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6

Di nuovo sola, in quella prigione, la Esmeralda rimase a fissare la porta chiusa, con la mano ancora appoggiata alle pesanti assi di legno.
In distanza i passi della Guardia che si allontanava erano ancora udibili; si morse il labbro inferiore mentre sbolliva la rabbia, e cominciava a pentirsi del suo comportamento impulsivo: s'era accorta di avere ancora molte domande da fargli.
La prima gli balenò in mente nonappena fece per voltarsi: il cestino e il fagotto.

D'istinto si guardò intorno circospetta, prima di avvicinarsi al cestino, aprendo il quale gli occhi le brillarono di gioia: trovò pane fresco,formaggio, e della frutta; mangiò senza fare complimenti.
Quando ormai la fame era solo un ricordo, la curiosità tornò viva, e si concentrò sullo strano malloppo di coperte. Lo avvicinò a se, un po' diffidente, quindi lo srotolò sul pavimento scoprendo, con sua somma sorpresa, degli abiti piegati al suo interno.
Incredibile....dov'era? chi era la sua Guardia?..e perchè aveva detto che era morta?
Non riusciva a darsi una spiegazione logica, ma decise, mentre ci pensava, di darsi almeno una cambiata... All'angolo della stanza, vicino alla brocca notata la sera prima, scorse una bacinella per lavarsi,piena d'acqua, a cui solo ora aveva fatto caso.
Si liberò con piacere di quello straccetto da prigioniera che tanto brutti ricordi le portava,notando però che alcuni di questi erano ancora visibilmente impressi sul suo corpo: i lividi sul braccio e sui polsi non sen'erano andati.La ragazza volle approfittare dello specchio che l'acqua pulita e trasparente le offriva, immobile nella grande ciotola a terra: anche sulla guancia c'era un livido, ed appena fece per sfiorarlo anche il dolore si rinnovò,meno intenso, ma pursempre fastidioso.
Immerse le mani delicate nell'acqua gelata e cominciò a lavarsi, sperando così di lavare via,almeno in parte, anche i brutti pensieri.

Arrivato di nuovo al corridoio delle Gargolle, l'Arcidiacono pensieroso si trovò rapito dalla bellezza del panorama che quel luogo offriva, a cui in tutti questi anni, troppo preso dai suoi studi, non aveva prestato attenzione.
L'ampio scorcio della città vista dall'alto, e la Senna illuminata dal sole che sembrava una lamina ondulata d'oro purissimo,erano incantevoli e, senza riflettere, si avvicinò al parapetto per affacciarsi meglio trovandosi circondato da entrambi i lati dalle scure ed austere creature di pietra che lo fissavano.
Gli occhi scesero di sotto,passando davanti al sagrato dove ancora i resti del Rogo erano ben visibili, così come per lui erano vividi i ricordi del mattino... Guardando di sotto,però, gli occhi non riuscivano a non correre li, in quell'angolo, dove l'aveva vista danzare per la prima volta.
Un brivido,intenso come allora, corse lungo la schiena dell'uomo, quasi gli parve di vedere ancora quei balli.
Tornò con le iridi alle bestiacce mostruose che lo circondavano e rise di se, tristemente, ripensando all'urlo rivoltogli dalla ragazza poco prima. Sospirò, facendo scorrere la mano affusolata e bianca lungo le ali di una gargolla -"...sono nel posto giusto, in mezzo alle creature del demonio...."
Il Suono delle Campane che richiamavano i fedeli alla prima messa lo ridestò a forza da quei pensieri, e in un istante gli piombarono in mente tutti i doveri tralasciati in quei giorni.... -" maledizione, stamattina c'è l'investitura!"- si portò la mano al viso, quasi schiaffeggiandosi la guancia, per poi cominciare a correre rapidamente verso la sua stanza ed indossare i paramenti adatti per l'importante cerimonia che avrebbe dovuto officiare di li a poco.

Il sole aveva ormai scaldato a dovere la stanzetta sulla torre, e la Gitana teneva in mano ora una gonna, ora un'altra, soppesando con cura i particolari di quel vestiario così austero e pudìco. -"..no...non è decisamente da me..."- sbuffò appena guardando i colori freddi e seri, assolutamente nulla a che vedere con il suo solito vestiario allegro e colorato. -"in una situazione così strampalata non posso certo fare troppi commenti...."- fece spallucce, optando per infilarsi una gonna grigio scuro ed una maglia bianca a maniche lunghe, con dei bottoni a richiudere l'apertura sul davanti da metà petto fino alla base del collo.
La gonna era decisamente troppo lunga per lei, così come le maniche della maglia, evidentemente appartenute ad una donna più alta di lei, ma non erano abiti scomodi da indossare.
Fece per avvicinarsi alla finestrella, sporca e piena di aloni, ma niente, non voleva aprirsi, e vedere dove fosse sembrava impossibile.
Pensò a lungo, sdraiata sul letto,facendo mente locale: non era sicuramente più al palazzo di giustizia, l'avevano trasferita; il suono delle campane era forte, molto forte, quindi la sua prigione doveva per forza trovarsi sulle vie intorno alla piazza della Cattedrale. Ma non sapeva ci fossero prigioni in quella zona... Notre Dame le fece venire in mente il suo lavoro, la capretta, i suoi fratelli Zingari...chissà come stavano ora, e che stavano facendo. Come un colpo al cuore la trafisse il ricordo del suo amato Phoebus, e da sdraiata che era, si abbracciò le gambe. Piangeva, poi smetteva,per ricominciare poco dopo: la nostalgia per la sua famiglia dei Gitani, per la sua libertà, unite alla disperazione per non poter più rivedere il suo Soldato, ed alla tensione accumulata in questi ultimi due giorni terribili si mescolavano profondamente nel suo cuore, tanto che non sapeva nemmeno lei per quale delle tante cose le lacrime continuassero a sgorgare.

La cerimonia fu lunga e noiosa, e per l'Arcidiacono sembrò uno strazio infinito, immerso com'era nei i suoi pensieri, ben lontani dalla navata centrale in cui la lunga fila di preti da investire delle loro nuove funzioni sfilava ripetendo coralmente i giuramenti clericali.
Li guardava senza interesse, il prelato di Notre Dame, tutti così seri, composti e ligi al proprio dovere. Un po' gli ricordavano se stesso, e quel giorno in cui era anche lui li, in mezzo ad altri, pronunciando solennemente i Voti, senza immaginare che, un giorno, raggiunto quel gradino così alto, avrebbe gettato alle ortiche ogni sacrificio per cadere nelle fiamme della tentazione.... ma, nonostante la sua vita piena di privazioni e disciplina gli scorresse davanti, non sentiva tutto il rimorso che avrebbe dovuto per averne tradito ogni singolo istante. Mai come allora s'era sentito vivo, e questa sensazione sminuiva tutto il resto.

Nascosto dietro ad una maschera di inflessibile serietà che ormai non sentiva più sua, terminò di officiare la cerimonia, e fu costretto a concedersi ai soliti saluti di circostanza ed ai vuoti gesti di cortesia che facevano parte del rito da sempre.
Prima di dileguarsi da tutto il trambusto, come da molto desiderava fare, diede comunicazione al vicario parrocchiale che si sarebbe ritirato nella sua stanza per terminare alcuni compiti amministrativi e che non desiderava in alcun caso essere disturbato.

Liberatosi delle pompose vesti da cerimonia ed indossata nuovamente la tunica nera bordata di viola, si fiondò giu dalle scale rapido come un gatto, attraversando di corsa anche il corridoio estero per avviarsi sulle scale che lo dividevano da lei... A metà rampa rallentò, non tanto per la stanchezza, quanto per non farsi accorgere dalla prigioniera ed avere tempo di elaborare una valida scusa per cui si trovasse li fuori.
Giunto dietro la porta si sedette, come al mattino, ma stavolta qualcosa lo colpì come un pugno: udì un sommesso singhiozzare all'interno, segno che Esmeralda stava piangendo. Restò li immobile per qualche minuto prima di decidersi a parlare:
-"...cos'hai?.."- chiese cercando di utilizzare il tono più neutro che gli riuscisse.

Dopo ore di nulla una voce, dall'altra parte della porta: la Guardia. Si asciugò le lacrime, cercando di frenare quelle che ancora, da sole, scendevano rigandole le guance, e si avviò verso l'uscio inchiavato, sedendosi anch'ella li,come lui, con la schiena posata sulla porta.
-"...niente...stavo pensando che quando mi bruceranno, almeno, potrò riabbracciare l'uomo che amo..."-


Sentì dall'interno la donna muoversi, ed udì chiaramente il suo posarsi sulla porta. Un brivido gli corse lungo tutta la schiena, quasi facendogli mancare il fiato: lei era li, e solo i pochi centimetri di legno della porta li dividevano...gli sembrava davvero di sfiorarla..oh quanto avrebbe voluto... Quella sensazione si infranse come un vetro sottile alle parole di lei che lo raggiunsero come una pugnalata nel petto.
portando indietro la testa fino a posarla sulla porta, replicò -"...tu sei già morta...tel'ho detto...per lui..per tutti...tu sei bruciata stamattina..."- disse con voce sommessa, sempre mantenendo un tono fermo.
-"Ancora questa storia?...e cosa intendi con "per lui"?..cosa vuoi saperne tu?? lui è morto! e non potremo amarci mai più se non da morti..."-disse,fermamente convinta ricominciando a piangere.
-"...Lui chi?...chi è morto? ..."- fece il finto tonto, chiedendole
-" Il Capitano Phoebus, guardia! il tuo capitano! è morto!"- quasi urlò, d'un dolore profondo,come lava che sforga dal cuore
Dal canto suo, l'Arcidiacono, diniegava appena col capo nel sentirla parlare...e si dannava di gelosia nel saperla così innamorata...probabilmente avrebbe provato lo stesso suo dolore se avesse permesso a quel bastardo di farla bruciare.
-" povera stupida..."- sibilò quasi -"...ha firmato lui la tua condanna al Rogo..."-
-"...mi stai mentendo...."- Continuò l'innamorata, nonostante non avesse alcuna prova per smentirlo
-" Libera di non credermi, sciocca."- disse deciso, già qualcosa cominciava a delinearsi nella sua mente.
-" tu stai mentendo! fallo venire qui, se è vero! se fosse vivo mi avrebbe cercata! non potrebbe mai volermi morta, lui mi ama!"-
L'arcidiacono scoppiò in una risata profonda e nervosa, quindi malignamente, le disse: -" più tardi ti porterò un altro regalino..."- osservando con un sogghigno dipinto sul viso, la porta, come se potesse vederla dall'altra parte.

Un po' in soggezione per quanto le era stato detto,decise di spostare i suoi pensieri su altro, e la parola "regalino" le fece pensare alle cose che al mattino s'era trovata nella stanza, ed alle mille domande che le erano nate in testa -"...puoi dirmi almeno dove sono?.."-
-"...no.."-
Dall'interno un forte sbuffo -"...allora cosa puoi dirmi?.."- tagliò corto
-"uhm..."- si fece pensieroso lui..effettivamente era una bella domanda...-"...posso dirti....che non devi più temere di morire.."-
Un sospiro di sollievo in risposta -"Grazie per avermi dato questa buona notizia....ma se non devo più morire, perchè devo stare chiusa in prigione?"-
-" perchè sei morta, e i morti non possono camminare in mezzo ai vivi..."-
Roteò gli occhi al cielo, lei, spazientita -" ancora con queste storie strane...ti diverti così tanto a non farmi capire??"-
Dall'esterno,il carceriere ridacchiò -"..in verità si...un po' si..."- e fece un'altra risatina.
-"...comunque..."- continuò lei, imbarazzata -"..ahem..per le cose da mangiare...e i vestiti...beh..ti ringrazio....e ringrazia chi me li ha mandati..."-
-" non mancherò..."- disse con tono neutro... si beava nel sentire la sua dolce voce, non avrebbe mai voluto smettere di ascoltarla,ma doveva
Non voleva allontanarsi da quella porta, dove sapeva fosse appoggiata la schiena di lei, proprio come la sua...ma sapeva anche di non doverle parlare troppo.
Con uno sforzo di volontà non indifferente si alzò e posò un bacio delicato sulla sua mano, sfiorandovi poi la porta di legno, all'altezza dove lei era seduta.

Scese rapidamente le scale, le gote arrossate, imbarazzato del gesto appena compiuto.

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