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Edimburgo, 24 Dicembre. Ore 23:01

Andrea sembrava ormai più morto che vivo. I suoi occhi erano vitrei, completamente rossi e privi di qualsiasi tipo di emozione. Si sentiva svuotato, incapace di essere una persona in carne ed ossa ancora per un altro minuto. Sentiva di non esistere ormai più, come se fosse solamente uno spettro di cui nessuno si ricordava il nome.

Aveva dannatamente freddo, ma non sembrava sentirlo davvero. Il cuore aveva come smesso di battere, per lasciare posto solo ad un pompare forzato, il minimo per farlo ancora respirare. Aveva le nocche sporche di sangue, ed era sicuro di averne lasciato una pozza davanti allo Starbucks in cui aveva abbandonato Roy.

Roy.

Lo aveva davvero piantato in asso.

Che stupido era stato.

Aveva lasciato l'unica persona che avesse mai mostrano genuino interesse verso di lui.

Nemmeno la sua, ormai ex, fidanzata lo aveva mai visto solo come Andrea.

A lei interessava solo il suo dannato cognome.

Come a tutti dopotutto.

Che cosa diavolo non andava in lui, per essersi comportato in quel modo? Si sentiva un fallimento, ed in quel preciso istante, capì fino in fondo le parole di suo padre. Per tutto quel tempo aveva avuto ragione lui: non sarebbe mai nemmeno dovuto nascere, era solo uno spreco di spazio ed energie.

Chissà che cosa avrebbero scritto di lui sui giornali, il mattino seguente. Non sarebbe bastato il suo disonore a rendere terribile quel Natale, ma serviva anche una scenata inutile in un pub di un tranquillo quartiere a renderlo ancora meno appetibile agli occhi degli altri. Aveva combinato il solito casino. L'unica differenza ora era che lo aveva combinato senza avere più il suo vecchio cognome.

Aveva girovagato per un pò, dopo essere corso via dal locale in cui Mary, verosimilmente, aveva staccato per andare a festeggiare. Si era ritrovato, come risvegliatosi da un brutto sogno, steso su una panchina a fissare il vuoto. Era ormai tutto zuppo e l'unica cosa a cui riusciva a pensare era Roy.

Dove era in quel momento? Era forse tornato al suo lavoro? Andrea doveva avergli lasciato una brutto ricordo di sè. Forse, anche se si fossero mai rincontrati di nuovo, gli avrebbe voltato le spalle, come se non avessero mai davvero passato del tempo insieme. E avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per farlo.

In lontananza, appesa al muro di un vecchio palazzo, c'era una insegna. All'inizio Andrea non la aveva nemmeno notata, ma dopo che ebbe messo a fuoco, la riconobbe subito. Era l'insegna dell'azienda di suo padre. C'era la sua faccia ed il suo nome scritto a caratteri cubitali.

Si prese del tempo per scrutare, anche se da lontano, il volto del famigerato signor Thomson, il re di Edimburgo. Andrea non avrebbe potuto trovare soprannome migliore per lui se non 'tiranno', ma nessuno gli avrebbe dato credito nemmeno se lo avesse urlato ai quattro venti. Alla fine dei conti non faceva nemmeno più parte della sua famiglia.

L'uomo aveva i capelli grigi pettinati all'indietro e la barba curata fino al minimo dettaglio. In quella foto non portava gli occhiali, ma Andrea sapeva che li necessitava, a meno che non avesse voluto cadere davanti a tutti, in uno dei meeting in cui riuniva tutto il suo personale. A guardarlo bene, su quel cartellone, non sembrava nemmeno lui.

Il ragazzo si stava chiedendo come stesse procedendo la cena di Natale, senza di lui. Erano passate le undici, stavano ancora mangiando? Suo padre aveva tessuto le fila di Luke per tutta la sera? La sua nuova moglie aveva più pensato a lui, una volta sbattuto fuori di casa da suo padre?

Sospirò: non lo avrebbe mai saputo.

Avrebbe dovuto iniziare a vendere tutto ciò che aveva ancora in possesso, se avesse voluto pagare l'affitto dei prossimi mesi. La prospettiva di tornare alla vita di tutti i giorni, in quel momento, ad Andrea sembrò insostenibile. Aveva solo ventitré anni, che cosa avrebbe fatto del resto della sua vita?

Portò il collo all'indietro, distogliendo lo sguardo dal cartellone. Sospirò e scrutò la nuvola di fumo che gli uscì dalla bocca. Quello significava che non era morto, non ancora per lo meno. Andrea non seppe se esserne rallegrato oppure rattristato. Rimanendo fermo in quella posizione avrebbe anche potuto congelarsi, senza rendersene conto.

Si voltò alla sua sinistra quando sentì delle voci in lontananza. Un gruppo di ragazzi ubriachi aveva svoltato all'angolo della strada che si immetteva in quella in cui si era fermato lui. Per fortuna avevano imbroccato la direzione opposta, e non avrebbe dovuto guardarli sfilare davanti a lui. Si sentì uno stupido: aveva paura anche della sua stessa ombra.

"Andrea?" Lo richiamò qualcuno, questa volta da destra.

No, non poteva essere.

Doveva aver sentito male.

"Mi stai ignorando volontariamente?"

Dannazione era lui, come aveva fatto a trovarlo?

"Dovrei essere io quello arrabbiato, non trovi?"

Non poteva crederci, era venuto a cercarlo.

Non se lo sarebbe mai aspettato.

Lentamente si girò verso destra. Il cuore gli era tornato in gola. Era proprio lui. Roy si trovava a pochi passi da Andrea ed aveva di nuovo tra le mani quel suo ombrello a pois. Lo guardava come se gli si potesse rompere tra le mani. Non se ne rese conto, ma trattenne il respiro finché l'altro ragazzo non decise di aggiungere altro.

"Mary se ne è andata" disse, prendendo posto sulla panchina dove Andrea si era rannicchiato. "La sua amica era talmente ubriaca da scordarsi di te, non appena sei fuggito via"

Andrea deglutì sonoramente e tornò a guardare il cartellone con il volto di suo padre. "Ok" disse, senza guardare Ro negli occhi. In quel momento avrebbe voluto abbracciarlo. "Ok"

Roy accavallò le gambe e si mise a fissare il cartellone che Andrea trovava più interessante di lui. "Certo che tuo padre ha proprio l'aria da cattivo" disse tranquillamente. "Assomiglia a Jafar, sai? Quello di Aladino"

Andrea si decise a voltarsi per guardare Ro in volto.

Quest'ultimo fece lo stesso.

"Che c'è?" Chiese Roy.

"Perché sei qui?" Domandò Andrea.

"Ti sono venuto a cercare"

"Perché?"

Roy distolse lo sguardo. "Hai rotto con tutti questi perché" disse, cercando di sdrammatizzare la situazione. "Mi andava di farlo e l'ho fatto. Non posso?"

Andrea si fece più vicino a Ro, come se il ragazzo potesse infondergli chissà quale elisir di vita. "Certo che puoi" disse. "Pensavo solo che dopo quello che è successo non avresti più voluto vedermi"

Le risate del gruppo di ragazzi che aveva svoltato a sinistra li distrassero, facendoli voltare in quella direzione. Il gruppo di persone aveva deciso di fare retro - front e si stava dirigendo verso Roy ed Andrea. Alcuni di loro stavano fumando, mentre gli altri intonavano canzoni natalizie, stonando completamente.

"Hai lasciato un bel casino dietro di te quando te ne sei andato" aggiunse Roy, dopo aver adocchiato le persone che li stavano raggiungendo. "Sembrava la scena di un crimine"

Andrea si guardò le nocche delle mani. Il sangue era ormai più viola che rosso. "Già" disse. "Avrebbero anche potuto arrestarmi"

Roy si mise a rovistare nelle tasche del suo cappotto. "Meno male che non ti ha visto nessuno" disse, per poi tirare fuori un fazzoletto bianco di stoffa. "Mary avrebbe potuto passare dei brutti guai. Immagina la faccia di Jordan quando non l'avrebbe vista arrivare all'altare perché bloccata in una centrale di polizia con un pazzo che si è fracassato le mani a causa dei traumi procuratigli dal padre"

Andre smise di respirare. "Traumi?"

Roy fece segno ad Andrea di allungare le mani verso di lui. "Come li devo chiamare? Regali?" Aggiunse. "Da come sei scattato non mi sembrava qualcosa di piacevole, o no?"

Andrea scosse la testa e Roy gli prese le mani tra le sue. Iniziò a sfregare via il sangue con il fazzoletto di stoffa. Il ragazzo non sentì dolore, ma solo un profondo senso di riconoscenza nei confronti di quello sconosciuto che lo stava aiutando. Per quanto ne sapeva di lui, avrebbe anche potuto essere un miracolo.

"Ti senti meglio ora che hai preso a pungi una strada?" Domandò Roy. "É servito a qualcosa?"

Andrea si strinse nelle spalle.

Roy smise per un attimo di fare quello che stava facendo. "A cosa pensavi?" Domandò.

"Ho pensato di farla finita" ammise Andrea, più a sé stesso che a Roy. "E' stato un momento, ma l'ho pensato"

Roy continuò a pulire le nocche di Andrea, imperterrito. "Lo immaginavo" disse soltanto. "Me lo sarei dovuto aspettare"

"Mi sento solo tanto solo" disse Andrea, appoggiando il capo sulla spalla di Roy. Questo lo lasciò fare, anzi ne fu ben contento: era quello che sperava fin da inizio serata. Era un po' il suo lavoro, far si che gli altri si sentissero liberi di dire ciò che avevano nel cuore.

"Anche a me capita ogni tanto" replicò Roy, mettendo le mani di Andrea sotto il fazzoletto che stava usando. "Ma cerco di non pensarci, o almeno ci provo"

"La fai facile" disse Andrea.

"Non è mai facile" aggiunse Roy, alzando finalmente il fazzoletto e rivelando nuovamente le mani di Andrea. "Ci sono passato anche io, sai? Sono stato dove sei tu ora"

"Davvero?" Domandò. "E come ne sei uscito?"

Roy annuì e fece cenno ad Andrea di dare uno sguardo alle sue mani. Il ragazzo impallidì. Le sue nocche erano tornate come nuove, non c'era più traccia di sangue o di contusioni. "Non ci sono riuscito" terminò la frase Roy. "É questo il problema"

Andrea temette di essere stato drogato, ma continuò la conversazione con non calanche, come se sapesse veramente di che cosa Ro stesse parlando. "Certo" disse. "Allora perché sei qui a parlare con me?"

Roy mise via il fazzoletto, piegandolo e rimettendoselo in tasca. "Non lo so, dimmelo tu" rispose. "Perché sei scappato via quando l'amica di Mary si stava avvicinando per parlarti?"

Andrea tornò a guardare il cartellone con la faccia di suo padre. Il gruppo di ragazzi gli stava sfilando accanto. "Sei furbo, cambi discorso" disse strofinandosi le mani.

"E tu sei noioso"

"Lo so" replicò Andrea. "Lo sono sempre stato"

"Adesso ti piangi addosso?" Chiese Roy, nel tentativo di prendere in giro Andrea. "Non mi sembravi il tipo"

"Ah no?"

Roy sospirò e avvolse il suo braccio sulle spalle di Andrea. "Vedi, qui non stiamo parlando di me" rispose. "A tempo debito potrei anche raccontarti come sono finito qui, ma per ora vorrei che tu rispondessi alla mia domanda. Te la senti?"

Andrea si strofinò una mano sul volto. "Mi chiedi se me la sento di parlarti di cosa?" Chiese retorico. "Dell'ennesima cazzata che ho combinato?"

Ro alzò le spalle. "Si, ne hai combinate molte altre?" Disse. "O forse il verbo combinare è semplicemente sbagliato?"

Andrea parve non capire. "Con questo cosa vuoi dire?"

Ro si grattò il naso. "Se combini qualcosa vuol dire che hai fatto qualcosa di sbagliato, di proposito. E per questo potresti anche essere punito, in quanto hai sbagliato" spiegò il ragazzo ad Andrea. "Magari quello che volevi dire è che ti è successo qualcosa"

"É la stessa cosa" disse Andrea. "Non è che le cose succedono per caso"

Roy parve frustrato. "Non si riesce proprio a farti entrare un bel niente in quella tua testa vero?" Chiese divertito. "Dimmi che cosa ti è successo per fari scattare in quel modo"

Andrea incrociò le braccia al petto, senza sapere che cosa rispondere. Avrebbe dovuto dire la verità? Ormai non aveva più niente da perdere e forse non gli rimaneva nemmeno più la sua dignità. "Va bene" disse infine. "Ma non è niente di piacevole"

Ro gli picchiettò con la mano sulla spalla, incitandolo a prendere un respiro profondo. Il gruppo di ragazzi era ormai passato oltre. "Lo so bene" disse. "Prenditi il tempo che ti serve, non abbiamo fretta"

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