7 / A rotten dynasty
...To strut before a wanton ambling nymph;
I, that am curtailed of this fair proportion...
Il getto di sangue lordò di rosso il marmo cadaverico della gradinata.
Riccardo vide il cucciolo scalciare – le ultime convulsioni prima dell'addio definitivo – e spalancare a vuoto le fauci.
Rimase a fissarlo, immobile, senza nemmeno avere il coraggio di alzare un dito per dargli il colpo di grazia.
Quella fuga disperata oltre il ponte levatoio era stata soltanto il trascinarsi di un corpo già agonizzante – una mera e vana proroga alla morte certa.
I mugolii del cinghiale, coperti dal ruscellare del sangue fuori dalla gola squarciata, velarono ben presto a Riccardo la fronte di sudore.
«Lo hai ucciso...»
Udì rispondergli la risata di Edoardo, il fratello maggiore, in piedi a pochi metri dalla carcassa ancora calda. «Avevi qualche altra soluzione, per caso? Harri ha fatto l'unica cosa giusta!»
Già, Harri.
Riccardo si voltò verso il ragazzino con la faretra a tracolla e i capelli fulvi arruffati sotto il cappuccio. Tentò di assumere lo stesso sguardo che il suo tutore usava per mantenere il controllo su di lui, ma finì soltanto per sfoggiarne una pallida imitazione.
«Cos'hai da guardare, pulce gobba?» gli sghignazzò in faccia Harri Tudor, giovane conte di Richmond, ribaltando il cucciolo ferito a morte con la punta dello stivale. «Non sei mai stato a caccia?»
Riccardo si sforzò in tutti i modi di non portarsi le mani alla bocca. Se Harri si fosse accorto del suo malessere, l'avrebbe preso in giro di nuovo. E questa volta sarebbe di certo andato avanti per sempre. «N-Non è questo...» balbettò, ricacciando in gola la nausea. «Lui... lui era ancora un cucciolo...»
«E allora?» Harri scaraventò la carcassa contro il gradino, sollevando un ventaglio di gocce vermiglie. Vi si accucciò di fronte, e conficcò il coltello nel cranio del cinghiale. «È soltanto una bestia.»
Riccardo, le labbra tremanti per il ribrezzo fattosi ormai palpabile, cercò invano di incrociare lo sguardo del fratello. Vide Edoardo scrutare, stregato, il macabro spettacolo del rampollo dei Tudor intento a scuoiare la preda dell'ennesima battuta di caccia, e capì di essere rimasto definitivamente da solo. «L-Lascialo stare» provò a bisbigliare, ma Harri non lo sentì, o finse di non avere orecchie per lui.
Continuò invece a levare pelle e sangue a fiotti, inginocchiato ai piedi della scalinata del castello di Rochester – l'unica parte del maniero ancora degna di questo nome. «È questo l'epilogo che i deboli meritano» gracchiò Harri, prima di dare uno strattone all'ultimo strato rimasto. «Chi non è abbastanza forte per lottare e sopravvivere, crepa e diventa cibo per gli altri.»
«Edoardo, andiamocene via da qui» supplicò Riccardo al fratello, tirandolo per la manica del farsetto. «Ti prego...»
Edoardo non si dette neanche pena di voltare la testa verso di lui. «Hai ragione, Harri. I forti vincono e i deboli muoiono.»
«E chi all'inizio è forte finisce quasi sempre per trasformarsi in debole» continuò Harri. I tonfo della pelle del cinghiale contro il marmo fece rabbrividire Riccardo. «Proprio come è successo a vostro padre.»
Riccardo si conficcò i denti nel labbro.
Suo padre.
Nient'altro che un cadavere decapitato portato in trionfo lungo le mura di York...
Era accaduto soltanto quattro anni prima, e ripensarci ora – al cospetto di un Tudor! – gli annodò le viscere in un groviglio ributtante.
«N-Non osare parlare di mio padre in questo modo, Richmond.»
Il volto di Harri si contrasse in una smorfia più sorpresa che oltraggiata. «Senti senti cosa dice il nostro piccolo mostriciattolo di corte...» Si alzò in piedi, la pelle del cinghiale stretta nella destra e il coltello incrostato di sangue nella sinistra. «Cosa c'è, Riccardo? Ti è venuta voglia di fare la stessa fine del tuo amichetto a quattro zampe?»
Riccardo lo fronteggiò a testa alta, tentando di raddrizzare la schiena il più possibile. Percepì il rombo folle del suo cuore prendergli d'assalto i timpani. «Non oseresti mai, Richmond. Sei soltanto uno stupido gallese arrogante.»
Harri, il viso paonazzo quanto i capelli, sollevò in aria la lama. «Adesso vedrai quanto può fare male la rabbia di un gallese, maledetto sgorbio!»
Riccardo serrò insieme palpebre e respiro, in un assurdo preludio al disastro.
Harri l'avrebbe sgozzato.
Gli avrebbe infilato il coltello in mezzo alla fronte, proprio come aveva fatto con quel povero cucciolo, senza che suo fratello potesse muovere un muscolo per aiutarlo o anche solo per prendersi la sua giusta vendetta.
Che morte infame: ucciso da un conte di nemmeno vent'anni all'ingresso di un castello in rovina, sotto gli occhi di suo fratello maggiore...
Riccardo sentì il cuore stringersi in una morsa glaciale.
Perlomeno sarebbe morto con onore, come il meritevole figlio dei Plantageneti, e non come un articolo difettoso lasciato vivere per puro caso al termine della gravidanza.
Stava quasi per mettersi a sorridere dalla gioia, quando un paio di mani adulte lo agguantarono per le spalle, trascinandolo all'indietro.
«Divideteli, Hastings! Subito!»
Riccardo aprì gli occhi sulla bocca spalancata di Henry Stafford, il giovane cortigiano dall'aria scaltra che divideva col suo tutore il compito di impartirgli una sana e inflessibile educazione inglese.
«Dannazione, Richmond! Che diavolo vi è saltato in mente?!»
Hastings costrinse Harri a indietreggiare fino alla parete e a lasciar cadere a terra il coltello, sotto gli occhi sbarrati di Riccardo.
«Volevate ucciderlo?!»
Harri scrollò le spalle. «Chi? Quell'aborto?» Scoccò a Riccardo un'occhiata beffarda. «Sarebbe stato soltanto uno spreco di energia.»
Riccardo vide Buckingham allontanarsi da sé e allungare il palmo verso Harri. Lo schiocco sordo del manrovescio sembrò riecheggiare per l'intero castello. «Ripulitevi quella bocca impudente, Richmond, o quanto è vero che voi siete ospite dei Plantageneti vi faccio fustigare davanti agli occhi di Sua Maestà!»
Harri si premette le dita sulla guancia arrossata, sbuffando come un toro azzoppato, la lingua ingarbugliata dietro la barriera dei denti.
«Che cosa stavate facendo qui?!» ululò Hastings, rivoltando la carcassa scuoiata del cinghiale. «Guardate come avete conciato il pavimento!»
Harri provò a scappare verso il ponte, ma Buckingham lo trattenne per il braccio. Il ragazzo cercò invano gli occhi e l'appoggio di Edoardo, fedele compagno di bravate.
«Non pensate di cavarvela con così poco, Richmond!» strillò il duca. «Ovviamente riferirò l'accaduto a vostro padre, e sarà lui a decidere per il miglior provvedimento.»
Harri ansimò rivolto verso Riccardo, prima di controbattere. «È colpa sua!» gridò, additando furibondo quello strano bambino nel doublet color malva. «Ha cominciato ad offendermi senza alcun motivo!»
«Non aggravate ulteriormente la vostra già tragica situazione, Richmond» berciò Hastings, lontano. «Siete già sulla buona strada per l'esilio in Francia.»
«Io non mi inchino davanti ai fenomeni da baraccone!» ribatté Harri. «Nemmeno se di stirpe reale!»
«Smettetela di parlare in questo modo!» ringhiò Hastings.
«Io sto solo dicendo le cose come stanno!» boccheggiò Harri, divincolandosi dalla ferrea presa del duca. La sua voce roca si tramutò tutto d'un tratto in una nenia al sapore di invidia: «I Plantageneti sono marci! Lo dicono tutti qui a corte! Sono marci, e presto l'Inghilterra dovrà trovarsi una nuova dinastia di re e regine!»
«Ma che cosa state dicendo...?» Hastings pareva ancor più sbalordito degli stessi Riccardo ed Edoardo.
Il ghigno profetico di Harri gelò ai due fratelli il sangue nelle vene. «Basta guardare che razza di figli partoriscono per averne conferma!»
Buckingham cercò di colpirlo di nuovo, ma il gallese, stavolta, fu più svelto di lui.
Scappò via, la pelle del cinghiale arrotolata di fretta intorno all'avambraccio e l'orgoglio sotto le suole, lasciando Riccardo a scrutare il sole già freddo in procinto di scomparire dietro la linea nera dei pini e dei castagni.
«Ah...»
Riccardo, duca di Gloucester, raddrizzò la testa dolorante e sbatté le palpebre per aprirsi un varco fra le tenebre.
Restò in quella posizione per qualche secondo – il tempo di veder svanire dalla mente le ultime vestigia dell'incubo, o del ricordo –, deglutendo sangue e saliva. Li inghiottì, gustando fra la lingua e il palato quell'amalgama schifosamente reale.
«J-Jane...»
Mosse la mano nel buio, alla ricerca di un appiglio.
Perché proprio quell'episodio?
Perché proprio Richmond?
«Edward...»
Avvertì il legno di una porta sotto i polpastrelli chiazzati di sangue, e vi affondò dentro le unghie.
«Richard...»
Trasalì, nell'udire il tetro gracchiare dei corvi oltre le spesse pareti della cella, e, proprio in quel medesimo istante, maledisse di aver conservato la sua intelligenza anche dopo il terribile colpo alla nuca di poche ore prima.
No...
Si trovava alla Torre di Londra.
Non è possibile.
Su questo non vi era più il benché minimo dubbio.
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