Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

La prima notte

"Non avrò nulla da sognare quando già nella realtà sono stato così felice accanto a voi!"
~Fedör Dostoevskij
____________

Manuel Ferro è un sognatore.

Ogni tanto si ferma a contemplare le stelle, e spera che realizzino i suoi desideri. Abbraccia il cielo anche se è troppo grande, anche se a tratti è vuoto. Nelle venature delle cortecce vede storie già scritte, da raccontare. E, se abbassa lo sguardo, tra i granelli di terra scura osserva le formiche trasportare i suoi sogni.

Manuel Ferro è un sognatore.

Prima non lo era, era succube della realtà. Lasciava che la concretezza delineasse i contorni della sua vita, piuttosto che deformarla. Viveva nel presente, nella cupezza del mondo reale, in un universo in cui le stelle erano coperte dalle nuvole. Affrontava la vita a testa bassa, schiacciato dalla razionalità, bagnato dalle stesse lacrime che versava per una verità troppo violenta.

Poi, è diventato un sognatore.

Ha iniziato a guardare in alto, piuttosto che avanti. È diventato imbranato, e forse persino un po' ingenuo. Ha abbandonato la tristezza, la frustrazione, la rabbia verso un mondo che non riesce ad essere come lui lo immagina. Si è reso la vita più facile, allontanandosi dagli spigoli di una realtà troppo concreta.

Manuel Ferro ha fatto quello che in pochi riescono a fare.

Si è salvato.

Dalla paura di non essere abbastanza, di deludere. Dal peso delle aspettative degli altri, e di quelle di se stesso. Dalla consapevolezza di non poter raggiungere le vette più alte, se non disegnandole nella sua testa.

È stato un istinto di sopravvivenza, il suo. Scappare in un mondo fatto di polvere, invece che affrontare quello vero. Un mondo in cui può essere chi vuole, senza timori, senza pregiudizi.

Un mondo in cui è libero di amare.

In cui è salvo.

Perciò, Manuel Ferro si è salvato sognando.

Lo ha fatto sdraiato sul letto di camera sua, fissando il soffitto sporco. Lo ha fatto passeggiando per le strade di Roma, inciampando sui San Pietrini. Lo ha fatto studiando le scapole del compagno seduto di fronte a lui in classe, chiedendosi perché volesse affondarci il naso dentro. Lo ha fatto odorandone il profumo, chiedendosi perché volesse avventarsi sul suo collo. Lo ha fatto parlandoci, ridendo con lui, senza mai dirgli nulla dei suoi sogni, per anni.

Lo ha fatto pure una notte in un cantiere, o forse quello era reale.

Manuel Ferro ha sognato per anni, e in mille luoghi diversi. Ha sognato da adolescente, senza nemmeno accorgersene. Ha sognato lasciandosi il liceo alle spalle, entrando all'università. Ha sognato fin troppo, forse, allontanandosi dall'unico sogno che poteva realmente toccare con mano.

Ma ormai, non importa.

All'età di ventisei anni, Manuel Ferro sogna ancora.

È un adulto, ha una casa, un lavoro. Vive solo, in un appartamento decorato del suo disordine e della sua pigrizia. Ha qualche amico, conosciuto in giro per locali. Ha anche dei colleghi strepitosi, nel negozio in cui lavora. Sta bene economicamente, ha una madre amorevole e premurosa. Non ha amore, certo, ma quello non importa.

Gli bastano i suoi sogni.

Specialmente quelli che, ogni tanto, hanno la forma di un viso.

A Manuel piace sognare guardando la sua città. Ama vederla dall'alto, quando tutto è scuro. Ne adora i colori, le sfumature, persino le luci che coprono le stelle. Sogna immaginando vite tra quelle strade, pensieri nei cuori dei cittadini. Sogna osservando, come uno spettatore, testimone delle paure di chi osa vivere una vita vera.

Manuel Ferro sogna da Monte Ciocci, di notte. È il suo rifugio estivo, quando vuole scappare dall'afa e dalla gente. È un muretto in cemento, è comodo, conferisce la vista dall'alto.

È solitario, a tratti.

Si reca lì quasi ogni sera. Lo fa con un vecchio motorino, che è riuscito a comprare racimolando un po' di soldi qualche anno fa. Percorre una stradina, sale, si sgranchisce le gambe.

Sogna anche mentre cammina.

Poi arriva lì, si siede, e contempla la sua mente. Ed è solo, perché ci va tardi, troppo tardi.

Ogni singola volta.

Manuel Ferro si trova su quella panchina, il 7 agosto 2031. Sono le due del mattino, il vento non tira. L'aria è comunque fresca, priva del solito calore umano, delle risate della gente. L'estate preme sulla sua pelle, ma non è scottante.

Lo accarezza al punto giusto.

È solo. Lo è da una mezz'oretta ormai, da quando anche l'ultima coppia è andata via. Gli alberi non parlano, forse stanno vivendo i suoi sogni. Roma vive, è bella, ne può sentire il caos da lì.

E se lo gode, perché è solo.

Danza coi suoi sogni, lascia che i brividi lo travolgano. Pensa in grande, troppo in grande, fino a stremarsi, fino a chiudere gli occhi.

Pensa così tanto che non sente i passi della razionalità. I sogni fanno rumore, coprono tutto, persino gli umani.

E così, quella sera, Manuel Ferro non sente qualcuno arrivare dietro di sé.

La sagoma di Simone Balestra è un'ombra alta in quella notte. Si aggira respirando forte, troppo velocemente, maledicendosi per quell'assurda idea. È nervosa, tediata da troppi contorni, priva di sfumature.

A quelli come Manuel fa paura, a dirla tutta.

Simone Balestra non sogna. Ha la testa sul collo, non la alza mai troppo per vedere il sole oltre le nuvole. Grida per il dolore, urla per la rabbia, si spegne come un fiore che appassisce. Abbraccia la vita, non il cielo, non le stelle.

Simone Balestra vive con i piedi saldi a terra.

Cammina a passo spedito, calpesta il suolo come fosse il suo. Non lo sente di carta sotto i piedi, non lo vede come pagine di diario su cui tracciare la propria storia. Non guarda alla luce come modo per sfumare l'inchiostro, né all'ombra come un modo per nasconderlo. Non è padrone della sua vita, non sogna.

Semplicemente cammina, preso dall'ansia. Cammina con la testa bassa, ma nel buio non vede storie. Vede il fumo nella sua mente, sente il suo cuore battere, non vive di leggerezza. L'unica luce che i suoi occhi sanno percepire appartiene ai lampioni, che gli servono a vedere dove va.

Simone non vede le stelle.

Non vede i sogni, non vede la luna. Vede solo della pietra triste, che tedia ripetutamente col rumore dei suoi passi. Vedrebbe le persone, se ci fossero, assieme ai suoi pensieri troppo concreti. Sentirebbe le loro voci, le loro risate, i racconti delle loro vite. Non farebbe fatica a comprenderli, a notarli.

La gente è troppo terrena per non essere notata.

Nonostante questo, però, Simone Manuel non lo vede. O almeno non lo fa inizialmente, la mente ancora invasa dalla concretezza. Forse è perché Manuel è una persona diversa, leggera.

Forse è perché Manuel sogna.

Lui e Simone sono agli antipodi del mondo. Due realtà opposte, lettere e numeri, filosofia e matematica, paura e coraggio, occhi chiusi e aperti, sogni e realtà. Sono troppo lontani, sono miopi, non riescono a legarsi, non lo hanno mai fatto.

Quindi no, Simone e Manuel dapprima non si vedono.

Manuel continua a tenere lo sguardo alto, a studiare il cielo con le palpebre semi abbassate. Si domanda se l luce delle stelle sia come quella della città, prodotta dalla vita di qualcosa, di qualcuno.

Magari, sono semplicemente i suoi sogni che si accendono da un'altra parte.

Si culla in quel pensiero, sollevando gli angoli della bocca. È smarrito, perso tra le strade di un paese troppo grande, di un sogno troppo liquido. Un po'n annega, un po' riemerge, un po' vive.

Non si accorge, poi, della sagoma che prende posto accanto a lui.

Simone è un uomo di terra. Può perdere di vista l'essenza dei sogni, l'alone che ricopre Manuel come un velo. Ma Manuel rimane una persona, fatta di materia, concreta.

Ed è più facile che la razionalità scovi il nascondiglio di qualcosa di reale, che non un sognatore esca dalla sua tana.

Perciò, Simone vede Manuel.

Lo vede, e schiude le labbra. Si sente attratto come le api lo sono al miele, è un istinto naturale.

Gli opposti si attraggono.

Così, sorpreso, incredulo, felice, scavalca il muretto e prende posto accanto a lui. Lo fa lentamente, non vuole disturbarlo. Studia il suo profilo, scolpito nella notte, il rossore delle sue labbra e il candore della sua pelle sotto un cielo blu. Delinea i contorni di un uomo sfumato, che non si accorge della sua aura, della sua presenza, del suo sguardo su di lui. È la matita su un foglio già sporco, calcato dal tempo, dalla consapevolezza. Nota nei suoi tratti un accenno di giovinezza, la stessa scintilla di cui una volta era innamorato.

Sorride, come chi lo fa davanti a un bel ricordo.

Perché l'amore è solo quello, un ricordo.

Nel frattempo, Manuel è distratto, solo, ma felice. Nuota negli oceani più profondi, tra le stelle più luminose, in ogni briciolo di surrealtà che trova durante il suo cammino.

Forse è proprio la distrazione, il segreto per la felicità.

"Dovresti scendere un po' dalle nuvole," esordisce una voce troppo forte, troppo vicina. Voce che si insinua tra i suoi sogni, frantuma vetri e galassie. Manuel apre gli occhi di scatto, ruotando la testa verso il suo disturbatore. "sto' qua da cinque minuti e non te sei accorto de niente. Non eri così rincoglionito, prima."

La penombra è gentile con Simone. Decora il suo viso come un pittore fa con la tela, colorandolo degli stessi colori di petali scuri. Marca la mascella, rilassata, le sopracciglia un po' contratte per la contentezza, i ricci ordinati sul capo in maniera fin troppo razionale. Sono diversi da quelli di Manuel, che sono liberi, senza freni.

Opposti.

Il suo sorriso brilla. Manuel rimane a contemplarlo con le labbra schiuse, per qualche secondo, il tempo di metabolizzare. Perché Simone, il suo primo amore, la sua più grande paura, è accanto a lui dopo anni, e sorride. Perché il cuore batte troppo forte nel petto, perché sta iniziando a diventare troppo reale. Perché è l'unica persona che sia riuscito a tirarlo fuori dal suo mondo, a invadere i suoi sogni.

Perché Simone è diverso.

E Manuel, istintivamente, curva un po' la bocca. È un abbozzo, una prova intrisa di paura.

Ma da quanto tempo non sorrideva a qualcuno in quel modo?

"Prima non ero n'sacco de cose," risponde, scrollando le spalle. "per esempio, non sarei mai venuto qua senza na' canna."

Simone ride. Ride sommessamente, fa vibrare la terra. Ride anche troppo, per quella battuta squallida. Lo fa perché il passato lo travolge, gli fa il solletico. Perché ripensa a un Manuel più piccolo, adolescente, che non avrebbe mai ignorato la realtà.

Ed è il suono più bello del mondo.

"È vero," concorda, annuendo. "se vede che n'è passato di tempo."

Manuel torna a guardare Roma. Ora ha gli occhi rivolti verso le luci basse, quelle che si possono toccare, quelle che non bruciano troppo. Ogni tanto l'attenzione gli cade sulle sue gambe che penzolano, facendo avanti indietro, battendo i talloni contro il muro. Ha le braccia stese, i palmi posati sul cemento, la schiena tesa all'indietro. È tutto vero, l'aria, la città, la voce vicino a lui.

Forse è Simone che rende tutto vero.

"Già. So' passati anni."

Le parole rimangono sospese. Non c'è vento che possa portarle via, brezza che possa rinfrescarle. Sono semplicemente frutto di una verità incandescente, una realizzazione che un po' stringe il cuore ad entrambi. Perché prima di essere innamorati, prima di non avere coraggio, prima di dileguarsi pian piano e in silenzio, erano amici.

Erano amici prima dell'amore. Erano amici dopo la maturità, dopo aver amato. Erano amici quando hanno scelto strade diverse, decidendo tacitamente di tagliare i ponti per sempre.

Erano amici. E hanno rovinato anche quello.

Simone non sembra trovare modo per ribattere. Perciò, sta zitto per un po', suscitando la curiosità di un Manuel con i sogni tediati e gli occhi fastidiosamente aperti. Un Manuel con un accenno di contorno, che si chiede quale scherzo l'universo gli abbia fatto per fargli ritrovare l'amore di una vita nel suo rifugio personale. Che si domanda cosa Simone ci faccia lì, a quell'ora, in un luogo di solitudine e pace.

Che vorrebbe far toccare a Simone le galassie con mano, perché lo sente ancora troppo lontano, contaminato.

"Simo'." chiama dunque, continuando a guardare avanti a sé.

Simone alza un po' la testa, invasa dai pensieri. A differenza sua, lui trova il coraggio di guardarlo.

Forse, è solo perché non è tediato allo stesso modo.

"Mh?" mugugna, curioso.

"Che ce stai a fa qua' alle due de notte?"

L'altro si morde un labbro.

Manuel, che ha lo sguardo diretto verso un'altra direzione, non lo può vedere. Eppure, lo sa che si è morso il labbro, proprio come sa che è nervoso. Lo capisce dal modo in cui il suo indice picchietta sul muro, dal modo in cui ci mette tanto a rispondere. Forse, anche Simone si è perso. Ma lo ha fatto nel groviglio di una vita concreta, irrisolvibile.

Forse, il tempo non ha cancellato il suo carattere.

E lui è venuto a farselo cambiare dai sogni.

"Ti potrei fare la stessa domanda." controbatte, tentando di sviare l'argomento.

Ma Manuel è più furbo.

Ricorda ancora i tranelli della terra.

"Potresti," sussurra, con tono petulante. E gira un po' il capo prima di continuare, il giusto per guardare quegli occhi che non vede da troppo tempo. "però non te risponderei, se èprima non lo facessi tu. E questo lo sai."

Simone schiocca la lingua sul palato.

Certe cose sono sformate dal tempo, dalle intemperie. Alcuni angoli vengono arrotondati, alcuni nodi sciolti, alcuni fili tagliati.
Altri, invece, restano come sono, invariati.

E Manuel, nel tempo, ne ha cambiati molti di angoli. Vi ha scavato fossati intorno, persino burroni, per proteggersi, per non cadere nelle trappole dell'universo.

Però, un angolo non l'ha mai cambiato.

Simone.

Il suo angolo debole, quello senza buche attorno. Un angolo di lui che Simone stesso conosce fin troppo bene, perché gli è stato dedicato. Quel sorriso, quello sguardo, quella voce, che non sono di nessun altro se non le sue.

E Simone lo sa benissimo, che appartengono a lui.

Per questo conosce Manuel come le sue tasche.

Perché Manuel non mostra mai altri angoli.

"Certe cose non cambiano mai," sbuffa Simone in risposta, incalzando Manuel a ridacchiare. "e comunque, sto' qua' a pensa'. C'avevo bisogno de qualcosa da fa, altrimenti a casa impazzivo."

Manuel assottiglia lo sguardo, alzando un sopracciglio.

"E quindi sei venuto qua a tormentarte coi pensieri piuttosto che farlo a casa tua?" dice, prendendolo in giro. "Certe cose non cambiano mai."

Simone scuote la testa, alzando lo sguardo al cielo. È bello, quando ha gli occhi pieni di qualcosa così immenso. Quando li ha accesso, non contaminati dall'agitazione. Quando sono tranquilli, colmi del blu del cielo.

Strano poi, come proprio in quella notte, non ci sia neanche una nuvola.

"E che vorresti dì co questo?" domanda, il tono più curioso che infastidito.

Manuel si morde un labbro. "Che dovresti n'pò spegne r'cervello," lo rimbecca. "qua non ce se viene pe' pensa. Ce se viene pe' non farlo."

Simone arriccia un po' il naso. È un gesto impercettibile, quasi invisibile per via della notte. Ma Manuel lo nota lo stesso, e non può fare a meno che sorridere.

È adorabile, pensa.

"Ma non ce posso venì a fa quello che me pare?" ribatte il ragazzo affianco a lui, un po' troppo permalosamente.

Al che, Manuel ride leggermente, buttando la testa all'indietro.

"Simò, tu qua c'è puoi venì a fa quello che vuoi," replica, scuotendo le spalle. "nessuno te lo vieta. Però, rimugina' sulle cose non serve a n'cazzo. Prendi me, che l'ho fatto per anni e non so' arrivato da nessuna parte-alla fine, poi, me so ritrovato qua alle due de notte a sogna na vita diversa. Ma almeno qualcosa ce l'ho: i sogni. E quelli non te li può porta' via manco l'ansia."

Simone inclina la testa, colpito da quel discorso. Quello che conosceva lui una volta, era un Manuel che viveva con i piedi per terra, che non aveva né il tempo né la voglia per perdersi in futilità come l'immaginazione. Non avrebbe mai sognato, quel Manuel.

Ma evidentemente, è maturato. Forse ha capito troppo della vita, ho forse ha capito così poco da diventare ingenuo. Forse resta il Manuel di sempre, solo con qualche sogno in più.

Forse, resta il suo Manuel.

Non è il tuo Manuel, però. Non lo è mai stato, e non lo sarà mai.

"E quindi è questo che sei venuto a fare stasera? Sognare?" chiede dunque, desideroso di ricevere una risposta.

Manuel curva a stento le labbra, in un sorriso misto tra il consapevole e l'amaro. "Come quasi ogni sera d'estate."

In quell'esatto istante, qualcosa nei tratti di Simone cambia. Si rilassano, incantati, il suo sguardo incatenato al viso di Manuel come un prigioniero alla propria sbarra. È rapito, sorpreso, incredulo.

Manuel lo percepisce, ma non dice nulla. Sa di essersi appena spogliato, di essersi reso vulnerabile, di aver raccontato forse troppo di tutti i suoi pianeti.

Eppure, non gli importa.

È Simone, dopotutto. Non utilizzerebbe mai i suoi sogni contro di lui.

"Ammazza oh, sognare in una notte d'estate," risponde alla fine, un po' schernendolo un po' ammirandolo. "ti ricordavo poeta, eh, ma mica così tanto."

Manuel trattiene una risata. Poeta lo è ancora, in effetti, nel tempo libero. Quando casa sua è troppo vuota, e la sua unica compagnia è l'inchiostro nero su un taccuino. Quando la sua testa è troppo piena e ha bisogno di buttarne via i contenuti. Quando va tutto a rotoli, ma la carta non è ancora stropicciata.

È allora, che Manuel diventa poeta.

Che tanto, anche le poesie fanno parte dei suoi sogni.

"Lo prendo come un complimento," fa spallucce, sorridendogli. "i poeti so gente interessante. Pieni di sorprese."

Simone lo guarda, squadrandolo dalla testa ai piedi. Vede lui, Roma sotto di lui, il cielo limpido e stellato.

E lui.

"Già,"conferma, pensieroso. "come te d'altronde. Pure tu sei pieno di sorprese."

Manuel non ribatte. Preferisce far calare il silenzio, coprire quel discorso, lasciare che la notte se lo porti via. Si volta di nuovo verso la città, verso il cielo. Avere Simone affianco è stancante, poi. Gli ricorda la presenza del cuore nel petto, dell'aria che respira, del cemento freddo sotto i suoi palmi. Lo riporta ad anni prima, quando era confuso e innamorato, quando si era lasciato travolgere dalla paura.

E no, è vero, di amore adesso non ne prova più.

Ma è comunque difficile sentire la sua voce e dimenticarsi com'è bello amarlo.

"Qual è il tuo sogno più bello?" chiede improvvisamente Simone, spezzando la quiete intorno a loro.

Al che, Manuel riporta l'attenzione su di lui, percependo nella sua voce sincero interesse.

Si incastrano per un attimo, le loro iridi. Lo fanno davvero, senza timore, senza vergogna.
Poi, Manuel torna a fissare il cielo, sporgendosi all'indietro.

E sorride.

"I sogni so tutti i più belli Simo'. Altrimenti non sarebbero sogni." spiega, con tono filosofico. Simone scuote la testa, trattenendo un sorriso divertito. Si lecca le labbra, aspetta la risposta gli sta per dare. E questa non tarda ad arrivare. "Però-ce ne stavano quattro, di sogni. Erano quelli più importanti, quelli che volevo diventassero reali. So' pure quelli che m'hanno insegnato che non tutti i sogni s'avverano-se ce ne stanno di più belli, so sicuramente quelli."

Simone annuisce. Sembra concentrato, come se stesse connettendo dei punti o facendo delle importanti scoperte. Lo guarda, ancora e ancora, forse come lo guardava una volta.

E Manuel schiude le labbra, il cuore tremante.

"Ti va di raccontarmene qualcuno?" chiede Simone.

Manue fa un bel respiro, prima di rispondere.

"Lo vuoi sentì sur serio?"

Simone non esita.

"Si. Racconta."

L'altro pare rifletterci su. La sua mente lavora per formulare un discorso, per mettere insieme le parole corrette. Se deve raccontare quello che ha nel cuore, Manuel vuole farlo bene. Vuole renderlo un momento magico, solo quello, solo quella notte blu.

Stila velocemente una lista dei suoi quattro sogni, e minuziosamente ne sceglie uno.

Sospira, poi, prima di iniziare.

"Quando stavamo al liceo," dice. "non c'avevo niente de chiaro in testa. Pensavo che sarei finito a fa l'elemosina da quarche parte, a supplica uomini de darmi un lavoro come mi madre, o addirittura a fa rapine pe' mantenermi. Non sapevo niente, non me piaceva niente, non c'avevo manco na passione se non quella pe' due righe in versi.

Poi però è arrivato tu' padre. Simò, io non scherzo quando te dico che le sue spiegazioni m'ha o sempre incantato-io me so innamorato della filosofia. Me so innamorato perché vede la vita da punti di vista diversi, perché non incasella niente, perché sfuma i contorni de qualsiasi pensiero. È l'unico tipo de razionalità che me piace, la filosofia. È vicina ai sogni, te permette de disegna la realtà come vuoi.

È meravigliosa, la filosofia."

Simone schiocca la lingua sul palato mentre Manuel fa una pausa. Deve riordinare i pensieri, dargli un senso compiuto, renderli persino poetici. Se la merita una poesia, la filosofia.

Il suo primo sogno infranto.

"Io volevo studiarla all'università," prosegue. "lo volevo davvero fa', era il mio sogno."

"Me lo ricordo," interviene Simone, lasciandosi scappare questa costatazione. "ne parlavi sempre. Ne hai parlato finché ricordo di esserti stato amico."

Manuel annuisce. È piacevolmente sorpreso dalla memoria di Simone, che neanche il tempo è riuscito a scalfire.

Di solito, le cose poco importanti si scordano. Oppure non si ascoltano per niente.

Ma invece Simone lo aveva ritenuto importante. Lo aveva ascoltato, e ricordava tutto.

"Si. Io volevo fa' quello che fa tuo padre nella vita, Simò. Insegnare a pensare, a uscire dagli schemi, a crearsi una propria realtà piuttosto che essere sottomessi. Volevo aprì le menti, volevo aiutare come tuo padre ha fatto co' me. Volevo alzarmi la mattina e andare a scuola. Volevo prendere un cornetto al bar di fronte al liceo, prima di entrare e portare gli alunni a fare lezione in giro per Roma senza autorizzazione. Volevo litiga' co' la preside pe' le uscite didattiche, e stare vicino agli adolescenti come avrei voluto che qualcuno stesse vicino a me.

Ma non m'hanno permesso manco quello, Simò.
Forse non ero abbastanza per farlo."

Simone sembra sconvolto. Il suo volto è tinto di empatia, di tristezza, di malinconia. Come se stesse provando dolore per un sogno perduto, per qualcosa che gli è scivolato tra le dita.

Come se stesse provando dolore per lui.

"Io e te.." inizia, bloccandosi un attimo. "...io e te poi non ci siamo più parlati. Perché non hai più studiato?"

Manuel, di nuovo, sospira.

"Perché non c'avevamo soldi, Simò," spiega, angosciato. "non potevamo pagarmi gli studi, manco co i lavoretti che facevamo. Mi' mamma c'ha provato davvero-però è stato tutto inutile. E questa è stata la prima vera batosta che ho preso dalla vita, Simò. Quella che m'ha insegnato che non tutti si realizzano sempre."

Simone scuote la testa. Manuel lo osserva reagire, curioso, un po' impaurito. Vede mille emozioni attraversargli il viso, comandarlo, spegnere solo per un attimo il suo cervello.

Almeno, qualcosa gli è riuscito.

Distrarlo.

"Ti meritavi di più." sussurra, triste.

Manuel abbozza un sorriso amaro.

"Ce sta tanta gente che se meritava di più, pure più de me. La vita fa schifo Simò-e basta."

"Si, è vero," concorda Simone. "ma io avrei potuto aiutarti. Se solo ci fossi stato-"

"Non lo dì Simò. Non lo dì."

Simone tace. Si cuce la bocca, perché è una richiesta esplicita di Manuel, e non può non rispettarla. Attende che sia lui a compiere un passo, anche se vorrebbe continuare a scusarsi per tutta la notte.

Basta.

Davvero ti basta una chiacchierata per ricascarci?

"Tu a me non dovevi nulla," proseguì Manuel. "né tu né tu padre. Hai fatto n'sacco pe' me Simò-tu neanche hai idea. Senza de te non saprei manco chi sono ora.

Io non posso fa altro che ringraziarti pe' esse entrato nella mia vita, Simò."

L'altro non ribatte subito. Lascia passare del tempo per riflettere su ciò che gli è appena stato detto, per mettere insieme i pezzi. Non riesce a capire, però. Non riesce a comprendere cosa voglia dire, che senza di lui Manuel non saprebbe chi è. Non sa perché deve ringraziarlo, specialmente perché è stato lui ad allontanarsi.

E lo ha fatto per non farsi spezzare il cuore ulteriormente, certo.

Ma lo ha fatto.

"Non ho fatto nulla." bisbiglia perciò, pentito.

Manuel scuote la testa.

"No Simò, credi a me. Hai fatto tutto per me. Tu-m'hai fatto accetta' quello che sono. Grazie Simò. Sto a dì sul serio."

Simone capisce. Non sa che scintilla gli si accende in petto, ma capisce. Ha ancora il dubbio, certo, ma non gli serve chiedere, non vuole neanche costringerlo a rispondere.

Simone capisce, perché ci è passato anche lui. Capisce quanto sia stato difficile, quanto sia ancora difficile dirlo. Perciò non infierisce, non insiste.

Sorride.

E no, Simone di anni prima non lo avrebbe mai fatto. Ma lui era innamorato. Il Simone di adesso, invece, no.

"Grazie a te," dice dolcemente. "hai fatto la stessa cosa per me, lo sai."

Ma Manuel non è d'accordo. "Io non ho fatto niente Simò. Non me ringrazia'." risponde.

Il sorriso di Simone si allarga.

"Neanche io ho fatto niente." si limita allora a ribattere, lasciando che le parole siano rubate dalla notte.

Stanno in silenzio per un po'. A tratti, Simone osserva Manuel, quando è sicuro che non possa vederlo.

Manuel fa lo stesso.

È esattamente come quando erano adolescenti. Guardarsi senza toccarsi, senza osare parlarsi. Niente comunicazione, perché la voce è uno strumento di guerra, e loro hanno bisogno di pace.

"Me lo racconti il secondo sogno?" farfuglia Simone improvvisamente, rompendo quel calore creatosi tra di loro.

Manuel si morse un labbro. Ci riflette su, lo squadra.

Capisce che vuole di più.

"Te lo racconto domani." dice.

Simone pare confuso. "Domani?"

"Si, domani," annuisce Manuel. "qua, alla stessa ora. Sta' notte non c'ha più spazio per i sogni."

L'altro è interdetto. Manuel lo vede nel modo in cui i suoi lineamenti si piegano, nel modo in cui pensa.

Ha riacceso il cervello, si dice. Ha paura dei sogni.

"Va bene." sussurra Simone poi, sorprendendolo. È una decisione affrettata, impulsiva. Un incontro più programmato, una trappola in cui è caduto.

Non dovrebbe neanche farlo.

Manuel sorride, meravigliato.

"Va bene." ripete, più a se stesso che all'altro.

È un appuntamento con un sogno

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro