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Il maniere di Kelso

Buonasera o buongiorno di nuovo!

Capitolo lunghetto anche questo.

Roger avrà avuto quello che si meritava?

Let's see.

(TW: Contenuto forte?)

I due ragazzi si erano ormai lasciati il fiume Tweed alle spalle da una decina di minuti e stavano camminando, fianco a fianco, nella direzione della cittadina. Entrambi non riuscivano a non guardarsi e a non cercarsi, come se rimanere lontani fosse una tortura insostenibile. Si erano resi conto di essere come i poli opposti di due calamite. Uno era il sole e l'altro la luna, uno il buio e l'altro la luce.

Non potevano esistere senza l'altro.

Sarebbero di certo voluti rimanere sulla spiaggia ancora per un po', ma entrambi avevano ancora dei compiti da svolgere e non avrebbero, di certo, potuto perdere altro tempo prezioso della loro tabella di marcia. C'erano ancora molte cose da essere dette e spiegate, che se si fossero attardati, i loro sforzi sarebbero stati tutti vani. Non avevano altra scelta, loro malgrado, che proseguire.

"Come mai Kelso ti è familiare?" Domandò quindi Roy, impaziente e forse fin troppo curioso.  "Perché il tuo re di quadri ci ha portato qui?"

Andrea, sospirando profondamente, dovette resistere all'impulso di allungare una mano e toccarlo. Le sue dita volevano scorrere ancora una volta sulla sua pelle e sentire il suo respiro caldo sul collo. "Per mio padre" rispose però, voltandosi a guardare qualcosa tra l'erba per non arrossire. "Un tempo abitava qui. C'è il maniere della sua famiglia poco fuori dal centro città"

Roy si portò una mano al volto, già stufo, anche lui, del fatto di non poter baciare nuovamente Andrea. Quel ragazzo gli faceva un strano effetto. Le sue labbra gli sembravano sempre più invitanti e non sapeva bene come comportarsi. "Oh già, tuo padre" disse quindi, cercando di distrarsi e risultare meno impacciato, nascondendosi dietro il suo sarcasmo. "Per un momento mi ero dimenticato di quel tipo. Lo avrei eliminato volentieri dalla mia testa se tu non avessi ancora dovuto farci conversazione"

Andrea tornò a guardarlo e l'angolo della sua bocca si alzò, divertito dal termine usato da Roy. "Spero solo che l'incontro con quel tipo sia veloce, come strappare un cerotto" spiegò, sistemandosi i capelli che avevano iniziato a ricadergli, a causa della leggera brezza, sul viso. "Dubito che sia però indolore. Sarà più come assistere ad un circo privato che altro"

Roy alzò le spalle e si allungò in punta di piedi, iniziando ad intravedere i tetti delle rime case di Kelso. "Vedo che almeno prendi la situazione con uno spirito diverso" disse, individuando un edificio simile ad un castello in miniatura. "Ne sono contento, almeno qualcosa è andato per il verso giusto"

Anche Andrea si sporse in avanti, ormai consapevole di essere quasi arrivato al vecchio maniero di suo padre e di avere sempre meno tempo a disposizione per conversare con Roy. "Ormai sono morto, non ho più nulla da perdere" disse, per poi voltarsi verso l'altro ragazzo e vedere la reazione alla sua dichiarazione. "Nulla a parte te"

Roy dovette prendersi un secondo per essere certo di aver sentito bene. Se tra i due, tutta sera, il più spavaldo era sempre stato lui, Andrea stava ora rivelando un lato di sé stesso che ancora era rimasto nascosto. Gli aveva tolto le parole di bocca senza che se ne rendesse conto, lasciandolo spiazzato. "Nemmeno io voglio perderti" disse dunque, domando i battiti irrequieti del suo cuore. "Proprio non voglio"

Andrea si portò una mano sopra gli occhi, per coprirsi dal sole. Ben consapevole, aggiunse le parole che Roy non aveva avuto il coraggio di dire. "Ad un certo punto succederà però" disse infatti, facendo calare un velo di malinconia tra i due. "Non abbiamo scelta"

Roy dovette fare violenza su sé stesso per non imprecare e mandare tutto all'aria. Se avesse potuto avrebbe afferrato il braccio di Andrea e lo avrebbe trascinato via con sé, senza mai separarsi da lui. "Già, purtroppo è così" disse però, con le mani legate. Le circostanze non erano mai state loro favorevoli, lo sapevano bene entrambi. "Bella fregatura vero?"

Andrea sorrise ed indicò l'edificio antico che Roy aveva già adocchiato, poco prima. Si erano trovati davanti un alto maniere di tre piani in mattoni neri. "Noi due siamo esperti in questo campo" disse il ragazzo. "Non ci batte nessuno in questo sport"

"Non posso darti torto" replicò Roy, storcendo il naso. Avrebbe voluto essere il primo in qualcos'altro, magari nel tennis o in chissà cos'altro. Non era certo mai voluto essere il capitano delle delusioni. "É quella la vecchia casa di tuo padre? Sembra il castello di Frankenstein..."

Andrea gli tirò un braccio, facendolo voltare, di scatto, vero di lui. "Critichi i gusti discutibili di mia nonna?" chiese, circondando Roy con un braccio a livello della vita. "Si potrebbe offendere, sai?"

Roy non se lo fece ripetere due volte e fece combaciare il suo corpo con quello di Andrea. "Tua nonna doveva avere qualche problema alla vista per vivere lì dentro" disse, guardandolo da dietro le ciglia. "Mi mette i brividi una casa completamente nera come questa"

"Sai cos'è peggio dei muri così scuri?"

Roy scosse la testa. "Cosa?"

"Mia nonna collezionava statuine di porcellana colorate. Ne aveva di tutti i tipi e forme" spiegò Andrea, vedendo spuntare l'espressione inorridita sul volto di Roy. "Prima aveva una sola stanza dove le teneva, poi ha capito di non avere abbastanza spazio e le ha sparse per tutta casa. Te le ritrovi ovunque ti volti e sono davvero inquietanti"

"Che tipa strana" concluse Roy.

Andrea inclinò di poco il capo vedendo le fossette che erano spuntate sulle guance di Ro. "Voi due sareste potuti andare d'accordo" disse. "Avete entrambi quella scintilla di vita che vi rende diversi da tutti"

Roy parve arrossire, ma si contenne non appena notò qualcosa di strano davanti al portone di entrata al maniere. "Che cosa avrebbe avuto da dire tua nonna sul fatto che tre auto della polizia stazionano sotto la sua amata casa delle bambole?" domandò, interrogativo. "Gli avrebbe per caso lanciato addosso una armata di statuine?"

Andrea, interdetto e ancora tra le nuvole, parve non capire. Si staccò dal corpo dell'altro ragazzo e si fece avanti, cercando di mettere chiarezza sulle parole di Ro. Un secondo dopo, tre auto delle forze dell'ordine erano entrate nel suo campo visivo. C'erano alcuni poliziotti vicino all'altissimo portone in legno, mentre altri erano seduti sui sedili dei veicoli e stavano parlando con qualcuno alla radio.

Alzando il capo, si potevano notare anche altri tre uomini in uniforme. Questi facevano avanti ed indietro sul ballatoio di legno che circondava tutta la proprietà e ogni tanto guardavano giù. Per la strada non passava nessuno ed i pochi che si avvicinavano, squadrando il maniere, facevano marcia indietro e cambiavano strada, come se ne fossero impauriti o intimiditi.

C'era qualcosa di strano, era ovvio.

"Buongiorno!" disse, scettico, uno dei poliziotti seduti in auto. L'uomo non aveva perso tempo e, notato subito quanto Roy si fosse avvicinato alla casa, si era subito alzato ed avvicinato. Aveva paura che i due ragazzi avessero intenzioni poco chiare. "Posso aiutarvi?"

Ro si voltò e, smettendo di controllare se i mattoni fossero veramente neri o semplicemente sporchi, tornò al fianco di Andrea. Quest'ultimo stava cercando di capire che cosa diavolo stesse succedendo, ma era sempre più confuso e interdetto. "Che cosa succede?" Chiese infatti. "Perché siete di presidio sotto il maniero Thomson?"

Il poliziotto si voltò a guardare i colleghi e si mise la mani in tasca. "Chi siete?" Domandò, senza rispondere alla domanda e tornando a fronteggiare i due ragazzi. "Davvero non sapete che cosa è successo?"

Roy ed Andrea si lanciarono una occhiata carica di preoccupazione. Il primo stava squadrando da capo a piedi il poliziotto e sembrava abbastanza a suo agio, mentre il secondo cercava di capire, in fretta e furia, che cosa dire e che cosa fare. I due avevano davanti a loro una schiera di poliziotti pronti ad intervenire al minimo movimento e ancora non ne capivano l'utilità.

Che cosa era successo per un grado tanto elevato di sicurezza?

"Possiamo entrare?" domandò dunque Roy, tirando fuori dall'impaccio Andrea che aveva iniziato a sudare freddo. "Siamo qui per vedere Roger Thomson, se ci apre ce ne andiamo subito e spariamo dalla sua vista"

Il poliziotto si mise a ridere di gusto. Si era portato una mano alla pancia gonfia e sembrava sul punto di piegarsi in due dalle risate. "Questa proprietà è sotto sorveglianza, ragazzino" disse, richiamando l'attenzione anche dei colleghi sopra al ballatoio. "A meno che tu non abbia un legame diretto di sangue con il detenuto, non posso certo farvi entrare. Chi vi credete di essere?"

Roy sorrise e diede una spallata ad Andrea per incitarlo a farsi avanti. Quest'ultimo sembrava però aver perso l'uso della parola e osservava l'uomo come se si fosse imbambolato davanti al fuoco di una candela. Il poliziotto se ne era accorto e stava chiaramente iniziando ad innervosirsi. Se uno dei due non avesse detto subito qualcosa, sarebbero anche potuti essere scortati in centrale da un momento all'altro, senza la possibilità di protestare.

Roy dovette prendere le redini della situazione prima che le cose iniziassero a scaldarsi. "É il nostro giorno fortunato allora" disse, grattandosi il retro della testa. "Lui è il figlio del signor Thomson in persona"

Il poliziotto li guardò con aria assente. "Se lui è il figlio di quel mascalzone allora io sono Babbo Natale " disse, indicando Andrea con il suo dito tozzo e sporco. "Vi consiglio caldamente di andarvene se non volete farvi un giro in centrale. Mi avete già fatto perdere abbastanza tempo ed energie"

Andrea che era rimasto immobile come uno zombie, al termine mascalzone, sembrò finalmente rinvenire. "É la verità!" disse, quasi urlando, prima che l'uomo tornasse in auto. "Sono venuto per vedere mio padre. Mi fa entrare?"

L'uomo si accigliò e portò, d'istinto, la mano alla fondina. "Per entrare deve esserci segnato il tuo nome sul registro" disse, ovviamente circospetto. "Il giudice ti ha dato il via libera? Hai fatto domanda prima di presentarti qui?"

Andrea annuì, poco convinto di quello che stava facendo. "Certo" disse. "Controlli pure dove vuole"

L'uomo si voltò e fece cenno ai due ragazzi di avvicinarsi alla vettura. Ne tirò fuori un libro dalle pagine bianche e fece scorrere il dito fino alla data del giorno. "Come ti chiami?" Domandò, alzando poi il volto sui due.  "Fammi vedere un documento"

"Andrea" rispose il ragazzo, rovistando nelle tasche nella speranza che apparisse la sua carta di identità, come era successo con il vecchio cellulare che aveva lasciato a Luke. "Andrea Thomson"

Il poliziotto ridacchiò tra sé e sé e strappò dalle mani di Andrea il tesserino plastificato. "Potevi dirlo prima che eri suo figlio" replicò, in tono burbero, segnando qualcosa sul libro che teneva appoggiato alla pancia. "Ti stiamo aspettando da una vita.
Dovevi essere qui questa mattina alle nove. Sono ormai le undici, dove ti eri cacciato?"

Andrea si voltò verso Roy e poi tornò a guardare l'uomo. "Non ero certo che venire fosse la scelta giusta" disse solamente. "Forse avrei dovuto avvisare"

Il poliziotto mise via il libro e si avvicinò al portone d'entrata. "Sono rimasto davvero colpito da quello che avete fatto tu e tuo fratello" disse, inserendo un codice a quattro cifre in un monitor sul muro accanto al cancello. "Incastrare così vostro padre è stata una mossa azzardata, ma ha portato i suoi frutti. Se mia figlia si trovasse in una situazione del genere, non saprei davvero come potrei reagire"

Il portone in legno si aprì in automatico, rivelando lo stretto cortile interno della proprietà. Anche lì, vicino alla piccola fontana in marmo, era parcheggiata un'altra auto delle forze dell'ordine e c'era qualche uomo in borghese che parlottava al telefono. Un giovane poliziotto in divisa si era fatto avanti e aveva iniziato a perquisire Andrea, dalla testa ai piedi.

"Non c'è bisogno che io vi dica che potrà entrare un solo di voi" continuò il poliziotto, adocchiando Roy che era rimasto accanto ad Andrea per tutto il tempo. "Solamente suo figlio maggiore e pochi altri hanno il permesso di fare visita al detenuto"

"Luke non può venire?" Chiese Roy. "Perché?"

Il poliziotto gli fece cenno di rimanere indietro, lasciando che Andrea potesse essere perquisito a dovere. "Il figlio minore di Roger Thomson non è ancora maggiorenne" spiegò l'uomo. "Non gli è permesso di vederlo fino ai diciotto anni di età. Così ha stabilito il tribunale e noi non facciamo certo eccezioni"

"Capisco" disse solamente Ro. "Vorrà allora dire che io rimarrò qui con lei, a farle compagnia, mentre Andrea parlerà con suo padre con tutta la tranquillità di questo mondo"

Il poliziotto, forse innervosito dai modi di fare di Roy, lo prese per un braccio e lo scortò all'esterno del portone di legno. "Tu rimarrai qua, all'esterno della proprietà" disse infatti l'uomo. "Finché il tuo amico non avrà finito di fare quello che deve fare"

Ro si mise sull'attenti e, da poco lontano, si voltò a guardare Andrea addentrarsi nel maniere. Prima che i loro occhi si separassero, gli regalò un pollice in su ed uno sguardo carico di incoraggiamento.  Era certo che sarebbe stato in grado di fronteggiare suo padre e diventare l'uomo che era destinato ad essere, senza più paure o insicurezze. Ce la avrebbe fatta, non aveva dubbi. Ci avrebbe potuto scommettere.



Il giovane poliziotto che aveva perquisito Andrea lo stava ora scortando al secondo piano del maniere. Dopo aver fatto tutti i controlli necessari, avevano iniziato a salire le scalinate in marmo nero e stavano raggiungendo, sorvegliati da una decina di telecamere appese un po' ovunque, le vecchie stanze di sua nonna. Suo padre doveva, a quanto pare, trovarsi da quelle parti.

Le statuine di cui aveva parlato a Roy erano rimaste dove il ragazzo se le ricordava e, stranamente, sembravano anche essere aumentate di numero, come se suo padre ne avesse accatastate altre dalla morte della madre e nel corso degli anni. Era tutto più angusto ed inquietante di come se lo ricordasse, doveva ammetterlo. Gli uomini in uniforme non facevano, inoltre, altro che far aumentare l'angoscia che stava provando oltrepassando il secondo salottino di ricevimento.

Quella casa era immensa.

Forse fin troppo.

Il ragazzo che aveva accompagnato Andrea si era fermato a parlare con un uomo in giacca e cravatta. Questo aveva bisbigliato qualcosa in un auricolare che teneva nell'orecchio sinistro e li aveva autorizzati ad andare avanti, con un cenno del capo. I due avanzarono fino a quando si trovarono davanti ad una porta chiusa: dietro di essa c'era uno studio, lo studio di suo padre, quello più grande di tutti. Quello che aveva sempre utilizzato durante le sue corte permanenze nella residenza di Kelso.

Il momento doveva essere arrivato.

Anzi, era arrivato.

Lo avrebbe rivisto davvero.

Andrea non sapeva davvero cosa provare.

Ansia?

Paura?

Rabbia?

Il giovane in uniforme si voltò verso Andrea per ricordargli le regole di comportamento da adottare, prima di entrare. "Nessun contatto fisico con il detenuto" disse infatti, risoluto. "Sarete sempre sorvegliati tramite le videocamere. Se dovesse aver bisogno di andarsene prima dei venti minuti a vostra disposizione, ce lo faccia sapere con un colpo alla porta"

Andrea si abbassò per controllarsi i vestiti: non era nelle migliori condizioni possibili e suo padre, quasi sicuramente, glielo avrebbe fatto notare. Aveva la sua camicia bianca e i pantaloni di quando era morto, senza però alcuna cravatta. Le scarpe erano ancora sporche del fango delle rive del fiume. "É tutto?" chiese, constatando che non avrebbe potuto modificare più di tanto nel suo aspetto. "C'è altro?"

"No" rispose il giovane, in tono fermo. "Ora può entrare. Però non si attardi più del dovuto"

Andrea si rimise diritto ed aspettò che la porta dello studio venisse aperta. Dietro di essa lo stava aspettando suo padre. Era ancora come se lo ricordava? Come avrebbe reagito una volta che lo avrebbe visto, di fronte a sé? Che cosa gli avrebbe detto? E l'uomo invece? Avrebbe avuto qualcosa da dire a lui, vedendolo nello studio assieme a lui?

Con le gambe simili a due pezzi di cemento e la testa pesante, si fece avanti. In meno che non si dica, come se si fosse materializzato lì, si trovò nella stanza. Regnava un silenzio tombale: c'era solo un orologio a pendolo a scandire il passare dei secondi. All'inizio, Andrea non vide suo padre da nessuna parte, ma poi riconobbe un ciuffo di capelli grigi da dietro lo schienale della sedia girevole su cui si era nascosto, dandogli le spalle.

"Alla fine dunque sei arrivato" disse Roger, riscuotendo Andrea dal torpore che lo aveva assalito, e voltandosi, seppur lentamente, verso di lui. "Sei ovviamente e ancora una volta in ritardo. Come sempre, risulti inadeguato in ogni circostanza"

Il tono dell'uomo non ammetteva repliche. Era duro come il ragazzo se lo ricordava e più tonante, come se, oltre che con lui, fosse arrabbiato anche con il resto del mondo. Era vestito di tutto punto e la sua camicia era abbottonata fino all'ultimo bottone. I gemelli dorati erano l'unica cosa che mancava all'appello, e lo stesso valeva per gli occhiali da vista, abbandonati sul tavolo di legno.

Sedeva sulla sua sedia girevole con le gambe accavallate e le braccia stese sui braccioli. Era leggermente dimagrito ed il volto sembrava scavato, come se qualcosa pesasse sul suo cuore fin troppo raggrinzito dai sentimenti negativi. Andrea lo fissava senza realmente vederlo. Se ne stava in piedi al centro della stanza, con i piedi piantati sul tappeto persiano, e non voleva saperne di muoversi.

"Vuoi rimanere lì impalato?" domandò ancora l'uomo, con un sarcasmo affilato che arrivò dritto al ragazzo. "Vedo che le tue infantili maniere non sono cambiate nel corso di questi sei mesi. Non hai niente da dire?"

Andrea si mosse e si avvicinò ad una delle due sedie di legno che erano posizionate davanti alla scrivania. Ne spostò una e ci si sedette sopra, sotto gli occhi vigili del padre. "Io avrei molto da dire" disse Andrea. "Ma lascio volentieri a te la prima mossa"

"La prima mossa?" chiese sarcastico Roger, scandendo bene la parola usata da Andrea. "Che cosa stai dicendo? Credi forse di star giocando?"

Andrea si appoggiò allo schienale e cercò di non far tremare la sua voce. "Tu di certo ti sei divertito abbastanza" disse, fissandolo negli occhi e mantenendo il contatto visivo. "Altrimenti per quale motivo ti troveresti qui, sorvegliato da poliziotti e telecamere? Alla fine hai avuto quello che ti meritavi"

"Queste sono le parole di un bambino Andrea" disse sua padre, avvicinandosi al tavolo spingendosi con le rotelle della poltrona. "Smetti di giocare e inizia a comportarti come un uomo. Ti senti quando parli?"

Andrea sospirò, capendo che le prossime parole che sarebbero uscite dalla bocca di suo padre gli avrebbero fatto male. "Tu di certo non lo sei mai stato" constatò. "Un uomo non si comporterebbe mai come ti sei comportato tu con noi"

Roger sghignazzò. "Certo, perché tu invece lo sei per davvero" disse, pronto per sparare l'ennesima cattiveria. "Credi che esserti presentato qui con il tuo fidanzatino abbia giocato a tuo favore? Sei solo un povero idiota che se la fa con i maschi. Non sei mai stato degno del tuo cognome e non lo sarai mai. C'è bisogno che lo ribadisca di nuovo?"

"Non c'è mai stato nessuno che per te andasse bene. Nessuno di noi è mai stato alla tua altezza" replicò Andrea, rimanendo saldo. Non si sarebbe mai e poi mai più fatto vedere ferito o vulnerabile, almeno non da lui. "Finalmente anche gli altri si sono resi conto del mostro che avevano accanto"

Roger sorrise, come se sentirsi essere chiamato mostro gli avesse fatto piacere. Si sporse in avanti e appoggiò i gomiti sul tavolo. "Ti sbagli" disse. "Con te ho sempre nutrito qualche speranza, anche se minima. Alla fine però mi hai deluso anche più di Luke. Entrambi deboli e troppo effemminati. Questo mondo vi avrebbe tolto di mezzo prima ancora di aver messo piede fuori di casa"

Andrea dovette sforzarsi di non alzare la voce e risultare fin troppo simile a lui. "Per questo hai pensato che frustarci ci avrebbe reso più forti? Luke era solo un bambino, e lo ero anche io" chiese, sfidando la pazienza dell'uomo. "Come convivi con te stesso, sapendo di aver causato così tanto dolore?"

Roger sventolò una mano per aria, cercando di liquidare il discorso. "Se non avessi usato il pungo di ferro non saresti stato in grado di far nulla della tua vita" disse, guardando fuori dalla finestra dal vetro colorato. "Ti ho reso quello che sei oggi e tu come mi hai ripagato? Voltandomi le spalle e facendo la spia!"

Andrea si passò una mano sul volto ed adocchiò alcune delle statuine di sua nonna. Erano una più colorata dell'altra e li guardavano come degli avvoltoi. "Luke non si meritava quello che gli stavi facendo" disse. "Nessuno di noi si è meritato il trattamento che ci hai riservato"

Roger si alzò e si avvicinò alla finestra. Ci si accostò e guardò fuori. "E io invece mi meritavo di essere incastrato dai miei due figli e da mia moglie?" chiese Roger, alzandosi le maniche della camicia e scoprendo le braccia. "Siete stati soddisfatti di avermi rinchiuso qua dentro agli arresti domiciliari?"

Andrea rimase seduto. "Era la cosa giusta da fare" disse.

Roger si voltò e si appoggiò al davanzale interno dopo che uno degli uomini sul ballatoio gli aveva fatto cenno di spostarsi. "La cosa giusta da fare?" replicò. "Certe volte non sembri nemmeno mio figlio. Parli come tua madre. Come Luke siete sempre stati una copia delle mie due mogli, non avete preso nulla da me"

"Sono contento di assomigliare a lei, piuttosto che a te" rispose Andrea. Il buco nel petto che lo aveva accompagnato per tutta la sua vita aveva iniziato nuovamente a fargli pressione sul costato. "Non sono mai stato fiero di essere tuo figlio. Mia madre ha sbagliato a sposarti, avrebbe potuto trovare di meglio"

L'uomo tornò indietro e si abbandonò sul divanetto in pelle accanto alla scrivania. "Ci siamo sposati perché lei è rimasta in cinta di te, non certo perché l'amavo" replicò, come se avesse detto la cosa più normale del mondo.

Andrea spostò la sedia per fronteggiarlo nuovamente. "É per questo che hai iniziato a picchiarla?" chiese, temendo già la risposta.

Roger iniziò a massaggiarsi il mento con fare disinvolto. "Mi ha molto sorpreso quando il giudice mi ha fatto sapere che saresti venuto a trovarmi" disse. "È da allora che mi interrogo sul motivo per il quale tu sia voluto venire. Al processo le tue intenzioni mi erano sembrate alquanto definitive. Che cosa vuoi sentirti dire, che mi dispiace per quello che è successo?"

Andrea scosse il capo. "Anche se a quanto pare il processo lo abbiamo vinto noi, tu sei qui nel tuo bel maniere e non in carcere" disse. "Com'è che cadi sempre in piedi?"

Roger si sfregò le mani, come se quella domanda avesse aperto un portone e non una porta di possibilità. "Sono i trucchi del mestiere" spiegò. "È quello che avrei anche potuto insegnarti, se tu non mi avessi odiato così tanto e avessi usato tutte le tue energie a dartela a gambe dalle tue responsabilità"

"Io non ti odio" rispose Andrea, alzando il volto verso quello del padre. "Non ti odio"

"A no?" Replicò, accigliato, l'uomo. "E dunque che cosa provi nei miei confronti?"

Andrea non dovette pensarci su molto. "Non provo più nulla per te. All'inizio non capivo, ma poi ho smesso di cercare di comprendere. Certe cose sono così e basta e bisogna imparare che non possiamo fare nulla per cambiarle" spiegò, rammaricato e rattristato. "Non sprecherò più il mio tempo cercando di attribuirti qualche potere sulla mia vita"

"Parole vuote" disse l'uomo. "Parole senza senso"

Andrea scosse il capo, cercando di farsi scivolare addosso le parole di suo padre. "Ora so che ho fatto qualcosa di giusto, nonostante tutto ciò che di sbagliato c'è stato nella mia vita" disse. "Luke potrà vivere una infanzia più serena e questo è tutto quello che conta"

"Quello che conta?" ripetè l'uomo, alzandosi dal divano e controllando l'ora sull'orologio a pendolo. "Non sai nulla di ciò che conta"

"Può darsi" disse Andrea, alzandosi e avvicinandosi alla porta. "Magari ciò che dico non significa nulla e le mie sono tutte stupidaggini, ma sicuramente aver salvato la vita di mio fratello è stata la miglior cosa che avessi mai potuto fare"

"Luke non aveva bisogno che tu venissi in suo soccorso" replicò Roger, avvicinandosi ad Andrea che si era accostato alla porta dello studio. "Se avessi lasciato perdere tutte le pagliacciate che hai architettato per inchiodarmi, forse lui sarebbe cresciuto nel verso giusto, al contrario tuo"

Il ragazzo assottigliò gli occhi e non si lasciò intimorire. "Sarebbe cresciuto" disse. "Ma a che prezzo?"

Roger sogghignò. "Tutti dobbiamo pagare un prezzo" rispose. "Niente è gratuito a questo mondo"

Andrea strinse la mano sul pomello dorato. "Hai ragione, ma tu ci hai derubato tutti" rispose, attorcigliando le dita sul metallo freddo. "Almeno uno di noi non rimarrà con le tasche bucate"

L'uomo, con uno scatto repentino, prese Andrea per un polso e lo fece voltare verso di lui. "Senza di me non andrete da nessuna parte" lo intimò, con occhi fiammeggianti di ira. "Senza di me non siete niente"

Il ragazzo abbassò gli occhi sulla mano di suo padre per poi riprendersi il braccio. "Questo è da vedere" disse, secco. "Tu potrai guardare lo svolgersi delle cose da qui, che ti piaccia o no"

Roger mostrò i denti, beffardo. "Ti senti migliore di me?" chiese, iniziando ad alterarsi. "Pensi di aver vinto? Non ti libererai mai di me, mai!"

Andrea, consapevole che le cose si stavano per infuocare,  non perse tempo e fece scattare la serratura. Girò il pomello per uscire, intravedendo già il giovane poliziotto dall'altra parte del muro, e si spinse in avanti. "Arrivederci padre" disse, tagliando corso e cercando di non voltarsi indietro. "Addio e a mai più"

In una manciata di attimi, il ragazzo si era già chiuso la porta alle spalle e stava scendono le scale, per tornare da Roy.

Aveva avuto quello per cui era venuto.

Aveva ricevuto la conferma che gli serviva.

Il suo piano e quello di Luke era andato a buon fine.

Era tutto ciò che contava.

Erano riusciti ad incastrarlo.





Bene bene.

Il piano di Andrea e Luke è andato a buon fine. Roger è stato giudicato colpevole per le sue azioni e condannato, ma per quanto rimarrà agli arresti domiciliare? È tutto finito oppure c'è ancora qualcosa che deve andare al proprio posto?

🫢

Alla prossima!

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