10
La gitana osservò il suo compagno di intrighi scappar giù per le scale quando ancora le campane dovevano terminare di suonare, ed osservò incuriosita il saio da monaco. Lo stese sul letto e lo rimirò qualche istante, decidendosi infine ad indossarlo. Le stava lungo, ma la cosa andava molto a suo vantaggio: qualcuno,infatti, avrebbe potuto riconoscere dai suoi piedini che non si trattava di un uomo come voleva dare a credere.
Infilò quindi il lungo abito di tela di sacco,provvedendo a tirare la cinta sulla vita, ma non troppo, e fece attenziona ad evitare che fosse possibile notare le sue forme.
Usando un brandello di stoffa,legò stretti i capelli dietro al capo, e dinnanzi alla finestrella cercò di specchiarsi,a cappuccio alzato,per controllare l'effetto finale del lavoro appena fatto. Perfetto: il cappuccio inombrava perfettamente il suo viso; nessuno avrebbe mai potuto riconoscerla.
Frollo percorse le scale molto rapidamente, arrivando infondo trafelato,felice e soddisfatto. Sogghignava appena all'idea di quanto stava per accadere, e diede ogni disposizione encessria ai chierichetti ed al sacrestano, cosicchè nessuno s'avvicinasse ai calici cerimoniali se non il "frate" del cui arrivo aveva già discusso col vecchio guardiano della sacrestìa.
Vedendo scendere dalle scale della torre la sua complice, lo fece sorridere, almeno ficnhè era lontano da occhi indiscreti. Lei era perfettamente entrata nella parte: vestita come s'era detto, e camminava perfino a dovere, con la cadenza lenta ed austera tipica d'un frate.
Le si avvicinò con noncuranza, rivolgendosi a lei con voce austera -" Prima della cerimonia dovreste confessarVi, padre frate."- gli sembrò di intravedere il luccichìo dei suoi occhi e le labbra increspate in una risata, nella penombra del cappuccio, e si sforzò per restare serio -"seguitemi..."- e si voltò per farle strada verso il confessionale, dentro il quale entrò, lasciando la ragazza inginocchiata fuori.
Confessarsi? ma come gli era venuto in mente? Esmeralda continuava a chiederselo, anche perchè la proposta l'aveva fatta quasi scoppiare a ridere...e diciamo che la risata di una ragazza non è proprio facile da scambiare per quella di un frate.
Si inginocchiò al confessionale, e sentì da dentro l'Arcidiacono aprire lo sportellino che copre la grata in ferro. -"Come mai questo giochino?"- sussurrò verso l'interno, ed un sospiro le giunse in risposta.
-"dovrei essere io li fuori e tu qui dentro a confessarmi....fingi che sia così, ti prego..."- Lei aggrottò le sopracciglia, non capiva prima, ed ora ancora meno, quindi restò in attesa.
-"io...non ti ho detto alcune cose.."- sentiva la voce sommessa e triste -"è per colpa mia che ti hanno arrestata, e che hai dovuto subire le torture della prigione.."-
Quella rivelazione giunse come un fulmine a ciel sereno: le tornarono in mente quei terribili istanti nella stanza delle torture,la stanchezza, il freddo del metallo con cui l'avevano legata che quasi le bruciava la pelle....anche se ancora non capiva bene il nesso tra lui e quei terribili istanti, rabbrividì in tutto il corpo.
-" Fui io, quella notte, ad attentare alla vita del capitano..."- udii continuare, e nuovi fotogrammi tornarono alla sua mente scossa: il demonio alto vestito di nero ed incappucciato, l'uomo che amava che le ricadeva addosso come corpo morto..le urla ed i pianti e insieme il dolore delle accuse e della prigionia. Non riusciva ad immaginare nulla di più profondamente terribile di quella notte, tra la disperazione della morte dell'amato e la sofferenza fisica dovuta alle torture ed agli stenti della prigionia: quello era stato l'inferno in terra.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di lui, che continuava.
-"Io non sapevo che tu fossi li...lo facevo per salvarti, perchè non potevo permettere che ti ingannasse oltre....col senno di poi ho il cuore gonfio di gratitudine per il fato che ha intrecciato questi accadimenti in modo così strano da permettermi di starti vicino, anche se non come vorrei..."- fece una pausa, lei ancora taceva, e lui dall'interno intrecciava freneticamente le dita tra loro, e sentiva l'imbarazzo avvampargli lungo le guance.. sospirò, tormentato,portando le mani alla testa -"..sono un criminale..un assassino...ho pagato il carceriere notturno affinchè ti cedesse a me come schiava e mandasse al rogo una innocente spacciandola per te...Il resto è come lo conosci. Mi dispiace di averti mentito, ma temevo che mi avresti odiato."- disse tutto d'un fiato, e lungamente riprese respiro dopo,scrollando il capo e aggiungendo mestamente,con voce quasi rassegnata -"....tu porterai i due calici. Quello più largo andrà allo sposo, mentre quello più alto andrà a me. Il veleno basterà per entrambi; sei libera di farmela pagare, se lo desideri....."- si alzò e uscì dal confessionale in legno avviandosi verso l'altare con nel cuore la tetra consapevolezza d'un condannato a morte che va al patibolo.
Restò immobile in ginocchio, la gitana, e dischiuse appena le labbra,dalle quali uscì come un sibilo informe, tant'era il nodo in gola. Lui ormai si era allontanato, e anche fosse riuscita ad articolare qualche parola, sarebbe rimasta inascoltata.
Lacrime rigarono il viso di lei, nascosto dall'ombra del cappuccio. Lui: la sua guardia, il suo salvatore, ma anche il suo aguzzino...un misto di sentimenti contrastanti le avvolgeva il cuore, portandola a ricordare ogni momento di quegli ultimi, assurdi, giorni.
Udì la campana e il suono dell'organo dare il via alla cerimonia. Cominciò poi a riecheggiare una voce che, in latino scandiva con ritmo lamentoso le preghiere di apertura del rito che si stava celebrando. La riconobbe:era la voce dell'uomo che fino a poco prima era li vicino a lei, lo stesso che le parlava da dietro la porta di legno, lo stesso che le aveva proposto di uccidere il capitano Phoebus..
Già..il capitano.. le tornava in mente la lettera che aveva letto, e una nuova morsa le si stringeva intorno al petto, la delusione, il sentirsi stupida ed illusa. Ma era altrettanto bello l'essere innamorata, il credersi riamata...un sentimento così vero, sebbene un'illusione...
Sospirò profondamente e si alzò dal confessionale, avvicinandosi a passi lenti verso il tavolino dove i calici della cerimonia attendevano di compiere il loro dovere.
La cerimonia continuò sempre in tono di sfarzo e magneficenza come si conviene ad un avvenimento sacro e mondano insieme come può essere un importante matrimonio. L'Arcidiacono lasciava spesso che gli occhi corressero verso il tavolino, al fianco del quale notava immobile la figura di lei, avvolta nel saio. Lei, che così tanto amava, lei che aveva in mano la sua vita, lei per cui s'era dannato l'anima.
Il resto del rito passò rapidamente, ormai conosceva così bene ogni gesto da ripeterlo in modo meccanico, lasciando che la sua mente vagasse ripercorrendo i minuti preziosi passati con lei, la sua vicinanza, il suo profumo. Dovette cacciar via il resto per non rischiare che il desiderio gli mozzasse il fiato in gola nel bel mezzo dell'omelia.
Giunse il momento fatidico dello scambio dell'anello.
Sapeva che mentre pronunciava le parole di rito, la donna che s'era ritrovato ad amare stava decretando senza appello la sua sentenza di vita o di morte. Rimpianti e Rimorsi si accalcarono in un istante dinnanzi ai suoi occhi,uscendo furiosi e copiosi come un fiume in piena dalla prigione di asuterità in cui per anni erano stati confinati.
Nessuna emozione trapelava dal suo viso mentre i due si promettevano amore eterno fissandosi intensamente negli occhi, non sapendo che la loro sorte era già stata decisa e si avvicinava a passi solenni dietro di loro.
L'Arcidiacono sentiva il cuore martellare più intensamente ad ogni passo di lei, consapevole di tutto, artefice di tutto.
Gli occhi fissi sul vassoio ornato su cui gli sfarzosi calici erano adagiati,ricolmi di vino e morte, mentre la gitana avanzava in silenzio a capo chino per non essere riconosciuta.
Mancavano pochi passi, ed un leggero sorriso increspava gli angoli della bocca di Frollo mentre allungava le mani per prendere il vassoio da lei, la Morte, con le fattezze del più bell'Angelo del Paradiso,che aveva percorso tutta la navata avvolta in un rude saio, con la sua implacabile falce silenziosa.
Che ironia. Sapeva che per colpa di quella ragazza e delle sensazioni che gli provocava sarebbe potuto morire d'amore, ma mai avrebbe immaginato che il pensiero che fosse lei a terminare la sua esistenza sarebbe stato capace di fugare ogni timore del castigo che Dio aveva sicuramente preparato per lui al momento della sua dipartita... E il sollievo che quel bastardo di Phoebus, a breve, sarebbe arso all'inferno con lui era un'ulteriore panacea.
Dopo aver consegnato il vassoio, Esmeralda, prima di avviarsi verso una delle navate laterali, sollevò appena il capo, incontrando di sfuggita il viso di Frollo, e nel profondo dei suoi occhi le sembrò di leggere una serenità che, in una situazione del genere, le sembrò agghiacciante. Forse non temeva la morte? Forse era felice di sapere che lo sposo dinnanzi a lui stesse vivengo gli ultimi istanti della sua vita? Non riusciva a capire quale fosse la corretta interpretazione, ma un brivido gelato le percorse violentemente la schiena.
Si avviò di lato e si mise dinnanzi ad una colonna, le iridi posate sui gesti del prelato, che come nulla fosse, sollevava al cielo i due calici, pronunciando la formula latina per poi porgere allo sposo il più piccolo.
Il cuore le mancò un battito quando Frollo, prima di bere dal suo calice, diresse gli occhi verso di lei, in uno sguardo rapido e penetrante.
Abbassò gli occhi per distoglierli dalla scena ed incontrare le sue mani: allentò la stretta delle dita chiuse a pugno per osservare con occhi gelidi la boccetta. Vuota.
Si voltò e, come un'ombra, si defilò a passi lunghi verso il portone, percorrendo la navata laterale in penombra.
L'Arcidiacono sentiva il liquido rosso scuro scivolargli nella gola e nulla fu più bello di vedere che, all'unisono con lui , il giovane capitano andare a bere dal suo calice con avidità, come fosse un brindisi alla sua salute invece che un rito sacro.
Un sorriso spavaldo sul suo viso, posando il calice sull'altare di fianco a quello da cui l'officiante aveva appena bevuto, rivolgendogli un leggero cenno del capo.
La benedizione finale venne detta, le cantilenate parole latine rimbombarono severe lungo la navata centrale, ed un coro soave di voci bianche iniziò il canto per accompagnare gli sposi nella passeggiata solenne attraverso le due file di banchi verso l'esterno.
L'arcidiacono si lasciò cullare dalle voci, tornando compostamente a sedere sul seggio che gli spettava dietro l'altare, intenzionato a non partecipare ai festeggiamenti. Le dita intrecciate sull'addome ed i gomiti posati sui braccioli, attendeva che il tempo confermasse o meno la sua sentenza di morte, sperando, nel caso, di riuscire a sopravvivere abbastanza da vedere l'agonia del suo rivale che ora, inconsapevole, camminava avvolto dai sorrisi e pacche sulle spalle di amici e parenti.
A un tratto, a metà della lunga navata ,il capitano incespicò, appoggiandosi fortemente alla sua sposa che lo sorresse con un sorriso. Sorrise e tutti pensarono ad un leggero mancamento dovuto all'emozione e batterono le mani, per sostenerlo e rincuorarlo, ma pochi passi dopo sembrò sforzarsi molto a camminare e cominciò a barcollare sempre più visibilmente, strisciando i piedi in terra e portando una mano alla tempia.
- " Impossibile... " - pensava in silenzio l'Arcidiacono inarcando un sopracciglio, impassibile.
- " non può essere già in circolo...è troppo presto.. " - sentì il suo stomaco contorcersi di spasmi nervosi e dovette stringere i denti per sopportare.
- " sta morendo... " - commentò mentalmente vedendolo inginocchiarsi. Una folla di persone preoccupate si voltarono verso di lui, aiutandolo a risollevarsi solo per vederselo ricadere addosso.
- "Oddio! " - gridò la sposa - " Stà male! non ci vede! il suo cuore!... qualcuno ci aiuti!! " -
Sul viso dell'Arcidiacono si stampò un sorrisetto maligno. Il nervosismo gli stava contorcendo le budella, così come il senso di vittoria nel veder cadere quel bastardo in modo così rovinoso ed irreversibile... era decisamente orgoglioso del suo operato..
Sebbene non riuscisse a spiegarsi come mai fosse già così forte l'effetto del veleno, il suo cuore aumentò i battiti martellandogli fin nelle tempie, e l'angoscia gli montò dentro nel pensare alla sofferenza che sarebbe potuta toccare a lui.
Tutti accorsero in aiuto del giovane sposo, mentre l'Arcidiacono restava immobile al suo posto, sservando il truce spettacolo come un imperatore sul suo trono osserva con gusto l'esecuzione di un traditore, sentendo lo stomaco contorcersi.
Un Urlo agghiacciante fece sobbalzare il prelato: la sposa riversava la sua disperazione nell'aria, seduta in terra, il largo vestito formava come una corolla intorno alll'esile figura che teneva il suo sposo tra le baccia, morto.
Frollo rimase immobile, chiuse gli occhi ispirando profondamente, vittorioso. Il vociare insistente della gente nella chiesa gli entrava nelle orecchie con prepotenza, unendosi alla miriade di sensazioni che gli si riversavano addosso: angoscia, esultanza, sofferenza, tristezza, amore...il tutto mescolato in un mix decisamente poco piacevole, perchè ancora non sapeva quanto tempo gli sarebbe rimasto.
Tutti scortarono fuori il cadavere, accompagnati ed invitati ad uscire dal sacrestano e dagli altri preti presenti. Il sacrestano sconsigliò a tutti di avvicinarsi a lui, immaginavano che stesse pregando per la tragedia appena avvenuta sotto i suoi occhi. Credevano si stesse preparando psicologicamente ai lunghi e complessi rituali che prevedono la chiusura di una chiesa e la sua benedizione quando qualcuno muore al suo interno.
Passò ancora tempo, i chierichetti erano intenti a mettere a posto gli strumenti rituali ma nessuno si azzardava ad accostarsi all'Arcidiacono, immobile sul seggio, come fosse una statua di petra, i lineamenti severi incutevano rispetto, gli occhi chiusi, il gomito puntato sul bracciolo ed il capo morbidamente adagiato sulla mano che lo sorreggeva.
Immobile. Sembrava dormisse.
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