Chapter seven: Protect her
Mi trovavo ancora una volta nel bel mezzo della foresta proibita, gli alberi mi circondavano, alti e man mano sempre più stretti e incombenti, mi bloccavano ogni via di fuga. La nebbia così fitta, e la notte talmente fonda, da non riuscir a distinguere nulla neanche a un metro da me. Correvo, continuavo a correre senza una meta precisa, non capendo neanche dove mi trovassi, tentando di non inciampare sui rami secchi stesi sul terreno.
L'avevo persa di vista, non la scorgevo più. Sudavo freddo e il mio respiro era ormai corto, mentre un senso di angoscia mi trapassava tutto il corpo. Era colpa mia, l'avevo portata io lì. Tutto a causa mia.
Mi guardavo attorno, cercando di scorgere la sua massa riccia di capelli da qualche parte in lontananza. Urlavo il suo nome per tutta la foresta, ma invano.
«Megan!»
Dovevo trovarla, dovevo riportarla al castello, metterla in salvo.
Il tempo si era fatto gelido, ero stanco e i piedi quasi non mi reggevano più, mi sentivo distrutto. E poi lei mi apparve davanti agli occhi, era irriconoscibile, non era più lei: i suoi capelli mossi erano come spenti, avevano perso il loro colore originale, ridotti ormai a una massa grigiastra, gli occhi verdi che ricordavo, divennero due orbite nere, la carnagione era sovrannaturale, di un bianco peggiore della morte e il corpo divenuto ancora più esile, tanto da poterne scorgere le ossa. Non era più viva, era semplicemente una morta vivente.
«Thom, perché hai lasciato mi facessero questo?»
La sua voce fu un sussurro, ma sembrò trapassarmi l'anima da cima a fondo. Non avrei mai voluto questo, e il pensiero che fossi stato io il responsabile, mi aveva spezzato il respiro. E anche l'anima.
Volsi la mano verso di lei, ma non c'era più, scomparsa nella stessa foresta che l'aveva mangiata.
In un attimo, mi trovai catapultato tra le mura del castello, avrei riconosciuto quei mattoni grigiastri e l'odore di antico che li caratterizzavano ovunque. A giudicare da tutti i pentoloni che erano posti sui tavoli, e l'odore pungente che era nell'aria, quella doveva essere l'aula di pozioni. Guardai dritto davanti a me, una figura se ne stava lì, seduta sul banco, con un'aria così beata, quasi angelica. Quegli occhi color nocciola, li avrei riconosciuti anche tra mille. Era Clarissa, stretta nel suo sguardo innocente, lo stesso di quando l'avevo incontrata per la prima volta. Sorrideva e se ne stava lì, con i lunghi capelli caramello sistemati dietro le spalle, quasi stesse aspettando che proferissi parola.
Feci per avvicinarmi, ma qualcosa nel suo sguardo mutò, non sorrideva più, e il suo volto si fece tremendamente serio.
«Dimmi Malfoy, mi farai fare la stessa fine di Megan, o mi proteggerai?»
Balzando improvvisamente dal sonno aprii gli occhi.
Altra notte, stesso incubo. Come capitava sempre da quel giorno. Gli incubi mi tormentavano, non mi lasciavano tregua, ma questa volta era stato diverso, qualcosa era cambiato. Prima c'era solo Megan a tormentare il mio subconscio. Adesso non più.
Voltai lo sguardo verso l'orologio di fianco al mio letto, erano le cinque e mezza del mattino. Incredibile, avevo dormito mezz'ora più del solito. Scossi il capo, cercando come sempre di scacciare l'incubo di poco fa, ma sarebbe tornato la notte successiva. Dormire era diventato il mio personale inferno.
«Tommy, che ci fai già sveglio?»
Mi voltai confuso, guardando la figura snella e svestita che si trovava di fianco a me. Non ricordavo di aver detto a Melania Parkinson di dormire nella mia stanza. Sapevano bene di dover sparire prima che fossi sveglio.
«La domanda sarebbe, che ci fai tu ancora nel mio letto? Non ti avevo forse detto di andartene?»
Ero consapevole di essere uno stronzo, ma questa non era una novità per nessuno, e continuavo a non capire perché tutte si ostinassero a voler essere l'eccezione.
Melania si alzò dal letto in fretta, raccogliendo quelli che dovevano essere i suoi vestiti sparsi per la stanza, guardandomi di traverso sperando che m'intenerissi. Una perdita di tempo.
Sbuffai, e mi rigirai dall'altra parte del letto. Le sarebbe passato nel giro di una passeggiata.
La sua persistente presenza iniziava a infastidirmi.
«Sei proprio uno stronzo, Thomas.»
Ogni volta la stessa storia, avevo sentito questa frase almeno una ventina di volte.
«Mai sostenuto il contrario. Detto ciò, buona giornata.»
Melania sparì furiosa e delusa oltre la mia porta, mentre io mi mi alzai, portandomi riluttante verso il bagno. Avevo decisamente bisogno di sciacquarmi la faccia, e cercare di levarmi dalla testa le immagini delle ore precedenti. Strinsi le mani con violenza attorno al lavandino. No, non avrei permesso che Clarissa facesse la stessa fine di Megan, lo avevo giurato a me stesso.
Quando uscii, trovai Brandon comodamente stravaccato sul mio divano, le mani messe dietro la nuca, e un'espressione placidamente beata, quella di chi aveva dormito senza che gli incubi gli logorassero l'animo.
«Adesso permetti anche alle sgualdrine di dormire in camera tua, Thom?»
Scossi il capo, quella papera di Melania doveva aver già raccontato tutto a mezza sala.
«Figurati.»
Nonostante avessi più volte gettato dell'acqua gelida sul volto, il mio sguardo doveva essere ancora sconvolto. Brandon era il solo a sapeva tutto: quello che era successo, degli incubi, della leggenda. Credo che fosse l'unico con cui non avevo alcun tipo di segreto. Il suo sguardo si fece più serio, mettendosi a sedere.
«Di nuovo lo stesso incubo, non è così?»
Annuii, ma sapeva bene che c'era dell'altro.
«C'era anche Clarissa questa volta. Mi chiedeva se sarei stato in grado di proggerla.»
Brandon scattò in piedi, poggiando una mano sulla mia spalla. Mi sembrava ieri che i nostri genitori ci raccontavano di come, gli avvenimenti degli scorsi anni, fossero tutt'altro che casuali, e si ricollegassero tutti ad un'ambigua leggenda, che aveva fatto accapponare la pelle sia a me che al mio compagno.
**
La figura di mio padre era proprio lì di fronte a me, le braccia conserte, il volto torvo ed inespressivo, quegli occhi color ghiaccio che erano in grado di terrorizzarmi senza che neanche proferisse parola:
''Quello che sta succedendo in quella scuola, è tutt'altro che una coincidenza. Sei un illuso se pensavi di poter proteggere la tua amichetta.
Tuo nonno, mi raccontava spesso di un'antica storia, le tipiche favole che mi raccontava prima di mettermi a letto.
Per erigere la grande scuola di magia, i quattro fondatori avevano dovuto far ricorso a delle potenti forze, se possibile, più oscure dello stesso Signore della Morte. Gli avevano offerto il loro sangue, il sangue delle quattro casate.
Ogni cinquant'anni, quel debito di sangue andava ripagato. Una casa all'anno, avrebbe dovuto offrire il suo sacrificio, o le forze oscure si sarebbero abbattute sul castello, senza possibilità di sopravvivenza. Quattro anime, per altri cinquant'anni di pace.''
Il mio volto e quello di Brandon, divennero ancor più pallidi di quanto già non fossero. Era un'assurdità quello che avevo appena sentito, doveva per forza esserlo.
Mio padre continuò:
''Ovviamente, col passare del tempo, ci si rese conto che i seguaci di questa setta non erano altro che degli spietati assassini senza scrupoli, anche peggio degli stessi Mangiamorte, uccidono solo perché li diverte, e per giustificare le loro azioni, si appellano a questa stupida leggenda. Se l'anno prossimo dovesse scomparire un membro della casata Corvonero, non mi stupirei.''
Fu proprio in quel momento, che mi resi conto, che avrei protetto quel paio di occhi nocciolati, che avevo visto mesi prima nell'aula di Pozioni, a qualsiasi costo.
**
La voce di Brandon mi riportò alla realtà.
«Non farti stupide paranoie, Thom. Ci sono almeno duemila membri di quella casata. Poi un giorno mi spiegherai perché sei così ossessionato da quella ragazza.»
Oh Brandon, te lo dirò appena lo capirò anche io.
Dopo questa breve parentesi, ritornai alla mia tipica routine. Mi finii di lavare, mi vestii, due spruzzate di profumo, ed ero pronto per uscire. Mi diressi verso la porta di Clarissa, così come facevo sempre, sapendo che avrei dovuto aspettare almeno una decina di minuti prima che si decidesse a uscire da quella dannata camera.
Alzai gli occhi al cielo. Perché le donne dovevano essere così lente?
Ma quando finalmente uscì, la sua vista mi provocò una fitta allo stomaco. Ogni volta la stessa storia.
Sarà la fame, pensai ingenuamente.
Anche quel giorno, ci avviammo verso la sala, rintanato in un silenzio che non mi apparteneva, ma non riuscivo a guardarla, non senza ripensare all'incubo della notte precedente. Tentavo in ogni modo di nascondere il tremore che avevo alle mani, nascondendole nelle tasche, quando il solo pensiero che potesse accaderle qualcosa mi sfiorò la mente.
Una volta seduti al tavolo, dovetti per giunta sopportare anche le ridicole smancerie della Parkinson, che aveva fatto il diavolo a quattro per mettersi accanto a me.
Insopportabile, dovevo liberarmi di quella zecca il prima possibile.
Ma quando incrociai lo sguardo di Clarissa, non potetti che esserne divertito, notando l'espressione che aveva. Mi sembrava quasi che la scena in qualche modo la infastidisse, considerando che aveva a stento toccato la colazione.
Sei gelosa, occhioni?
Con un ghigno soddisfatto, lasciai che la poverella continuasse quel teatrino ancora per un po', ignorando la sensazione che mi dava vederla torcersi dalla rabbia, battendo nervosamente le dita sul tavolo, e lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiataccia di fuoco.
Era ovvio che non si accorgesse che l'unica cosa che facevo era guardare il modo in cui tentava di evitare la scena, cogliendo ogni singola parola dei suoi discorsi. Come mi sentivo ridicolo, volevo sapere e sentire tutto di lei, non rendendomi neanche conto, che ciò che più continuavo a guardare, e bramare, erano le sue labbra leggermente rosate. E ancora la sensazione di quella notte risalì prepotente, facendomi rabbrividire.
«Ti voglio nella nostra tifoseria, questo pomeriggio.»
Proferii parola così improvvisamente, che si voltò verso di me quasi esterrefatta, e se possibile, la cosa l'aveva fatta innervosire ancora di più. Lo notavo da quella ruga corrucciata che le era comparsa proprio in mezzo alla fronte. Adorabile.
Dopo un velato battibecco, prese il suo mantello e si avviò verso la porta.
Dove credevi di scappare?
Mi alzai a mia volta, sotto lo sguardo allibito di Melania.
«Dove vai, Tommy, almeno aspettami.»
Le risolvi uno sguardo di sufficienza. Possibile che non si rendesse conto di quanto la sua presenza mi infastidisse?
«Se non ti dispiace, avrei lezione.»
Una volta fuori dall'aula, cercai di capire in che direzione si fosse diretta quell'ammasso capriccioso di capelli; la vidi poco più avanti, e accelerai il passo per cercare di raggiungerla. Correva veloce la ragazza.
Riuscii comunque a prenderle il braccio, trascinandola nell'aula che si trovava proprio di fianco a noi. Con mia immensa fortuna, era vuota.
Ed eccola lì, proprio di fronte a me, così fragile, e al tempo stesso forte e fiera. I nostri sguardi si incastrarono ancora tra di loro, tentando di leggere e scovare tutti i segreti delle nostre rispettive anime. Ci scrutavamo a vicenda, e in fondo, ci desideravamo a vicenda.
Mai mi ero sentito più esposto con qualcuno, e ancora un altro brivido mi percosse tutta la schiena. Non riuscivo a vedere nient'altro che lei, come quella sera nell'armadio. Fu quella la prima notte che passai senza neanche un incubo, come se il sapore delle sue labbra mi avesse protetto dai miei stessi demoni.
«Perché non vuoi stare nella mia tribuna, occhioni? Che fai, sei gelosa?»
La scrutavo dall'alto verso il basso, il suo profumo mi appannava la mente: sapeva di dolce, un misto di lavanda, ma con un tocco più delicato, che ancora non riuscivo a definire.
«Perché non mi va.»
In quell'esatto momento le avrei tappato la bocca con un bacio, come quello dell'ultima volta.
Lo desideravo, la desideravo, ma allo stesso tempo, volevo proteggerla anche da me stesso, oltre che dal mondo. Ma quelle labbra erano per me così invitanti, che mi ci sarei fiondato subito, manco fossero state la mia ancora di salvataggio.
Era più di un'attrazione fisica, più di una semplice infatuazione. Era un legame che non riuscivo a spiegarmi.
La prossima volta ancora, occhioni. Ho bisogno che tu pensi che sia uno stronzo, ancora per un po'.
«Non vuoi mica che si sappia quello che è successo nell'armadio, mia dolce Clarissa. Fossi in te, ci penserei bene.»
Scomparii prima che potessi tornare sui miei passi. Non avevo bisogno di sentirmelo dire, ero stato proprio uno stronzo, e un tremendo egoista.
Il risultato fu pessimo, e infatti invece che concentrarmi sulla partita, il pensiero di quelle labbra così vicine alle mie, aveva tempestato la mia testa fino al momento in cui arrivai al campo.
Speravo di vederla in quella dannata tribuna, anche se sapevo che non lo meritavo.
Stavo ripassando la tattica con i miei compagni, cercando di mettere in pratica tutto ciò che in quei giorni mi aveva consigliato Clarissa.
La sua voce mi prese alle spalle, e quando mi voltai, per poco non rischiai di rimanere a bocca asciutta. Come al solito, doveva sempre farmi venire un colpo.
Se ne stava lì, con le braccia conserte, e un'espressione meno corrucciata di poche ore prima. Indossava una maglia blu fin troppo attillata, dove le maniche terminavano con qualche balza, e un jeans nero decisamente stretto, che accarezzava le curve del suo corpo con una delicatezza devastante.
Fantastico, oltre alla partita, avrei dovuto stare attento che nessuno la guardasse più del dovuto. Almeno non aveva messo di nuovo quella gonna. Solo il pensiero di quella vista, mi faceva ancora girare la testa. Senza contare che quella sera, nella nostra sala comune, mi ero dovuto trattenere dal prendere a sberle metà della mia casa.
Come ogni volta, mi soffermai a guardarla più del dovuto. Era più forte di me, mi attraeva manco fossi stato un magnete e lei una calamita. Non avrei potuto resisterle in nessun modo. Ma cosa mi prendeva, esattamente?
«Vi ricordate quello che ho detto, sulla partita? I corvi sono fin troppo calcolatori e abitudinari. Cercheranno di stringervi verso l'esterno del campo, e rubarvi la pluffa venendo dall'alto. Siate più veloci, e soprattutto, fate qualcosa che non si aspettino.»
Nonostante la mia velata minaccia, si era comunque presentata alla partita, e come se non bastasse, continuava a offrirci il suo aiuto così spontaneamente. Ma cosa avevo fatto per meritarmi un tale angelo nella mia vita? Lei d'altro canto, non si meritava di certo uno come me. Ma ero uno stronzo egoista, e volevo disperatamente tenerla più vicino possibile a me, e non solo per la promessa che avevo segretamente fatto lei.
«Suppongo tu stia andando a metterti nella nostra tribuna.»
Le risolsi un sorrisetto soddisfatto, che era ancora più divertente, quando lei finiva per guardarmi con quell'aria così torva.
«Non credo che tu mi abbia lasciato altra scelta.»
Per quanto cercasse in tutti i modi di nasconderlo, sapevo che in fondo, non le dispiaceva affatto essere qui in questo momento. Le sorrisi, ma era tremendamente orgogliosa, così tanto che non mi diede neanche l'occasione di replicare, che era già scomparsa tra la folla, e dentro di me, speravo che nessuno avesse fatto lo stronzo con lei, avrei potuto abbandonare il campo in un batter d'occhio.
La vidi sistemarsi in tribuna, proprio di fianco alla rossiccia, con cui probabilmente scambiò qualche velenosa battuta. Dovevo decisamente concentrarmi su qualcosa che non fosse lei, per quanto mi risultasse impossibile.
Pochi minuti dopo, e la partita era cominciata. La cosa migliore che potessi fare al momento, era portare punti a casa. Non mi stupii più di tanto che lo schema di gioco che ci aveva suggerito Clarissa, sembrasse funzionare perfettamente con gli avversari, che continuavano a volteggiare per il campo spaesati, non riuscendo a capire come prevedere il nostro gioco. Speravo che Brandon riuscisse a prendere quel maledetto boccino, prima che l'idea di Clarissa in mezzo ad un covo di serpi mi facesse esplodere la testa.
Fare punti si rilevò più semplice del previsto, dovendo però tener conto, che a causa dello scarso portiere che ci ritrovavamo, ne avevamo subiti altrettanti.
Poi all'orecchio mi giunse una voce, che probabilmente avrei fatto meglio a non sentire.
«Ma guarda tu la dolce Brave. Seduta in mezzo alle serpi. Cosa c'è Malfoy, è diventata già la tua troia?»
Strinsi più forte i pugni sul manico della scopa. Se non fosse stato giudicato fallo, avrei sbattuto giù dalla scopa quel maledetto bastardo.
Tempo al tempo, Berkey.
«Cosa c'è? Ti brucia che ti abbia rifilato un palo stellare, Berkey?»
Si distrasse abbastanza da permettermi di sottrargli la pluffa, e segnare dentro l'anello avversario.
Poi ci fu un boato, e la voce del boccino parlò.
''Brandon Zabini ha catturato il boccino d'oro''
La partita era finita, e noi avevamo decisamente vinto.
Alzai lo sguardo sopra di me, notando che Clarissa si era piacevolmente unita ai festeggiamenti della tribuna. Non avrei mai smesso di pensare che era una mancata Serpeverde.
Dopo la partita, nel castello c'era solo un grande baccano, tutti i membri della mia casa volteggiavano per i corridoi urlando e festeggiando, tutti diretti verso la sala comune, dove sicuramente ci sarebbe stato baccano almeno fino all'alba. Il mio unico pensiero era trovare Clarissa, scusarmi per il comportamento di oggi, e ringraziarla. Magari non proprio in quest'ordine, ma volevo comunque trovarla. Non mi piaceva la sensazione di vuoto che provavo quando non era al mio fianco, e mi tormentava ancora di più non capirne il motivo, come se in qualche modo lei mi rendesse migliore.
Ed eccola, proprio lì, in fondo al corridoio. I nostri sguardi si incrociarono ancora, ed ebbi come l'impressione che ci stessimo cercando a vicenda. Mi sorrise, avviandosi lentamente verso di me, e la connessione tra noi diventò ancor più forte.
Ci eravamo trovati anche in mezzo alla folla scalpitante, anche in mezzo alla tempesta.
Non so quando esattamente, ma una figura snella e slanciata mi barrò la strada, buttandomi le sue braccia al collo e premendo di forza le labbra contro le mie.
Ma chi diamine era? Poteva essere solo quella stupida di Melania. La strattonai frettolosamente da me, infastidito dal gesto.
«Se non l'avessi ancora capito, io e te non siamo niente. Adesso puoi smetterla di girarmi sempre in mezzo alle palle, che diamine!»
Mi rivolse uno sguardo pieno d'odio, prima di allontanarsi. Finalmente aggiungerei. Ma era troppo tardi.
Di Clarissa non c'era più neanche l'ombra, ed io sentii il disperato bisogno di trovarla prima possibile, anche solo per assicurarmi che stesse bene, e che niente di male le fosse accaduto nel frattempo.
Buon pomeriggio a tutti! Finalmente sono riuscita ad inserire il punto di vista di Thomas, che non per essere di parte, ma è il mio personaggio preferito ahahaha. Sono ancora indecisa se tornare alla voce narrativa di Clarissa nel prossimo, o lasciare un altro capitolo con la voce di Thomas, mi piacerebbe sapere, come sempre, cosa ne pensate.
Pian piano anche la storia della 'ragazza scomparsa' inizia ad emergere, e state tranquilli, che più andremo avanti più la capirete meglio. Voglio svelare le cose man mano. Se vi va, lasciate pure un commento o una stellina. Ci vediamo al prossimo capitolo.
Vi lascio qui sotto, l'outfit di Clarissa alla partita (se non si fosse capito adoro soffermarmi sui vestiti)
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro