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Edimburgo, 24 Dicembre. Ore 22:18

"Fammi capire bene" domandò Andrea, senza capacitarsi se Roy fosse serio oppure no. La sua espressione era indecifrabile. "Tu fai questo per diletto?"

Roy ed Andrea avevano appena attraversato un piccolo ponticello che permetteva di oltrepassare un corso d'acqua cristallino. Faceva ormai davvero freddo e ad Andrea avevano iniziato a gelare le dita della mani. Roy, d'altro canto, sembrava completamente a suo agio, immerso nel paesaggio cittadino notturno.

Anche se il clima di Edimburgo non era dei migliori, ad Andrea era sempre piaciuto vivere li. Era stato in posti meravigliosi, in posti lontani che avrebbero incantato chiunque ma, in qualche modo, casa sua gli era sempre mancata più di quanto avrebbe mai potuto immaginare prima di partire.

Per suo padre, i suoi studi in Geologia non avevano mai avuto senso. L'unica strada percorribile ed accettabile per suo figlio era sempre e solo stata quella di intraprendere una carriera economica. In realtà, era anche sempre stato contrario a qualsiasi propensione artistica che Andrea aveva mai dimostrato di avere.

Anche se era diventato un Geologo, il suo sogno nel cassetto era sempre stato quello di essere un musicista. Da piccolo sognava di girare il mondo, facendo conoscere se stesso tramite le note del suo violoncello. Anche se quella sarebbe stata la strada che avrebbe volentieri scelto, Andrea non aveva mai visto l'ombra di uno strumento.

Suo padre lo aveva sempre costretto a seguire le sue orme, senza mai dare ascolto ai desideri del figlio. All'inizio Andrea aveva accettato di buon grado: far felice il padre gli sembrava un'ottima ricompensa, ma con il passare del tempo il lati negativi avevano sorpassato quelli positivi.

Dopo due anni in cui non riusciva più a trovare un motivo per andare avanti, aveva deciso finalmente di partire, di lasciarsi Edimburgo alle spalle, almeno per un pò. L'aver perso sè stesso nel riflesso che suo padre gli aveva costretto a vedere allo specchio lo avevano logorato dentro a tal punto da farlo assomigliare ad uno straccio. Senza volverlo, era diventato lo spettro di sé stesso.

Tornato dall'Islanda però le cose si erano fatte più buie di quanto si sarebbe immaginato. I continui scherni da parte dell'uomo, le lamentele, le minacce, le liti e le urla non lo lasciavano in pace un attimo. La sua testa era diventata un contenitore di tutte le cose orribili che suo padre non si dimenticava mai di ricordargli.

Rattristato, Andrea tornò alla realtà quando Roy rise divertito. "Non ti sembra una cosa carina?" Domandò sorridendo, mettendo in mostra i suoi denti dritti. "Secondo me lo è"

Andrea sospirò. "Se vuoi la verità mi sembra carino..." rispose. "Ma non saprei da dove partire"

Roy, sbarazzatosi completamente dell'ombrello, e aver abbracciato l'idea di inzupparsi completamente, allargò le braccia sopra le spalle di Andrea. "É molto semplice" iniziò a spiegargli. "Tutto ciò che ti circonda ti racconta una storia. A te basta semplicemente guardare attentamente per ricostruirla"

Andrea si grattò il naso, dopo aver preso in pieno una pozzanghera. L'acqua gli era arrivata ormai alle caviglie e gli orli dei suoi pantaloni erano ormai talmente rovinati da non sembrare non appartenere più ad un completo elegante. "Va bene" disse a quel punto, rassegnato. "Qualsiasi cosa?"

Roy strinse leggermente le spalle di Andrea, contento. "Più o meno tutte le cose" disse dandogli una pacca amichevole. "Ma io vorrei che ti concentrassi sulle finestre"

Andrea parve non capire. Forse Roy non era poi così tanto sano di mente. In realtà, forse, era più simile ad Andrea di quanto all'inizio aveva pensato. Che cosa c'entravamo le finestre?

I due si fermarono ad uno stop, per poter far passare un piccolo taxi che solcava ancora le strade di sanpietrini della città. Per poco, data la alta velocità con cui procedeva, non aveva lavato i due ragazzi dalla testa ai piedi.

Una volta attraversata la strada Roy condusse Andrea vicino ad una piccola villetta, circondata da un muretto di pietra, pieno di muschio. Dietro di esso una piccola casetta su due piani faceva capolino. Roy si appostò proprio li sotto. "La vedi quella finestra?" Chiese quest'ultimo curioso.

Andrea annuì. "Si"

"Non ti racconta nulla?" Domandò Roy. "Raccogli gli indizi e dimmi cosa vedi"

Andrea si avvicinò, anche se un pò perplesso. La finestra era illuminata da una sottile luce calda. Sulle pareti della stanza che scaldava, si intravedevano dei poster colorati ed un orologio a forma di margherita. "É la stanza di una bambina" esordì Andrea senza capire.

"Bene" disse Roy. "Cos'altro?"

"Non lo so" rispose Andrea alzando le spalle. "È la stanza di una bambina piccola?"

Roy si passò una mano sul volto. La sua espressione faceva trasparire nervosismo ma anche divertimento. "Guarda più a fondo, che storia pensi che abbia quella bambina? Quali sono i suoi sogni? Che cosa vuole fare da grande?"

Andrea si portò i capelli indietro e si guardò intorno dopo che due persone gli passarono accanto, nella penombra nella notte. "Come faccio a saperlo?" Domandò perplesso.

Roy parve soddisfatto. "Non puoi" rispose mettendosi le mani in tasca. "Ma puoi sempre provare"

Andrea si avvicinò ulteriormente al muretto, dopo che qualcosa gli strisciò sui piedi. "Inventare?" Domandò. "Non è come barare?"

Roy sorrise, ma cercò di non darlo a vedere. "Più o meno" disse. "Ma non sai mai che cosa una persona diventerà...finché non lo diventa. È questo il bello, non puoi sapere quale sarà il piccolo particolare che farà imboccare una strada piuttosto che un'altra ad una persona"

Andrea ci pensò su. "Si, hai ragione" rispose anche se non ne era pienamente convinto. "Se la metti così allora quella bambina diventerà una scrittrice"

Roy incrociò le braccia al petto, in attesa di scoprire dove la fantasia di Andrea lo avrebbe portato. "Ok, e poi?"

Andrea sospirò, indeciso se assecondare ulteriormente il gioco strampalato che il suo nuovo interlocutore gli aveva proposto. "Non è brava a scrivere, non ancora. I genitori pensano che non sia portata per nulla, ma si sbagliano"

"Per nulla?" Domandò Roy contento. "Proprio nulla?"

Andrea, distogliendo lo sguardo dalla finestrella, decise di lasciarsi andare. Se l'idea di passare la serata da solo non lo allettava particolarmente, passare del tempo con Roy iniziava a sembrargli un regalo. Quel ragazzo sembrava aver capito qualcosa di lui che ancora non riuscivo ad afferrare.

"Suo padre la reputa una bambina immatura, che non sarà mai in grado di capire le sofferenze della vita" iniziò a spiegare Andrea con un filo di voce. "Ma lui non conosce, o si rifiuta di conoscere, la sua grande empatia che la renderanno una eccezionale lettrice."

Roy parve incuriosito. "Una lettrice di cosa?"

Andrea si prese del tempo per riflettere. Forse non voleva ammetterlo a sé stesso, ma stava parlando di sé, più che della ragazzina. Forse tutto ciò di cui aveva bisogno era solo qualcuno che lo ascoltasse. "Di tutto ciò che la circonda. Sarà in grado di far sua tutta la tristezza, tutto l'amore e tutta la felicità del mondo"

Un rumore improvviso fece voltare i due ragazzi. Una macchina aveva suonato all'impazzata il clacson, dopo che aveva rischiato di investire una passante. L'uomo al volante non si era risparmiato: il linguaggio che aveva riservato alla signora era piuttosto colorito.

Andrea tornò a fissare la piccola finestra. Un'ombra era apparsa sullo sfondo della cameretta. "Il suo cuore la porterà a saper descrivere il mondo meglio di chiunque altro" disse sopprimendo sul nascere un sorriso. "Darà voce a tutti coloro che soffrono per le ingiustizie della vita"

Roy si appoggiò al muretto pieno di muschio con la schiena. Il suo cappotto ne risentì, ma il ragazzo non gli diede molto peso. "E suo padre? Che fine farà?"

Andrea abbassò lo sguardo sui suoi piedi. "Finirà in carcere quando lei sarà appena sedicenne" spiegò rattristato, senza sapere dove il suo racconto lo avrebbe portato.

"Per cosa?"

Andrea si passò una mano sul volto, cercando di scacciare le goccioline di pioggia che ormai avevano trovato rifugio tra le sue sopracciglia. "Percosse" disse con un tono di voce talmente basso che Roy fece fatica a sentirlo. "Percosse sulla moglie"

Roy parve sorpreso. "E la madre?"

Anche Andrea si lasciò andare contro il muretto. "Non lo so" disse sincero. "Forse seguirà la ragazza finché ne avrà le possibilità. Alla fine, quando sarà sulla soglia dei sessant'anni e sarà sicura che il posto nel mondo della figlia si sarà consolidato, si ritirerà in montagna, a coltivare un orto"

Roy alzò un piede e portò la suola della scarpa contro i mattoni del muro, stando attento a non scivolare. "Credi che tutti abbiamo un posto nel mondo?"

Andrea si infastidì un pò alla domanda. Senza saperlo Roy gli stava ponendo i quesiti che per tutta la vita aveva cercato di evitare. Nel profondo lui sapeva la risposta, ma gli faceva comunque paura rispondere ad alta voce. "Nessuno ha un posto nel mondo. Siamo nati per vivere e morire, e basta. Senza contare che dobbiamo per forza riprodurci se non vogliamo finire come i dinosauri"

"I dinosauri sono morti per una asteroide. Non si sono mica svegliati un giorno e hanno deciso di smettere di fare figli" ribatté Roy, soffocando una risata.

Il buon umore del ragazzo contagiò un pò anche Andrea. "Si beh" disse. "Hai capito quello che voglio dire"

Roy annuì, nascondendo per una breve momento il volto tra il bavero del cappotto. Andrea non aveva davvero la minima idea del perché quel ragazzo stesse ancora conversando con lui. Sentiva come se lo conoscesse da una vita, come se con lui, volente o nolente, tutti i suoi segreti più oscuri sarebbero venuti a galla. Non era però sicuro di volersi mettere a nudo.

"È una visione molto triste la tua" disse Roy, smettendo di ridere. "Sei sicuro della tua risposta?"

Andrea si ammutolì per una frazione di secondo, alzando il volto al cielo. "Non ho mai voluto avere figli" disse sull'orlo di una crisi esistenziale. "Sono nato senza essere voluto, per lo meno da mio padre, non credo che potrei pensarla in un modo diverso"

Roy parve rattristato da ciò che Andrea gli aveva appena confidato. Per la prima volta, la sua aria sicura e genuina parve vacillare sotto il pessimismo di Andrea. I suoi occhi cristallini si erano appena oscurati. "Mi dispiace" disse.

Andrea si voltò verso di lui. "Per cosa?" Chiese senza capire a cosa si riferisse Roy.

"Per il fatto che tu ti senta non voluto"

Andrea rise sarcastico. "È un dato fatto, sarei un'ipocrita se affermassi il contrario"

I due non dissero più nulla per qualche momento. Il suono scrosciante della pioggia tra il cemento di Edimburgo accompagnava l'errore dei loro pensieri. Il cielo nascondeva tra le sue pieghe piccole stelle scintillanti. La luce dei lampioni purtroppo, ne copriva quasi totalmente la brillantezza.

Andrea aveva il cuore in gola. Non avrebbe voluto più dire nulla, ma sentiva come se quella sera tutte le particelle del suo corpo gli stessero dicendo di vomitare ogni cosa che si era tenuto dentro, fino a quel momento. Sentiva che se non l'avesse fatto, sarebbe stato troppo tardi.

"É la verità" disse dunque Andrea, con un groppo in gola. "Non sono mai stato una persona socievole. Sono introverso, testardo e triste. Nessuna di queste caratteristiche fa si che le persone vogliano stare con te"

Roy parve offeso. "Ed io? Sono qui con te adesso"

Andrea si lasciò sfuggire un sospiro. "Nessuna persona a parte te" disse sincero. "A proposito, che cosa ci fai qui?"

Roy scosse le spalle per sviare la domanda. "Questo non ha importanza, credimi"

Andrea lo scrutò per un pò, nascosto e cullato dalla penombra. Erano ancora accucciati al riparo, a piedi del muretto su cui Roy pareva aver messo le tende. La luce che illuminava la stanza della ragazzina era ormai stata spenta. "Dopo un pò le persone se ne vanno" continuò Andrea. "Prima ci stavo male, poi ci ho fatto l'abitudine"

Roy non disse nulla, lasciando spazio ad Andrea per dire ciò che stava cercando di lasciare andare. Il suo petto si alzava ed abbassava con una regolarità tale da rendere quello di Andrea simile ad un tamburo. I due erano davvero l'uno l'opposto dell'altro.

"Il mio nome ha sempre scaturito un certo effetto su chi mi circonda" continuò, lasciando che le parole gli uscissero di bocca. "Ma quando la gente capisce che dietro di esso, non c'è nulla per cui vale la pena spingersi al largo, spariscono."

Roy lasciò uscire dalla sua bocca una nuvoletta di vapore. "Credi che abbiamo torto?" Domandò ad Andrea. "Voglio dire, credi che abbiamo fatto male ad andarsene?"

Andrea inchiodò il suo sguardo negli occhi di Roy. Le parole che gli uscirono di bocca erano l'esatto opposto di ciò che il suo cuore gli stava dicendo di dire. "No" rispose. "Non posso dargli torno se mi hanno abbandonato. Alla fine dei conti hanno fatto bene"

Roy mantenne il contatto visivo. "Credo che tu ti sbagli"

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