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8


Le prime luci del sbato mattina entrarono dalla finestrella dell'Arcidiacono, chino sul tavolino, intento a trafficare con boccette ed alambicchi, come da tempo non faceva. Voleva evadere dai suoi pensieri, e il rigirarsi sul letto senza prendere sonno certo non l'aiutava nel suo intento.
Ancora si tormentava nel sentirsi somigliante al Capitano Phoebus, falso e bugiardo, ma di qualcosa era sicuro: i suoi sentimenti per Esmeralda erano autentici..
Decise di dedicarsi alle scienze, sua passione, prima che bella Zingara entrasse a tormentare i suoi pensieri.
Quella notte, più che agli studi alchémici cui era solito, lavorò con la più comune chimica organica. Distillò il suo odio per il Capitano in una boccetta rotonda di liquido che sigillò con un tappino di sughero, fermato da qualche goccia di cera.

Le campane suonavano i 7 rintocchi mattutini, e l'Arcidiacono era già sulle scale, con una lettera sigillata in mano. Cercò il sacrestano e si raccomandò di farla pervenire col più rapido fattorino presso la sede della Regale Guardia, all'attenzione del Capitano Phoebus.

Prese il fagotto della colazione e due mele in più dal tavolo della sacrestia, per avviarsi nuovamente su per le scale, verso la sua camera, ove si richiuse, indeciso sul da farsi.
Andare da lei,questo era ovvio, e poi? cosa fare?
Era molto incerto, ma partì comunque verso la stanza della prigioniera, sperando di trovare la giusta soluzione strada facendo.



Esmeralda aveva passato la notte quasi totalmente insonne, per non parlare della solitudine che l'aveva attanagliata nel buio facendola arrivare da uno status di tristezza ad uno di neutra apatia.
Ora, a mente sgombra, fissava il vuoto e si chiedeva quando sarebbe arrivata la sua guardia. Non riusciva a dargli un nome ne un volto,ma la sua voce gentile e sincera le dava un senso di protezione, e durante la notte si era ritrovata spesso a desiderare di averlo li, dall'altra parte della porta,e di potergli parlare ancora un po'.
Era inutile però, piu ci pensava e piu la curiosità aumentava: com'era quest'uomo?
Dalla voce sembrava una persona gentile, e, nonostante la tenesse rinchiusa li, non poteva negare che andarsene in giro quando tutti la sapevano morta, non era certo fattibile.
In compenso, però, le balenò in mente un'esperimento niente male.
Il giorno precedente la guardia si era fatta precedere dalle campane, quindi, nonappena udì i 7 rintocchi mattutini, si preparò, quatta quatta, attaccata al muro,al lato della porta.
Dovette attendere pochi minuti, prima di sentire il passo leggero e svelto con cui la guardia si stava avvicinando.
Il cuore le sussultò allo sferragliare delle chiavi che andavano a liberare il chiavistello, si acquattò ed attese, impaziente. Quando la porta si aprì, osservò da quella fessura l'ingresso del fagotto, attendendo di vedere l'arto che lo spingeva all'interno. Dedusse che la guardia doveva trovarsi in posizione chinata, o comunque aver assunto una posizione non troppo stabile, per star pronto a ritirare la mano e richiudere la porta.
Attese il momento adatto e nonappena vide la mano chiara e affusolata di lui, allungò di scatto la destra per afferrargli il polso, ed una volta preso unì anche l'altra mano in uno strattone deciso che fece ricadere l'Arcidiacono nella cella, facendogli spalancare la porta col peso del suo stesso corpo.

Nel tirare anche la ragazza ricadde indietro, ma fece attenzione a non mollare la presa: si trovò quindi dinnanzi il povero curato che, avvolto nella larga tunica nera, stava carponi in terra,inerme come un topo in trappola, terrorizzato, che cerca disperatamente di escogitare un modo per fuggire al suo predatore.



Fu così in presenza della sua Esmeralda, cominciando a realizzare cosa fosse successo in quell'attimo che gli era sembrato brevissimo ed interminabile al contempo.
Non sapeva che fare, mille pensieri gli annebbiavano la mente, ed altrettante sensazioni si intrecciavano all'altezza dello stomaco mentre il cuore palpitava tanto forte da rimbombargli nelle orecchie.
La porta era stata spalancata con un tale impeto da farla andare a sbattere dietro,ed il rumore sordo risvegliò i due da quell'apparente torpore; i loro occhi si incrociarono, ma gli sguardi erano decisamente diversi: lei appariva sorpresa, curiosa, mentre lui la osservava impaurito e decisamente imbarazzato.
Le iridi del curato corsero quindi al suo polso,intorno al quale sentiva ancora le mani di lei e le vide. La consapevolezza di quel contatto lo fece rabbrividire fin nelle ossa, ma lei non sembrava intenzionata a mollare la presa. E lui di certo non voleva sottrarsi da quel tocco che gli confermava l'esistenza di lei, la sua presenza, il fatto che fosse viva e non una sua fantasia.
Tornò con gli occhi sulla gitana, senza dire una parola, ma sospirò profondamente, rassegnato e triste.
Lei era li, vicina a lui, poteva godere d'ogni particolare della sua bellezza, dai capelli fluenti, al contorno del viso alla forma perfetta delle labbra...era bellissima, e sentiva di perdersi nei suoi splendidi occhi verdi...ma aveva paura... qualcosa che rodeva fin nelle viscere lo terrorizzava, e capì cos'era:la paura di perderla.



Esmeralda lo guardava, inclinando il capo ora d'un lato ora dall'altro, un po' stupita nel constatare che non si trattasse di un soldato; e chiunque avrebbe pensato di trovarsi davanti tranne lui, l'Arcidiacono di Notre Dame, la cui austerità e durezza erano rinomate in ogni ambiente della Capitale.
Non sapeva che pensare, o come comportarsi.
Mai avrebbe immaginato di trovarsi in una situazione del genere, che la portava ad avere davanti una delle persone più influenti di Parigi a poco più d'un metro da lei, carponi con le mani poggiate sulla nuda pietra. E data la sua fama di persona glaciale, ed alcuni dicevano anche crudele, mai l'avrebbe creduto capace di guardare qualcuno con quegli occhi così rapiti e così velati di tristezza.

Ripensò alle parole che s'erano scambiati il giorno precedente ed alla gentilezza che le aveva dimostrato, e così il giudizio su di lui che tutti davano per certezza venne spazzato via dalla sua mente come una foglia secca dal vento.
Con lei non era così. E questo le bastava.
Nessuno dei due distoglieva lo sguardo dagli occhi dell'altro ne si azzardava a parlare; lei sorrise con tenerezza a rassicurarlo e, restando a due passi da lui, si posizionò dinnanzi alla sua figura, sedendosi sui talloni.
Continuando a tenergli il polso con la mano sinistra, allungò la destra verso il suo viso. Lui si ritrasse appena, spostando le iridi da quelle della ragazza per seguirne la mano che andava a sfiorargli appena la tempia sinistra, scivolando con la punta delle dita fino all'estremo del sopracciglio. Credette di sentirlo rabbrividire e gemere sommessamente; lo vide sedersi così come stava lei, rilassato, e chiudere gli occhi, con l'espressione d'un bambino intento a fare un bel sogno.
Il respiro era calmo, mentre lei studiava la forma dei suoi tratti del viso con le dita sottili: passava sulla sua fronte,alta e nobile, dalla cui ruga d'espressione le sembrò di leggere le innumerevoli riflessioni che fino ad allora l'avevano accompagnato.
Pian piano che esplorava il suo volto, notava che i tratti erano più giovanili di quanto le era sembrato al primo sguardo a causa del viso sottile ed austero, e dei capelli particolarmente corti che al clero si impone di portare.
Cercava di studiarne l'espressione, di immaginarlo sorridere e le capitò di pensare a che uomo sarebbe diventato se non fosse stato costretto alla vita ecclesiastica... non si rendeva conto appieno di quanto stava accadendo, si sentiva come una bambina che carezza sicura il "lupo cattivo" nella foresta...
Persa nel fantasticare di questi pensieri, quasi senza accorgersi,passò le dita lungo il profilo del viso,fino al mento, e ritornò immediatamente coi piedi per terra quando si sentì afferrare la mano da quella di lui che la bloccava poco prima che le dita potessero sfiorargli le labbra.



Sentiva il respiro più affannoso, e mascherare l'agitazione era diventato molto, molto difficile, e le movenze di lei di certo non lo aiutavano affatto a mantenere l'autocontrollo. Non riusciva a credere a quanto stava accadendo, pensava di essere in un sogno.... Dio solo sa quanto la desiderasse, in quel momento più che mai... quando poi le sottili dita di lei stavano per passare dal mento alla sua bocca non resistette oltre: doveva fermarla o non avrebbe più risposto delle sue azioni.
E così fece.
Gli occhi in quelli di lei, quasi implorandole di avere pietà di lui, per poi andare a fissare un istante il pavimento, i denti stretti, mentre la presa sull'esile mano di lei si allentava. Non sapeva cosa dirle, la guardava come si guarda la gioia d'una vita, tanto vicina quanto irraggiungibile.


-"...allora sei tu..ahem"- si corresse subito -"..siete voi la mia guardia.."- disse esmeralda rompendo il silenzio, indecisa se guardarlo in viso o meno.
Dapprima vide l'uomo distogliere lo sguardo e fissare il terreno,colpevole -"si...ero io...ma ti prego,non chiamarmi così...ho compiuto troppe nefandezze per essere ancora appellato con quella carica"- disse sospirando poi rassegnato.
-"..perchè l'avete fatto?"- chiese con un pizzico di curiosità, e continuava ad osservare quella scena, troppo surreale per lei.
Quell'uomo così nobile inginocchiato in terra come lei, una Zingara, comportandosi in modo ritroso come avesse timore di lei.
Aveva alzato il capo, fissando gli occhi scuri ed espressivi in quelli di lei -"perchè io ...io ti..."- non finiva la frase, non poteva o forse non riusciva, ma lei restò molto colpita dallo sguardo che egli le rivolse, tanto intenso che per un istante si sentì rabbrividire, come se le avesse stretto l'anima in un abbraccio disperato.
-"..ti.."- abbassò lo sguardo di nuovo -"...guardavo ballare...e.. non potevo permettere che quella Serpe in aramtura ti..."- la voce si interruppe nuovamente per far spazio ad un profondo sospiro che sollevò visibilmente le spalle dell'uomo,gonfianfone appena il petto.
Lei se ne stava immobile, sempre la mano poggiata sulla sua, quasi ormai fosse normale, o forse non si era accorta del contatto che stava mantenendo, inconsapevole di quanto quel tocco stesse turbando l'uomo di chiesa.



Il cuore batteva come un tamburo nelle orecchie di lui, che si sentiva confuso e combattuto dentro tra paura di perderla e voglia di farla sua... tra dirle o meno la verità.
Cercando con disperazione un barlume di razionalità, almeno quanta ne bastava per evitare di dire frasi sconnesse, si fece forza e staccò la mano da quella della donna.
Sapeva che,altrimenti, non sarebbe mai riuscito a dirle quanto doveva -"io...voglio ucciderlo"- disse con una fermezza glaciale,fissando gli occhi in quelli di lei:eccolo l'Arcidiacono che tutti conoscono.
Vide la ragazza sgranare gli occhi e ritrarsi,intimorita, come avesse visto un demonio...e forse non sbagliava di molto..



Osservò in silenzio il suo sorriso sinistro e rabbrividì al solo pensiero della determinazione con cui le aveva esposto un'azione così efferata, ed ancora piu le fece paura la contraddizione dell'omicidio con gli abiti clericali che egli indossava.
-"...stiamo parlando di Phoebus...quel phoebus..."- le sibilava,tentatore, inarcando un sopracciglio, restando quindi in attesa.
Lei sospirò colpevole, quello sguado le metteva i brividi ma le tornavano in mente le parole che s'erano detti, e la cosa la tranquillizzava... tuttavia non era da lei odiare qualcuno, ne tantomeno s'era mai trovta a desiderare la morte di chicchessia, ma il capitano...non era una persona qualunque; pensare che la figura che aveva dinnanzi desiderasse così intensamente uccidere, la portava a pensare ai motivi che lui potesse avere per quel gesto, e decise di esternare questi dubbi -"... perchè vuoi ucciderlo?"-..lei ne avrebbe anche avuti, di motivi, ma tacque, attendendo.



Lui la osservava stupito. Come faceva ad essere così pura? così semplice? come riusciva a non odiare quel bastardo, dopo come l'aveva trattata?...sospettava che ella ne fosse ancora innamorata, ma se così fosse sarebbe stata solo un'illusa -"..dimmi tu perchè dovrei lasciarlo vivere?"-la fissava negli occhi, attendendo con ansia una risposta che tardava ad arrivare. Lei se ne stava pensierosa, un po' sconvolta.
-"..ti ha fatta arrestare..... ti ha condannata ingiustamente e senza nemmeno un processo..."- rincarava la dose, l'Arcidiacono, continunando ad elencare-" ...ti ha ingannata ed illusa....pur essendo già fidanzato e prossimo al matrimonio..lui ti voleva per se..."- disse con disprezzo, non poteva accettare che lei fosse macchiata da quel viscido.
Lei ruppe il suo silenzio -" questi sono i motivi per cui io dovrei volerlo morto...ma tu?"- si fece pensierosa, sospirò appena, abbassando lo sguardo.

Frollo sospirò distogliendo lo sguardo, pensieroso -" per gli stessi motivi..."- disse tranquillo, senza rendersene conto, ma convincendosi che probabilmente la gitana era di natura troppo buona per la vendetta.
Giusto un attimo che le sue certezze appena acquisite vennero frantumate dagli occhi profondi di lei che, gelidi come mai l'aveva visti, si infilarono a forza nei suoi, lasciandolo di stucco: Lei lo fissava, complice, con un sorriso teribilmente sinistro sul viso -"...ci stò..."- sussurrò quasi suadente.
Quell'espressione così selvatica e tentatrice fece graffiare terribilmente l'animale che l'uomo cercava di chétare dentro di se, ed al suono delle sue parole si morse appena il labbro inferiore, sentendo quella stessa belva contorcersi di piacere e dolore per la prigionìa imposta.

Stupito e compiaciuto, inarcò un sopracciglio annuendo flebilmente -"...domani consumeremo la nostra vendetta..."- le disse, alzandosi ed avviandosi alla porta, col cuore a mille, e le mani che si stringevano tra loro per fermarsi reciprocamente dal correre da lei e stringerla a se.
Non fece altro che richiudersi la porta alle spalle; stavolta però non a chiave. Era stato un sogno?..di certo no.
Quelle parole che ancora gli risuonavano nella mente erano reali, e sembravano dolci come il miele,così come il suo tocco delicato lungo le guance, che ancora sentiva...non poteva credere che lei si sarebbe lasciata andare così, e non gli passava nemmeno per l'anticamera del cervello l'eventualità che lei potesse avergli mentito.
Lui si fidava; voleva fidarsi; voleva credere che avessero fatto un passo l'uno verrso l'altra.... e che l'indomani ne avrebbero fatto un'altro, sulla pelle di Phoebus, trovandosi legati dal suo sangue.



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