che non potevo zittire perché tutta l'attenzione che avevo era per lei che faticava a respirare. Io non avevo importanza, ma lei, lei era la mia priorità assoluta.

<< Hai tutto l'ossigeno del mondo, tutto quello che vuoi. Respira con me >> parlai piano, sforzandomi più che potevo per non lasciar trapelare il mio terrore.

Axel dovette accorgersi del mio nervosismo perché da qualche parte da le mie parole e i respiri strozzati di Layla si era avvicinato ai piedi del letto.

Il grosso cane lupo era seduto sul pavimento lucido, a metà strada tra me e lei, i suoi vispi occhi ambrati scivolavano curiosi sul mio viso.

Axel poggiò una zampa sulla mia coscia, mentre giacevo a gambe incrociate davanti a Layla. Lui aveva sempre saputo quando ero nervoso, quando la paura mi masticava cuore e anima, sorrisi lievemente e lo guardai per un istante solo per tranquillizzarlo.

Lui ritrasse la zampa, ma decise comunque di poggiare il muso sul mio ginocchio, solo per darmi conforto.
Inspirai a fondo ancora una volta e Layla mi seguii, continuò a farlo sino a quando la paura non le scivolò via dalle spalle e il pianto si soffocò.

Tenne la mia mano stretta tra le sue ancora a lungo e restammo così, a guardarci con le labbra schiuse, a condividere il silenzio con la bocca svuotata di parole e i suoi occhi che scavavano nei miei con quell'insistenza che nei mesi non era mai scemata.

Mi tesi verso il suo viso e le regalai un bacio lieve, la sfiorai con una dolcezza che le mie labbra non avevano mai conosciuto, con una tenerezza che in vita non era mai riuscita a toccarmi.

Layla mi ringraziò in un sussurro, la voce ancora macchiata dal panico che l'aveva fatta tremare tra le mie dita, con l'attenzione che d'un tratto era scivolata altrove, dove io non potevo più ripescarla.

Tesi una mano verso il suo viso e le mie dita le agguantarono il mento, aveva la pelle ancora inumidita dalle lacrime ma io cercai il suo sguardo con una bramosia incontrollata. Trovai i suoi occhi e ci scovai tutte le sfumature di inadeguatezza che li avevano sporcati quando avevo visto la sua cicatrice la prima volta, la vergona di una ferita che non voleva vedessi.

Nei mesi, Layla non aveva smesso di scusarsi per la frequenza dei suoi incubi, per quel dolore che mi costringeva a guardare, per il terrore a cui assistevo, per le grida che dovevo ascoltare. Io però detestavo vederla così. Odiavo sapere che una parte di lei ancora si vergognasse delle sue ferite, che esistesse una parte del suo cuore che tremava sotto il mio sguardo, ammantata di una mortificazione che non conosceva ragione.

<< Non nasconderti da me, mai. Io non giudico le tue paure e per me non c'è niente in te che assomigli anche solo lontanamente alla debolezza. Quindi, smettila di evitare il mio sguardo >> dissi.

Traboccavo di un fastidio insopportabile nel vedere quanto fosse sfuggente, quanto inadeguata si sentisse davanti a me che mi brasavo le carni quando non riuscivo a sopportare la pesantezza dei miei pensieri.

<< Non avevo intenzione di evitare il tuo sguardo, sto solamente cercando di tornare alla realtà >> replicò lei, la voce graffiata dal pianto che le aveva inzaccherato il viso sino ad allora.

Lasciai che il palmo della mia mano scivolasse lontano dal suo mento e lo abbandonai lungo la sua guancia, con pollice che asciugava le briciole delle lacrime restanti.

<< Non sono fatta di vetro, Angel >> sussurrò, prima di tendere le dita verso il colletto della mia maglia per attirarmi a sé.

La sua bocca incontrò la mia e il suo respiro si spezzò sulle mie labbra, mentre il tocco sinuoso della sua lingua scivolava sulla mia. Si aggrappò al tessuto della maglia con una bramosia che sembrò sporcata di disperazione e mi condusse verso di lei per approfondire quel bacio.

Adesso era lei a rubarmi l'ossigeno ad accartocciarmi cuore e polmoni, lasciandomi cascare in un vortice di desiderio che mi cospargeva di brividi. Le azzannai il labbro e la mia mano le scivolò sulla spalla scoperta, prima di cascare lungo l'orlo della clavicola e giù sino ad accogliere il tepore rovente del suo seno.

Layla si lasciò sfuggire un gemito, una confessione tra le ombre, mi ricamò il suo desiderio addosso in un bisbiglio che s'infranse tra le mie labbra umide.

Abbandonai la sua bocca e le seminai germogli di baci lungo la mandibola, prima di scivolare lungo la linea del collo con la lingua che solcava la sua carne sensibile, proprio lì dove il suo cuore batteva sotto il mio tocco.

Le azzannai la pelle, divorato da una passione che mi stava incendiando persino le vertebre e mi crepava di brividi tra i silenzi, tra il suono dei suoi respiri spezzati.
Avvertii le dita di Layla insinuarsi tra le ciocche dei miei capelli e stringerle con bramosia.

<< Sono stata stuprata >> la sua voce s'incastrò tra i miei battiti tuonanti e nel confine di un istante, io mi congelai.

Avvertii qualcosa dentro di me incrinarsi sino a spezzarsi e le mie dita scivolarono lontano da lei, dal suo corpo caldo, nonostante le sue mani ancora mi cercassero. I suoi palmi incontrarono i miei, mentre io tentavo di ripescare la ragione, di agguantare i miei pensieri.

Restai immobile, inginocchiato davanti al viso di Layla imbevuto dai raggi d'argento della luna, con le sue dita incagliate alle mie e il petto ancora scosso dall'ardore che lo aveva incendiato pochi istanti prima.

La lucidità mi era cascata, rotolata altrove assieme al cuore, perché tutto taceva e persino i miei battiti sembrarono essersi zittiti davanti a quella confessione. Riuscivo a scorgere sul suo viso la sincerità come il riflesso nitido di uno specchio e nei suoi occhi mi pareva di riuscire a intravedere lo scintillio sottile dei segreti che ancora doveva pronunciare.

Mi scavava nello sguardo con quell'insistenza insana e insaziabile, restando in attesa, con le labbra schiuse e umide di baci, con l'orma della mia bocca a fiorirle sul collo tra petali d'ametista. Una lacrima di sudore mi colò lungo le vertebre, lenta, quasi persino il mio nervosismo faticasse a raggiungermi, come se il mondo avesse smesso di girare sul proprio asse e faticasse a ripartire.

<< Era tarda notte, mi trovavo nel parcheggio di un parco che frequentavamo spesso io e Lucas, proprio in
attesa che arrivasse. Ero in macchina, stavo fumando una sigaretta, ed è arrivato all'improvviso. L'ho visto
uscire da dietro i cespugli, camminava verso la mia macchina con le mani in tasca e le spalle leggermente. Non sembrava assolutamente il tipo di persona che potesse farmi del male, sembrava così calmo
e tranquillo, che quando bussò al mio finestrino sorridendo, gli sorrisi anche io. Aveva quel tipo di viso in
grado di metterti a tuo agio anche se non lo conoscevi. Aveva un sorriso così bello, così amichevole. Era
quel tipo di sorriso innocente e dolce che veniva naturale ricambiare. Era impossibile non farlo. Era stato
proprio il suo sorriso a farmi sentire tranquilla e al sicuro, come se ci fosse dipinta l'innocenza di un
bambino fra quelle fossette. Non avrei mai creduto che potesse arrivare a tanto, che potesse farmi del male
in quel modo. Stavamo parlando mentre fumavamo una sigaretta insieme, parlando del più e del meno. A ripensarci adesso fatico persino a ricordarmi quale fosse l'argomento della conversazione. Me lo ricordo, lì, appoggiato alla carrozzeria della mia auto accanto a me, con i capelli scuri scossi dal vento. Poi, d'un tratto, il suo viso ha cambiato espressione. Mi ha sbattuta a terra e mi è saltato addosso all'improvviso, senza nessuna ragione. Ricordo di aver urlato così forte che mi era sembrato di sentire le mie corde vocali lacerarsi. Ci ho provato a respingerlo, Angel. Ci ho provato con tutte le mie forze. Scalciavo, mi dimenavo come se fossi stata un animale in gabbia. Ricordo che riuscii a liberarmi, anche se solo per qualche secondo, le mani e lo graffiai. Ma ciò non fece altro che farlo infuriare ancora di più. Mi tappò la bocca e mi ripeté all'infinito che dovevo fare la brava, che tanto nessuno mi avrebbe sentita, nessuno avrebbe potuto aiutarmi. Ed
era la verità. Mi strinse i polsi sopra la testa e con la mano libera mi spogliò. Non mi sono mai sentita così
impotente in tutta la mia vita come in quel momento. Non c'era niente che potessi per fare impedirgli di
violarmi come stava facendo. E alla fine mi arresi. Disperata, senza forze, senza possibilità di riuscire a
evitarlo, mi arresi. Mi arresi a lui e alle sue mani, alla sua forza, al fatto che mi stesse violando. E ricordo che ripeteva il mio nome, tante, tante volte, mentre mi teneva ferma. Lo pronunciò tra i suoi gemiti e i mei singhiozzi, tra le mie lacrime e la passione malata che provava lui. Ricordo l'odore della terra umida e i graffi che mi lasciavano i rami attorno a noi, ricordo che il cielo fosse stellato quella notte e che io mi ritrovai a pregare le stelle di aiutarmi. Ovviamente lui aveva avuto ragione: nessuno mi sentì. Nessuno mi salvò.
Quanto dolore ho provato. Quanto sporca mi sentivo. Nei suoi occhi ho visto il marcio del mondo. Non c'erano sentimenti, non c'era più nulla di umano in lui. Ricordo ogni espressione del suo viso, ricordo ogni singola cosa che ha detto, dove ha messo le mani, dove per settimane ho avuto i segni violacei. I succhiotti sul collo, i graffi sulla pelle. Mi sentivo così sporca che per settimane facevo infinite docce durante le mie
giornate, tentando di grattare via il ricordo delle sue mani sul mio corpo con la spugna. Eppure non voleva saperne di andare via.
Per mesi, mio padre non si avvicinò a me senza essersi accertato che io lo vedessi. Non ho abbracciato mio padre per mesi, nessuno ha osato sfiorarmi anche solo per sbaglio per mesi. Non riuscivo a guardarmi allo specchio, quel momento si ripeteva costantemente nella mia testa come un loop infernale. Per mesi continuavo a vederne i segni, anche quando non ce n'erano più. Le persone mi guardavano e non facevano altro che ripetermi quanto fossi forte, quanto
coraggio avessi. Eppure io non la vedevo in me tutta quella forza. Mi ero arresa, gli avevo permesso di farmi
del male, non lo avevo fermato, non avevo fatto niente per impedirlo.
Fu dopo questo che decisi che mai, mai più nella mia vita mi sarei dovuta sentire in quel
modo. Che mai più nessuno avrebbe dovuto farmi del male, che avrei fatto qualsiasi cosa pur di impedire
che qualcuno mi lasciasse quel tipo di segni. E così cominciai a prendere lezioni di difesa personale. Detesto
essere colta alla sprovvista, detesto le sorprese e ancora adesso, a volte, capita che i flashback di quella
notte tornino a farmi visita e torturarmi fino allo sfinimento. Mi ci sono voluti anni di terapia prima di poter
essere la persona che sono adesso, la Layla che hai incontrato e che hai davanti in questo momento. Per
questo ti avevo detto che non avrei mai voluto che mi vedessi in questo stato, arresa al dolore. Quella notte
mi sono ripromessa che non mi sarei mai più arresa, che mi sarei aggrappata alla vita con le unghie e con i
denti. E così è stato. >> il discorso di Layla terminò, ma io restai incastrato tra le sue parole.

Ero sospeso a metà strada tra ciò che disse e la distanza che ci separava. Le sue dita erano ancora strette alle mie ferme, salde tra i tremori che mi scuotevano ed io mi persi tra gli sciami dei miei pensieri.
Brandon.

Quello era il nome che Layla pronunciava sempre quando sporcava il cuscino di lacrime, mentre le sue gambe si aggrovigliavano alle lenzuola e la voce raschiava le pareti senza tregua, quasi si sforzasse di grattare via l'intonaco.

La mia immaginazione non si era mai spinta così in là, non aveva mai osato ricostruire la natura degli incubi di Layla, ma capii che nemmeno i miei pensieri più contorti avrebbero mai sfiorato la realtà che si celava tra le ombre del suo passato.

Lei mi guardava con il silenzio a rammendarle i respiri taciti, le labbra umide schiuse impercettibilmente. Io guardavo quei suoi occhi chiari rabbuiati dalle ombre della notte, i lineamenti ammorbiditi dal buio e non trovavo la voce per parlare perché la mia mente scivolava via, lontano, tra pensieri che non riuscivo a raccogliere.

Mi alzai dal letto e le memorie mi cascarono davanti gli agli occhi. Ripensai alle volte in cui l'avevo sentita gridare il nome del suo carnefice tra le pieghe dei suoi incubi, a quella cantilena straziante che le lasciava lo spazio sufficiente solo a gridare, senza concedergliene altro per singhiozzare tra i pianti che regalava alla federa del cuscino.

Scivolai là, a quella serata trascorsa al parco assieme a lei, quando era stata divelta da tremori incontrollati e giurava che qualcuno si nascondesse tra i cespugli e le sterpaglie, avvolto dal manto delle tenebre.

Rividi il terrore che le aveva abitato lo sguardo quella notte e il modo in cui il suo viso era stato scolpito da una maschera di cera, quando qualcosa in me le aveva ricordato Brandon.

Ricordai la maniera in cui mi aveva guardato per un stante di troppo, l'occhiata che aveva rivolto a Lucas quando al parco si era accorta di quel mio gesto che l'aveva fatta cascare tra le braccia lugubri del suo passato.

Rividi la figura di Layla che si allontanava da noi quella notte, da me, solo per ritagliarsi un posto per se stessa, distante, tra le ombre degli alberi e il canto dell'acqua stagnante del fiume. Era restata ai piedi del ponte, con una sigaretta tra le labbra e la mente appesa al frammento di un ricordo, al frastaglio di qualcuno che l'aveva ferita con una violenza impronunciabile.

La mia immaginazione si spinse sempre più in là, sino a sfiorare i confini di un'altra realtà, dove davanti a me vedevo il corpo di Layla disteso fra intrecci di ramoscelli secchi e foglie raggrinzite.

Vidi le sue gambe nude deturpate dai lividi e il suoi viso macchiato dal pianto, mani sconosciute che la immobilizzavano e lei che gridava senza tregua, mentre pregava che la sua tortura morisse. L'orrore di quello spettacolo mi accecò, mi eclissò il cervello tra gli attimi e le mie nocche incontrarono l'intonaco del muro accanto a me.

<< Angel! >> il grido di Layla mi sfondò i timpani e quando mi voltai a guardarla, mi accorsi era lì, a pochi centimetri di distanza.

Le sue dita trovarono la mia mano, e la sua bocca soffio sui laceri che mi spaccano la pelle, sul sangue che mi colava lento tra le increspature della carne. Guardai le sue labbra piene, gli occhi che scavano sul mio viso alla ricerca di una spiegazione alla mia rabbia, mentre la confusione le crepitava nelle pupille.

Mi chiesi come si potesse scegliere di amarla e al tempo stesso di ferirla, come potesse esistere un sentimento tanto malato da rovinare e ferire il cuore altrui, da violare il corpo di qualcuno come se fosse una proprietà.

<<Se lo vedo, gli spezzo le mani. Te lo giuro >> la mia voce fu quasi un sussurro, ma grondava di una rabbia sconosciuta, di qualcosa che mi trasformò le mie parole sino a renderle una promessa mortale.

<< Non c'è pericolo. È in galera, esattamente dove deve stare >> replicò lei, mentre tentava di tamponare il sangue che lacrimava dalle mie ferite con il tessuto della sua maglietta.

Tentai di negoziare tra la parte sana di me e quella che non ne voleva di lasciarsi modellare dal moralismo.

Tra quello spicchio di me che era rasserenato dalla certezza che il mostro che aveva terrorizzato Layla fosse rinchiuso come la bestia che era e quella che invece, avrebbe preferito esistesse un angolo di mondo distorto e distopico, dove certe mostruosità venivano spaventate con la stessa intensità delle loro vittime.

Non ero mai stato un'anima gentile e di certo non ero nato per regalare compassione, n'è tantomeno per riporre le proprie speranze verso il prossimo. Però lasciai che la brutale ira che mi crepitava nel petto venisse soffocata dalla pace che trovavo solo quando guardavo Layla.

<< In te, non esiste niente di debole. Voglio che tu lo sappia >> dissi, mentre la mia mano abbandonava la sua per trovare la sua guancia.

<< E vorrei sapere cosa dirti, ma più mi sforzo di trovare le parole e meno ne ho. Riesco solo a dirti che sono felice che quel bastardo sia in galera, anche se mi piacerebbe tagliargli le mani per ciò che ti ha fatto >> proseguii.

Probabilmente se al posto mio ci fosse stato qualcun altro, avrebbe saputo scegliere delle parole più adatte, avrebbe saputo essere meno rude, meno crudo e violento. Io però non conoscevo la delicatezza, ma mi sforzai comunque di abbandonare boccioli di baci lungo ogni centimetro del viso di Layla.

La mia bocca solco i suoi zigomi sporgenti, la punta del suo piccolo naso e gli angoli dei suoi occhi angora salati dalle lacrime che aveva versato. La strinsi a me e affondai il viso nell'incavo della sua spalla, tra le ciocche dei suoi capelli vermigli che mi sfioravano le orecchie e le sue dita si aggrapparono alle mie spalle.

<< Angel, stai tremando >> il respiro di Layla si insinuò tra i miei capelli.

Era vero. Non me ne accorsi sino a quando lei non me lo fece notare. Avevo le spalle scosse dalla rabbia, dal terrore che provavo all'idea di non essere all'altezza delle sue aspettative, ma non ero abbastanza egoista per condividere le mie paure con lei.

<< Scusa. Mi fa solo incazzare non sapere cosa dirti >> risposi.

<< Angel, non ti ho raccontato quello che mi è successo perché mi aspettavo mi consolassi. Sono trascorsi anni da quella notte. Non essere così presuntuoso da credere che le tue parole possano aiutarmi più degli anni trascorsi in terapia >> replicò lei, la voce pregna di sarcasmo.

Mi ritrovai a ridere nell'incavo del suo collo, con le narici soffocate da quel suo profumo che mi ricordava i frutti di bosco, con quella fragranza delicata dal retrogusto aspro, quasi pungente.

<< Inoltre, ormai non ho più problemi con il contatto fisico >> aggiunse, il tono ancora divertito.

Mi allontanai da lei quel poco necessario per poterla guardare negli occhi, per cascare in quelle sue iridi chiare che sembravano pozze di acqua salmastra, come sorgenti che sbocciavano in una palude dimenticata da dio.

<< Oh, su questo non ho avuto dubbi nemmeno per un istante. Una delle tue attività preferite è saltarmi addosso >> replicai divertito.

Layla mi colpì il braccio con le nocche, ma le sue labbra piene restarono increspate da un sorriso. Non aggiunse altro, restò affissa tra le ombre rischiarate dalle luci che filtravano dalla finestra, mi guardò in silenzio.

Sembrava quasi fosse in attesa di un mio sussurro, di una carezza, di una delicatezza che io non sapevo come regalarle. Io riuscivo solo a pensare a quelle mani che non conoscevo, a quelle dita che la graffiavano, che la immobilizzavano mentre lei gridava con la voce frammentata dalla disperazione.

Sentivo l'eco delle urla straziate che pronunciava nel sonno, udii i suoi urli sciamarmi nel cranio come stormi di corvi di disgrazia. La strinsi ancora tra le mie braccia, quasi temessi che scomparisse e per un istante, credetti che forse il veleno della vita di Layla non potevo essere io, perché quel titolo era già di qualcun altro.

<< Sono felice di avertene parlato >> disse lei contro il mio petto, la voce attutita dal mio corpo.

Percepii il mio cuore pressato da quella confessione, dalla delicatezza che mi aveva sussurrato a fior di labbra, tra i ricami della notte. Quella era una sincerità che io non potevo condividere, che non potevo capire, perché nonostante Layla avesse visto le tenebre, nascondeva nello sguardo una speranza che io non avevo mai avuto.

Lei guardava il mondo tra i sorrisi, con quella brillantezza incastrata nelle iridi che io non avevo mai conosciuto e me la gettava addosso a ogni occhiata, quasi volesse condividere quella luce con me. Per ogni sguardo che mi regalava, io mi sentivo come se mi stesse invitando a condividere uno spicchio di sole in una giornata primaverile.

<< Se fossi una persona migliore di quella che sono, ti prometterei di non ferirti mai più >> pronunciai quelle parole e lei si allontanò dal mio petto quel tanto sufficiente per potermi vedermi il viso.

Mi guardò fisso negli occhi, come faceva sempre e la vidi scavare ancora, con quell'insistenza malsana che non l'abbandonava mai. Layla era sempre divorata dalla necessità di guardarmi come se credesse che i miei occhi fossero finestre, scorci che si affacciavano sui miei pensieri e che lei potesse vederli lì, scritti nelle mie iridi così diverse tra loro.

<< Io però non riesco a fare promesse che non ho la certezza di poter mantenere. Posso solo dirti che anche se non conosco il dolore che hai vissuto, lo puoi condividere con me ogni volta che vorrai >> aggiunsi.

Layla non rispose, si limitò a regalarmi uno dei suoi sorrisi ed era così raggiante da accecarmi il cuore. Mi domandai perché le persone che hanno sofferto pene più atroci, siano sempre quelle che sorridono di più, perché anche le mie risate erano state la maschera delle mie lacrime così tante volte che ne avevo perso il conto.

Mi chinai sul viso di Layla e poggiai la mia bocca sulla sua, con quel bisogno famelico e insaziabile che non riuscivo mai a sfamare del tutto. Le mie labbra gustarono il suo sapore e divorarono i suoi respiri che si spezzavano nei miei, la sentii stringere tra le dita le ciocche dei miei capelli, annidare i polpastrelli tra i ricci.

Avrei voluto saper dire di più per consolare il suo cuore, per indurla a capire che a volte io la guardavo e mie sentivo capito, quasi avessi ritrovato qualcuno che non rivedevo da tanto tempo. Eppure la mia bocca restava vuota, non riuscivo a dare forma ai miei pensieri e tutto ciò che riuscivo a fare era baciarla, mentre restavo in silenzio.

Non potevo dirle che io vivevo ogni giorno accanto a lei con l'ansia di rovinare ogni cosa. Non osavo confessare i miei pensieri più tetri, perché io respiravo la convinzione che il destino si nutrisse della mia solitudine e mi svegliavo ogni mattina pensando che tra i progetti dell'universo non ne esistesse uno per me.

Mi ero sempre arrangiato, non avevo mai cercato tra le stelle una rotta che mi conducesse verso le mete che speravo di raggiungere.

Se è vero che il treno della vita passa una volta sola, io non mai esitato a percorrere la distanza a piedi. Lo avevo imparato negli anni, perché per me la solitudine era sempre stata la mia più grande amica e la mia peggior condanna.

La solitudine era una cosa strana, una presenza costante nella mia vita fatta di assenze. Riusciva a sedermisi accanto mentre guardavo le ombre giocare a rincorrersi nella mia stanza ogni notte. L'avevo vista muoversi tra i rintocchi dell'orologio, quando contavo i giorni che mi separavano dai miei diciott'anni.

Era stata lei a cullarmi la notte sino a farmi addormentare, lei che cercavo quando le persone che abitavano casa mia si facevano insostenibili, imboccate di tutte quelle parole che non tacevano mai.

Era la solitudine che mi aveva forgiato negli anni, che mi aveva consolato quando essere solo diventava insopportabile e sognavo di essere sordo.

Era lei che mi aveva stretto la mano quando non riuscivo più a sopportare nemmeno il mio nome, quando ormai in me si era radicata, infame e infestante, l'idea che fossi il più letale dei veleni e che per me non esistesse antidoto.

La sentivo accanto persino in quel momento, la solitudine mi guardava in un angolo della mia stanza e mi fissava mentre mi azzardavo a vivere senza la sua constante presenza, mentre tentavo di cercare compagnia in qualcuno che non fosse lei.

La sentivo chiamarmi, mentre il corpo di Layla scivolava tra le mie braccia e il mio cuore gridava il suo nome. Si era riflessa con me allo specchio per anni e io l'amavo, la odiavo, per ciò che mi faceva, per aver avermi sorriso sempre, per essere stata la fonte e la cura di tutte le mie lacrime.

Io la solitudine non riuscivo a lasciarla e la volevo debellare dalla mia esistenza, perché accanto a lei mi sentivo al sicuro e intossicato dal mio stesso veleno.

La amavo perché mi proteggeva dagli altri, ma la odiavo perché mi costringeva a stare con me.

La amavo perché non mi faceva sentire il bisogno di nessuno, ma la odiavo perché una stanza riempita solo da me stesso per me era fin troppo piena.

La amavo perché mi aveva aiutato a sopravvivere, ma la odiavo perché mi aveva costretto a crescere anche quando non volevo.

La odiavo perché l'amavo e l'amavo perché da lei non ero mai riuscito a farmi odiare.

La solitudine mi aveva fatto amare il buio, ma aveva anche spento tutte le luci che avevo.

Layla non poteva conoscere quella parte di me, non potevo raccontarle le mie paure. Non poteva sapere che il pensiero di ferirla mi teneva sveglio la notte, che venivo cullato nel sonno dal terrore di perderla, che io respiravo con l'ansia di intossicare tutto ciò che toccavo, persino lei. Così le stringevo le natiche tra le dita e le mordevo il collo per farle gridare il mio nome, le carezzavo i seni in punta di polpastrello e aspettavo che sussultasse contro il mio orecchio.

La mia lingua scivolò lungo il suo addome, sino a raggiungerle l'ombelico e afferrò mazzi di lenzuola, bordi di seta neri come la notte le sbucarono dai palmi chiusi, come piume di corvo. Inarcò la schiena sotto il mio tocco e i suoi fianchi si tesero sotto il mio viso, quasi mi stessero invitando tra i silenzi, quasi mi pregassero.

Mi riempii gli occhi del desiderio che le modellava il viso e la strinsi ancora me, con quella possessione insanabile che avevo di sentire il suo corpo a contatto con il mio e di vederla tremare di piacere tra le mie dita.

Lasciai che la solitudine mi guardasse, nascosta nel suo angolo fatto di ombre e silenzi, ma la sentii ricordarmi che nessuna dose di amore avrebbe mai potuto curarmi.

Come diceva Paracelso: la differenza nel veleno la fa la dose.

La solitudine però mi ricordò che in me non scorreva altro che una tossina letale e il mio destino era di stare con lei per l'eternità, perché non avrei mai trovato l'antidoto per me stesso.

Layla mi aveva raccontato i suoi terrori più neri e io non avrei mai potuto spiegarle che i miei, io li vedevo riflessi nello specchio.

Spazio marshmellow:

Holaaaaaa

Come vi è sembrato il capitolo?

Qua potete condividere le vostre teorie, sono sempre curiosa di sapere cosa passa in quelle vostre testoline ✨

La mente di angel è...intensa ❤️‍🔥

E i modi di Layla a volte lasciano un po' a desiderare, ma non mi sento di biasimarla.

Come sempre, ci tengo a ringraziarvi dei commenti che mi lasciate e dell'interesse che mostrate verso Nychtophilia ❤️‍🔥

Vi voglio bene

-Alex

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