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La stanza bianca


Ad Andrea faceva male letteralmente tutto. Ogni osso e parte del corpo gli doleva ed aveva una strana sensazione di nausea a tenergli compagnia, come un vecchio ed indesiderato amico che si presenta alla porta di casa senza avvisare. Si era risvegliato, senza sapere come, nel letto che riconobbe subito come il suo, anche se aveva qualcosa di diverso: non era davvero il suo.

Aveva aperto gli occhi per ritrovarsi davanti una sola ed unica cosa, ovvero una distesa interminabile di bianco latte. Non si trovava davvero in una stanza: assimigliava di più ad un luogo interminabilmente lungo e largo, dove erano stati sistemati dei mobili in un punto imprecisato per ricreare le proporzioni di una casa.

C'era tutto. Il suo letto, la sua scrivania ed i suoi vinili. Poco distante, separato da un muro invisibile, si trovava il suo bagno, o perlomeno quello che sembrava essere il suo bagno, seguito poi da una stretta cucina. Sospese nel vuoto c'erano le sue cornici ed il suo diploma di laurea. Il tappeto viola scuro era rimasto dove lo aveva lasciato, così come la spazzatura ed i suoi vestiti.

Andrea si portò le mani alle tempie per poi alzarsi, seppur lentamente, dal letto su cui si era risvegliato. Non sapeva come ci era finito, ma sapeva bene che ormai si era lasciato dietro di sé la sua vecchia vita. Non sarebbe mai più tornato al suo vero appartamento, nella periferia di Edimburgo. Non ci avrebbe mai più messo piede perché, a quanto pareva, era davvero morto.

Una volta sedutosi sul materasso appoggiò i suoi piedi nudi sul pavimento, anch'esso bianco. Aveva ancora addosso il suo completo elegante, ma mancavano all'appello le scarpe, ed ovviamente la giacca. Era completamente asciutto, dalla testa ai piedi, e le punte delle sue dita non erano più dei piccoli ghiaccioli. I suoi capelli erano puliti e pettinati.

Strizzando gli occhi si guardò intorno per cercare Roy. Inizialmente si agitò, preso all'improvviso dal timore di non trovarlo più, ma alla fine, con suo grande sollievo, lo vide. Era seduto al tavolo della cucina e stava sfogliando un suo vecchio libro dell'università. Aveva tra le mani "Storia geologica del continente Euro - Asiatico" e ne sembrava completamente assorto.

Andrea lo raggiunse, passando attraverso il muro invisibile che divideva il bagno dalla cucina e si avvicinò. Era sicuro di non essere stato visto e così si fermò a qualche metro da lui per osservarlo. I suoi capelli biondi sembrava ancora più chiari di come se li ricordava ed i suoi occhi azzurri brillavano come se racchiudessero al loro interno l'oceano stesso.

Ro non era più vestito come prima. Aveva abbandonato il suo cappotto di tue taglie più grandi, per rimanere in una semplice t - shirt bianca ed un paio di jean chiari. Anche lui non portava le scarpe e le sue labbra erano estremamente rosse, come se le avesse morse dal nervosismo, mentre Andrea dormiva.

Sembrava completamente a suo agio e tamburellava le dita sul tavolo al ritmo di una canzone che Andrea avrebbe giurato di aver già sentito. Sfogliava le pagine del suo libro con una delicatezza tale che sembrava non le stesse nemmeno toccando. Tutto in lui sembrava emanare una luce propria, come se fosse stato l'unica stella di una notte buia.

Quando si rese conto che Andrea lo stava guardando, alzò il volto e gli sorrise, chiudendo il libro ed abbandonandolo sul tavolo. "Ciao, come ti senti?" disse soltanto Roy. "Hai dormito bene?"

Andrea, timidamente, si fece avanti e si posizionò davanti al tavolo della sua finta cucina. "Pensavo che non ti avrei più rivisto" proruppe il ragazzo. "Che cosa è successo dopo che ti ho chiesto chi fossi in realtà?"

Ro alzò le spalle e si abbandonò contro lo schienale della sedia. "Dopo che quasi sei svenuto dallo stupore, siamo venuti subito qui" gli spiegò. "Trovo molto carino il tuo appartamento, sai?"

Andrea ridacchiò e poi agguantò l'unica altra sedia libera. Si sedette, appoggiando i gomiti sul tavolo. "Ho dormito veramente?" Domandò. "Oppure è stato uno dei tuoi trucchetti per trascinarmi in questo strano posto?"

Roy si alzò dalla sedia per poi sedersi direttamente sul tavolo. In quel luogo infinitamente bianco c'erano solo loro due. "La seconda opzione è quella giusta" disse. "L'unica cosa che correggerei è che non sono stato io a portarti qui. È successo e basta, a dire la verità non so bene come funzioni"

Andrea si passò una mano sul volto e prese in mano il suo vecchio libro. Quell'esame era stato uno dei suoi preferiti: ogni tanto rileggeva quelle pagine per diletto. "É tutto vero?" Domandò poi, sospirando. "Tu sei veramente il mio angelo custode?"

Ro si tolse gli occhiali dalla punta del naso. "Ti dispiacerebbe se non lo fossi?"

Andrea ci pensò su, ma poi rispose d'istinto. "No" disse infatti. "Se non lo fossi allora vorrebbe dire che il nostro rapporto sarebbe potuto essere di tutt'altra natura"

Ro si rimise in piedi ma non rispose. Si avvicinò al lavello della cucina ed aprì l'acqua, per poi prendersi un bicchiere. "Devi pensare a te stesso adesso" disse questo. "Io non sono nient'altro che un'ombra"

Andrea rise sarcastico e si sporse in avanti. "Dall'ultima volta che ho controllato lo ero anche io" replicò. "Non lo siamo entrambi?"

Roy scosse la testa e trangugiò il bicchiere d'acqua. "Non è proprio così" rispose. "Io lo sono. Tu potresti anche non diventarlo"

Andrea si alzò e si appoggiò al lavello vicino all'altro ragazzo. Incrociò le braccia e si prese del tempo per osservare l'ambiente che lo circondava. Quel dannato appartamento, seppure piccolo, gli era sempre sembrato troppo vuoto. Nemmeno quando la sua ex fidanzata ci si trasferiva per i fine settimana gli sembrava completo. Era come se fosse mancato qualcosa.

Il suo letto gli era sempre sembrato terribilmente freddo, i pasti non lo saziavano, le chiacchiere lo annoiavano. I muri lo opprimevano e le finestre non gli permettevano di uscire. Quel posto era stato allo stesso tempo la sua salvezza e la sua condanna. Se avesse potuto scegliere sarebbe andato a vivere a Madrid, dove il sole gli avrebbe scaldato l'anima.

Negli ultimi tempi ci si era barricato dentro, a quelle quattro mura. Non usciva più molto e le sue giornate sembravano tutte uguali. Si svegliava ed aspettava che la giornata arrivasse al termine. Con l'arrivo della notte, sapendo che anche tutte le altre persone avrebbero fatto ritorno alle proprie abitazioni, si sentiva meno patetico ed inutile. Se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe detto di aver iniziato a vivere al contrario.

"Quindi sei veramente un angelo?" Chiese ancora Andrea, appoggiando il mento sulla spalla di Roy, a pochi centimetri da lui. "Ora lo diventerò anche io?"

Ro gli sorrise e gli scostò una ciocca di capelli dal viso. "Lo sono" rispose. "Non è detto però che lo diventerai anche tu. La scelta finale spetta a te"

Andrea si tirò su e cercò nel cassetto alla sua sinistra una sigaretta. Quando la trovò, la accese per calmarsi i nervi. "E come faccio a scegliere?" Chiese, passandogliela poi a Roy che fece anche lui un tiro. "Che cosa bisogna fare?"

Quest'ultimo si infilò una mano in tasca, cercando qualcosa nei suoi jeans. Dopo qualche istante ne tirò fuori tre carte. La prima era un re di cuori, la seconda una donna di fiori e l'ultima era un asso di quadri. Il retro di ognuna di loro era completamente oro e, anche se di plastica, sembravano tutte molto pesanti. Roy le aveva allungate ad Andrea ed aspettava che le prendesse.

"Che cosa sono?" Chiese quest'ultimo, una volta prese in mano. Erano davvero più pesanti di quello che sembravano.

Ro fece l'ultimo tiro con la sigaretta e poi la spense in un posacenere poco lontano da lui, abbandonato sul piano di lavoro della cucina. "Sono le tre possibilità che hai a disposizione" spiegò. "É un regalo"

Andrea parve confuso. "Cosa dovrei farci?"

"Ognuna di queste tre carte ha una un potere" spiegò Roy, iniziando ad elettrizzarsi. "Con esse potrai scegliere di visitare uno specifico momento della tua vita e rivivere ciò che è successo. Il bello è che tu avrai la possibilità, o di essere un semplice osservatore, o di intervenire attivamente, cambiando il corso delle cose"

Andrea parve perdere l'uso della parola, immergendosi completamente negli occhi di Roy. Questo lo guardava intensamente e profondamente, rendendolo fragile ed indifeso. "Hai avuto anche tu questa possibilità?" Chiese.

Ro scosse la testa. "No" rispose. "Ma tu la avrai ed è questo che conta"

Andrea chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. "Tu cosa hai avuto?"

Ro non voleva davvero rispondere ma si fece coraggio. Si vergognava leggermente di parlare di quello che gli era successo ma, in qualità di angelo custode, non si sarebbe tirato indietro. "Mi è stato concesso un desiderio" disse.

"C'è un motivo in particolare per il quale a te è stato concesso un desiderio e a me tre possibilità?" Chiese Andrea, sempre più perso tra i ragionamenti a voce alta di Roy. "Voglio dire, capita a tutti di vivere una cosa del genere?"

"No, solo ad alcuni" rispose. "Ma tu saprai farne buon uso, ne sono sicuro. Se così non fosse non ti sarebbero state offerte. C'è un motivo per tutto, anche per ciò che ti sta accadendo"

Andrea sorrise, imbarazzato dalla naturalezza con cui Roy pensava che lui sarebbe stata la persona adatta a ricevere quei doni.
"Lo spero" replicò infatti. "E quindi questo posto che cos'è?"

Ro si allontanò dal piano della cucina ed iniziò a muoversi nella finta cucina di Andrea. "Il tuo appartamento" rispose. "Non lo riconosci?"

"Certo che lo ho riconosciuto. Ti sarai accorto anche tu però che mancano i muri e sembra di stare all'interno di una lampadina al neon" disse Andrea, più divertito che spazientito. "Dove diavolo ci troviamo?"

Ro si bloccò per un attimo, ma poi si rese conto che quello non era davvero il vero appartamento di Andrea. "Certo, che stupido che sono" disse infatti. "Questa è solo una rappresentazione di casa tua, una sorta di schema"

Andrea socchiuse gli occhi e si diresse con Roy verso la sua camera, dove si era svegliato asciutto e pulito nel suo letto. "Uno schema?" Chiese. "Che cosa vuoi dire?"

Ro oltrepassò il muro inesistente che divideva il bagno dalla camera da letto e si posizionò vicino ad un orologio a muro sospeso nel nulla. "Siamo in una sorta di limbo" spiegò. "Ci troviamo ovunque e allo stesso tempo in qualsiasi momento. Che ore pensi che siano?"

Andrea alzò le spalle e poi spostò lo sguardo sull'orologio fluttuante. Le lancette roteavano come impazzite per tornare sempre sulla mezzanotte. "Le dodici?" Chiese retorico.

"Quando le campane hanno suonato, quando ci trovavamo ancora ad Edimburgo, siamo venuti qui, dove il tempo e lo spazio non esistono" disse Roy, con una espressione felice sul volto. Finalmente poteva spiegare tutto ad Andrea, senza il timore di fare un passo falso. "Da qui possiamo spostarci per andare ovunque e in qualsiasi momento"

Andrea si lasciò andare sul materasso del letto, ancora caldo. "Quindi mi stai dicendo che ci troviamo in una specie di...stazione?" Domandò.

Ro si avvicinò al letto e, dopo che Andrea lo invitò, ci si sedette sopra anche lui. "É proprio così. Siamo in un punto di partenza per andare ovunque tu voglia"

Ad Andrea sfuggì uno sbuffo e poi si lasciò completamente andare contro il cuscino, per poi fissare l'infinito soffitto bianco di quel luogo di mezzo. "Perché questo schema ha la forma del mio appartamento?"

"Non lo so" rispose sincero Roy. "Questo lo hai deciso tu, mentre siamo venuti qui"

Andrea si tirò nuovamente su e si sedette, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e le nocche sotto il mento. "Ho comprato questo appartamento quando sono tornato dall'Islanda" disse. "É la prima cosa che ho posseduto veramente. Chissà a chi andrà ora"

"A chi vorresti che andasse?" Chiese Roy.

"Non lo so" disse Andrea. "Non ho nessuno a cui passarla in eredità, dunque penso che rimarrà vacante per un pò, proprio come siamo noi ora"

"Come sei catastrofico!" Lo schernì Roy. "Pensa piuttosto a dove e quando vuoi andare che abbiamo una tabella di marcia stringente"

Andrea si raddrizzò e si mise di nuovo a guardare le lancette dell'orologio impazzite. "Come funzionano le carte?"

"É molto semplice" iniziò Ro. "Ne prendi una in mano ed immagini dove vuoi che ti porti"

"Tutto qui?"

"Si, tutto qui"

"Va bene" disse allora Andrea. "So già come usare la prima carta, la donna di fiori"

Ro fu subito contento che Andrea non fosse incappato nelle sue solite pare mentali e avesse preso subito l'iniziativa. "Dove andiamo dunque?" Chiese.

Andrea si voltò verso Ro e gli regalò un sorriso a trentadue denti. Non era mai stato più genuino di così. "Voglio rivedere mia madre" disse convinto.

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