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Prologue

Riguardavo ancora smaniosa la lettera giallastra tra le mie mani, il sigillo rosso ormai rotto, e l'aspetto un po' consumato a furia di averla rigirata tra le dita più e più volte. Aspettavo questo momento da sempre, da quando ne ho memoria, ma al tempo stesso, tutte le storie che circolavano su quella scuola mi spaventavano a morte. Poteva qualcosa farti paura e al contempo essere tutto quello che desideravi? Non avevo una vera risposta a questa domanda, e per una persona come me, era estenuante e snervante non trovarla.

«Se non sei pronta possiamo aspettare ancora un anno, non è obbligatorio presentarsi a tredici anni.»

La voce di mia madre tuonò nei miei pensieri, come faceva fin troppo spesso, riportandomi alla realtà. Presi un profondo respiro, ero ancora ingenua, piccola, proprio come la settimana prima avevo sentito dire ai miei genitori. D'altronde, non capitava spesso di ricevere una lettera d'ammissione in anticipo per Hogwarts. Generalmente arrivavano tutte al compimento di quattordici anni, ma per qualche ambiguo motivo, io ero tra coloro che venivano definiti '' i prescelti''.

I miei genitori mi raccontavano spesso di come le regole fossero cambiate da quando si era combattuta la leggendaria battaglia contro il Signore Oscuro.
Da quel momento l'età di ammissione cambiò da undici a quattordici anni, in modo che i ragazzi presenti nella scuola, fossero più maturi per proteggere le mura del castello.

«Mi è stata data questa opportunità, non ho intenzione di sprecarla, non è una cosa che capita a tutti. Voglio essere all'altezza delle loro aspettative. Andrò, mamma.»

Lei sospirò a fondo, sapeva che avrei risposto così. In tutti questi anni, le favole della buonanotte erano state tutte le avventure che aveva vissuto in quel castello, le amicizie, le battaglie che aveva dovuto combattere, e di come l'avevano portata a conoscere mio padre. Trovavo incredibile che fossero riusciti a credere nell'amore in un periodo così buio per la storia della magia, e m'incantava il pensiero che un giorno avrei potuto provare quella sensazione io stessa.
Ero affascinata dai loro racconti, li ascoltavo ogni notte, cullandomi nell'idea che presto o tardi avrei costruito anch'io la mia storia. Ed ecco che una settimana fa, quando un gufo aveva bussato alla mia porta poggiando la famigerata lettera, tutti i miei sogni erano sul punto di avverarsi, mi sentivo inebriata, al settimo cielo, ma al tempo stesso tremendamente spaventata.
Se non fossi stata all'altezza delle aspettative dei miei genitori? Se non avessi superato il primo anno? Tante domande senza risposta, e l'unico modo per averle era rischiare.

«Non avevo dubbi. Io e tuo padre ti abbiamo cresciuta coraggiosa.»

Mi accennò un lieve sorriso, seppure la ruga corrucciata che da qualche giorno le si era posata sul volto, non era del tutto scomparsa. Poggiando delicatamente la mano sulla mia spalla, cercò di confortarmi in qualche modo, ma in realtà era lei ad aver bisogno di sostegno morale, con quell'aria preoccupata almeno quanto me. Sapeva d'altronde, che ogni tentativo di  convincermi a rimandare sarebbe stato vano, non quando la magia era tutto ciò che mi aveva sempre circondato e che volevo conoscere meglio.

Ricambiai il sorriso e continuai a prendere le cose dall'armadio, ormai un po' invecchiato e malandato. Nonostante i ripetuti incantesimi per tenerlo come nuovo, i segni dell'età si facevano ormai sentire. Anche il resto della stanza, non versava in condizioni migliori, con le pareti leggermente ingiallite, e la carta da parati vecchia e consumata dove qui e lì, appariva qualche piccolo disegno fatto in tenera età. Mi guardavo ancora attorno, in cerca delle ultime cose da porre in valigia. Non avevo granché da portare, oltre i miei vestiti preferiti, i libri a cui ero più affezionata, qualche foto e ovviamente la divisa appena comprata ancora immacolata, a cui poi sarebbe stato aggiunto il marchio della casa a cui sarei appartenuta. I miei genitori erano come dicevano testualmente loro, 'Fierissimi Grifondoro', e continuavano a ripetere che sarebbe sicuramente stata anche la mia casa. Non che a me interessasse più di tanto, non avevo mai dato importanza a queste cose, mentre per loro sembrava essere una questione di principio.

Chiusi la mia valigia abbastanza in fretta, controllando che sulla lista che avevo abbozzato non mancasse nulla. Rimasi a osservare quella vecchia stanza per l'ultima volta ancora, mi sarebbe mancata; con tutti i suoi difetti, che col tempo avevo imparato ad apprezzare, come il letto che spesso sentivi scricchiolare, o il lampadario un po' più pendente del normale, quando nei miei teneri dieci anni, rubai la bacchetta dalla camera di mia madre per provare a lanciare un incantesimo, inutile dire come andò a finire, appunto con un lampadario pendente e due settimane di punizione.

Richiusi lentamente la porta alle mie spalle, percorrendo in fretta la rampa di scale, accantonando la paura in un remoto angolo di cuore. Ora come ora mi sentivo pronta, e l'unica cosa che bramavo era quella di arrivare finalmente tra quelle mura. Scesa al piano di sotto, trovai i miei già col mantello sulle spalle, pronti per andare alla stazione. Il loro sguardo era criptico e difficile da interpretare, se non altro mi guardavano fieri ed orgogliosi, eppure un alone di angoscia era posato sui loro volti. Non dissi nulla, limitandomi a sorridere e dirigermi fuori di casa, rassicurandomi con l'idea che sarei tornata per le vacanze natalizie, che a pensarci, mi sembravano abbastanza lontane.
Sentivo il bisogno di dover iniziare a scrivere la mia storia, diventare la ragazza che speravo di essere, e per farlo dovevo necessariamente intraprendere questo viaggio, di cui la meta mi sembrava ancora così incerta.
Il tragitto che dalla mia vecchia casa mi condusse in stazione, fu abbastanza breve e stranamente silenzioso, ognuno di noi aveva i propri pensieri a cui tener bada, mentre io guardavo il mondo che fino a quel momento mi aveva circondato scorrere sempre più veloce.

La stazione era davvero immensa, ancora di più di come me l'avevano descritta. Apparentemente, l'aspetto era quello di una stazione come le altre, un po' trasandato e rozzo, con file e file di binari, e treni fumanti che stavano per iniziare la loro corsa, altri che l'avevano appena terminata. Babbani correvano veloci verso i loro treni, frenetici e smaniosi, non attendevano altro che far cominciare la loro avventura. Per ognuno di loro che incrociavo, provavo a tirar su un'avventura diversa, immaginandomi viaggi e destinazioni piene di colori.
Nessuno sembrava fare caso a noi, davamo l'aria d' essere persone ordinarie, intente a  prendere un comunissimo treno, sorvolando che il nostro, si trovasse aldilà di un muro, dove sorgeva il leggendario binario nove e tre quarti. Ero già pronta a prendere la rincorsa, e gettarmi a capofitto oltre quella fila di mattoncini marroni, come mi avevano raccomandato di fare appena qualche giorno prima. La voce roca di mio padre però, fermò la mia frenetica corsa.

«Tesoro mi raccomando, per qualsiasi...»

«Per qualsiasi problema non devo esitare a mandarvi un gufo, e sarete lì nel più breve tempo possibile. Devo stare attenta, e non fare amicizia con i Serpeverde, sono persone avide che passerebbero sopra al mio cadavere per raggiungere i propri scopi. Sì, ho capito. Ma se capitassi stesso io nei Serpeverde, dovrei stare alla larga da me stessa? »
Immediatamente entrambi scoppiarono in una sonora risata, come se il solo pensiero fosse impossibile, ma in realtà sapevano che non era improbabile.

«Tranquilla tesoro, non capiterà. Dai, adesso corri o altrimenti perderai il treno. Ti vogliamo bene. Stai attenta, Clarissa! »

«Anche io, ci sentiamo presto!»

Li guardai un'ultima volta, prima di prendere un bel respiro, una grande rincorsa e buttarmi letteralmente verso il muro. Fu sorprendente la leggerezza con cui lo attraversai, come se non ci fosse mai stato nulla davanti a me, ritrovandomi in un mondo totalmente opposto. Era tutto ancora più frenetico, gli stessi colori sembravano più vivi e accesi, la magia nell'aria si percepiva a occhio nudo, non si nascondeva più. Il grande treno rosso era proprio lì davanti a me, fumante e pronto a partire. A ogni porta c'era una gremita fila di ragazzi, tutti carichi dei loro bagagli, come me, salutavano sognanti i loro parenti. Non indugiai oltre a salire, scostando nel frattempo un paio di genitori apprensivi, come quelli che avevo lasciato oltre il muro, andando avanti fino alla carrozza 5, quella che mi era stata assegnata dalla lettera.

Per il momento la mia cabina era ancora vuota, le panchine erano poste l'una di fronte l'altra, e la grande finestra leggermente appannata, faceva sembrare il mondo al di fuori appena percepibile. Approfittai della temporanea solitudine, per poter sistemare le mie cose con calma, scegliere il mio posto e mettermi comoda.

Ero certa che non sarei rimasta sola a lungo, e infatti, una chioma di folti capelli neri non tardò ad arrivare. Era una ragazza poco più alta di me, con degli occhi che parevano essere dello stesso colore dei capelli, neri come la pece ma altrettanto dolci, e la pelle leggermente olivastra. Aveva indosso un'adorabile gonnellino a scacchi gialli e rossi, un pullover abbinato, con una camicetta bianca sotto, e lo sguardo di chi, proprio come me, aveva sognato questo momento da quando ne aveva memoria. Probabilmente avrà avuto sui quattordici anni, mi lanciò un sincero sguardo sorridente, mentre continuava a mantenere le sue due valigie, che sembravano traboccanti di cose.

«Ciao! Sono Morgana Fell, suppongo che condivideremo la cabina, potresti aiutarmi con le valigie, sono un po' pesanti. Credo di essermi portata un po' troppo, ma non si poteva mai sapere. »

Rispetto alla mia valigia minuta posata sopra la mia testa, lei aveva sicuramente il doppio delle mie cose, alquanto esagerato. Ciò nonostante, non avevo alcuna intenzione di mostrarmi scostante o maleducata, così annuii subito, scattando in piedi per prendere il bagaglio che aveva nella mano destra. Caspita! Pesava davvero un botto.

«Piacere mio, sono Clarissa Brave. Effettivamente sono un po' pesanti.»

Dopo aver posato le sue, pesantissime, valigie, ci accomodammo e iniziammo a parlare del più e del meno. Capì subito che ero più piccola di lei, ma sembrò non farmelo notare. Era più amichevole di quanto pensassi e speravo davvero di poterla avere come compagna di stanza. Discutemmo di come le casate ci sembrassero inutili, finalmente trovai qualcuna che concordasse col mio pensiero, e di quanto l'idea di questa scuola ci spaventasse,  rendendomi subito conto che avevo più cose in comune con lei, di quanto non sembrasse.

In sua compagnia, mi parve di non accorgermi di quanto il paesaggio fuori dal finestrino scorresse veloce. Ben presto, il treno si allontanò veloce dalla grande metropoli, e dai tristi e cupi colori grigiastri, e a mano a mano la natura, con le sue sfumature tenui e sempre diverse, si faceva spazio. E per tutto il viaggio, non mancarono le chiacchiere e le speranze, tanto che non mi accorsi nemmeno del calare del sole. Ciò che immediatamente catturò il mio sguardo, fu il grande e maestoso castello. Tutte le immagini che nel tempo avevo visto, non gli rendevano giustizia, e adesso che lo avevo così vicino, era ancora più invitante e tenebroso. Non era più soltanto un sogno, non più una leggenda, ma sorgeva lí, all'orizzonte.

«Bellissimo e spaventoso, non trovi? »

Ero così incantata da quella vista, che l'unica parola che riuscii a formulare, fu un semplice.

«Già. »

Da quando il treno si fermò, fino all'entrata della scuola mi sembrò tutto così veloce, che non ebbi neanche il tempo di assaporarne la sensazione. Mi sembrava un minuto fa di essere affacciata alla finestra, con lo sguardo perso e sognate, e il minuto dopo eccomi davanti al portone, insieme ad un altro migliaio di studenti che non vedevano l'ora di entrare, proprio come me.

Ci spiegarono molto velocemente le indicazioni per raggiungere le nostre camere, a cui avremmo avuto accesso dopo la cerimonia, ma sembrava parlassero un'altra lingua, e distratta come al solito, ovviamente non capii quasi nulla.

Non vedevo più neanche Morgana, che si era intrattenuta a parlare suppongo con qualche sua conoscenza. Cercai di trovare da me la strada per la Sala Grande, dove si sarebbe tenuta la cerimonia iniziale, ma il risultato fu quello di trovarmi persa in uno dei tanti corridoi, che pareva uguale a quello precedente. L'ambiente circostante era penombra, e i pochi lampioni che si trovavano ai lati delle pareti, non sembravano illuminare più di tanto. L'aspetto era abbastanza inquietante. Continuavo a camminare, cercando disperatamente di ritrovare la strada da cui ero venuta, e dopo poco, iniziai a sentirmi come osservata, come se qualcuno mi stesse guardando da un paio di minuti.

«In realtà non sono tutti uguali, cambia sempre qualche dettaglio, basta farci caso. »

Nel silenzio di tomba, quella voce cupa mi fece sussultare. Mi voltai di scatto, trovando a dieci miseri centimetri dalla mia faccia, un ragazzo sicuramente alto, con un groviglio di capelli sul biondo cenere e un paio d'occhi di cui non riuscivo a definire bene il colore, mi sembravano così enigmatici e impenetrabili. La sua figura era abbastanza snella, ma al tempo stesso slanciata ed agile. Indossava una semplice divisa verde e argento, sicuramente di buona fattura. Era palesemente più alto di me, e rispetto alla mia figura minuta, la sua quasi mi sovrastava.
«A quanto pare ti sei già persa, occhioni.»
Deglutii, non sapendo bene neanche cosa rispondere, sentendomi irrimediabilmente a disagio.
Sorpassando sul ridicolo nomignolo usato alla fine della frase, aveva ragione, mi ero persa, e non avevo nessuna idea di dove mi trovassi.

«Almeno potresti dirmi dove mi trovo, e come faccio a trovare la Grande Sala, testa bionda.»

Mi scrutò da capo a piedi, sorridendo appena, era più grande di me di almeno due anni, o doveva avere un aspetto più maturo della sua età. La sua presenza continuava in qualche modo, ad inquietarmi.

«Suppongo che tu debba essere ancora smistata. Sei decisamente fuori strada, ma ti basterà continuare dritto, al terzo incrocio con i corridoi, gira a sinistra dove trovi la statua di Merlino, continua ancora dritto e sarai dove devi essere, spero che almeno ricorderai la parola d'ordine e il numero della stanza, su questo non potrò aiutarti. Detto questo, spero di vederti con una divisa verde. A presto occhioni.»

Il tempo di battere le ciglia ed era come sparito nel nulla, quasi fosse stata un'immaginazione. Serpeverde. Neanche dieci minuti e avevo trasgredito già tre quarti delle raccomandazioni dei miei genitori. Cercai di non pensarci e proseguii per la strada che mi aveva suggerito, rendendomi conto che non aveva detto il falso, trovai Morgana di fronte a me poco dopo.

«Ma dove ti eri cacciata? La cerimionia avrà inizio a breve, sai che figata se appartenessimo alla stessa casata, potremmo condividere la stanza!»

Sorrisi sinceramente, anche perché davvero speravo di poterla avere come compagna di stanza, ma il pensiero di quello sguardo ancora mi tormentava, cercai comunque di scacciare quel ricordo dalla mia mente, camminando insieme alla mia nuova amica, verso la Grande Sala.

***Tre anni più tardi***

Tre anni a Hogwarts mi sembrarono trascorsi con più velocità di quanto non volessi ammettere. Da quando il cappello aveva annunciato la mia casata, Corvonero, avevo dovuto combattere contro la delusione dei miei genitori, seppur contenti che ''Almeno non ero Serpeverde'', e l'esaltazione di Morgana che come me, era stata assegnata alla stessa casata.

Adesso, mi trovavo insieme al comitato studentesco, composto dagli studenti migliori delle casate, intenti a discutere di una questione importante. Una ragazza era scomparsa, della casata Grifondoro, e il suo ragazzo, o meglio ex, era il primo indiziato, anche se non c'erano prove sufficienti a dimostrarlo. Toccava a noi giudicare, insieme alla Corte, la sua colpevolezza e innocenza, io già sudavo freddo. Non mi erano mai piaciute le votazioni, soprattutto con così poche prove per decidere. Si era giunta ad una parità di voti, il che non faceva che rendermi ancora più nervosa, proprio perché solo il mio voto, ci separava dal verdetto finale. Avevo letto e riletto almeno una ventina di volte la sua confessione, e letto almeno il doppio delle volte i capi d'accusa. E ora tutti guardavano me, aspettando il mio verdetto. Respiravo a malapena, perché se avessi sbagliato la mia opinione, avrei potuto condannare un innocente, o rilasciare un colpevole. Non sapevo quale delle due fosse peggio. Chiusi gli occhi per un momento, cercando di eliminare le duecento persone presenti in sala, ricordando le parole di mia madre anni fa:

''Tesoro, ti troverai davanti a scelte difficili, che non potrai non compiere. Mi sento di dirti solo una cosa, segui il tuo cuore, sempre. Lui sa la strada, lui sa la verità.''

Presi un respiro profondo, avevo deciso.

«Innocente. »

E scoppiò l'inferno. Un coro di voci s'innalzava per tutta la sala. Gli sguardi erano tutti diversi, c'era chi era contento, chi era adirato, come sempre in queste situazioni, e sperai vivamente, che il mio cuore non si fosse sbagliato, e avesse preso la giusta decisione altrimenti sarebbe stata la fine.

Salve a tutti, prima di continuare la storia, che spero almeno venga letta da qualcuno di terrei a precisare un paio di cose.

L'ho voluta ispirare al mondo di Hogwarts dopo gli avvenimenti che susseguono nei libri, quindi con i teorici figli dei personaggi principali, più altri personaggi che ho inventato di sana pianta. Quindi ovviamente la storia non seguirà gli avvenimenti del film, non ci saranno (ovviamente) gli stessi professori e personaggi che non potrebbero essere presenti una ventina di anni dopo i fatti.
Anche per quanto riguarda le caratteristiche del castello, e gli avvenimenti, sono reinterpretati e non seguono esattamente i libri o la saga.
Detto questo spero che la storia piaccia e possa arrivare a quante più persone possibili. Per qualsiasi dubbio o errore che possiate notare, basterà farmelo notare.

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