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La terza notte

"A volte l'uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza."
~Fedör Dostoevskij
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Quando Manuel arriva su Monte Ciocci, quella sera, c'è una sagoma che lo sta aspettando. È volta di spalle, è scura, dai contorni un po' sbiaditi. Mostra una schiena larga, volge lo sguardo verso il cielo. È immobile, in piedi, e a malapena può sentirla respirare.

Non ha occhi che possano guardare, brillare.

Non importa.

Manuel lo sa che brillano.

La loro forza è grande persino nei suoi sogni.

Con cautela, prende ad avvicinarsi. Non vuole disturbare, accendere una mente che finalmente ha sedato il rumore. Compie movimenti lenti, calcolati, silenziosi. Si muove nell'aria come una lucciola, invisibile solo se non la si guarda, trasparente all'udito.
I suoi passi coccolano la terra, mentre il viso dell'altro riscalda il cielo.

Sorride quando è a pochi centimetri da lui.

Simone, perso nei suoi sogni a braccia conserte, non si è ancora accorto della sua presenza. È l'una e mezza di notte, è presto. Le persone vagano ancora, ma sono decorazioni nel suo mondo. Festoni ad una festa, spuma in un oceano, nuvolette in un cielo azzurro. Sono oltrepassabili, non ha senso per lui soffermarsi su di loro.

Ha altro a cui pensare.

Manuel stringe gli occhi. Come se facendolo potesse penetrare i pensieri altrui, appropriarsene, coprirci il cuore. Sente una stretta allo stomaco, per la prima volta i suoi sogni non gli bastano più.

Voglio condividerli.

Sogniamo insieme, per favore.

È così tanto tempo che si sente solo. Che non ha nessuno di vero tra le dita, che lascia che le occasioni scivolino via. Ora basta, però. È stanco di sognare polvere. Vuole aggrapparsi a fili veri, non avere i palmi sporchi.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Manuel vuole di più.

Se ne rende conto fissando un altro profilo. Se ne rende conto dipingendo i colori della notte con le iridi, dandogli la forma di un naso, di una bocca, di una chioma di ricci. Se ne rende conto perché il cielo è stato sempre blu, da quando Simone è rientrato nella sua vita.

Ci vogliono vite intere per innamorarsi di una persona.

Ma ci vuole solo un attimo per riaccendere una scintilla a stento in vita.

"Sei venuto presto." esordisce, facendo sussultare Simone. Quest'ultimo si gira con uno scatto repentino, non calcolato, attirato da quella voce che lo colpisce dritto in petto. Spalanca la bocca quando incontra un sorriso.

Istintivamente, lo imita.

"Ho scoperto che stare qui aiuta a calmare l'ansia." replica con semplicità. Scrolla le spalle, e torna a guardare Roma.

Ma la sua attenzione non è più sulla città, adesso.

È sui sogni vivi.

"Mh," mormora Manuel, poco convinto. "e da quando l'ansia se calma n'piedi?"

Simone non si scompone, non si agita. Alza entrambe le sopracciglia, anche se l'altro non può vederlo.

"Da quando c'ho bisogno di rimanere con i piedi a terra." dice.

E Manuel aggrotta la fronte.

"Stai troppo in alto pe' tenè i piedi per terra, qua," ribatte. "dai, vie'. Sediamoci."

Simone esegue l'ordine. Non si è voluto sedere prima, ha aspettato. Lo ha fatto perché crede che dietro l'azione di ogni uomo si nasconde un significato più profondo, inciso nel proprio animo.
Nel sedersi su quel muretto, si nasconde Manuel.

Non lo farebbe mai senza di lui.

"Non m'aspettavo che venissi stasera." commenta il suo compagno, una volta che sono entrambi comodi. Posa il suo zainetto tra di loro, lo apre e ne estrae un quadernino. Simone lo osserva, incuriosito. Manuel scuote la testa. "Non t'agita' Simò. Questo è per dopo."

Il diretto interessato annuisce, un po' deluso. Rivisita a mente le parole pronunciate in precedenza, ne rielabora l'implicazione. Sbatte entrambi i talloni contro il muretto, e con i palmi ne stringe i bordi fino a farsi quasi male.

Si morde un labbro osservando il cielo.

"Non me l'aspettavo neanche io di venire. È stata na cosa dell'ultimo minuto." confessa.

"C'avevi bisogno di scappare?"

Simone ci riflette un attimo.

"C'avevo bisogno di spegnere."

Manuel capisce. Non insiste oltre, non serve. Qualsiasi cosa stia succedendo nella vita di Simone, deve essere caotica, stressante. Altrimenti non sarebbe lì a sognare la calma con lui.

Sarebbe a casa a vivere.

Simone, d'altro canto, non riesce a capire. Non si spiega cosa l'abbia spinto lì, di nuovo, a cercare conforto nei sogni di qualcun altro. Forse, è perché i sogni di Manuel hanno una struttura più solida dei suoi. Forse è perché sono più irraggiungibili, più intoccabili.

Forse è perché sono lontani dal mondo.

Ci sono infiniti modi di sognare, d'altronde.

Un po' come per contare le stelle.

"Mi devi un sogno." esordisce d'un tratto, cercando una distrazione. Vuole che i suoi nervi si ammorbidiscano, che smettano di essere così tesi. Vuole che la testa smetta di fargli male, e che il cuore smetta di battere, battere, battere.

Non dovevo tornare da Manuel; sta solo peggiorando le cose.

Nel frattempo, il centro dei pensieri di Simone si passa la lingua sul labbro inferiore. Fa un respiro profondo, pensa ai boschi e ai fiumi che scorrono. L'acqua lo calma, i sogni anche.

Sorride a stento.

"Te devo n'sogno." ripete tra sé e sé, come per assicurarsi che sia vero.

Simone fa un cenno di assenso con la testa. Sente il bisogno incessante di aggrapparsi alla vita di Manuel, di sentirsi vicino a lui. Vuole che i loro battiti suonino melodie insieme, che le loro voci cantino nella notte, che le loro pelli brucino scontrandosi. Razionalmente, sa che non dovrebbe, che è sbagliato, che è passato.

E sta facendo un gran bel casino.

"Va bene," sospira Manuel, come se facesse fatica a spogliarsi dei suoi stessi sogni. "però te devo fa vede na cosa, prima. Sennò non capisci."

Accarezza la copertina del quadernino che tiene tra le mani. È in pelle, nera, elegante. Sotto il tocco delle sue dita pare la cosa più fragile del mondo. Simone si chiede se anche lui appariva così, quando Manuel lo toccava.

"Tie'. Aprilo-l'ho portato per te." dice il più grande, prima di porgere il quaderno a Simone con un movimento lento e calcolato.

Quest'ultimo lo fissa per un attimo, imbambolato. Si domanda se vi troverà le poesie che sta cercando, o se potrà osservare solo scarabocchi. Si domanda se leggerà lettere senza destinatari, o racconti di sogni smarriti.

Esita prima di afferrarlo.

Poi, con estrema lentezza, lo apre.

La prima cosa che risalta ai suoi occhi sono delle foto. Foto appiccicate ovunque, almeno su ogni due pagine. Foto di luoghi soleggiati, di città nuvolose, di neve e deserti. Foto del mondo reale, la concretezza che spaventa gli animi dei sognatori.

Simone passa l'indice su una foto della Torre Eiffel, schiudendo le labbra. Legge gli appunti che vi sono affianco, itinerari, a volte trova persino cartine geografiche con luoghi cerchiati a penna. Sfoglia le pagine e vive mille gite, mille follie diverse e irrealizzabili. Si rende conto che quel quaderno non è altro che un unico viaggio, con mille mete e senza confini.

Senza neanche un biglietto per tornare.

Perché sono tante le destinazioni segnate da Manuel. Eppure, nessuna porta a casa.

Simone si volta.

I loro occhi brillano entrambi, di fiamme e intensità diverse. I loro oceani si scontrano, diventano uno; sono fatti di acque diverse, ma si capiscono.

Manuel posa lo sguardo sulla pagina che Simone tiene aperta.

"Quando ero piccolo," inizia. "sognavo gli aerei. Erano la mia cosa preferita al mondo. Me ricordo che tutti gli altri bambini a scuola c'avevano paura de sta cosa che volava, c'avevano paura prima o poi cadesse. Quando raccontavo che me sarebbe piaciuto prende' n'aereo, me dicevano che ero pazzo, che era na cosa spaventosa.

Ma io amavo gli aerei, Simò-erano la cosa più affascinante de sempre pe' me. Così chiedevo n'continuazione a mi madre de prenderne uno, d'anda da quarche parte. Ovviamente, lei non me ce portava mai-non pe' quarcosa, eh, ma diciamo che i soldi non so mai stati na cosa che c'abbiamo avuto. Allora io chiedevo, e lei me diceva de no. E io so' cresciuto co' sta voglia incredibile de vola'."

Manuel nel cielo vede il suo viso supplicante disegnato dalle stelle, quella sera. Vede la sua passione, la voglia di scoprire uccisa da un mondo già tutto scoperto. Vede occhi che si spengono, le labbra piatte di sua madre, sente persino sulla pelle i suoi sospiri dispiaciuti.

Per un istante, si perde.

Nel vuoto troppo grande di un sogno infranto, nei graffi lasciati dal vetro di una finestra di incertezze. Perde il tempo, i viaggi, gli scivolano tutti tra le dita come hanno fatto una volta.

Una lacrima gli cola sul viso.

Forse sa della consapevolezza di non poter ricevere niente.

O forse, semplicemente, è debolezza.

Non importa.

Neanche Simone riesce a vederla, per fortuna.

Se ci fosse stato il sole, probabilmente, l'avrebbe vista.

Ma meglio così.

"Al liceo avevo capito che non ce stava verso de realizza i miei sogni," prosegue. "ero n'fase de rifiuto, cercavo solo la realtà. Non c'avevo ancora visto bene, e non riuscivo a trovare conforto nel non avere qualcosa che volevo. Così ho semplicemente abbandonato ogni proposito, pure se r'desiderio de viaggia stava sempre lí.

Poi, ho ripreso tutto all'università. E ho creato quel quaderno lì, dove c'ho messo tutto quello che non potrò mai vedere. Mi consola averlo, in un certo senso-è come se col cuore ce fossi già stato in quei posti, così. Non so se capisci che voglio di."

Simone, dopo aver ascoltato quelle parole. gli restituisce il quaderno. Lo fa istintivamente, glielo posa sulle gambe con serenità. Vuole che torni tra le braccia del suo proprietario, al sicuro.

Come se gli stesse restituendo un pezzo di cuore.

"E l'aereo, quindi? Non lo hai più preso?" chiede, tentando di munirsi di più tatto possibile.

Manuel, d'altro canto, si lascia sfuggire una risata.

"Simò, onestamente," commenta. "c'ho a malapena i sordi per pagarmi l'affitto-perciò posso dì che prende n'aereo mo' non è proprio na mia priorità. Preferisco guardarli da qui."

Gli aerei sono stelle che si spostano. Puntini luminosi da ammirare, che tagliano il cielo notturno, che ingannano l'occhio umano. Sono la metafora dell'illusione dello sguardo, di una realtà contaminata da mille promesse e sogni infranti.

Gli aerei, di notte, sono belli da guardare.

Come le stelle, ricordano a Manuel ciò che non potrà mai raggiungere con mano; per questo, forse, gli piace guardarli.

Senza salirci sopra.

Senza poterlo fare.

"Hai..hai tipo un posto preferito? Non so, dove vorresti andare a tutti i costi?" chiede improvvisamente Simone. Avevano respirato silenzio per minuti interi, si erano cullati nel conforto della presenza altrui.

Ora, però, Simone vuole parlare di nuovo.

E Manuel lo accontenta.

Per rispondere, apre il suo diario di viaggio ad una pagina specifica, dove spiccano per colori brillanti immagini di un mare trasparente. Sorride amaramente accarezzandone una.

"Qua," mormora, sconsolato. "qua me sarebbe piaciuto anda'."

Simone alza un po' il mento per poter osservare meglio. Sulla parte superiore del foglio, a caratteri cubitali e in inchiostro nero ed elegante, domina la pagina la scritta "Cairns", che Simone sa bene essere il nome di una città. Più in basso, ci sono appunti che indicano luoghi da visitare, locali in cui andare, spiagge dove spendere le giornate.

In basso a destra, poi, vi è un'altra foto.

Simone schiude le labbra, meravigliato da tanta bellezza.

"La barriera corallina." sussurra.

Manuel, col corallo colorato negli occhi, annuisce.

A tratti, è arcobaleno. Simone vede i colori dipinti sul suo viso, inquinati da un nero sporco e confuso, simbolo di prigionia. Nota nei tratti del suo volto le macchie della dura realtà, le occhiaie, la debolezza.

Si sente morire, per un attimo.

Ci meritiamo molto più di quello che il mondo ha da offrirci, pensa.

Forse, stavano meglio quando erano felici con una birra e una canna.

"È-è meravigliosa." si lascia sfuggire Simone, chiaramente in estasi.

Di nuovo, Manuel fa un cenno d'assenso con il capo.

"Già," conferma. "secondo me è uno dei posti più belli su la terra. Me sembra la rappresentazione concreta della bellezza, Simò-certe volte so i luoghi come a questo che me tengono fisso a terra. Che me fanno crede che ci sia ancora speranza per il mondo reale. E poi.."

"...e poi ti ricordi che non ci puoi andare." conclude Simone per lui. Ha la voce impregnata di amarezza, di verità.

Manuel arriccia le labbra in un'espressione di pura insoddisfazione.

Perché Simone ha ragione, e lui lo sa bene.

"Guarda qua." tenta di sviare allora. Nel farlo, gira pagina, portando Simone in un nuovo angolo del mare. Compaiono due foto su quel foglio a righe: una, in alto a destra, decorata da coralli, pesci e vita; l'altra, in basso a sinistra, scattata dall'alto, dal cielo, in modo tale da rendere la barriera totalmente visibile.

Ed è per Simone, quando Manuel gliela indica con un dito, una visione incredibile.

"Questa è l'intera barriera corallina vista dallo spazio," spiega. "pensa te stare nel cielo e poter vedere questo. Non te viene proprio voglia de torna? De veni a vede che altre bellezze c'ha da offrì sto pianeta?"

Simone ci pensa un attimo, sollevando un sopracciglio. Alza lo sguardo, lo punta verso lo spazio, pensa a quanto sarebbe meraviglioso guardare il mondo da quella prospettiva. Si chiede se qualcuno non lo abbia già fatto.

Poi, si lascia sfuggire il pensiero.

"Forse lo pensano pure gli alieni."

Manuel strabuzza gli occhi. Per qualche istante crede di non aver sentito bene, di essersi sbagliato. Capisce di non averlo fatto, tuttavia, quando nota il leggero rossore sulle gote dell'altro, sfumato nella cupezza della notte.

Non si trattiene. Scoppia in una risata leggera, sentita, felice.

Simone, dopo un attimo di esitazione, inizia a ridere con lui.

"Mo' ho capito perché volevi fa ingegneria aerospaziale," singhiozza Manuel, schernendolo. "volevi anda' a vede gli alieni?"

"Ma vaffanculo."

Le loro risate si uniscono alle onde di energia dell'universo per un po'. Fanno solo quello, ridono. Non si passano la sigaretta come una volta. Non bevono birra, non c'è tensione tra loro. Sono adulti, cresciuti, non sono più gli stessi di una volta.

Eppure, non è cambiato nulla.

Sono loro. Simone e Manuel, gli associati.

"Però oh, seriamente," li interrompe improvvisamente Simone, spegnendo il loro divertimento e tornando serio. "tu ce credi agli alieni? O pensi che ci siamo solo noi in st'universo?"

Manuel sospira.

"Simò, io penso che è impossibile che ce stiamo solo noi," risponde, diretto e coinciso. "anche solo pensarlo sarebbe sintomo del nostro l'egocentrismo. Quinni no, non penso che siamo soli. Ma non penso nemmeno ce dovrebbe importa' quarcosa."

Gli occhi di Simone si colorano di curiosità. "In che senso?"

"Nel senso che è vero che come se dice siamo puntini nell'infinito," scrolla le spalle. "ma è pure vero che non ce cambia niente saperlo oppure no. Possiamo pensa de sta al centro de tutto, o de non conta' niente: la nostra posizione resta sempre quella. Allora forse è meglio pensa d'esse al centro della bellezza dell'universo. Che tutti gli alieni ci guardino, se vogliono: alcuni di noi se lo meritano pure. A me degli alieni non frega n'cazzo, so' sincero.

Mi frega de noi, no de loro.

Perché siamo puntini nello spazio infinito, Simò: ma possiamo esse i più belli di tutti, se vogliamo."

Simone pensa che Manuel sia un enorme, massivo paradosso. Il più grande ossimoro della storia, forse, il più bello. L'uomo che odia gli uomini, e che continua a nutrire in cuor suo fede in loro. L'uomo che sogna sulla terra, che guarda al cielo senza desiderare volare, che si rassegna ad una vita che gli sta stretta per viverne nella sua mente altre mille molto più larghe.

Manuel Ferro, il sognatore.

Forse, dovrei diventare ossimoro anch'io. Abbandonare ogni terra, anche i miei piedi.

Vivrei forse più felice?

"È strano sentirti dire questo. Da uno come te che pare solo odiare l'umanità, intendo."

Manuel incide il suo sguardo nel suo. È trasparente, lascia che Simone vi legga qualsiasi cosa. Per una volta, non ha nulla da nascondere.

Simone deglutisce.

"A volte bisogna esse' obiettivi," ribatte Manuel, serio. "perché è vero che ce sta gente de merda in giro. Ce stanno gli omofobi, gli stupratori, gli assassini, i razzisti. Ce sta gente che non te fa lavora, che te sputa n'faccia, che te mina i sogni.
Ce sta la peggio feccia qua, forse.

Però poi certe volte me guardo pure intorno-e me rendo conto che non ce sta solo quello.

Ce stanno pure persone buone. Persone dai cuori puri, dalle anime giuste. Persone che se meritano il mondo.

Tipo te."

Esistono migliaia di combinazioni fonetiche. Migliaia di lingue, suoni e melodie diverse. Lettere, numeri, che possono rendere una voce miele o lame. Le parole, tra tutte le cose, possono essere le armi più potenti al mondo. Sanno in che pieghe infilare le lame, in che punti fare solletico, persino su quali organi c'è bisogno di risanare le ferite.
Sono forti, a volte sincere, a volte fasulle.

E sanno far rabbrividire.

Fin troppo, pensa Simone.

Non si prende del tempo per elaborare il significato del discorso di Manuel. Ha compreso tutto, dalla prima all'ultima sillaba. Si è lasciato accarezzare da tanta dolcezza, da una confessione così grande da mozzare l'ossigeno nell'aria.

Ma Simone lo sa, che non può spingersi oltre. Per quanto desideri farlo, resta tutto solo un sogno.

Solo passato.

Così, piuttosto che sporgersi verso Manuel come vorrebbe, fa retromarcia, disegnando una nuova distanza tra loro. Guarda fisso il cielo, mentre l'altro deglutisce la sua assenza.

Sospira.

"Hai troppa fede in me," confessa, avvilito. "anzi, hai troppa fede in noi. E non ce lo meritiamo, penso."

A quel punto, Manuel sorride. Ed è un sorriso pregno di convinzione, velato da sogni irrealizzabili.

"Può darsi," fa spallucce. "ma non me frega niente. Se posso sceglie de crede n'qualcosa de reale, allora voglio crede in una cosa reale e bella."

Simone crede di non aver mai udito melodie più belle di quella. E ne ha ascoltate tante, nella sua vita. Di bei pensieri, di interessanti lezioni. Ma mai nulla di così sentito.

Mai nulla che lo facesse sentire tanto amato.

Il resto della serata la spendono a parlare. Si tengono su argomenti leggeri, già sentiti e risentiti. Descrivono luoghi del mondo, Simone racconta a Manuel delle sensazioni che l'aereo gli ha fatto provare per la prima volta. Gli promette anche, tra una cosa e l'altra, che un giorno farà in modo di fargli provare tutto.

Manuel sorride. Sorride tutto il tempo, dimenticandosi dei sogni.

Simone, invece, si dimentica la vita. E sa che è sbagliato farlo, che non potrebbe, ma non gli importa.

Sta così bene, poi.

Verso le tre di notte, si salutano con due baci sulla guancia. Torneranno entrambi in una casa vuota, l'una piena di incertezze, l'altra colma di certezze travolgenti.

Lo faranno, però, con la promessa di sognare di nuovo insieme.

"Me lo racconti il tuo ultimo sogno, allora?" domanda Simone prima di andar via.

Al che, Manuel inclina leggermente il capo, incrociando le braccia ed incurvando la bocca.

"Te lo racconto domani, Simò."

E Simone scuote la testa.

Si può forse permettere un altro domani?

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