Chapter thirteen: Broken
Non avrei mai saputo spiegare a parole la sensazione che mi dava poter assaporare quelle labbra ancora una volta, sentire il suo cuore battere all'unisono col mio, il contatto della sua pelle così stretta alla mia. Non avevo mai provato qualcosa di più giusto in tutta la mia vita. Volevo mi appartenesse, che non andasse mai via da me.
Il ragazzo stronzo che ero, accanto a lei diventava migliore. Volevo meritarla, essere alla sua altezza, ma chi volevo prendere in giro, non avrei mai potuto equiparare. La desideravo, pur sapendo che tenerla lontana il più possibile da me sarebbe stata la scelta migliore. Che fossi uno sporco egoista non era una novità in fondo.
Lei non disse nulla, continuava a guardarmi, a scrutarmi l'anima. E io, come un povero stolto ero rimasto senza parole.
La mente vagava alla notte scorsa, di come la sua figura così vicina alla mia, aveva tenuto fuori dalla mia testa ogni demone, tanto che alcun incubo riuscii a scalfirmi, e per la prima volta dalla morte di mia madre e quella di Megan, dormii sereno.
«Forse dovremmo tornare al castello, sai c'è il coprifuoco.»
Era incredibile quella ragazza. Possibile mai che fosse l'unica cosa di sensato che fosse riuscita a formulare.
Ma d'altronde, cosa mi aspettavo, una dichiarazione d'amore?
«Perché non rimani per cena? Mio padre sarà felice di avere ospiti, una volta tanto.»
Sussultò, come se quell'invito l'avesse sconvolta nel profondo. Il nome di Draco Malfoy faceva davvero così paura alla gente?
«Oh ehm, ma sono inguardabile! Ho solo un maglioncino ridicolo addosso, e questa casa è così elegante.»
La sua affermazione mi fece ridere, davvero pensava che a me importasse qualcosa di come fosse vestita? L'avrei trovata bellissima in ogni caso.
«Non credo che mio padre faccia troppo caso al tuo maglione, e per me, sei bellissima, già lo sai.»
Lo pensavo davvero. Era la ragazza più bella che avessi mai visto. Anche con quel semplice maglione rosso, il viso semplice e naturale, senza alcun tipo di artificio, e dei banalissimi jeans neri. Era bellissima senza neanche fare alcuno sforzo per esserlo.
Avevo davvero perso la testa.
E quando mi sorrise, con quelle guance leggermente colorite, mi sentii come in paradiso.
«Allora credo proprio di non poter rifiutare.»
Giuro che le avrei detto ogni cosa che sentivo per lei, le avrei posato il mio cuore tra le mani. Non l'avrei fatta scappare ancora.
«Credo proprio di no, dai andiamo.»
Le presi la mano, era così minuta, caldissima rispetto alla mia. Uscimmo dalla serra, per poi tornare nel grigiore di quei corridoi. Ricordavo ancora come da bambino, mia madre si lamentasse costantemente del colore di quelle pareti, che gli conferivano soltanto un'aria fredda e tetra. Mi mancava, ogni giorno sempre di più.
Per anni, gli incubi del suo corpo esile e malato, raccolto in quel letto che sembrava fin troppo grande per lei, mi avevano tormentato. Vedere la vita scorrere via dai suoi occhi, mentre ancora stringeva la mia mano, mi aveva distrutto, spaccato completamente in mille pezzi.
Arrivammo nella sala da pranzo, che così come tutte le altre, conservava la stessa gamma di colori cupi, fatta eccezione per un lungo tavolo di vetro, che pareva essere l'unico elemento che dava luce a quella stanza. Le sedie che vi giravano attorno erano rifinite in uno scuro legno pregiato, rese più comode da un piccolo cuscino in pelle di coccodrillo grigia e nera; anche il lampadario era caratterizzato da candelabri in ferro scuro, dove qualche candela accesa rendeva più luminoso l'ambiente, che rimaneva comunque in una penombra quasi inquietante.
Mio padre era proprio lì, in piedi poco più avanti della porta, e Clarissa divenne immediatamente più rigida contro il mio braccio. Mio padre non era di certo il migliore dei padroni di casa, e lo sguardo indagatore che le rivolse, non fu decisamente dei più accoglienti.
«Vedo che abbiamo ospiti stasera.»
Per quanto fosse tremendamente in imbarazzo, adoravo il modo in cui non si fosse lasciata intimorire dalla figura alta e austera di mio padre. Fece una piccola reverenza, prima di presentarsi.
«Buonasera signor Malfoy. Sono Clarissa Brave, un'amica di vostro figlio.»
Lui piegò leggermente gli angoli della bocca, in un piccolo sorriso.
«Un'amica molto importante, se ti ha portato qui. Non capita spesso di vedere mio figlio in compagnie femminili. Non a casa nostra, quanto meno. Accomodati pure cara, gli elfi serviranno a breve la cena.»
Clarissa si voltò piano verso di me, sorridendo imbarazzata. Possibile che non si rendesse conto di essere maledettamente importante per me?
Promisi a me stesso che appena ne avessi avuta l'occasione, glielo avrei urlato così tante di quelle volte, fino a che non l'avesse scolpito nel cuore. E poi l'avrei baciata, una, due, diecimila volte. Volevo toccare ogni parte di quel corpo, scoprire ogni centimetro, fino a sentire la sua gabbia toracica premuta forte contro la mia, al punto che avrebbero potuto unirsi.
Mi sentivo così ridicolo, tanto da non capire neanche cosa fosse a rendermi così vulnerabile, ogni volta che lei era nei paraggi.
Ci sedemmo silenziosamente al tavolo, notando come i suoi occhi squadrassero ogni angolo di quella casa, passando dai tanti quadri esposti sulle pareti, ai piccoli accessori che adornavano la stanza, come le mensole, i tanti vasi di ceramica, un tempo appartenuti a mia madre e il grande orologio che padroneggiava il muro di quella stanza.
Un leggero 'Pop', annunciò la presenza del nostro elfo domestico Berchy, uno dei fedeli servitori della mia famiglia da tempo immemore.
«Signori Malfoy, signorina. La cena è servita.»
Lei lo guardò con tenerezza, mormorando un 'grazie', prima che l'elfo stranito dal suono di quelle parole, potesse smaterializzarsi di nuovo, scomparendo velocemente,così come era arrivato.
La cena, era come al solito, piena ed abbondante. C'erano portate c'erano portate di ogni genere, dal semplice prosciutto, avvolto in delicati grissini di pane, a zuppe di ogni genere, ideali per scaldarsi in quei giorni così freddi, e una vastità di dolci, come crostate al cioccolato, soufflé, e tanto altro ancora, senza risparmiare contorni, frutta e carni di ogni genere. Mia madre lo aveva sempre trovato un grande spreco, e a giudicare dallo sguardo di Clarissa, il suo pensiero non poteva essere tanto diverso.
Il resto del tempo, passò senza troppe difficoltà, e già dopo un po' di tempo, mio padre e Clarissa avevano trovato una strana sintonia, conversando educatamente del più e del meno. Perfino un uomo severo come mio padre, scorgeva una certa luce in lei, e il pensiero mi rincuorò.
Era tenero come cercasse, nel contempo, di assaggiare un po' di ogni cosa, tentando disperatamente di non sprecare nulla. Avevo passato tutta la maledetta cena a guardarla, e ovviamente, mio padre non risparmiò il sarcasmo.
«Non credo sia educato Thomas, fissare qualcuno così insistentemente per tutto il tempo.»
Quando voleva mio padre sapeva come essere stronzo. Ma da qualcuno dovrò pure aver preso.
Clarissa si morse nervosamente le labbra, abbassando di poco lo sguardo, tentando invano di nascondere il sorrisetto che le era spuntato sulle labbra. E cosa avrei fatto a quella dolce tentazione, se solo ne avessi avuto l'occasione. Il pensiero mi stava facendo impazzire.
Buttando l'occhio sul grande orologio alle sue spalle, mi resi conto che di lì a poco sarebbe scattato il coprifuoco, ed era opportuno rincasare. Volevo evitarle altre rogne.
Salutai velocemente mio padre. Non era mai stato un genitore attento o affettuoso, e molto spesso le nostre uniche conversazioni, si erano basate sul Quidditch e qualche altro argomento di poca importanza. Era mia madre la custode di quasi tutti i miei segreti e le mie emozioni. Mi capitava ancora, quando mi recavo a visitare la sua tomba, di rimanere ore intere a parlare con lei, anche senza avere risposta alcuna, perché sapevo bene quello che mi avrebbe consigliato.
Il ritorno al castello fu alquanto silenzioso, caratterizzato soltanto da languidi sguardi. Continuavo a guardarla, incessantemente. Volevo entrare nel suo mondo, sentire quello che pensava, leggere dentro la sua mente e rapirla con discorsi che magari non avevano alcun senso, se non per noi.
Non avrei fatto come quello stronzo di Potter, non me ne sarei andato fino a che non l'avessi saputa al sicuro nella sua camera, scacciando l'idea di poterla avere di nuovo nella mia, e stringerla a me come la notte passata.
«Hai intenzione di accompagnarmi fin dentro la stanza?»
Domandò lei, a due passi dalla sua porta.
«Ti avrei preferito nella mia di stanza, ma mi accontenterò.»
E per la prima volta, era forse un sorriso malizioso quello dipinto sul suo volto?
Stava decisamente usando i miei incantesimi contro di me, beffarda di una strega.
«Beh, bastava chiedere.»
Avvicinò spaventosamente il suo volto al mio, e credevo che le gambe avrebbero potuto venir meno da un momento all'altro. Per la prima volta da quando la conoscevo, era lei che faceva un passo verso di me, esponendosi così tanto. Non mi sarei lasciato sfuggire l'occasione. Le posai delicatamente una mano all'incavo del collo, accarezzando dolcemente quelle ciocche caramellate. Lei schiuse le labbra, e proprio l'attimo prima che le nostre bocche potessero toccarsi di nuovo, qualcosa ci interruppe.
Fu il rumore violento della porta, che si apriva proprio di fronte a noi, a farci separare immediatamente.
Dannato Weasley! Sempre in mezzo ai piedi.
«Che cazzo, Clarissa! Finalmente eccoti, io e Morgana ti abbiamo cercata ovunque. Abbiamo chiesto anche ad Albus, ma eri come scomparsa. Di certo adesso sappiamo con chi eri. A quanto vedo non ti mancava la compagnia.»
Presto o tardi, gli avrei rotto quella faccia da saputello che si ritrovava, se ciò non avesse scatenato anche l'ira di una certa ragazza.
Lei si passò imbarazzata una mano tra i capelli, era evidentemente imbarazzata, la faccia ormai uguale ad un peperone.
«Hai ragione Jam. Io e Thomas avevamo una ricerca da fare e lui ehm, aveva proprio un libro che faceva al caso nostro, a casa sua. Poi ci siamo intrattenuti lì per cena. Scusa tanto.»
Era eccellente in moltissime cose, ma come bugiarda, era veramente pessima, glielo dovevo dire, presto o tardi.
Ovviamente, neanche il suo amico credette ad una singola parola, rivolgendole uno sguardo incomprensibilmente deluso.
«Ma certo! Continua pure a raccontarmi le favole della buonanotte Clarissa! Ci vediamo. Vorrei solo capire perché hai deciso di raccontarmi solo palle! Una volta mi dicevi tutto.»
Scostò bruscamente Clarissa da davanti a lui, mentre si allontanava a passo spedito, e per tutta risposta, lei lo seguì a ruota, scomparendo tra i corridoi. Perfetto.
«Fossi in te, non li seguirei.»
Mi ammonì Morgana, guardando il modo in cui il mio corpo si mosse, pronto a correrle dietro.
«Se lo dici tu.»
Non avevo altro da fare lì, così salutai distrattamente la ragazza poggiata allo stipite della porta, che mi scrutava silenziosamente. E prima di scomparire dalla sua vista, mi rivolse un'ultima frase.
«Tu mi piaci, Malfoy. Ma falla soffrire, e ti assicuro che ti spezzerò il collo. Vedete di non finire come me e Brandon.»
Non avrei potuto far soffrire Clarissa in alcun modo, non volontariamente almeno.
«Dimentichi che la stronza della storia, sei stata proprio tu.»
Sospirò, e prima di chiudere la porta, sussurrò.
«Perché conosci solo metà della storia.»
Feci spallucce, tornando silenziosamente verso i miei dormitori. Aspettando solo l'arrivo del giorno dopo per poter parlare a Clarissa, e mettere fine a questo struggimento.
Era tutto vuoto e buio attorno a me, nessuna luce, nessun faro, niente che potesse indicarmi la strada, ne dove mi trovassi. Sentivo un freddo cane, in quell'area così buia, anche se non c'era neanche un alito di vento. E poi, davanti ai miei occhi, mi apparve un letto, fin troppo familiare. Avrei riconosciuto quelle coperte di seta verdi ovunque, e la persona che vi era sdraiata, minuta e inerme. Tra quelle lenzuola, scorgeva la figura di mia madre, Astoria. Il volto pallido, scavato dalla malattia che l'aveva divorata fin dentro le ossa, le mani ridotte ad un palmo scheletrico, gli occhi così spenti, che non si staccavano neanche per un momento da quel piccolo ragazzino riccioluto, seduto ai margini del letto.
«Mamma ti prego, gioca ancora con me. Non ti addormentare, ho bisogno di te. Raccontami ancora una delle tue favole.»
La sua voce era flebile e tremante, mi sembrava quasi un sussurro.
«Sta tranquillo tesoro. Domani giocheremo per tutto il tempo che vorrai, la mamma adesso chiude gli occhi per un po'. Non dimenticare mai che ti amo.»
Furono quelle le sue ultime parole, mentre quel bambino continuava a scuoterle la mano. E quando i suoi occhi si chiusero, continuò ad urlare, fino a far uscir fuori tutta l'aria dai polmoni, e le lacrime copiose gli scendevano sul volto, bagnando quel corpo, ormai senza vita.
«Mamma ti prego, apri gli occhi! Torna da me mamma, ti prego.»
Urlando le stesse parole mi svegliai, ancora una volta in preda all'angoscia e al terrore. Ero madido di sudore, il retro della mia T-shirt praticamente bagnato, e le mani che ancora tremavano. Il dolore di quel ricordo, era ancora troppo vivido, faceva ancora troppo male. E mi tormentava, ogni notte. Se non c'era Megan, c'era mia madre, o c'era Clarissa a terrorizzare i miei incubi. L'unica notte in cui questi mi avevano lasciato dormire, era quando c'era proprio lei al mio fianco, come un acchiappasogni, che tiene fuori il male.
Mi voltai a guardare l'ora, come sempre, erano le cinque del mattino. Ormai dormire più di cinque ore a notte, era diventato un lusso che poche volte potevo permettermi. Mandai un messaggio di fuoco a Clarissa, anche se sapevo lo avrebbe letto soltanto il giorno successivo.
'Ci vediamo al campo di Quidditch prima della colazione? Ti dovrei parlare. A proposito, buongiorno occhioni.'
Probabilmente, avrei ricominciato di nuovo a respirare soltanto quando l'avrei rivista di nuovo.
Mai in tutta la mia esistenza, ero stato più in ansia. Neanche l'anno scorso nella partita finale di Quidditch, che avrebbe decretato il vincitore della stagione. Continuavo a fare avanti e indietro per la stanza. Avevo occupato il tempo in ogni modo possibile, ero andato a farmi una doccia, sistemato la barba e i capelli, messo in ordine la scrivania, e porca troia, erano soltanto le sette del mattino. Mentre la colazione, nel weekend, non sarebbe stata prima delle nove. Magari era già lì, anche se non era assolutamente una persona mattiniera. Non sapevo più un cazzo, se non che quelle quattro mura che mi stavano circondando, mi stavano opprimendo. Dovevo uscire.
Alle prime luci del mattino, l'aria era ancora più fredda del solito, tanto che una piccola nube di ghiaccio fuoriusciva dalla mia bocca, ogni volta che respiravo. Fuori era uggioso, e sulle piante che circondavano il castello, vi era poggiata qualche goccia di rugiada. Fortunatamente, il vento non era così forte, ma abbastanza da far venire i brividi. Non c'era un'anima viva in giro per la scuola, probabilmente era meglio così. Porca troia Thomas, le devi solo parlare, stai calmo.
Non sapevo neanche bene cosa dirle. Avrei improvvisato tutto al momento.
Una volta arrivato al campo, mi poggiai su una delle panchine, in attesa che una chioma di capelli, e due occhioni color cioccolato si facessero vedere. Scalpitavo soltanto all'idea, tanto che mi pareva esser tornato anni addietro, a quando aspettavo con ansia il giorno dell'apertura dei regali di Natale, attendendo con gioia il momento esatto per poter scartare tutti i doni. Clarissa era il mio dono.
«Aspettavi qualcuno in particolare, Malfoy?»
La realtà invece, mi colse all'improvviso, come se avessi ricevuto un pugno dritto alla bocca dello stomaco. Albus Potter era proprio davanti a me, con il suo biglietto tra le mani, e una faccia da stronzo fin troppo compiaciuta.
Che cazzo ci faceva lì?
«Che cazzo ci fai qui, Potter? Perché hai il biglietto di Clarissa?»
La bocca si aprì in un sorrisetto ancor più soddisfatto, e se non mi fossi controllato, avrei finito con lo spaccargli quella faccia che si ritrovava.
«Sono cose che capitano, quando una ragazza ti invita nel proprio letto. Era così sconsolata ieri sera, per il litigio con James. Tutta colpa tua sai? Sono bastate un paio di paroline magiche, e voilà, sono entrato nelle sue grazie, letteralmente. Credo proprio che questo ufficializzi la nostra relazione, non credi?»
Non poteva essere vero, la mia Clarissa non l'avrebbe mai fatto. Non con un perfetto sconosciuto. Non dopo quello che era successo tra di noi. Mentiva, non poteva essere altrimenti.
Il solo pensiero, mi fece raggelare il sangue nelle vene, lo stomaco ridotto ad una poltiglia. La sola idea, mi distruggeva.
«Credi davvero che possa credere a queste stronzate, Potter?»
Rise di buon gusto, prima di sventolare davanti ai miei occhi un paio di slip di pizzo bianchi. C'erano le sue iniziali, ricamate sopra C.B.
Sbiancai, potevano essere di chiunque, non era possibile che fossero i suoi, doveva trattarsi di uno dei suoi cazzo di tranelli, per forza.
Perché allora Potter aveva indosso il suo profumo? Perché sapeva di lei? Sentivo che da un momento all'altro, mi sarei potuto spezzare in mille pezzi.
Perché mi aveva fatto questo? Perché giocare con me, con i miei sentimenti, e fare così subito dopo? Troppe domande, troppa confusione, e sentivo solo il battito del mio cuore battere sempre più veloce.
«Davvero? E dove credi le abbia prese queste? Credevi davvero che Clarissa potesse scegliere te? Un donnaiolo qualunque. Che povero illuso. Già che ci siamo, stai lontano dalla mia ragazza, Malfoy.»
Se ne andò, velocemente com'era venuto.
Mi sentivo spezzato, avevo il cuore spezzato. Era come se l'aria si fosse mozzata attorno a me, non riuscivo a buttarla dentro i miei polmoni.
Tutto le certezze che avevo creduto di avere, si erano ridotte ad un cumulo di cenere. Mi aveva soltanto usato, come un paio di guanti usa e getta. E sarei stata io la serpe, in tutta questa storia. Perché baciarmi? Perché passare un'intera giornata con me, filtrare con me, per poi gettarsi tra le braccia di un grandissimo stronzo?
La ragazza che avevo trovato bellissima, quella che guardava tutto con occhi imbarazzati e timidi, che arrossiva per un complimento, che aveva dormito stretta al mio fianco per tutto il tempo, adesso mi sembrava una sconosciuta.
Dovevo riprendere il controllo, non potevo crollare così. Non per una banalissima ragazza, che si era dimostrata non essere diversa dalle altre. Tutto il contrario, si era dimostrata essere la peggior stronza di sempre.
Ebbene, se erano gli stronzi che le piacevano, mi sarei comportato come il più grande tra questi. Lei non sarebbe contata più niente, mai più le avrei permesso di entrare nel mio cuore, e distruggermi l'anima così. Ti faccio vedere io Brave, come si può essere bastardi e masochisti.
Buongiorno amici! Ho fatto davvero le corse per poter pubblicare in tempo questo capitolo, e ieri alle due ho ultimato i dettagli.
Non ammazzatemi! Giuro che non far presentare Clarissa a quel campo, è stato difficile anche per me, ma insomma, sarebbe stato un po' troppo semplice, no? E voi, ve lo sareste aspettato, o attendavate anche voi Clarissa? Spero di avervi sorpreso, almeno un po'.
Cosa pensate sia successo, tra Albus e Clarissa? Sono curiosa di sapere le vostre supposizioni.
Purtroppo, credo che il seguito arriverà per lunedì, sono un po' impegnata con l'università e ho delle consegne di cui tener conto, ma tranquilli, non vi lascio col fiato sospeso per molto. Spero comunque, che la storia vi stia piacendo, e se volete, potete sempre lasciare un commento o una stellina. A presto amici!
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