Edimburgo, 24 Dicembre. Ore 22:43
Roy ed Andrea, dopo che le campane avevano suonato le dieci e trenta di sera, si erano diretti all'unico Starbucks aperto la sera della vigilia di Natale. Se Ro rimaneva impeccabile e a suo agio anche in abiti bagnati, Andrea aveva decisamente bisogno di riscaldarsi un pò.
Avevano camminato velocemente per le strade di Edimburgo dopo che Andrea aveva iniziato a non sentirsi più le dita della mani. Dovevano assolutamente raggiungere un posto caldo dove fermarsi per almeno una decina di minuti, prima di ritornare a vagare tra le stradine deserte della città.
Dopo aver svoltato un angolo, i due notarono in lontananza l'insegna luminosa del locale. Era in cima ad una strada in salita e scivolosa. Anche se era tardi, ed era ormai quasi il venticinque Dicembre, il posto sembrava comunque, se non come al solito, affollato di gente.
Aggrappandosi l'uno all'altro per non cadere, Ro ed Andrea arrivarono ai piedi della porta del bar. Non appena lo raggiunsero, si fermarono ad osservare le persone al suo interno, rimanendo a debita distanza. Non restarono sorpresi di vedere solamente giovani adulti.
Al bancone c'era una ragazza che stava armeggiando con quello che doveva servirle per preparare un cappuccino caldo. Sui divanetti sistemati all'angolo opposto dell'entrata c'era una coppia di ragazzi intenti a scambiarsi effusioni romantiche e, poco distanti da loro, si trovava una ragazza con al guinzaglio un chihuahua spelacchiato.
Nessuno dei presenti notò Roy ed Andrea, se non quando misero piede all'interno, facendo tintinnare la piccola campanella al di sopra della porta. Quasi nello stesso momento, la ragazza al bancone e la padrona del cane si voltarono verso di loro. Una aveva un sorriso sul volto, mentre l'altra sembrava completamente indifferente.
"Altri ospiti!" Esclamò la barista agitando le mani per aria, era lei quella che aveva sorriso. "Quest'anno nessuno sembra avere voglia di starsene a casa per Natale. Meglio così, almeno questa sera avrò compagnia"
L'aria troppo allegra della ragazza fece arricciare il naso ad Andrea, mentre Roy parve esserne contagiato. Con un movimento fluido si sfilò il cappotto e lo lasciò andare contro lo schienale di una sedia di legno. Non aveva per niente l'aria stanca, Andrea invece avrebbe giurato di avere due occhiaie profonde.
"Che cosa vi porto?" Domandò la ragazza, avvicinandosi di soppiatto al tavolino che Andrea aveva scelto. "Qualcosa di caldo? Questa sera fa troppo freddo per non volersi riscaldare con qualche cosa di...sfizioso direi"
Roy le sorrise, ma prima di dire qualsiasi cosa si rivolse ad Andrea, ormai stravaccato su una delle sedie. I suoi capelli bagnati avevano già iniziato ad asciugarsi e ad arricciarsi. Fra poco avrebbe avuto lo stesso aspetto del chihuahua. "Per me un the" sospirò dunque Andrea, dopo essere stato interrogato sul suo ordine. "Senza zucchero, grazie"
La ragazza si allontanò dopo aver preso anche l'ordinazione di Roy. Come era venuta, in un turbinio di capelli biondi, se ne andò, lasciando Andrea con una punta di amarezza sulla lingua. Non era certo di star provando gelosia, dato che la maggior parte delle volte non provava assolutamente nulla, se non un vuoto costante.
"Ti senti bene?" Domandò leggermente preoccupato Ro, vedendo Andrea seguire con gli occhi la ragazza.
Andrea scosse il capo, incerto su cosa rispondere. Si sentiva il solito peso morto, sopratutto quella sera. "Penso di si" disse infine. "Mi chiedo solo come faccia ad essere così allegra e felice"
Roy si portò le mani alla bocca, per coprire la risata che gli stava nascendo. "Magari le piace il Natale, e anche se sta lavorando ne sente lo spirito" disse alzando le spalle e liquidando il discorso.
Andrea si lasciò di nuovo andare contro lo schienale della sedia ed accavallò le gambe. "Io non sento nulla" disse con tono piatto e distogliendo lo sguardo dalla schiena della giovano donna. "Proprio nulla"
Ro si sistemò meglio sul suo posto ed incrociò le braccia. Andrea non riusciva a capire come tutto l'essere di quel ragazzo emanasse calore, gentilezza e, senza riuscire a spiegarselo, un senso di casa e familiarità. Aveva iniziato a temere di potergli raccontare tutta la sua vita in una sola notte.
"Beh" disse Roy, rompendo il flusso di coscienza di Andrea. "Tu sei un caso particolare, dico bene?"
Andrea gli lanciò una occhiata torva e Roy rispose alzando un sopracciglio con fare spavaldo. Forse quello sconosciuto era l'unica persona, che in tutta la sua vita, si era preso un momento per star a sentire le sue paranoie. Era strano, davvero strano, che non se la fosse ancora data a gambe.
"Ti diverti?" Domandò infine Andrea inquadrando nuovamente la ragazza che stava armeggiando con delle tazze marroni.
Ro si sporse verso di lui ed appoggiò i gomiti sul tavolino che li separava. "A tutti piace il Natale Andrea, perché a te no?"
Andrea si ammutolì di colpo. Aveva preso a fissare Roy negli occhi, cercando la risposta in lui ma questo non lo aiutò a trovarla, o per lo meno non riuscì a fargliela dire. Che cosa avrebbe dovuto rispondere? Si sarebbe aperto l'ennesimo discorso che avrebbe preferito evitare.
Non voleva di certo dare, come sempre, la colpa a suo padre, ma anche questa volta, fu la prima cosa che gli venne in mente. Il grande signor Thomson aveva sempre impedito a lui e sua madre di festeggiare il Natale. Per lui era un giorno come gli altri e niente gli avrebbe fatto cambiare idea.
L'uomo si ritirava nel suo studio e ne emergeva alla sera, più arrabbiato di come ci era entrato. Si sedeva a tavola durante la cena e si imbarcava in una discussione con la sua prima moglie, prima di rinfacciargli tutto ciò che era andato storto nella sua vita. Andrea rimaneva seduto, immobile sulla sua sedia, prima che il padre se la prendesse anche con lui.
Una volta che la madre si ritirava nelle sue stanza, stanca e amareggiata per ciò che il marito le diceva, Andrea rimaneva da solo con lui. Si ricordava di come gli occhi del padre diventassero rossi, mentre lo guardava. Da un momento all'altro gli avrebbe messo le mani addosso e gli avrebbe fatto male.
Il signor Thomson si vantava di avere una mente aperta, ricettiva verso ciò che c'era di nuovo, di diverso. Il problema era che non c'era nulla di moderno nello strangolare il figlio con le sue grosse mani raggrinzite. Andrea si ricordava dei segni violacei sul suo collo, quando suo padre era particolarmente nervoso e agitato.
"Cambiando discorso" iniziò dunque il ragazzo, spostando l'attenzione su un'altra persona. "Perché a quella ragazza dovrebbe piacere il Natale? Dopotutto sta lavorando la sera della vigilia, perché non dovrebbe preferire starsene con la sua famiglia?"
Andrea aveva ordinato una insignificante, quanto anonima tazza di thè, mentre Roy aveva optato per qualcosa di più azzardato: una cioccolata calda. La ragazza glieli portò nel giro di cinque minuti, con un sorriso talmente grande e genuino che per poco gli angoli del suo volto avrebbero potuto prendere a danzare.
Roy la afferrò per il polso destro, prima che tornasse dietro al suo bancone. La ragazza gli rivolse un'occhiata stranita: perché quel tipo la aveva appena toccata? "Posso fare ancora qualcosa per voi?" Domandò, aspettandosi una spiegazione plausibile per il gesto azzardato di Ro.
Lui la lasciò andare e si sporse sul bordo della sedia. "In effetti si" disse, con un tono divertito. "Io ed Andrea ci stavamo chiedendo come mai sei così allegra, nonostante tu stia lavorando la viglia di Natale"
Lei si guardò intorno, per assicurarsi che nessuno avesse bisogno di lei. "Beh" rispose imbarazzata. "Lo volete proprio sapere?"
Roy annuì, voltandosi poi verso Andrea per vedere la sua espressione. Il ragazzo era diventato rosso dall'imbarazzo, come se il desiderio di sapere che cosa rendesse tale quella ragazza fosse un peccato mortale. Non era mai stato bravo con le persone, lo sapeva bene.
"Sono davvero emozionata" continuò lei. "Ormai che me lo avete domandato, e dato che sembra essere così evidente che sono felice, domani mi sposo"
Ro sorrise e tornò con la schiena appoggiata alla sua sedia. "Congratulazioni" disse, invitando Andrea a fare lo stesso. "Sono molto contento per te"
La ragazza, nella foga del momento, agguantò una sedia e si sedette al tavolo di Roy ed Andrea. Forse voleva ingannare l'attesa oppure parlare del fatidico avvenimento con qualcuno. "A mezzanotte mi verranno a prendere le mie amiche ed andremo a festeggiare" disse elettrizzata. "So che è un pò ambiguo sposarsi a Natale, però non volevamo più aspettare...l'unica altra data disponibile sarebbe stata a Marzo"
Andrea sorseggiò il suo the, dopo averci soffiato sopra per renderlo più freddo. Il rossore sulle sue guance era leggermente scemato. "Come si chiama il fortunato?" Domandò superficialmente, ma nemmeno troppo disinteressato.
"Il suo nome è Jordan" replicò la ragazza. Le sue mani non sapevano dove appoggiarsi e la sua gamba faceva sue e giù, in un movimento ripetitivo. "E invece voi? Come mai siete qui?"
Gli occhi della ragazza, da vicino, risplendevano di una luce propria. Scintillavano più delle luminarie che erano state appese per tutta la città. Erano così belli. Andrea si domandò quando ci avrebbero messo a spegnersi. In fondo al suo cuore speravano che non lo avrebbero mai fatto.
Non aveva mai pensato al matrimonio, in realtà non aveva mai pensato a nulla che potesse durate per tutta la vita. A dire il vero, non si era nemmeno mai immaginato da vecchio. Aveva dei piani per il futuro, quello si, ma nessuno includeva una casa nel bosco con una schiera di bambini a corrergli attorno. Nemmeno con un cane, si era immaginato.
"Andrea ha avuto una brutta serata" disse Roy alla ragazza. "Stiamo cercando di tirargli su il morale"
Andrea appoggiò la sua tazza sul tavolo. I suoi occhi erano sul punto di scoppiare: ora che si fermava a pensare, la sua vita non gli piaceva per niente. "Con scarsi risultati direi, ma sto davvero apprezzando l'impegno" disse, con un sorriso forzato sul volto. "Ti abbiamo strappato al tuo lavoro e non ti abbiamo nemmeno chiesto come ti chiami, qual è il tuo nome?"
La ragazza sorrise ancora di più e Ro parve apprezzare il gesto di Andrea. "Mi chiamo Mary, Mary Howard" rivelò. "E invece voi siete?"
"Io mi chiamo Andrea"
Mary smise di sorridere e la sua espressione cambiò. Guardò Roy e poi lui. "Solo Andrea?" Domandò. "Ora che ti guardo meglio mi pare di averti già visto...ci conosciamo?"
Ro si tirò indietro, lasciando i due ragazzi a parlare tra di loro. Andrea parve irrigidirsi, cercando in Roy un aiuto. Quest'ultimo non disse nulla: voleva vedere come avrebbe reagito quando Mary avrebbe capito chi fosse in realtà Andrea.
"Andrea Thomson" disse infine, con tono piatto, pronto a ciò che sarebbe successo.
Mary sbattè le palpebre incredula. "O mio Dio!" Esclamò, quasi urlando e facendo voltare tutti i presenti nel piccolo locale. "Avevo ragione, tu sei famoso. Sei il figlio di quel grande imprenditore. Ti ho visto in tv un sacco di volte"
Andrea annuì, cercando nuovamente l'aiuto di Roy che rimaneva in disparte. "Si è esatto, sono io"
La ragazza si calmò un attimo, come se cercasse le domande giuste da porgli. "Mi dispiace che la tua ragazza ti abbia lasciato, da quanto stavate assieme?" Domandò infine Mary, pescandone una tra quelle che visibilmente le frullavano in testa.
Andrea strinse i pugni. Era pronto alla solita conversazione superficiale che non gli avrebbe portato altro che rammarico. "É una storia passata, ormai non stiamo insieme da tanto tempo"
"Ah, mi dispiace" disse Mary. "La mia amica ti segue sui social. Se rimani qui ancora un pò magari riesci ad incontrarla. Sarebbe felicissima di vederti dal vivo"
Andrea si mise le mani in tasca. Il cuore gli saltò in gola. Non era certo di poter gestire l'amica di Mary. Il ricordo dell'ultima volta gli faceva venire ancora gli incubi. "Non sono io a gestire i miei canali social" disse. "Non sono bravo in queste cose"
Mary accavallò le gambe e guardò Roy. "E tu invece?" Domandò, lanciando una occhiata alla porta d'ingresso del locale. Le sue amiche sarebbero arrivate a brevissimo. "Sei il suo...ragazzo?"
Roy si mise a ridere di gusto. "Gli piacerebbe" replicò, guardando Andrea. "Ma no, non lo sono. A dire il vero l'ho appena conosciuto"
Andrea guardò da sotto le sue lunghe ciglia il ragazzo davanti a sé. Sembrava trovarsi completamente a suo agio, anche nelle situazioni più disparate. Come faceva a rimanere così calmo ed impassibile, anche davanti ad una domanda indiscreta come quella? Avrebbe voluto essere come lui, almeno per cinque minuti.
Il sangue iniziò a fluirgli al cervello più velocemente. La porta del locale si era aperta e aveva fatto entrare cinque ragazze, una diversa dall'altra. Avevano palloncini e coroncine bianche a portata di mano. Erano le amiche di Mary e la stavano cercando con lo sguardo. Facevano parecchio rumore: dovevano essere già ubriache.
Andrea prese ad ansimare, visibilmente agitato. In un baleno scattò in piedi, come una molla troppo carica. Guardò Mary, poi Ro e poi le ragazze. Una di loro lo aveva già riconosciuto e si stava avvicinando, facendosi largo tra gli altri presenti.
Non ci pensò due volte. Si voltò e prese a camminare nella direzione opposta, avviandosi verso la porta sul retro del locale. Sentì Roy richiamarlo e le ragazze, una volta capito chi fosse, emettere delle risatine più acute delle precedenti. Lo stavano seguendo tutti, li sentiva alle calcagna.
Nelle orecchie sentiva la voce di suo padre che gli ripeteva quanto inadatto fosse a fare qualsiasi cosa. Lo sentiva ridere e prendersi gioco di lui, come se fosse stato l'essere umano più spregevole sulla faccia della Terra. Lo sentiva avvicinarsi a lui e prenderlo per il colletto della camicia, come se fosse stato un cappio pronto all'uso.
Quando addocchiò la porta che stava cercando la aprì, allargando il nodo della cravatta ed aprendo i primi bottoni della camicia. Si ritrovò nell'ennesima stradina buia di Edimburgo, solo come un cane. Prese a respirare affannosamente e cadde in ginocchio, sconfitto.
La pioggia aveva ripreso a cadergli sulla faccia e sul cappotto elegante. Si mise a piangere, consapevole che le lacrime si sarebbero mischiate alla pioggia. Il suo cuore batteva all'impazzata, come se qualcuno gli avesse conficcato una spada proprio lì, tra gli atri ed i ventricoli dell'organo.
Si lasciò andare in un urlo liberatorio e toccò i sanpietrini bagnati con le mani, per tenersi in equilibrio. Avrebbe voluto prenderle a pugni quelle dannate mattonelle che ormai conosceva da una vita. Senza rendersene contò lo fece, fracassandosi le nocche della dita. Il dolore lo pervase fin da subito.
Si odiava a tal punto che il quel momento pensò di farla finita. Non si sarebbe più voluto rialzare, il dolore era diventato talmente confortevole da sembrargli l'unico amico. Forse aveva raggiunto il suo inconsapevole obiettivo: nemmeno Roy lo avrebbe seguito più. Era rimasto completamente solo.
Aveva toccato il fondo.
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