4 / Rare things, best things
...To the lascivious pleasing of a lute.
But I, that am not shaped for sportive tricks...
Procedevano ansimando sotto il rombo insorgente della bufera, le zanne quasi a sfiorare le foglie cadute. Le prime gocce di pioggia avevano già iniziato ad inumidire loro i musi, schizzando fra le palpebre grinzose.
Hastings e Buckingham, alla guida del branco, si trascinavano dietro i cuccioli di Plantagenet senza mai allentare la morsa dei denti sulle collottole.
Gloucester li vide da lontano, le pupille offuscate dallo sforzo di mantenere un passo dignitoso. «Fermatevi...» Biascicò la supplica a denti stretti, smarrito nel mezzo della strada fangosa. «B-Basta...»
Nessuno lo udì.
Nessuno si voltò a guardarlo, neppure Tyrell.
Come potevano essere così ciechi?
«Fermatevi!»
Non si erano ancora resi conto di stare andando incontro alla morte col sorriso sul muso?
«Dobbiamo tornare indietro!»
Dopo quell'ennesimo grido disperato, Hastings si voltò lentamente nella sua direzione, seguito a ruota da Woodville. Lasciò andare il piccolo Richard soltanto per poter ribattere all'urlo: «Ancora con questa storia, Gloucester? La tana non esiste più, ormai. L'hai visto tu stesso.»
Gloucester, quasi febbricitante per lo stento del viaggio, scosse la testa. «N-No. Possiamo ancora ritornare... dobbiamo ritornare indietro.» Puntò i suoi occhi vacui verso il maggiore dei due cuccioli. «Pensaci, Edward. Tuo padre avrebbe mai permesso questa pagliacciata...»
«Taci, Gloucester» s'intromise Hastings. «La nostra unica speranza è al di là della foresta, e tu lo sai meglio di me. Non farci perdere altro tempo.»
Gloucester volse lugubre il capo verso le ultime propaggini della selva. Era palese, ormai: si erano spinti troppo oltre. Avevano lasciato la tana con la promessa di una fortuna che mai avrebbero saputo trovare. «Un'idiozia... priva di qualsiasi costrutto...»
Hastings non attese un secondo di più. Richiuse di nuovo i denti sulla nuca di Edward e lo obbligò a distogliere lo sguardo da Gloucester. «Andiamo.»
L'intero branco riprese a muoversi dopo quel suo semplice ordine, sordo ai richiami del cinghiale deforme.
Gloucester li guardò valicare il torrente e con esso l'ultima speranza di poterli ricondurre a casa.
La leggera pioggia di inizio inverno si era appena tramutata in una tempesta di lampi giallastri e gocce scroscianti.
L'ululare del vento lo fece trasalire, pietrificandolo per qualche secondo con gli zoccoli immersi nel pantano a malapena contenuto dal letto del fiume.
No, non avrebbe continuato.
Non avrebbe fatto un passo, non avrebbe mai potuto ammettere di essere stato sconfitto da quei folli mistificatori di Hastings e Buckingham.
Batté una zampa a terra, scavando un solco nel terreno nero, intriso di acqua rancida. «Allora andate pure!» urlò, mentre l'eco già si spandeva verso il branco ramingo. «Morirete tutti, dal primo all'ultimo cinghiale! L'inverno non perdona chi non è stato in grado di accontentarsi di ciò che già possedeva!»
Il tuono che squarciò il cielo si portò via anche buona parte del suo grido, e Gloucester rimase immobile, il respiro affannato, sull'orlo della sponda limacciosa.
«Andate...!»
Si voltò stizzito, consapevole del fatto che la tempesta aveva di certo reso inutile quella sua ultima rimostranza alle orecchie dei suoi vecchi compagni.
Non gli restava altro che attraversare di nuovo il torrente e ritornare a casa, da Plantagenet, a vegliare la sua salma dopo aver ricostruito il tunnel...
Sì, era rimasto da solo, ma sarebbe sopravvissuto.
Si sarebbe procacciato di che sfamarsi, preparandosi alla calata del gelo come aveva sempre fatto fino a quel momento.
Nessun cucciolo a cui badare, nessuna dannata scrofa da obbedire, nessun demagogo da ascoltare...
Sì, sarebbe sicuramente stato il miglior inverno di sempre.
«Né io né la foresta sentiremo la vostra mancanza!» sghignazzò, a tu per tu con la tormenta. Si sentiva libero, onnipotente, eterno. Gli uggiolii del vento lo sfioravano appena. «Idioti incoscienti!»
Fu un attimo, il medesimo istante in cui volse la testa in direzione dei pini.
Scorse miriadi di balenii giallastri in mezzo alle fronde spoglie, ma non ebbe neppure la forza di chiudere gli occhi e fingere che si fosse trattato soltanto di un pessimo incubo.
Gloucester avvertì i muscoli delle zampe tramutarsi d'un tratto in quattro pezzi insensibili di carne putrefatta.
Non era stato solamente il vento ad ululare.
***
...Nor made to court an amorous looking-glass;
I, that am rudely stamped, and want love's majesty...
Londra, Pasqua dell'anno 1483.
«Ah, Gloucester...» Elizabeth Woodville ebbe a malapena la buona creanza di voltare la testa verso l'ultimo arrivato. «Vi stavamo cercando. Si dà il caso che i cari Hastings e Buckingham mi abbiano persuaso a scegliere voi per un affare di estrema importanza...»
«No» sbottò Riccardo per tutta risposta. Vide il viso di Elizabeth dipingersi di porpora e contrarsi in una smorfia. «Ho ascoltato ciò che Hastings e Buckingham vi hanno convinta ad ordinare, e sono venuto qui proprio per dirvi che non accetterò mai le vostre disposizioni, per quanto oculate possano sembrare.» Batté il palmo sano sul bordo di pietra della finestra. «Io non porterò Edward e Richard alla Torre.»
La regina strinse tremante le dita attorno al ventaglio. «V-Voi...» Riccardo si stupì di non vederla schiumare di rabbia. «Voi obbedirete, Gloucester. Io sono la regina... io sono la vostra regina!»
Riccardo scosse la testa. «Con tutto il rispetto, Maestà, il legame che unisce me ai due principi non è affatto inferiore al vostro. Io ho tutto il diritto di oppormi a quest'ordine.»
Per una fortuita congiuntura di luci, i capelli di Elizabeth, poco lontani dal rosone della vetrata principale, parvero prendere improvvisamente fuoco.
«Voi non siete nulla, Gloucester!» gli strillò contro con tutto il fiato che ancora aveva in corpo, agitando febbrile il ventaglio. «Voi non siete altro che una bestia deforme che si diverte a travestirsi da uomo, e l'unico motivo per cui Edoardo tollerava la vostra presenza a corte era il vostro legame di parentela!»
Riccardo aprì lesto la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono, nemmeno il più fioco tentativo di risposta. Guardò la regina riprendere lentamente fiato, mentre lui tentava ancora di ribellarsi, di allontanare da sé quel verdetto... «Io volevo bene ad Edoardo» biascicò a mezza voce. «E sono sicuro che anche lui me ne voleva, da fratello a fratello.»
Elizabeth non volle continuare. Distolse lo sguardo dal duca, rivolgendogli un cenno con l'indice. «Andatevene, Gloucester...» ansimò, prosciugata da quel repentino accesso d'ira. «Obbedite ai miei ordini... fatelo almeno per il bene dei vostri nipoti.»
Riccardo strinse le dita intorno al braccio malfatto, imponendosi di non cedere neppure di fronte a quella suggestione. «Siete un'ottima madre, Maestà» sussurrò. «Di questo ve ne devo dare atto. Ma ciò che Hastings e Buckingham vi hanno suggerito di fare è totalmente privo di senso...»
«La Torre è il luogo più sicuro dell'intera Londra» replicò Elizabeth. «Il nostro comune progenitore Guglielmo l'ha costruita proprio per soddisfare questa funzione, ed io non ho alcuna intenzione di mettere in pericolo le vite dei principi soltanto per un vostro puerile quanto infondato timore.»
«Non il mio timore, Maestà.» Riccardo cercò di incontrare il suo sguardo, evidentemente senza risultati concreti. Voleva che lei sapesse; desiderava che la regina leggesse la sincerità nel nero delle sue iridi. «Quello dei vostri figli. Sapete la fine a cui è andato incontro Clarence...» Il ricordo del suo defunto fratello lo assalì, prendendogli il cuore d'assedio. «Non mandateli laggiù, Maestà. Non a questa età. I bastioni di Westminster sono più che sufficienti per difendere gli eredi di Edoardo.»
Elizabeth parve sul punto di giungere ad un accordo. Sollevò la testa, guardando suo cognato dritto negli occhi come mai prima d'ora aveva fatto. «E questo chi me lo garantisce, Gloucester?» gli chiese. «Voi sareste in grado di promettermi che nessuno oserà alzare un dito su Edward?» Si portò le mani alle tempie, appena coperte dagli orli del couvrechef. «Voi potreste farlo, Gloucester?»
«No, Maestà» sospirò Riccardo. Provava un'infinità pietà per ciò che Elizabeth era diventata col tempo: la caricatura di una sovrana senza marito né corona, scossa senza posa dalle maree di cortigiani ambiziosi e privi di scrupoli... «Ma spedire Edward e Richard alla Torre non risolverà le cose.»
Elizabeth si passò il dorso della mano sulla fronte imperlata di sudore. «Questo è quello che dite voi, Gloucester. Hastings e Buckingham mi hanno suggerito di tenerli al sicuro laggiù fin quando l'arcivescovo non stabilirà la data dell'incoronazione.»
Riccardo si morse critico il labbro. «Sono ancora troppo piccoli per venire abbandonati in posti del genere, e voi lo sapete bene.»
«Oh, ma non saranno abbandonati, Gloucester: voi starete con loro» lo corresse la regina. «Non volevate trascorrere più tempo con i vostri nipoti?»
D'un tratto, Riccardo comprese ogni cosa. Ogni più subdolo raggiro, ogni più infima manipolazione della regina. «Voi...» sibilò, indicando Elizabeth. Ispirò aria, per avere la forza di continuare a parlare. «Voi lo state facendo soltanto per tenermi alla larga dalla corte...»
La regina spalancò gli occhi. «Io, Gloucester?» domandò, fingendo innocenza. «Ma come vi viene in mente?»
Riccardo capì di non poter più portare avanti la partita, e per questo si odiò. Già s'immaginava i visi delusi dei principi quando sarebbe tornato indietro a riferire l'epilogo della questione. «Voi siete assolutamente spregevole...»
Elizabeth accennò una risata beffarda. «Detto da un mostro del vostro calibro è un'opinione di tutto rispetto, Gloucester.» Gli sfiorò la guancia con la sommità del ventaglio richiuso, e Riccardo ritrasse di scatto la testa, rigido come un pezzo di marmo. «Un altra frase simile, e il vostro breve soggiorno alla Torre potrebbe rischiare di divenire eterno.»
Riccardo indietreggiò verso la porta. «Non la pronuncerò, Maestà: potete starne certa.» Aveva il cuore dilaniato dall'odio, ma la sua voce era rimasta ferma, quasi asettica. «La mia assenza finirebbe per rattristare i vostri figli, ed io sono qui ad impedirlo. Io voglio soltanto renderli felici...»
«Felici?» riecheggiò la regina. «Felici, Gloucester?! Non m'importa che siano felici! A me interessa soltanto che siano vivi! Vivi e pronti a regnare su questo paese dimenticato da Dio!»
«Allora, Maestà, non abbiamo più nulla da dirci.» Riccardo richiuse le dita intorno alla maniglia d'ottone, abbassandola. La porta si aprì di fronte ai suoi occhi esausti.
«Voi mi obbedirete! Voi non siete altro che un mio suddito, Gloucester!»
Il tonfo della porta alle spalle di Riccardo risuonò per l'intero corridoio, tramutando l'insopportabile strillare di Elizabeth in un vaniloquio al sapore di astio.
Riccardo zoppicò oltre l'uscio, oltre la colonna, oltre la luce proiettata dalla bifora.
Procedette verso l'arazzo di Bayeux, polverosa reliquia di battaglie obliate.
Aveva invitato Edward e Richard ad aspettarlo in cortile, sicuro che sarebbe riuscito a persuadere la regina, ma ora come ora avrebbe soltanto desiderato scomparire dietro qualche tenda per calmare il proprio rancore.
«Gloucester non è qui...»
Riccardo udì il suo nome, udì la voce. L'inconfondibile, incerto tono di Buckingham. Vide due ombre allungarsi sopra la vecchia porta murata.
«Non dobbiamo perdere l'occasione, Henry. Questo è il nostro momento.»
Riccardo fece appena in tempo a riconoscere la parlata di Hastings, prima di appiattirsi contro la parete per non essere visto.
Le ombre danzarono sopra l'intonaco fino a sfiorargli la stoffa del cappello...
«Parlaci tu, appena lo vedi. Non deve essere lontano.»
«Naturalmente.»
Non li aveva mai uditi parlare con una tale familiarità, e il breve scambio di battute lo fece rabbrividire. Che cosa volevano da lui? La regina non li aveva forse mandati a cercarlo?
«Credi che si dirà d'accordo?» sentì chiedere Buckingham, ormai a ridosso dell'ultimo gradino della scala a chiocciola.
Scorse Hastings annuire qualche metro più indietro. «Ne dubito fortemente, ma non possiamo agire altrimenti. Gloucester è troppo prudente, per i miei gusti.»
Riccardo si premette il palmo sulla bocca per soffocare la tosse. Non dovevano percepire la sua presenza: non sapeva a cosa sarebbe andato incontro... Era evidente che il barone e il duca stavano portando avanti una partita all'insaputa della regina.
Una partita che aveva tutta l'aria di assomigliare terribilmente ad una cospirazione ai danni di Elizabeth Woodville e dei suoi regali rampolli.
«Ma dove sarà finito?» Buckingham, spazientito, si stava guardando intorno alla ricerca del fratello del re. «Credevo che fosse venuto qui...»
Hastings lo invitò a proseguire verso l'androne di destra. «Non può essere scomparso.»
Riccardo fu sul punto di tirare il fiato ed allontanare la mano, quando vide il barone invertire repentinamente il senso di marcia.
«Forse dovremmo avvertire la regina.»
Riccardo chiuse gli occhi.
L'avrebbero visto...
Fece scivolare le dita sul muro, oltre la stoffa dell'arazzo.
No, non avrebbe mai fatto in tempo.
«Sì, suppongo che sia la scelta migliore in questo momento.»
Riccardo trattenne il respiro.
Ormai vedeva già le punte dei calzari di Buckingham insinuarsi nel suo campo visivo, già assaporava il gusto dei loro volti sorpresi, compiaciuti...
L'avrebbero fermato. Lo avrebbero avvolto con le loro spire. Lo avrebbero trascinato dentro i gorghi delle loro oscure macchinazioni...
«Maestà, vi domandiamo perdono!»
Riccardo avvertì una coppia di mani stringersi attorno al suo braccio e tirarlo di scatto dietro l'arazzo, dentro uno dei cunicoli segreti di Westminster.
I passi di Hastings e di Buckingham scomparvero dietro lo spesso intreccio di fili colorati.
«Abbiamo cercato il duca di Gloucester in ogni dove, ma non l'abbiamo trovato...»
Prima che Riccardo potesse protestare, le stesse mani che lo avevano afferrato così malamente gli tapparono la bocca imponendogli il silenzio. Ma tuttavia no, non furono le prime cose che vide e che riconobbe.
«Il mio colloquio con Gloucester è terminato pochi minuti fa, signori» sibilò acida la regina. «Non pensavo che aveste ancora così tante difficoltà a destreggiarvi per i corridoi del palazzo.»
Riccardo si rilassò contro la parete, le tiepide mani ancora premute contro la bocca.
Quei grandi occhi viola, simili ad ametiste incastonate nel viso di un antico idolo pagano, continuavano a fissarlo come ipnotizzati, e lui guardava loro di rimando.
«Entrate, avanti» mormorò la regina.
Le mani si allontanarono da Riccardo soltanto quando la porta della stanza reale si aprì e si richiuse per la seconda volta.
«Maledizione, lady Jane!» Riccardo poté finalmente riprendere fiato e tornare ad articolare frasi senza mugolare come un animale preso in trappola. «Da quant'è che avete imparato ad usare i passaggi del palazzo?»
La cortigiana lasciò che il cappuccio del mantello le ricadesse frusciando sulle spalle, scoprendo una massa di capelli biondi a stento trattenuta dalla cuffia ricamata. «Da quando Edoardo non è più qui a proteggermi, milord.» Girò la testa verso l'arazzo, la fronte corrugata in una smorfia angosciosa. «Ora la regina non ha più nessuno che la possa persuadere a lasciarmi vivere...»
Riccardo la imitò, e si ritrovò per sbaglio a scrutare la cicatrice bluastra che attraversava la guancia di lady Jane Shore, suo segno distintivo. «Cosa avete detto...?»
«Avete capito benissimo.» Lo sguardo sconfortato di lady Jane parve trapassargli l'anima. «Me ne devo andare via da qui...»
Riccardo rimase in silenzio per qualche minuto, ma senza mai staccarle gli occhi di dosso. Si erano conosciuti più di due anni prima, quasi casualmente, dopo essersi incontrati in corridoio.
Lady Jane lo aveva salutato con il tipico inchino del protocollo. "Buon pomeriggio, lord Gloucester."
Riccardo era rimasto a fissarla senza avere il coraggio di proferire parola. Mai aveva visto una creatura più bella di quella giovane donna. La pelle candida, quasi trasparente; i lunghi capelli dorati che le ricadevano sulle spalle come i lembi di un mantello...
Sì, Riccardo aveva davvero creduto di aver avuto una visione.
«Perché, Riccardo...?»
Il duca lasciò che lady Jane gli si aggrappasse alle spalle premendogli il viso contro il farsetto.
«Perché è morto...?»
Riccardo le accarezzò tremante la testa. «Doveva accadere, prima o poi. Nessuno è immortale. Nemmeno il re.»
«Ma perché ora?» La voce incrinata di lady Jane stava già minacciando di tramutarsi in un pianto isterico. «Mi aveva promesso che tutto sarebbe cambiato... che sarebbe guarito presto...»
«Ha soltanto voluto nasconderci la realtà per non farci soffrire, milady» sospirò Riccardo. «Mio fratello sapeva bene a che cosa sarebbe andato incontro, e lo ha semplicemente accettato...» Sollevò il volto della cortigiana sfiorandole il mento con un dito. «Ed è quello che anche noi dovremmo fare, nonostante tutto.»
Lady Jane abbassò di nuovo il capo, forse per nascondere lo sgorgare incontrollato e incontrollabile delle lacrime. «L-La regina vuole la mia morte, Riccardo. L'ha sempre voluta, da quando ha scoperto ciò che ero diventata per Edoardo...» Soffocò un gemito. «Ho paura.»
Riccardo la guardò ripiegarsi su sé stessa come una bambina terrorizzata dal temporale che si ripara fra le braccia del padre. Credette di amarla, ma si sentì ignobile a pensarlo proprio in quel momento. «Non dovete averne, milady. Io vi aiuterò, come ho sempre fatto fin'ora. La regina non riuscirà a toccarvi neppure con un dito.»
«L'avevate detto anche quella volta.»
Riccardo trasalì al solo ricordo di quel giorno lontano. «Mi... mi dispiace moltissimo. Se solo fossi stato più vicino, sarei riuscito a...»
«A fermare la regina, lo so.» Nel sorridere, la cicatrice sulla guancia di lady Jane si contrasse improvvisamente. «Non avete mai smesso di ripetermelo, Riccardo.»
Erano andati a caccia in un pomeriggio di pioggia. Un'idea stupida, certo; ma Edoardo era stato talmente irremovibile da costringere moglie e fratelli a seguirlo alla testa della corte.
Non avevano trovato un granché, com'era ovvio.
Soltanto un paio di cinghiali e un cervo vecchio e già ferito. Edoardo l'aveva trafitto in pieno petto con la lancia reale, felice come un ragazzino.
Quando erano tornati a palazzo, il precettore aveva accompagnato i due piccoli a salutare il padre vittorioso di ritorno dalla battuta di caccia, e lady Jane aveva deciso di unirsi al gruppo.
Nulla di strano: era una cortigiana di Westminster, e quello era il suo compito. Onorare i coniugi reali e la loro prole.
Peccato che la regina avesse già compreso il motivo per cui Edoardo l'aveva voluta a tutti i costi come sua dama di compagnia...
«È stato orribile... così orribile ancora lo rivedo nei miei incubi.»
Elizabeth Woodville aveva finto di complimentarsi con lady Jane riguardo il suo nuovo abito di broccato soltanto per avvicinarsi ai ferri incandescenti dello stalliere di corte.
Riccardo aveva seguito il movimento con lo sguardo, ma aveva capito troppo tardi a cosa la regina stesse in realtà mirando...
«Non pensateci più, milady. È passato. È tutto finito.»
Elizabeth aveva agguantato la sbarra rovente e l'aveva premuta contro il viso di lady Jane, con la stessa violenza di un palafreniere che marchia il proprio stallone favorito.
"È quello che ti meriti, puttana!" aveva gridato, così forte che i bambini erano scoppiati subito in lacrime. "Quello che ti spetta per esserti presa il letto di mio marito!".
Avrebbe di sicuro finito per ucciderla, se soltanto Edoardo non si fosse messo in mezzo per proteggere lady Jane.
Riccardo, balzato giù da cavallo, era intanto accorso per disarmare la regina.
Le guardie l'avevano trascinata a palazzo che ancora sbraitava per avere la sua tanto sospirata vendetta contro quella strega che aveva incatenato a sé il cuore del re.
«Promettetemi che non mi accadrà più niente, Riccardo» sussurrò lady Jane. «Non m'interessa se mentirete oppure no. Ditemelo e basta, vi prego. Ho bisogno di un po' di conforto...»
«Ve lo giuro solennemente, milady» ribatté Riccardo. «E non vi sto mentendo.»
Lady Jane alzò finalmente la testa, i dolci lineamenti distesi in una risata consolatoria. «Il fratello storpio e l'amante sfigurata del re morto... siamo davvero una bella coppia, Riccardo.»
Il duca sorrise a sua volta. «Voi siete affatto sfigurata, milady. Consideratela una firma... un semplice memento.» Le passò il dito sulla ferita già rimarginata da tempo, quella stessa ferita che l'aveva resa così famosa a corte e nell'intera Inghilterra e che non aveva affatto intaccato la sua straordinaria bellezza. «Il viaggio per la nostra sopravvivenza inizia ora, e vi prometto che fra qualche mese, quando Edward sarà diventato re, ci ritroveremo qui a ridere di tutti i guai che abbiamo passato.»
Le tese allora la mano sana, sollevandola davanti a sé, ma lady Jane la scostò con un cenno. Strinse le sue dita minute intorno a quelle deformi di Riccardo, guardandolo dritto negli occhi. «È una promessa, Riccardo. Viviamo, e continuiamo a vivere.»
Riccardo ignorò i brividi che avevano preso ad invadergli il corpo, e non smise mai di fissarla. Nessuno, prima d'allora, aveva mai osato toccare quel moncone a parte la sua defunta madre. «S-Sì. Sì, lady Jane... dimostriamo a questo mondo di ordinari che anche noi anormali possiamo valere qualcosa.»
Lady Jane Shore sporse in avanti il viso, come sul punto di dire qualcosa di fondamentale. Ma dalla sua bocca non uscì nulla, o, perlomeno, Riccardo non riuscì ad udire alcunché.
Avvertì piuttosto il tepore delle sue labbra contro la guancia, e trasalì, colto di sorpresa.
Non era che un banale, piccolo bacio, ma Riccardo non ne aveva mai ricevuti fino ad ora...
E non fece in tempo a trattenerla, che già lady Jane era uscita da quel nascondiglio improvvisato, muovendo appena l'arazzo con il frusciare dei suoi abiti.
Riccardo si toccò la guancia, troppo sconvolto anche solo per sorridere.
Quando avrebbe avuto ancora l'occasione di ricevere un simile dono da una dea sfregiata?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro